Lenin

Karl Marx

4. Il socialismo


Risulta da quanto precede che Marx deduce l'inevitabile trasformazione della società capitalistica in società socialista interamente ed esclusivamente dalla legge economica che regola il movimento della società contemporanea.
La socializzazione del lavoro, che, nel mezzo secolo trascorso dalla morte di Marx, si è manifestata in migliaia di forme e procede sempre più rapidamente assumendo forme particolarmente evidenti nello sviluppo della grande industria, dei cartelli, dei sindacati e dei trust capitalistici, come pure nel gigantesco sviluppo delle dimensioni e della potenza del capitale finanziario, costituisce la base materiale principale dell'inevitabile avvento del socialismo. Motore intellettuale e morale, artefice fisico di tale trasformazione è il proletariato, educato dal capitalismo stesso.
La sua lotta contro la borghesia, che si manifesta in forme diverse e sempre più ricche di contenuto, diviene inevtabillmente una lotta politica diretta alla conquista del potere politico da parte del proletariato ("dittatura del proletariato"). La socializzazione della produzione non può non portare al passaggio dei mezzi di produzione in proprietà della società, alla "espropriazione degli espropriatori".
L'enorme aumento della produttività del lavoro, la riduzione della giornata lavorativa, la sostituzione del lavoro collettivo perfezionato alle vestigia, alle rovine della piccola produzione frazionata e primitiva: ecco le dirette conseguenze di questo passaggio. Il capitalismo rompe definitivamente il legame dell'agricoltura con l'industria, ma al tempo stesso, nel suo più alto grado di sviluppo, prepara nuovi elementi per tale legame, per l'unione della industria con l'agricoltura sulla base dell'applicazione cosciente della scienza e della coordinazione del lavoro collettivo, e per una nuova distribuzione della popolazione (che metterà un termine sia all'isolamento e all'arretratezza delle campagne, separate dal resto del mondo, sia alla non naturale agglomerazione di masse gigantesche nelle grandi città). Una nuova forma di famiglia, nuove condizioni nella situazione della donna e nell'educazione delle nuove generazioni, sono preparate dalle forme superiori del capitalismo contemporaneo; il lavoro femminile e infantile, lo sfacelo della famiglia patriarcale per opera del capitalismo, assumono inevitabilmente nella società moderna le forme più spaventevoli, più catastrofiche e repugnanti. E, tuttavia,

"la grande industria crea il nuovo fondamento economico per una forma superiore della famiglia e del rapporto fra i due sessi, con la parte decisiva che essa assegna alle donne, agli adolescenti e ai bambini d'ambo i sessi nei processi di produzione socialmente organizzati al di là della sfera domestica. Naturalmente è altrettanto sciocco ritenere assoluta la forma cristiano-germanica della famiglia, quanto ritenere assoluta la forma romana antica o la greca antica, oppure quella orientale, che del resto formano fra di loro una serie storica progressiva. È altrettanto evidente che la composizione del personale operaio combinato con individui d'ambo i sessi e delle età più differenti, benchè nella sua forma spontana e brutale, cioè capitalistica, dove l'operaio esiste in funzione del processo di produzione e non il processo di produzione per l'operaio, sia pestifera fonte di corruzione e schiavitù, non possa viceversa non rovesciarsi, in circostanze corrispondenti, in fonte di sviluppo di qualità umane." (II Capitale, cit., I, 2, p. 203)

Il sistema di fabbrica ci mostra "il germe dell'educazione dell'avvenire, che collegherà, per tutti i bambini oltre una certa età, il lavoro produttivo con l'istruzione e la ginnastica, non solo come metodo per aumentare la produzione sociale, ma anche come unico metodo per produrre uomini di pieno e armonioso sviluppo." (ivi, p. 196) Sullo stesso terreno storico non soltanto per spiegare il passato, ma per prevedere arditamente il futuro e per condurre un'audace azione pratica diretta a realizzarlo, il socialismo di Marx pone pure i problemi della nazionalità e dello Stato. Le nazioni sono un inevitabile prodotto e una forma inevitabile dell'epoca borghese dello sviluppo sociale. La classe operaia stessa non poteva irrobustirsi, maturarsi, costituirsi, "senza formarsi entro i confini della nazione" senza essere "nazionale" "benchè non nel senso della borghesia."

