Lenin

Karl Marx

3. La dottrina economica di Marx


"Fine ultimo al quale mira quest'opera - scrive Marx nella prefazione al Capitale - è di svelare la legge economica del movimento della società moderna" ossia della società capitalistica, borghese. (Il Capitale, cit., I, 1, p. 18)
Lo studio dei rapporti di produzione di una società storicamente determinata, nella loro origine, nel loro sviluppo e nella loro decadenza, tale è il contenuto della dottrina economica di Marx.
Nella società capitalistica domina la produzione delle merci: e perciò l'analisi fatta da Marx incomincia con l'analisi della merce.

Il valore

La merce è, in primo luogo, una cosa che soddisfa qualsiasi bisogno dell'uomo; in secondo luogo, una cosa che si può scambiare con un'altra. L'utilità di una sa fare di essa un valore d'uso.
Il valore di scambio (o semplicemente: valore) è, innanzi tutto, il rapporto, la proporzione secondo la quale una certa quantità di valori d'uso di una specie viene scambiata con una certa quantità di valori d'uso di specie diversa.
L'esperienza quotidiana ci dimostra che attraverso milioni e miliardi tali scambi si stabiliscono continuamente dei rapporti di equivalenza tra i valori d'uso più diversi e meno comparabili l'uno con l'altro. Che cosa hanno di comune queste cose diverse, continuamente trattate come equivalenti fra di loro in un determinato sistema di rapporti sociali? Hanno questo in comune: che sono prodotti del lavoro. Scambiando dei prodotti, gli uomini stabiliscono dei rapporti di equivalenza tra le più diverse specie di lavoro. La produzione delle merci è un tema di rapporti sociali nel quale i singoli produttori creano prodotti di qualità diversa (divisione sociale del lavoro ), e tutti questi prodotti sono fatti uguali l'uno all'altro mediante lo scambio. Per conseguenza quel che tutte le merci hanno in comune non è il lavoro concreto di un determinato ramo della produzione, nè il lavoro di una stessa specie, ma il lavoro umano astratto, il lavoro umano in generale. Tutta la forza-lavoro di una data società, rappresentata dalla somma deI valore di tutte le merci, è una sola e stessa forza umana di lavoro: miliardi di fatti di scambio lo dimostrano. E per conseguenza ogni singola merce rappresenta soltanto una certa parte del tempo di lavoro socialmente necessario. La grandezza del valore è determinata dalla quantità di lavoro socialmente necessario, cioè dal tempo di lavoro socialmente necessario per la produzione di una data merce, di un dato valore d'uso.
"Gli uomini equiparano l'un con l'altro i loro differenti Iavori come lavoro umano, equiparando l'uno con l'altro, come valori, nello scambio, i loro prodotti eterogenei. Non sanno di far ciò, ma lo fanno." (Il Capitale, cit., I, 1, p. 87)

Il valore è un rapporto tra due persone, diceva un vecchio economista; ma avrebbe dovuto soltanto aggiungere: un rapporto dissimulato sotto un rivestimento di cose. Soltanto se ci si pone dal punto di vista dei rapporti sociali di produzione in una determinataj formazione storica della società, e inoltre dei rapporti che si manifestano in uno scambio che si ripete miliardi volte, si può comprendere che cos'è il valore. "Come valori, le merci sono soltanto misure determinate di tempo di lavoro congelato." (Il Capitale, cit., I, 1, p. 52.)
Dopo aver analizzato particolareggiatamente il duplice carattere del lavoro inorporato nella merce, Marx passa all'analisi delle forme del valore e all'analisi del denaro.
Il compito principale che qui Marx si assume è la ricerca dell'origine della forma monetaria del valore, lo studio del processo storico dello sviluppo dello scambio, cominciando dalle sue manifestazioni singole e occasionali ("forma semplice, singola, occasionale del valore"): a data quantità di merce che si scambia con una data quantità di un'altra merce) fino alla forma generale del valore, quando una serie di merci diverse si scambiano contro una determinata merce che rimane sempre la stessa, e fino alla forma monetaria del valore, in cui questa determinata merce, l'equivalente generale, è l'oro.
Essendo il più alto prodotto dello sviluppo dello scambio e della produzione mercantile, il denaro nasconde e dissimula il carattere sociale dei lavori individuali, il legame sociale fra i produttori singoli, collegati dal mercato. Marx sottopone a un'analisi straordinariamente circostanziata le diverse funzioni del denaro; e anche qui (come in genere nei primi capitoli del Capitale) è particolarmente importante notare inoltre la forma di esposizione astratta e talvolta, in apparenza, puramente deduttiva, fornisce in realtà una domentazione immensamente ricca per la storia dello sviluppo dello scambio e della produzione mercantile.

"Il denaro... presuppone un certo livello dello scambio di merci. Le forme particolari del denaro, puro e semplice equivalente della merce, o mezzo di circolazione, o mezzo di pagamento, o denaro tesaurizzato, o moneta universale, indicano di volta in volta, a seconda della diversa estensione e della relativa preponderanza dell'una o dell'altra funzione, gradi diversissimi del processo sociale di produzione." (Il Capitale, cit., I, 1, p. 187)



