Karl Marx

La guerra civile in Francia 1.


Il 4 settembre 1870, quando gli operai di Parigi proclamarono la repubblica, la quale venne quasi subito acclamata in tutta la Francia senza una sola voce discorde, una cricca di avvocati in cerca di carriera - Thiers era il loro uomo di Stato e Trochu il loro generale - prese possesso dell'Hotel de Ville. Costoro erano allora imbevuti di una fede così fanatica nella missione di Parigi di rappresentare la Francia in tutti i periodi di crisi storiche che, per leggittimare l'usurpato titolo di governanti della Francia, pensavano fosse sufficiente rappresentare il loro mandato scaduto di deputati di Parigi.

Nel nostro secondo Indirizzo sull'ultima guerra, cinque giorni dopo l'ascesa di questi uomini, vi spiegammo chi erano. Ma Parigi, nel turbamento della sorpresa, mentre i veri capi della classe operaia erano ancora nelle prigioni di Bonaparte e i prussiani già marciavano sulla città, tollerò che assunsero il potere, alla condizione espressa che questo sarebbe stato adoperato esclusivamente ai fini della difesa nazionale. Però non era possibile difendere Parigi senza armare i suoi operai, senza organizzarli in una forza armata effettiva, senza allenarli alla guerra attraverso il combattimento stesso. Ma Parigi in armi era la rivoluzione in armi. Una vittoria di Parigi sull'oppressore prussiano sarebbe stata una vittoria dell'operaio francese sul capitalista francese e i suoi parassiti statali. In questo conflitto tra il dovere nazionale e l'interesse di classe, il Governo della Difesa Nazionale non esitò un momento a trasformarsi in Governo del Tradimento Nazionale.

Il primo passo che fece questo governo fu di mandare Thiers in pellegrinaggio presso tutte le corti d'Europa a mendicare una mediazione offrendo di barattare la repubblica con un re. Quattro mesi dopo dell'assedio, quando si ritenne giunto il momento per cominciare a parlare di capitolazione, Trochu, in presenza di Jules Favre e di altri suoi colleghi, apostrofò i sindaci di Parigi riuniti con le parole seguenti:

"La prima domanda rivoltami dai miei colleghi la sera stessa del 4 settembre fu questa: Parigi può sostenere un assedio dell'esercito prussiano con qualche probabilità di successo? Non esitai a rispondere negativamente. Alcuni dei miei colleghi qui presenti garantiranno che dico il vero e che ho sempre avuto questa opinione. Dissi loro, con queste parole, che data la situazione, il tentativo da parte di Parigi di resistere a un assedio dell'esercito prussiano sarebbe stata follia. Certo, aggiunsi, sarebbe stata follia eroica; ma niente di più... Gli avvenimenti [diretti da lui stesso] non hanno smentito la mia previsione."

Questo ammirevole discorsetto di Trochu venne reso pubblico in seguito dal signor Corbon, uno dei sindaci presenti.

Dunque la sera stessa della proclamazione della repubblica era noto ai colleghi di Trochu che il "piano" di Trochu era la capitolazione di Parigi. Se la difesa nazionale fosse stata qualcosa di più che un pretesto per il governo personale di Thiers, Favre e C., gli avventurieri del 4 settembre avrebbero abdicato il giorno 5, avrebbero reso noto al popolo di Parigi il "piano" di Trochu e gli avrebbero proposto o di arrendersi subito o di prendere la propria sorte nelle proprie mani. Invece di far questo, quegli infami impostori decisero di curare l'eroica follia di Parigi con un regime di fame e di bastone, e d'ingannarla nel frattempo con loro roboanti manifesti, in cui si diceva che Trochu, "governatore di Parigi, non capitolerà mai" e che Jules Favre, ministro degli esteri, "non cederà mai un pollice del nostro territorio, non una pietra delle nostre fortezze".

In una lettera a Gambetta, lo stesso Jules Favre confessa che coloro contro cui stavano "difendendosi" non erano soldati prussiani, ma gli operai di Parigi. Per tutta la durata dell'assedio, i banditi bonapartisti a cui Trochu saggiamente aveva affidato il comando dell'esercito di Parigi, si beffarono in modo vergognoso nella loro corrispondenza privata della farsa evidente della difesa (si veda, per esempio, la corrispondenza di Alphonse Simon Guiod, comandante supremo dell'artiglieria dell'esercito della difesa di Parigi e gran croce della Legion d'onore, a Susane, generale di divisione d'artiglieria, pubblicata dal Journal Officiel della Comune). La maschera della impostura venne infine lasciata cadere il 28 gennaio 1871. [1] Col vero eroismo di chi si avvilisce fino all'ultimo grado, il Governo della Difesa Nazionale, nel capitolare, si presentò come il governo francese dei prigionieri di Bismarck: parte così ignobile che lo stesso Luigi bonaparte, a Sedan, aveva arretrato di fronte a essa. Nella loro fuga disperata a Versailles dopo i fatti del 18 marzo [2] i capitulards abbandonarono nelle mani di Parigi la prova documentata del loro tradimento, per distruggere la quale, dice la Comune nel suo manifesto alle provincie, "essi non avrebbero esitato a fare di Parigi un mucchio di rovine bagnate da un mare di sangue."
Alcuni dei membri più autorevoli del Governo della Difesa avevano, inoltre, ragioni molto peculiari di carattere personale, che li spingevano a consumare tale impresa.