Ma lo sviluppo del capitalismo abbatte sempre più le barriere nazionali, sopprime il particolarismo nazionale, e, in luogo degli antagonismi nazionali, pone quelli di classe. È perciò assolutamente vero che, nei paesi capitalistici sviluppati, "gli operai non hanno patria", e che "l'azione unita" degli operai, almeno nei paesi civili, è "una delle prime condizioni dell'emancipazione del proletariato."(Manifesto comunista).
Lo Stato, che è violenza organizzata, è sorto come fatto inevitabile a un certo grado di sviluppo della società, allorchè questa si divise in classi inconciliabili e non avrebbe potuto continuare a esistere senza un potere che avesse l'apparenza di essere al di sopra della società, e fino a un certo punto acquistasse una personalità indipendente da essa. Sorto dalle contraddizioni di classe, lo Stato diviene

"lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante: così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa. Come lo Stato antico fu anzitutto lo Stato di possessori di schiavi al fine di mantener sottomessi gli schiavi, così lo Stato feudale fu l'organo della nobiltà per mantenere sottomessi i contadini, servi o vincolati, e lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale." (Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Ed. Riuniti, 1963, p. 202)

Persino la forma più libera e progressiva dello Stato borghese, la repubblica democratica, non elimina affatto questa realtà, ma ne cambia soltanto la torma (legame dello Stato con la borsa, corruzione diretta e indiretta dei funzionari statali e della stampa, e così via). Il socialismo, conducendo alla scomparsa, delle classi, conduce, per ciò stesso, alla scomparsa dello Stato.

"Il primo atto con cui lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome delIa società, è ad un tempo l'ultimo suo atto indipendente in quanto Stato. L'intervento di una forza statale nei rapporti sociali diventa superflua successivamente in ogni campo e poi viene meno da se stesso. Al posto del governo sulIe persone appare l'amministrazione delIe cose e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato non viene abolito: esso si estingue. (Antidühring, cit., p. 305) La società che riorganizza la produzione in base a una libera ed eguale associazione di produttori, relega l'intera macchina statale nel posto che da quel momento le spetta, cioè nel museo delIe antichità accanto alIa rocca per filare e alI'ascia di bronzo. (Engels, Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, cit. p. 204)

Infine, circa il problema della posizione del socialismo di Marx verso i piccoli contadini che ancora esisteranno all'epoca dell'espropriazione degli espropriatori, è necessario rammentare una dichiarazione di Engels, che esprime il pensiero di Marx:

"AlIorchè c'impadroniremo del potere statale, non penseremo affatto ad espropriare violentemente (non importa se con o senza indennizzo) i piccoli contadini, ciò che saremo invece obbligati a fare con i grandi proprietari di terre. Il nostro compito nei confronti dei piccoli contadini consisterà prima di tutto nel fare sì che la loro proprietà e produzione privata si trasformino in proprietà e produzione associata; non con mezzi violenti, ma con l'esempio e con l'offerta dell'aiuto sociale a tale scopo. E allora naturalmente possederemo i mezzi sufficienti per mostrare al contadino tutti i vantaggi di tale trasformazione, vantaggi che debbono essergli illustrati fin d'ora." (Engels, La questione contadina in Francia e in Germania, in Neue Zeit)

La tattica della lotta di classe del proletariato

Messo in luce fin dal 1844-1845 uno dei difetti fondamentali del vecchio materialismo, quello cioè di non essere riuscito a comprendere le condizioni nè ad apprezzare l'importanza dell'azione pratica rivoluzionaria, Marx parallelamente ai lavori teorici, prestò durante tutta la sua vita un'assidua attenzione ai problemi della tattica della lotta di classe del proletariato. Tutte le opere di Marx e specialmente il Carteggio fra lui ed Engels pubblicato nel 1913, in quattro volumi, forniscono un materiale immenso a questo riguardo. Questo materiale è ancora ben lungi dall'essere interamente raccolto, coordinato, studiato ed elaborato. Per ciò dobbiamo qui limitarci ad alcuni rilievi molto generali e concisi, facendo notare che il materialismo privo di questo lato era giustamente considerato da Marx come monco, unilaterale, privo di vita. Marx determinò il compito fondamentale della tattica del proletariato in rigoroso accordo con tutte le premesse della sua concezione materialistica dialettica del mondo. Soltanto la valutazione oggettiva di tutto l'insieme dei rapporti reciproci di tutte le classi di una data società, senza eccezione, e, per conseguenza, anche la considerazione del grado di sviluppo oggettivo di quella società e dei raporti reciproci fra essa ed altre società, possono servire di base a una giusta tattica della classe d'avanguardia.
Inoltre tutte le classi e tutti i paesi devono essere conderati non in una situazione statica, ma dinamica, ossia non in stato di immobilità, ma in movimento (movimento le cui leggi derivano dalle condizioni economiche d'esistenza di ogni classe). A sua volta il movimento non deve essere considerato solo dal punto di vista del passato, ma anche da quello dell'avvenire, e non secondo il volgare intendimento degli "evoluzionisti", che scorgono soltanto le trasformazioni lente, ma dialetticamente: "Venti anni contano un giorno nei grandi sviluppi storici - scriveva Marx ad Engels - ma vi possono essere giorni che concentrano in se venti anni." (Carteggio, cit. , IV, p, 176)