Il plusvalore


A un certo grado di sviluppo della produzione mercantile, il denaro si trasforma in capitale.
La formula della circolazione delle merci era M (merce) - D (denaro) - M (merce), ossia: vendita di una merce per l'acquisto di un'altra. Al contrario, la formula generale del capitale è: D-M-D, ossia: compra per la vendita (con profitto).
Marx chiama plusvalore questo accrescimento del primitivo valore del denaro messo in circolazione.
Il fatto di questo aumento del denaro nlella circolazione capitalistica è noto a tutti. Precisamente questo aumento trasforma il denaro in capitale, che è un particolare rapporto sociale di produzione, storicamente determinato.
Il plusvalore non può scaturire dalla circolazione delle merci, perche questa conosce soltanto lo scambio tra equivalenti; non può sorgere da un aumento dei prezzi perchè i guadagni e le perdite reciproche del venditore e del compratore si compenserebbero, mentre qui si tratta appunto di fenomeni di massa, medi, sociali, e non di fenomeni individuali. Per ottenere il plusvalore "il possessore di denaro deve trovare sul mercato una merce il cui stesso valore d'uso abbia la proprietà peculiare di essere fonte di valore": una merce il cui processo d'uso sia, al tempo stesso, un processo di creazione di valore. Tale merce esiste. Essa è la forza-lavoro dell'uomo. Il suo uso è il lavoro, e il lavoro crea il valore.
Il possessore di denaro compra la forza-lavoro al suo valore, valore che è determinato, come quello di qualsiasi altra merce, dal tempo di lavoro socialmente necessario per la sua produzione (vale a dire, dal costo del mantenimento dell'operaio e della sua famiglia). Avendo comprato la forza-lavoro, il possessore di denaro ha il diritto di consumarla, ossia di obbligarla a lavorare tutto il giorno, per esempio dodici ore. Ma in sei ore (tempo di lavoro "necessario") l'operaio crea un prodotto che basta a coprire le spese del proprio mantenimento; mentre nelle sei ore rimanenti (tempo di lavoro "supplementare") crea un prodotto "supplementare" non pagato dal capitalista, ossia il plusvalore.
Perciò dal punto di vista del processo di produzione bisogna distinguere nel capitale due parti: il capitale costante, che viene impiegato per procurarsi i mezzi di produzione (macchine, strumenti di lavoro, materie prime, ecc.), e il cui valore (in una o più volte) passa, senza variare, nel prodotto finito; e il capitale variabile, che viene impiegato per procurarsi la forza-lavoro. Il valore di questa seconda parte del capitale non rimane invariato, ma aumenta durante il processo del lavoro, creando il plusvalore.
Per esprimere il grado di sfruttamento della forza-lavoro da parte del capitale, bisogna dunque confrontare il plusvalore, non già con il capitale totale, ma soltanto con il capitale variabile. Il saggio del plusvalore, come Marx chiama questo rapporto, sarà, secondo il nostro esempio, di 6/6, ossia del 100 per cento.
Premessa storica del sorgere del capitale, è, in primo luogo, l'accumulazione di una determinata somma di denaro nelle mani di singole persone, in un periodo in cui lo sviluppo della produzione mercantile in generale abbia già raggiunto un livello relativamente alto, e, in secondo luogo, l'esistenza di un operaio "libero" in due sensi - libero da qualsiasi costrizione o limitazione nella vendita della forza-lavoro e libero perchè privo di terra e di mezzi di produzione in generaIe - l'esistenza di un lavoratore privo di proprietà, di un "proletario", il quale non può esistere se non vendendo la propria forza-lavoro.
L'aumento del plusvalore è possibile grazie a due metodi fondamentali: il prolungamento della giornata di lavoro ("plusvalore assoluto") e la riduzione della giornata di lavoro necessaria ("plusvalore relativo"). Analizzando il primo metodo, Marx traccia un quadro grandioso delle lotte della classe operaia per la riduzione della giornata di lavoro, e dell'intervento del potere statale, prima per allungarla (secoli XIV-XVII) e poi per ridurla (legislazione di fabbrica nel secolo XIX). Dopo la pubblicazione del Capitale, la storia del movimento operaio di tutti i paesi civili del mondo ha fornito migliaia e migliaia di fatti nuovi che illustrano questo quadro.

Analizzando la produzione del plusvalore relativo, Marx studia tre fasi storiche fondamentali nell'aumento de!la produttività del lavoro da parte del capitalismo: 1) cooperazione semplice; 2) divisione del lavoro e manifattura; 3) macchine e grande industria. Una conferma della profondità con la quale Marx ha messo in luce i tratti fondamentali e tipici dello sviluppo del capitalismo, è data tra l'altro dal fatto che l'indagine della cosìddetta produzione "artigiana" russa fornisce una ricchissima documentazione sulle prime due di queste tre fasi. E l'azione rivoluzionaria della grande industria meccanizzata, descritta da Marx nel 1867, è apparsa, nel corso del mezzo secolo trascorso da allora, in tutta una serie di paesi "nuovi" (Russia, Giappone e altri).
Inoltre straordinariamente importante e nuova è l'analisi fatta da Marx dell'accumulazione del capitale, ossia della trasformazione di parte del plusvalore in capitale, dell'impiego del plusvalore non già per i bisogni personali o per i capricci del capitalista, ma per una nuova produzione.
Marx dimostrò l'errore di tutta la precedente economia politica classica (cominciando da Adam Smith) la quale supponeva che tutto il plusvalore, trasformandosi in capitale, passasse al capitale variabile. Esso si scompone in realtà in mezzi di produzione più il capitale variabile. Nel processo di sviluppo del capitalismo e della sua trasformazione in socialismo, ha enorme importanza il fatto che la parte costituita dal capitale costante (nella somma totale del capitale) aumenta più rapidamente della parte costituita dal capitale variabile.
L'accumulazione del capitale, affrettando la eliminazione dell'operaio da parte della macchina, creando a un polo la ricchezza e al polo opposto la miseria, genera anche il cosiddetto "esercito del lavoro di riserva", l'"eccedente relativo" di operai, ossia la "sovrappopolazione capitalistica", che assume forme straordinariamente varie, e che dà al capitale la possibilità di estendere la produzione con estrema rapidità. Questa possibilità, unita con il credito e con l'accumulazione del capitale sotto forma di mezzi di produzione, ci dà, tra l'altro, la chiave per comprendere le crisi di sovrapproduzione, che sopravvengono periodicamente nei paesi capitalistici, dapprincipio, in media, ogni dieci anni e, in seguito, a intervalli più lunghi e meno determinati. Bisogna distinguere l'accumulazione del capitale allla base del capitalismo dalla cosiddetta "accumulazione primitiva": dalla separazione violenta del lavoratore dai mezzi di produzione, dall'espulsione del contadino dalla terra, dal furto delle terre delle comunità, dal sistema coloniale, dai debiti statali, dal protezionismo doganale, ecc. L'accumulazione primitiva crea a un polo il proletario libero, e al polo opposto il proprietario del denaro, il capitalista.
La "tendenza storica dell'accumulazione capitalistica" è caratterizzata da Marx con le seguenti celebri parole:

"L'espropriazione dei produttori immediati viene compiuta con il vandalismo più spietato e sotto la spinta delle passioni più infami, più sordide e meschinamente odiose. La proprietà privata acquistata col proprio lavoro (dal contadino e dall'artigiano), fondata per così dire sull'unione intrinseca della singola e autonoma individualità lavoratrice e delle sue condizioni di lavoro, viene soppiantata dalla proprietà privata capitalistica che è fondata sullo sfruttamento di lavoro che è si lavoro altrui, ma, formalmente, è libero... Ora, quello che deve essere espropriato non è più il lavoratore indipendente che lavora per sè, ma il capitalista che sfrutta molti operai. Questa espropriazione si compie attraverso il giuoco delle leggi immanenti della stessa produzione capitalistica, attraverso la centralizzazione dei capitali. Ogni capitalista ne colpisce a morte molti aItri per suo conto. Di pari passo con questa centralizzazione ossia con l'espropriazione di molti capitalisti da parte di pochi, si sviluppano su scala sempre crescente la forma cooperativa del processo di lavoro, la consapevole applicazione tecnica della scienza, lo sfruttamento metodico della terra, la trasformazione dei mezzi di lavoro in mezzi di lavoro utilizzabili solo collettivamente, l'economia di tutti i mezzi di produzione mediante il loro uso come mezzi di produzione del lavoro combinato, sociale, mentre tutti i popoli vengono via via intricati nella rete del mercato mondiale e così si sviluppa in misura sempre crescente il carattere internazionale del regime capitalistico. Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, della pressione, dell'asservimento, della degenerazione dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre più s'ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico. Il monopolio del capitale diventa un vincolo del modo di produzione, che è sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona l'ultima ora della proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati." (Il Capitale, cit., I, 3, pp. 222-223)