Poco dopo la conclusione dell'armistizio, il signor Milliere, uno dei deputati di Parigi all'Assemblea nazionale, ora fucilato per ordine espresso di Jules Favre, pubblicò una serie di documenti legali autentici, i quali provavano come Jules Favre, vivendo in concubinato con la moglie di un ubriacone residente ad Algeri, era riuscito, grazie a una mistura oltremodo sfacciata di falsificazioni succedutesi per una lunga serie di anni, a carpire, in nome dei figli del suo adulterio, una pingue eredità, che aveva fatto di lui una persona facoltosa, e come, in un processo intentatogli dagli eredi legittimi, era riuscito a sfuggire allo scandalo solo grazie alla connivenza dei tribunali bonapartisti. Poichè non era possibile sbarazzarsi di questi secchi documenti legali con nessuna quantità di cavalli-vapore della retorica, per la prima volta nella sua vita Jules Favre non aprì bocca, aspettando tranquillamente lo scoppio della guerra civile, per poi scagliare rabbiosamente sul popolo di Parigi l'accusa di essere una banda di evasi dalle galere, in rivolta dichiarata contro la famiglia, religione, l'ordine e la proprietà. Questo stesso falsario era appena salito al potere, dopo il 4 settembre, quando per senso di solidarietà fece mettere in libertà Pic e Taillefer, condannati per falso, perfino sotto l'impero, nello scandaloso affare dell'Etendard. Uno di costoro, Taillefer avendo avuto la temerarietà di rientrare a Parigi durante la Comune, fu immediatamente ricacciato in galera: dopo di che Jules Favre gridò, dalla tribuna dell'Assemblea nazionale, che Parigi metteva in libertà tutti gli inquilini delle sue prigioni!

Ernest Picard, il Joe Miller del Governo della Difesa Nazionale, che si era autonominato ministro delle finanze della repubblica dopo aver tentato invano di diventare ministro degli interni dell'impero, è fratello di un certo Arthur Picard, individuo espulso dalla Bourse di Parigi come truffatore (si veda il rapporto della Prefettura di polizia del 31 luglio 1867), e per sua confessione condannato per furto di 300.000 franchi, mentre era direttore di una delle filiali della Société generale, rue Palestro n. 5 (si veda il rapporto della Prefettura di polizia dell'11 dicembre 1868). Questo Arthur Picard fu nominato da Ernest Picard direttore del suo giornale, L'Electeur libre. Mentre la genia degli speculatori di borsa veniva tratta in inganno dalle menzogne ufficiali di questo giornale finanziario ministeriale, Arthur correva avanti e indietro tra il ministero delle finanze e la Bourse, dove convertiva in contanti le disfatte dell'esercito francese. Tutta la corrispondenza d'affari di questa coppia di degni fratelli è caduta nelle mani della Comune.
Jules Ferry avvocato squattrinato prima del 4 settembre, riuscì come sindaco di Parigi durante l'assedio, a spremersi un patrimonio dalla carestia. Il giorno in cui dovesse rispondere della sua mala amministrazione sarebbe il giorno della sua condanna.
Uomini di questo stampo potevano trovare solo tra le rovine di Parigi i loro tickets-of-leave [3] erano proprio gli uomini di cui aveva bisogno Bismarck. Mescolate un poco le carte, Thiers, fino ad allora ispiratore segreto del governo, apparve d'un tratto alla sua testa, con i ticket-of-leave men come ministri.

Thiers, questo nano mostruoso, ha affascinato la borghesia francese per quasi mezzo secolo, perchè è l'espressione intellettuale più perfetta della sua corruzione di classe. Prima di diventare un uomo di Stato aveva già dato prova come storico delle sue capacità di mentire. La cronaca della sua vita pubblica è la storia delle sventure della Francia. Unito, prima del 1830, coi repubblicani, sotto Luigi Filippo s'intrufolò in un posto di ministro, tradendo il suo protettore Laffitte. Entrò nelle grazie del re provocando sommosse di plebe contro clero, durante le quali furono saccheggiati la chiesa di Sant-Germain l'Auxerrois e l'Arcivescovado e facendo in pari tempo il ministro spia e l'accoucheur [ostetrico] carcerario della duchessa de Berry. Il massacro dei repubblicani nella rue Transnonain e le successive infami leggi di settembre contro la stampa e il diritto di associazione furono opera sua. Riapparso a capo del ministero nel marzo 1840, fece stupire la Francia col suo progetto di fortificare Parigi. Ai repubblicani che denunciavano questo progetto come un sinistro complotto contro la libertà di Parigi, egli rispose dalla tribuna della Camera dei deputati:

"Come immaginare che delle fortificazioni possono mai essere un pericolo per la libertà! Prima di tutto, voi calunniate ogni possibile governo col supporre che esso possa un giorno tentare di mantenersi al potere bombardando la capitale... ma un governo simile sarebbe dopo la sua vittoria cento volte più impossibile di prima."