Ad ogni grado di sviluppo e in ogni momento, la tattica del proletariato deve tener conto di questa inevitabile dialettica oggettiva della storia del genere umano: da un lato, utilizzando ai fini dello sviluppo della coscienza, delle forze e delle capacità di lotta della classe d'avanguardia le epoche di stagnazione politica o di lento sviluppo, sviluppo cosiddetto "pacifico"; e, d'altro lato, orientando tutto questo lavoro nella direzione dello "scopo finale" del movimento di tale classe, e suscitando in essa la capacità di risolvere praticamente i grandi problemi nelle giornate culminanti che "concentrano in sè venti anni."
A tale proposito hanno speciale importanza due giudizi di Marx, uno espresso nella Miseria della filosofia riguardante la lotta economica e le organizzazioni economiche del proletariato, e l'altro nel Manifesto comunista e riguardante i suoi compiti politici. Il primo dice:

"La grande industria raccoglie in un solo luogo una folla di persone, sconosciute le une alle altre. La concorrenza le divide quanto all'interesse. Ma il mantenimento del salario, questo interesse comune che essi hanno contro il loro padrone, unisce in uno stesso proposito di resistenza: coalizione... Le coalizioni, dapprima isolate, si costituiscono in gruppi e, di fronte al capitale sempre unito, il mantenimento dell'associazione diviene per gli operai più necessario ancora di quello del salario... In questa lotta - vera guerra civile - si riuniscono e si sviluppano tutti gli elementi necessari a una battaglia che si prospetta nell'immediato futuro. Una volta giunta a questo punto, l'associazione acquista un carattere politico." (Miseria della filosofia, Ed. Rinascita, 1950, pp. 138-139)

In queste parole vengono esposti il programma e la tattica delle lotte economiche e del movimento sindacale per alcuni decenni, per tutto il lungo periodo di preparazione delle forze del proletariato "per la futura battaglia." A questo giudizio bisogna ravvicinare le numerose indicazioni che Marx ed Engels traggono dall'esempio del movimento operaio inglese, mostrando come la "prosperità" industriale determina i tentativi di "comprare gli operai" e allontanarli dalla lotta; come questa prosperità, in generale, "demoralizza gli operai" (ivi, p. 129); come il proletariato inglese " s'imborghesisce" e come "la più borghese di tutte le nazioni [l'inglese] vuole, a quanto pare, condurre le cose in modo da avere, al lato della borghesia, un'aristocrazia borghese e un proletariato pure borghese"; come nel proletariato scompare l'energia rivoluzionaria; come occorre attendere per un tempo più o meno lungo "la liberazione degli operai inglesi dalla loro apparente corruzione borghese"; come manca al movimento operaio inglese "l'ardore dei cartisti"; come i capi operai inglesi si formano secondo un tipo intermedio "fra il borghese radicale e l'operaio" (a proposito di Holyoake); come a causa del monopolio dell'Inghilterra e finchè tale monopolio esisterà, "con gli operai inglesi non ci sarà niente da fare". La tattica della lotta economica in rapporto con lo sviluppo generale e con l'esito del movimento operaio, è considerata qui in modo mirabilmente vasto, universale, dialettico, veramente rivoluzionario.
Circa la tattica della lotta politica, il Manifesto enunciò in questo modo il principio fondamentale del marxismo: "I comunisti lottano per raggiungere gli scopi e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo l'avvenire del movimento stesso."

In nome di questo principio, Marx nel 1848 appoggiò in Polonia il partito della Rivoluzione agraria, "quello stesso partito che suscitò l'insurrezione di Cracovia nel 1846." In Germania, nel 1848-1849, Marx appoggiò la democrazia rivoluzionaria estrema, e in seguito non ritirò mai quel che aveva detto allora sulla tattica. Egli considerava la borghesia tedesca come un elemento "incline, fin dall'inizio, a tradire il popolo" (soltanto l'unione con i contadini avrebbe permesso alla borghesia di raggiungere pienamente i suoi obiettivi), "e a stringere un compromesso con i rappresentanti coronati dell'antica società." Ecco l'analisi conclusiva data da Marx della posizione di classe della borghesia tedesca all'epoca della rivoluzione democratica borghese, analisi che è, fra l'altro, un esempio di materialismo, perchè considera la società in movimento e, per di piu, non soltanto in quell'aspetto del movimento che è rivolto al passato...