Estremamente importante e nuova è inoltre l'analisi che Marx fa nel II volume del Capitale della riproduzione del capitale sociale nel suo insieme. Anche qui Marx non considera un fenomeno individuale, ma un fenomeno di massa; non una particella frazionaria dell'economia sociale, ma tutta questa economia nella sua totalità. Correggendo il sopraindicato errore dei classici, Marx divide tutta la produzione sociale in due grandi sezioni: 1) produzione dei mezzi di produzione e 2) produzione degli oggetti di consumo; e poi esamina minutamente, basandosi su esempi numerici, la circolazione di tutto il capitale sociale nel suo complesso, tanto nella riproduzione semplice, che nell'accumulazione.
Nel III volume del Capitale è risolto il problema della formazione del saggio medio di profitto in base alla legge del valore. Un grande progresso compiuto dalla scienza economica per merito di Marx consiste nel fatto che l'analisi viene condotta dal punto di vista dei fenomeni economici di massa, di tutto I'insieme dell''economia sociale, e non dal punto di vista dei casi singoli o delle manifestazioni esterne della concorrenza, a cui si limitano spesso l'economia politica volgare o la moderna "teoria dell'utilità marginale". (Secondo la teoria dell'utilità marginale ogni bene materiale di cui l'individuo ha bisogno presenta un'utilità che decresce a misura che il bisogno viene soddisfatto. L'individuo è spinto a procurarsi successive unità di un determinato bene fino a quando un'ulteriore unità di esso produrrebbe un'utilità non superiore al sacrificio necessario a procurarla. L'unità ultima o marginale a cui s'arresta lo sforzo individuale per procurarsi un determinato bene, determina appunto l'utilità marginale. Questo processo creerebbe la nozione del valore relativo dei singoli beni nell'orbita dell'economia individuale e, per estensione, in quella dell'economia sociale, generando così l'equilibrio dei rapporti economici.
Marx comincia con l'analizzare l'origine del plusvalore, e soltanto in seguito esamina la sua scomposizione in profitto, interesse e rendita fondiaria. Il profitto è il rapporto tra il plusvalore e tutto il capitale impiegato in un'impresa. Il capitale a "struttura organica elevata" (in cui, cioè, il capitale costante supera il capitale variabile in misura superiore alla media sociale} dà un saggio di profitto inferiore alla media. Il capitale a "struttura organica bassa" dà un saggio di profitto superiore alla media. La concorrenza fra i capitali, il loro libero passaggio da una branca all'altra ridurranno in ambo i casi il saggio di profitto al saggio medio. La somma dei valori di tutte le merci di una determinata società coincide con la somma dei prezzi delle merci stesse, ma nelle singole imprese e nei singoli rami della produzione le merci, sotto la pressione della concorrenza, vengono vendute non al loro valore, ma secondo i prezzi di produzione, equivalenti al capitale impiegato più il profitto medio.
In tal modo, il fatto indiscutibile e generalmente noto del divario tra i prezzi e il valore, e della perequazione del profitto viene pienamente spiegato da Marx sulla base della legge del valore, perchè la somma dei valori di tutte le merci coincide con la somma dei prezzi. Ma la riduzione del valore (sociale) ai prezzi (individuali) non avviene semplicemente e direttamente, ma in modo molto complicato; poiche è ben naturale che in una società nella quale i produttori isolati di merci sono uniti l'uno all'altro soltanto dal mercato, le leggi non possano manifestarsi se non come leggi medie, sociali, generali con deviazioni individuali in questa o quell'altra direzione, che si compensano reciprocamente.
L'aumento della produttività del lavoro implica un più rapido accrescimento del capitale costante rispetto al capitale variabile. Ma siccome il plusvalore è in funzione del solo capitale variabile, si comprende che il saggio del profitto (rapporto tra il plusvalore e tutto il capitale e non soltanto la sua parte variabile) abbia la tendenza a diminuire. Marx analizza minutamente questa tendenza e numerose circostanze che la mascherano o la ostacolano. Senza fermarci all'esposizione delle parti straordinariamente interessanti del III volume del Capitale consacrate al capitale usurario, commerciale e finanziario, passiamo alla parte più importante, alla teoria della rendita fondiaria.
Il prezzo di produzione dei prodotti agricoli, a causa della limitatezza della superficie della terra che nei paesi capitalistici è interamente nelle mani di singoli proprietari, è determinato dai costi di produzione non in un terreno medio, ma nel terreno peggiore e non nelle condizioni medie, ma nelle peggiori condizioni di trasporto dei prodotti al mercato. La differenza tra questo prezzo e il prezzo di produzione nei terreni migliori (o in migliori condizioni) costituisce la rendita differenziale. Analizzandola minutamente, mostrandone l'origine nella diversa fertilità dei diversi terreni, nelle differenti quantità di capitale investito nella terra, Marx mise in piena luce (si vedano anche le Teorie del plusvalore in cui merita speciale attenzione la critica a Rodbertus) l'errore di Ricardo, il quale riteneva che la rendita differenziale provenisse soltanto dal passaggio progressivo da terreni migliori a terreni peggiori. Invece si producono anche passaggi in senso inverso; i terreni di una categoria si trasformano in terreni di un'altra categoria (grazie al progresso della tecnica agricola, allo sviluppo delle città, ecc.) e la famosa «legge della produttività decrescente del terreno» è un profondo errore che tende a scaricare sulla natura i difetti, la limitatezza e le contraddizioni del capitalismo. Inoltre, l'uguaglianza del profitto in tutti i rami dell'industria e dell'economia nazionale in generale presuppone piena libertà di concorrenza, libertà per il capitale di trasferirsi da un ramo a un altro. Invece, la proprietà privata della terra crea il monopolio, che ostacola questa libertà. A causa di questo monopolio, i prodotti dell'agricoltura, la quale si distingue per una più bassa struttura del capitale e che, per conseguenza, dà un saggio di profitto individuale più elevato, non entrano nel pieno e libero processo di livellamento del saggio del profitto; il proprietario della terra ottiene, in quanto monopolista, la possibilità di mantenere i prezzi al di sopra della media, e questo prezzo di monopolio genera la rendita assoluta. La rendita differenziale non può essere soppressa in regime capitalistico; la rendita assoluta invece può essere soppressa per esempio con la nazionalizzazione della terra, col passaggio della terra in proprietà dello Stato.
Questo passaggio della terra allo Stato significherebbe la rovina del monopolio dei proprietari privati, una libertà di concorrenza più conseguente e più ampia per l'agricoltura. Ecco perché, osserva Marx, più di una volta, nella storia, i borghesi radicali hanno sostenuto questa rivendicazione borghese progressiva della nazionalizzazione della terra, la quale spaventa però la maggioranza della borghesia, perche tocca troppo da vicino un altro monopolio, oggi particolarmente importante e sensibile: il monopolio dei mezzi di produzione in generale. (Marx stesso ha esposto in forma mirabilmente popolare, concisa e chiara la sua teoria del profitto medio del capitale e della rendita fondiaria assoluta, nella lettera a Engels, in data 2 agosto 1862. Si veda Carteggio, III v., pp. 77-81, e la lettera del 9 agosto 1862, ibid., pp. 86-87)
Per la storia della rendita fondiaria è inoltre importante ricordare l'analisi di Marx, che mostra la trasformazione della rendita in lavoro (quando il contadino crea un prodotto supplementare lavorando la terra del proprietario) in rendita in prodotti o in natura (il contadino ricava dalla propria terra un prodotto supplementare, che dà al proprietario, in forma di una "costrizione extra economica"), quindi in rendita in denaro (la stessa rendita in natura trasformata in denaro in seguito allo sviluppo della produzione mercantile: nella vecchia Russia l'obrok, cioè il tributo in natura o in denaro dovuto dal contadino al proprietario fondiario), e infine in rendita capitalistica, quando, in luogo del contadino, sorge l'imprenditore agricolo, che coltiva la terra con l'aiuto di lavoro salariato. In rapporto con questa analisi della "genesi della rendita fondiaria capitalistica", devono essere segnalate una serie di acute osservazioni di Marx (specialmente importanti per i paesi arretrati come la Russia) sull'evoluzione del capitalismo nell'agricoltura.

"La trasformazione della rendita in natura in rendita in denaro non è solo necessariamente accompagnata, ma perfino preceduta dalla formazione di una classe di giornalieri nullatenenti, che prestano la loro opera per denaro. Durante il periodo in cui questa classe si viene formando, quando essa appare ancora soltanto sporadicamente, si sviluppa necessariamente presso i più agiati tra i contadini tributari di rendita la consuetudine di sfruttare gli operai agricoli per proprio conto, precisamente come nei tempi feudali i servi della gleba più ricchi usavano impiegare servi per loro conto. Essi acquistano n tal modo gradualmente la possibilità di accumulare un certo patrimonio e di trasformare se stessi in futuri capitalisti. Fra vecchi possessori del terreno lavoranti in proprio sorge così un vivaio di affittuari capitalisti, il cui sviluppo è condizionato dallo sviluppo generale della produzione capitalistica al di fuori dlella campagna vera e propria (Il Capitale, cit., III, 3, pp. 207.208). L'espropriazione e la cacciata d'una parte della popolazione rurale non solo mette a libera disposizione del capitale industriale, assieme agli operai, i loro mezzi di sussistenza, ma crea anche il mercato interno. (ivi, I, 3, p. 206)



L'immiserimento e la rovina della popolazione ruraIe a sua volta ha la funzione di creare, per il capitale, l'esercito di riserva del lavoro. In ogni paese capitalistico "una parte della popolazione rurale si trova quindi costantemente sul punto di passare fra il proletariato urbano o il proletariato delle manifatture [cioè non agricolo]. Questa fonte della sovrappopolazione relativa fluisce dunque costantemente... L'operaio agricolo viene perciò depresso al minimo del salario e si trova sempre con un piede dentro la palude del pauperismo." (ivi, I, 3, pp. 93-94)

La proprietà privata del contadino sulla terra che gli stesso lavora è la base della piccola produzione e la condizione del suo fiorire, del suo sviluppo sino alla sua forma classica. Ma questa piccola produzione è compatibile soltanto con quadri ristretti e primitivi della produzione e della società. Nel regime capitalistico

"lo sfruttamento dei contadini differisce dallo sfruttamento del proletariato industriale... soltanto nella forma. Lo sfruttatore è il medesimo: il capitale. I singoli capitalisti sfruttano i contadini singoli coll'ipoteca e coll'usura, la classe capitalista sfrutta la classe dei contadini coll'imposta di Stato." (Le lotte di classe in Francia, cit., p. 295)
"Il piccolo appezzamento del contadino è soltanto il pretesto che permette al capitalista di cavare profitto, interesse e rendita dal terreno, lasciando all'agricoltore la cura di vedere come può tirarne fuori il proprio salario." (Il diciotto brumaio, cit., p. 214)
Ordinariamente il contadino dà alla società capitalistica, vale a dire alla classe dei capitalisti, perfino parte del suo salario, cadendo sino "al livello del fittavolo irlandese, e tutto ciò sotto il pretesto di essere proprietario privato!" (Le lotte di classe in Francia). In che cosa consiste "una delle cause per cui il prezzo del grano è minore in paesi in cui predomina la proprietà parcellare che in paesi con un modo di produzione capitalistico?" (Il Capitale , cit., III, 3, p. 258). Consiste nel fatto che il contadino dà gratuitamente alla società (cioè alla classe dei capitalisti) una parte del sovrapprodotto.
"Questo basso prezzo [del grano e di altri prodotti agricoli] è quindi un risultato della povertà dei produttori, e niente affatto della produttività del loro lavoro." (Il Capitale , cit., III, 3, p. 216)
La piccola proprietà terriera, forma normale della piccola
"La proprietà parcellare esclude per la sua stessa natura lo sviluppo delle forze sociali di produzione del lavoro, la concentrazione sociale dei capitali, l'allevamento del bestiame su larga scala ed un'applicazione progressiva della scienza. L'usura ed il sistema fiscale devono portare dovunque al suo impoverimento. L'esborso del capitale per l'acquisto della terra sottrae questo capitale alla coltivazione. Un'illimitata dispersione dei mezzi di produzione e l'isolamento dei produttori stessi. La cooperazione, e cioè le associazioni di piccoli contadini, pur esercitando una funzione progressiva borghese di prim'ordine, attenua soltanto questa tendenza, ma non la sopprime; nè si deve dimenticare che queste associazioni danno molto ali contadini agiati e pochissimo, quasi nulla, alla massa dei contadini poveri, e che, in seguito, queste stesse associazioni divengono sfruttatrici di lavoro salariato. Enorme sperpero di energia umana. Progressivo peggioramento delle condizioni di produzione e rincaro dei prezzi dei mezzi di produzione sono una legge necessaria della produzione parcellare." (Il Capitale, cit., llI, 3, p. 217)
Tanto nell'agricoltura quanto nell'industria, il capitalismo trasforma il processo della produzione soltantoa prezzo "di un martirologio dei produttori".

"La dispersione degli operai rurali su estensioni d'una certa vastità spezza allo stesso tempo la loro forza di resistenza, mentre la concentrazione accresce la forza di resistenza degli operai urbani. Come nell'industria urbana, così nell'agricoltura moderna l'aumento della forza produttiva e la maggiore quantità di lavoro resa liquida vengono pagate con la devastazione e l'infermità della stessa forza-Iavoro. E ogni progresso dell'agricoltura capitalistica costituisce un progresso non solo nell'arte di rapinare l'operaio, ma anche nell'arte di rapinare il suolo; ogni progresso nell'accrescimento della sua fertilità per un dato periodo di tempo, costituisce insieme un progresso della rovina delle fonti durevoli di questa fertilità. Quanto più un paese, p. es. gli Stati Uniti dell'America del Nord, parte dalla grande industria come sfondo del proprio sviluppo, tanto più rapido è questo processo di distruzione. La produzione capitalistica sviluppa quindi la tecnica e la combinazione del processo di produzione sociale solo minando al contempo le fonti da cui sgorga ogni ricchezza: la terra e l'operaio." (Il Capitale, cit., I, 2, pp. 219-220)
Il socialismo