"Senza fede in se stessa, senza fede nel popolo, brontolona contro chi sta in alto, tremante davanti a chi sta in basso... intimorita dalla tempesta mondiale; in nessuna direzione energica, in tutte le direzioni pronta al plagio... senza iniziativa... una vecchia maledetta, condannata a dirigere per il suo interesse senile i primi slanci di gioventù d'un popolo robusto e sano..." (Neue Rheinische Zeitung, 1848; La sacra famiglia, cit.) Circa venti anni dopo, in una lettera a Engels (Carteggio, cit., v. IV, p. 292), Marx scriveva che la causa dell'insuccesso della rivoluzione del 1848 consistette nel fatto che la borghesia aveva preferito la pace in schiavitù alla semplice prospettiva di una lotta per la libertà. Quando terminò il periodo delle rivoluzioni del 1848-1849, Marx insorse contro ogni tentativo di giocare con la rivoluzione (Schapper, Willich e lotta contro di essi), esigendo che si sapesse lavorare nel nuovo periodo, in cui si preparavano, in modo apparentemente "pacifico", nuove rivoluzioni. Il seguente apprezzamento di Marx sulla situazione in Germania nel 1865, nel più fosco periodo della reazione, mostra come egli intendeva che fosse condotto tale lavoro:

"In Germania tutto dipenderà dalla possibilità di appoggiare la rivoluzione proletaria con una specie di seconda edizione della guerra dei contadini." (Carteggio, cit., v. II, p. 423)

Fino a quando la rivoluzione democratica (borghese) in Germania non era giunta a compimento, Marx, per quanto riguardava la tattica del proletariato socialista, rivolse tutta la sua attenzione allo sviluppo dell'energia democratica dei contadini. Egli considerava che l'atteggiamento di Lassalle era, "oggettivamente, un tradimento di tutto il movimento operaio a favore dei prussiani" (ivi, vol. IV, p. 274); tra l'altro, proprio perchè Lassalle si mostrava troppo conciliante coi grandi proprietari fondiari e col nazionalismo prussiano.

"È vile - scriveva Engels nel 1865, in uno scambio di vedute con Marx per la preparazione di una dichiarazione comune, destinata alla stampa - in un paese prevalentemente agricolo... aggredire, in nome del proletariato industriale, la sola borghesia, senza ricordare neppure con una parola il patriarcale sfruttamento a bastonate del proletariato agricolo per opera della grande nobiltà feudale." (Carteggio, cit., v. IV, p. 282)

Nel 1864-1870, quando l'epoca del compimento della rivoluzione democratica borghese in Germania, l'epoca della lotta delle classi sfruttatrici della Prussia e dell'Austria per compiere in un modo o nell'altro questa rìvoluzione dall'alto, giungeva alla fine, Marx non soltanto rimproverava Lassalle di civettare con Bismarck, ma correggeva anche Liebknecht, il quale cadeva nell'"austrofilia" e nella difesa del particolarismo. Egli esigeva una tattica rivoluzionaria, che lottasse con uguale implacabilità contro Bismarck e contro gli austrofili, una tattica non di sottomissione al vincitore, al grande proprietario fondiario prussiano, ma volta alla ripresa immediata della lotta rivoluzionaria contro di esso e sul terreno creato dalle vittorie militari prussiane. (Carteggio, cit., v. IV)
Nel famoso Indirizzo dell'Internazionale del 9 settembre 1870 Marx mise in guardia il proletariato francese contro un'insurrezione intempestiva; ma quando tuttavia essa avvenne (1871) egli salutò con entusiasmo l'iniziativa rivoluzionaria delle masse "che danno l'assalto al cielo" (lettera di Marx a Kugelmann).

La sconfitta dell'azione rivoluzionaria, in questa come in molte altre situazioni, era, secondo il materialismo dialettico di Marx, minor male, per l'andamento generale e per l'esito della lotta proletaria, che l'abbandono di una posizione conquistata e la resa senza lotta, perche una tale capitolazione avrebbe demoralizzato il proletariato e diminuita la sua capacità di combattere. Apprezzando appieno l'uso dei mezzi legali di lotta durante i periodi di stasi politica e di dominio della legalità borghese, Marx nel 1877-1878, dopo la proclamazione delle leggi eccezionali contro i socialisti (emanate da Bismarck nel 1878, furono abrogate nel 1890 grazie all'opposizione della classe operaia tedesca) condannò aspramente "le frasi rivoluzionarie" di Most; ma non meno, se non più aspramente, condannò l'opportunismo allora temporaneamente dominante nel partito socialdemocratico ufficiale, che non mostrò subito, coraggiosamente, rigidamente, lo spirito rivoluzionario e la volontà di passare alla lotta illegale in risposta alle leggi eccezionali. (Carteggio, cit., v. IV)