Risulta da quanto precede che Marx deduce l'inevitabile trasformazione della società capitalistica in società socialista interamente ed esclusivamente dalla legge economica che regola il movimento della società con temporanea.
La socializzazione del lavoro, che, nel mezzo secolo trascorso dalla morte di Marx, si è manifestata in migliaia di forme e procede sempre più rapidamente assumendo forme particolarmente evidenti nello sviluppo della grande industria, dei cartelli, dei sindacati e dei trust capitalistici, come pure nel gigantesco sviluppo delle dimensioni e della potenza del capitale finanziario, costituisce la base materiale principale dell'inevitabile avvento del socialismo. Motore intellettuale e morale, artefice fisico di tale trasformazione è il proletariato, educato dal capitalismo stesso.
La sua lotta contro la borghesia, che si manifesta in forme diverse e sempre più ricche di contenuto, diviene inevtabillmente una lotta politica diretta alla conquista del potere politico da parte del proletariato ("dittatura del proletariato"). La socializzazione della produzione non può non portare al passaggio dei mezzi di produzione in proprietà della società, alla "espropriazione degli espropriatori".
L'enorme aumento della produttività del lavoro, la riduzione della giornata lavorativa, la sostituzione del lavoro collettivo perfezionato alle vestigia, alle rovine della piccola produzione frazionata e primitiva: ecco le dirette conseguenze di questo passaggio. Il capitalismo rompe definitivamente il legame dell'agricoltura con l'industria, ma al tempo stesso, nel suo più alto grado di sviluppo, prepara nuovi elementi per tale legame, per l'unione della industria con l'agricoltura sulla base dell'applicazione cosciente della scienza e della coordinazione del lavoro collettivo, e per una nuova distribuzione della popolazione (che metterà un termine sia all'isolamento e all'arretratezza delle campagne, separate dal resto del mondo, sia alla non naturale agglomerazione di masse gigantesche nelle grandi città). Una nuova forma di famiglia, nuove condizioni nella situazione della donna e nell'educazione delle nuove generazioni, sono preparate dalle forme superiori del capitalismo contemporaneo; il lavoro femminile e infantile, lo sfacelo della famiglia patriarcale per opera del capitalismo, assumono inevitabilmente nella società moderna le forme più spaventevoli, più catastrofiche e repugnanti. E, tuttavia,

"la grande industria crea il nuovo fondamento economico per una forma superiore della famiglia e del rapporto fra i due sessi, con la parte decisiva che essa assegna alle donne, agli adolescenti e ai bambini d'ambo i sessi nei processi di produzione socialmente organizzati al di là della sfera domestica. Naturalmente è altrettanto sciocco ritenere assoluta la forma cristiano-germanica della famiglia, quanto ritenere assoluta la forma romana antica o la greca antica, oppure quella orientale, che del resto formano fra di loro una serie storica progressiva. È altrettanto evidente che la composizione del personale operaio combinato con individui d'ambo i sessi e delle età più differenti, benchè nella sua forma spontana e brutale, cioè capitalistica, dove l'operaio esiste in funzione del processo di produzione e non il processo di produzione per l'operaio, sia pestifera fonte di corruzione e schiavitù, non possa viceversa non rovesciarsi, in circostanze corrispondenti, in fonte di sviluppo di qualità umane." (II Capitale, cit., I, 2, p. 203)
Il sistema di fabbrica ci mostra "il germe dell'educazione dell'avvenire, che collegherà, per tutti i bambini oltre una certa età, il lavoro produttivo con l'istruzione e la ginnastica, non solo come metodo per aumentare la produzione sociale, ma anche come unico metodo per produrre uomini di pieno e armonioso sviluppo." (ivi, p. 196) Sullo stesso terreno storico non soltanto per spiegare il passato, ma per prevedere arditamente il futuro e per condurre un'audace azione pratica diretta a realizzarlo, il socialismo di Marx pone pure i problemi della nazionalità e dello Stato. Le nazioni sono un inevitabile prodotto e una forma inevitabile dell'epoca borghese dello sviluppo sociale. La classe operaia stessa non poteva irrobustirsi, maturarsi, costituirsi, "senza formarsi entro i confini della nazione" senza essere "nazionale" "benchè non nel senso della borghesia."

Ma lo sviluppo del capitalismo abbatte sempre più le barriere nazionali, sopprime il particolarismo nazionale, e, in luogo degli antagonismi nazionali, pone quelli di classe. È perciò assolutamente vero che, nei paesi capitalistici sviluppati, "gli operai non hanno patria", e che "l'azione unita" degli operai, almeno nei paesi civili, è "una delle prime condizioni dell'emancipazione del proletariato."(Manifesto comunista).
Lo Stato, che è violenza organizzata, è sorto come fatto inevitabile a un certo grado di sviluppo della società, allorchè questa si divise in classi inconciliabili e non avrebbe potuto continuare a esistere senza un potere che avesse l'apparenza di essere al di sopra della società, e fino a un certo punto acquistasse una personalità indipendente da essa. Sorto dalle contraddizioni di classe, lo Stato diviene

"lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante: così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa. Come lo Stato antico fu anzitutto lo Stato di possessori di schiavi al fine di mantener sottomessi gli schiavi, così lo Stato feudale fu l'organo della nobiltà per mantenere sottomessi i contadini, servi o vincolati, e lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale." (Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Ed. Riuniti, 1963, p. 202)
Persino la forma più libera e progressiva dello Stato borghese, la repubblica democratica, non elimina affatto questa realtà, ma ne cambia soltanto la torma (legame dello Stato con la borsa, corruzione diretta e indiretta dei funzionari statali e della stampa, e così via). Il socialismo, conducendo alla scomparsa, delle classi, conduce, per ciò stesso, alla scomparsa dello Stato.

"Il primo atto con cui lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome delIa società, è ad un tempo l'ultimo suo atto indipendente in quanto Stato. L'intervento di una forza statale nei rapporti sociali diventa superflua successivamente in ogni campo e poi viene meno da se stesso. Al posto del governo sulIe persone appare l'amministrazione delIe cose e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato non viene abolito: esso si estingue. (Antidühring, cit., p. 305) La società che riorganizza la produzione in base a una libera ed eguale associazione di produttori, relega l'intera macchina statale nel posto che da quel momento le spetta, cioè nel museo delIe antichità accanto alIa rocca per filare e alI'ascia di bronzo. (Engels, Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, cit. p. 204)
Infine, circa il problema della posizione del socialismo di Marx verso i piccoli contadini che ancora esisteranno all'epoca dell'espropriazione degli espropriatori, è necessario rammentare una dichiarazione di Engels, che esprime il pensiero di Marx:

"AlIorchè c'impadroniremo del potere statale, non penseremo affatto ad espropriare violentemente (non importa se con o senza indennizzo) i piccoli contadini, ciò che saremo invece obbligati a fare con i grandi proprietari di terre. Il nostro compito nei confronti dei piccoli contadini consisterà prima di tutto nel fare sì che la loro proprietà e produzione privata si trasformino in proprietà e produzione associata; non con mezzi violenti, ma con l'esempio e con l'offerta dell'aiuto sociale a tale scopo. E allora naturalmente possederemo i mezzi sufficienti per mostrare al contadino tutti i vantaggi di tale trasformazione, vantaggi che debbono essergli illustrati fin d'ora." (Engels, La questione contadina in Francia e in Germania, in Neue Zeit)
La tattica della lotta di classe del proletariato

Messo in luce fin dal 1844-1845 uno dei difetti fondamentali del vecchio materialismo, quello cioè di non essere riuscito a comprendere le condizioni nè ad apprezzare l'importanza dell'azione pratica rivoluzionaria, Marx parallelamente ai lavori teorici, prestò durante tutta la sua vita un'assidua attenzione ai problemi della tattica della lotta di classe del proletariato. Tutte le opere di Marx e specialmente il Carteggio fra lui ed Engels pubblicato nel 1913, in quattro volumi, forniscono un materiale immenso a questo riguardo. Questo materiale è ancora ben lungi dall'essere interamente raccolto, coordinato, studiato ed elaborato. Per ciò dobbiamo qui limitarci ad alcuni rilievi molto generali e concisi, facendo notare che il materialismo privo di questo lato era giustamente considerato da Marx come monco, unilaterale, privo di vita. Marx determinò il compito fondamentale della tattica del proletariato in rigoroso accordo con tutte le premesse della sua concezione materialistica dialettica del mondo. Soltanto la valutazione oggettiva di tutto l'insieme dei rapporti reciproci di tutte le classi di una data società, senza eccezione, e, per conseguenza, anche la considerazione del grado di sviluppo oggettivo di quella società e dei raporti reciproci fra essa ed altre società, possono servire di base a una giusta tattica della classe d'avanguardia.
Inoltre tutte le classi e tutti i paesi devono essere conderati non in una situazione statica, ma dinamica, ossia non in stato di immobilità, ma in movimento (movimento le cui leggi derivano dalle condizioni economiche d'esistenza di ogni classe). A sua volta il movimento non deve essere considerato solo dal punto di vista del passato, ma anche da quello dell'avvenire, e non secondo il volgare intendimento degli "evoluzionisti", che scorgono soltanto le trasformazioni lente, ma dialetticamente: "Venti anni contano un giorno nei grandi sviluppi storici - scriveva Marx ad Engels - ma vi possono essere giorni che concentrano in se venti anni." (Carteggio, cit. , IV, p, 176)

Ad ogni grado di sviluppo e in ogni momento, la tattica del proletariato deve tener conto di questa inevitabile dialettica oggettiva della storia del genere umano: da un lato, utilizzando ai fini dello sviluppo della coscienza, delle forze e delle capacità di lotta della classe d'avanguardia le epoche di stagnazione politica o di lento sviluppo, sviluppo cosiddetto "pacifico"; e, d'altro lato, orientando tutto questo lavoro nella direzione dello "scopo finale" del movimento di tale classe, e suscitando in essa la capacità di risolvere praticamente i grandi problemi nelle giornate culminanti che "concentrano in sè venti anni."
A tale proposito hanno speciale importanza due giudizi di Marx, uno espresso nella Miseria della filosofia riguardante la lotta economica e le organizzazioni economiche del proletariato, e l'altro nel Manifesto comunista e riguardante i suoi compiti politici. Il primo dice:

"La grande industria raccoglie in un solo luogo una folla di persone, sconosciute le une alle altre. La concorrenza le divide quanto all'interesse. Ma il mantenimento del salario, questo interesse comune che essi hanno contro il loro padrone, unisce in uno stesso proposito di resistenza: coalizione... Le coalizioni, dapprima isolate, si costituiscono in gruppi e, di fronte al capitale sempre unito, il mantenimento dell'associazione diviene per gli operai più necessario ancora di quello del salario... In questa lotta - vera guerra civile - si riuniscono e si sviluppano tutti gli elementi necessari a una battaglia che si prospetta nell'immediato futuro. Una volta giunta a questo punto, l'associazione acquista un carattere politico." (Miseria della filosofia, Ed. Rinascita, 1950, pp. 138-139)
In queste parole vengono esposti il programma e la tattica delle lotte economiche e del movimento sindacale per alcuni decenni, per tutto il lungo periodo di preparazione delle forze del proletariato "per la futura battaglia." A questo giudizio bisogna ravvicinare le numerose indicazioni che Marx ed Engels traggono dall'esempio del movimento operaio inglese, mostrando come la "prosperità" industriale determina i tentativi di "comprare gli operai" e allontanarli dalla lotta; come questa prosperità, in generale, "demoralizza gli operai" (ivi, p. 129); come il proletariato inglese " s'imborghesisce" e come "la più borghese di tutte le nazioni [l'inglese] vuole, a quanto pare, condurre le cose in modo da avere, al lato della borghesia, un'aristocrazia borghese e un proletariato pure borghese"; come nel proletariato scompare l'energia rivoluzionaria; come occorre attendere per un tempo più o meno lungo "la liberazione degli operai inglesi dalla loro apparente corruzione borghese"; come manca al movimento operaio inglese "l'ardore dei cartisti"; come i capi operai inglesi si formano secondo un tipo intermedio "fra il borghese radicale e l'operaio" (a proposito di Holyoake); come a causa del monopolio dell'Inghilterra e finchè tale monopolio esisterà, "con gli operai inglesi non ci sarà niente da fare". La tattica della lotta economica in rapporto con lo sviluppo generale e con l'esito del movimento operaio, è considerata qui in modo mirabilmente vasto, universale, dialettico, veramente rivoluzionario.
Circa la tattica della lotta politica, il Manifesto enunciò in questo modo il principio fondamentale del marxismo: "I comunisti lottano per raggiungere gli scopi e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo l'avvenire del movimento stesso."

In nome di questo principio, Marx nel 1848 appoggiò in Polonia il partito della Rivoluzione agraria, "quello stesso partito che suscitò l'insurrezione di Cracovia nel 1846." In Germania, nel 1848-1849, Marx appoggiò la democrazia rivoluzionaria estrema, e in seguito non ritirò mai quel che aveva detto allora sulla tattica. Egli considerava la borghesia tedesca come un elemento "incline, fin dall'inizio, a tradire il popolo" (soltanto l'unione con i contadini avrebbe permesso alla borghesia di raggiungere pienamente i suoi obiettivi), "e a stringere un compromesso con i rappresentanti coronati dell'antica società." Ecco l'analisi conclusiva data da Marx della posizione di classe della borghesia tedesca all'epoca della rivoluzione democratica borghese, analisi che è, fra l'altro, un esempio di materialismo, perchè considera la società in movimento e, per di piu, non soltanto in quell'aspetto del movimento che è rivolto al passato...

"Senza fede in se stessa, senza fede nel popolo, brontolona contro chi sta in alto, tremante davanti a chi sta in basso... intimorita dalla tempesta mondiale; in nessuna direzione energica, in tutte le direzioni pronta al plagio... senza iniziativa... una vecchia maledetta, condannata a dirigere per il suo interesse senile i primi slanci di gioventù d'un popolo robusto e sano..." (Neue Rheinische Zeitung, 1848; La sacra famiglia, cit.) Circa venti anni dopo, in una lettera a Engels (Carteggio, cit., v. IV, p. 292), Marx scriveva che la causa dell'insuccesso della rivoluzione del 1848 consistette nel fatto che la borghesia aveva preferito la pace in schiavitù alla semplice prospettiva di una lotta per la libertà. Quando terminò il periodo delle rivoluzioni del 1848-1849, Marx insorse contro ogni tentativo di giocare con la rivoluzione (Schapper, Willich e lotta contro di essi), esigendo che si sapesse lavorare nel nuovo periodo, in cui si preparavano, in modo apparentemente "pacifico", nuove rivoluzioni. Il seguente apprezzamento di Marx sulla situazione in Germania nel 1865, nel più fosco periodo della reazione, mostra come egli intendeva che fosse condotto tale lavoro:

"In Germania tutto dipenderà dalla possibilità di appoggiare la rivoluzione proletaria con una specie di seconda edizione della guerra dei contadini." (Carteggio, cit., v. II, p. 423)

Fino a quando la rivoluzione democratica (borghese) in Germania non era giunta a compimento, Marx, per quanto riguardava la tattica del proletariato socialista, rivolse tutta la sua attenzione allo sviluppo dell'energia democratica dei contadini. Egli considerava che l'atteggiamento di Lassalle era, "oggettivamente, un tradimento di tutto il movimento operaio a favore dei prussiani" (ivi, vol. IV, p. 274); tra l'altro, proprio perchè Lassalle si mostrava troppo conciliante coi grandi proprietari fondiari e col nazionalismo prussiano.

"È vile - scriveva Engels nel 1865, in uno scambio di vedute con Marx per la preparazione di una dichiarazione comune, destinata alla stampa - in un paese prevalentemente agricolo... aggredire, in nome del proletariato industriale, la sola borghesia, senza ricordare neppure con una parola il patriarcale sfruttamento a bastonate del proletariato agricolo per opera della grande nobiltà feudale." (Carteggio, cit., v. IV, p. 282)

Nel 1864-1870, quando l'epoca del compimento della rivoluzione democratica borghese in Germania, l'epoca della lotta delle classi sfruttatrici della Prussia e dell'Austria per compiere in un modo o nell'altro questa rìvoluzione dall'alto, giungeva alla fine, Marx non soltanto rimproverava Lassalle di civettare con Bismarck, ma correggeva anche Liebknecht, il quale cadeva nell'"austrofilia" e nella difesa del particolarismo. Egli esigeva una tattica rivoluzionaria, che lottasse con uguale implacabilità contro Bismarck e contro gli austrofili, una tattica non di sottomissione al vincitore, al grande proprietario fondiario prussiano, ma volta alla ripresa immediata della lotta rivoluzionaria contro di esso e sul terreno creato dalle vittorie militari prussiane. (Carteggio, cit., v. IV)
Nel famoso Indirizzo dell'Internazionale del 9 settembre 1870 Marx mise in guardia il proletariato francese contro una insurrezione intempestiva; ma quando tuttavia essa avvenne (1871) egli salutò con entusiasmo l'iniziativa rivoluzionaria delle masse "che danno l'assalto al cielo" (lettera di Marx a Kugelmann).


La sconfitta dell'azione rivoluzionaria, in questa come in molte altre situazioni, era, secondo il materialismo dialettico di Marx, minor male, per l'andamento generale e per l'esito della lotta proletaria, che l'abbandono di una posizione conquistata e la resa senza lotta, perché una tale capitolazione avrebbe demoralizzato il proletariato e diminuita la sua capacità di combattere. Apprezzando appieno l'uso dei mezzi legali di lotta durante i periodi di stasi politica e di dominio della legalità borghese, Marx nel 1877-1878, dopo la proclamazione delle leggi eccezionali contro i socialisti (emanate da Bismarck nel 1878, furono abrogate nel 1890 grazie all'opposizione della classe operaia tedesca) condannò aspramente "le frasi rivoluzionarie" di Most; ma non meno, se non più aspramente, condannò l'opportunismo allora temporaneamente dominante nel partito socialdemocratico ufficiale, che non mostrò subito, coraggiosamente, rigidamente, lo spirito rivoluzionario e la volontà di passare alla lotta illegale in risposta alle leggi eccezionali. (Carteggio, cit., v. IV)