Certo, nessun governo avrebbe mai osato bombardare Parigi dai forti, tranne quel governo che prima aveva consegnato questi forti ai prussiani.

Quando re Bomba [4] fece le sue prove con Palermo nel gennaio 1848, Thiers, che da un pezzo non era più ministro, di nuovo si levò alla Camera dei deputati:

"Voi sapete, signori, egli disse, quello che sta succedendo a Palermo. Voi tutti, fremete [in senso parlamentare] nell'apprendere che una grande città è stata bombardata per quarantott'ore. E da chi? Da un nemico straniero, che applicasse diritti di guerra? No signori; dal suo proprio governo. E perchè? Perchè l'infelice città reclamava i suoi diritti. Ebbene, per aver reclamato i suoi diritti si prese quarantott'ore di bombardamento... Permettetemi di far appello all'opinione pubblica d'Europa. É rendere un servizio all'umanità levarsi e far echeggiare, da quella che è forse la tribuna più alta d'Europa, alcune parole [soltanto parole, in verità] di sdegno contro atti simili... Quando il reggente, Esartero, che pure aveva reso dei servizi al suo paese [il che Thiers non ha mai fatto], volle bombardare Barcellona per reprimere quell'insurrezione, da ogni parte del mondo si levò un generale grido di sdegno."


Diciotto mesi più tardi il signor Thiers era tra i più accaniti difensori del borbardamento di Roma da parte di un esercito francese. A quanto pare, l'errore di un re Bomba era dunque consistito solo nell'aver limitato il bombardamento a quarantott'ore.

Pochi giorni prima della rivoluzione di febbraio, irritato dal lungo allontanamento dal potere e dagli imbrogli, al quale Guizot l'aveva condannato, e fiutando nell'aria l'odore di un prossimo sollevamento popolare, Thiers, in quello stile pseudoeroico che gli aveva valso il nomignolo di Mirabeau-Mouche, dichiarò alla Camera dei deputati:

"Io sono del partito della rivoluzione, non solo in Francia, ma in Europa. Faccio voti che il governo della rivoluzione rimanga in mano a uomini moderati... ma se questo governo dovesse cadere in mano a spiriti ardenti, e perfino radicali, non per questo diserterei la mia causa. Io sarò sempre del partito della rivoluzione."

Venne la rivoluzione di febbraio, ma invece di sostituire al gabinetto Guizot un gabinetto Thiers, come l'omicciattolo aveva sognato, sostituì a Luigi Filippo la repubblica. Il primo giorno della vittoria popolare egli si tenne accuratamente nascosto, dimenticando il disprezzo degli operai lo salvava dal loro odio, pure, col suo leggendario coraggio, continuò a evitare la pubblica scena fino ai massacri di giugno non l'ebbero resa libero per il suo tipo di attività. Allora divenne la mente direttiva del "partito dell'ordine" e della sua repubblica parlamentare, quel periodo di anonimo interregno in cui le fazioni rivali della classe dominante cospiravano tutte assieme allo scopo di schiacciare il popolo, e cospirarono l'una contro l'altra per restaurare ognuna la propria monarchia. Allora, come adesso, Thiers denunziava nei repubblicani il solo ostacolo al consolidamento della repubblica; allora, come adesso, egli diceva alla repubblica come il boia a Don Carlos: "ti ucciderò, ma per il tuo proprio bene". Adesso, come allora, egli dovrà esclamare il giorno dopo la sua vittoria: l'Empire est fait, l'Impero è pronto.

Nonostante le sue ipocrite omelie circa le libertà necessarie e il suo risentimento personale contro Luigi Bonaparte, che si era fatto beffe di lui e aveva dato lo sgambetto al parlamentismo - e fuori l'atmosfera artificiale di questo, l'omiciattolo sa benissimo che egli svanisce nel nulla - Thiers ebbe la mano in tutte le infamie del II impero, dall'occupazione di Roma da parte delle truppe francesi fino alla guerra contro la Prussia alla quale incitò con i suoi attacchi violenti contro l'unità della Germania, non in quanto maschera del dispotismo prussiano, ma in quanto violazione del diritto ereditario della Francia a mantenere la Germania disunita. Mentre si piccava di brandire in faccia all'Europa, con le sue braccia da pigmeo, la spada del primo Napoleone di cui era diventato il lustrascarpe storico, la sua politica estera ha sempre portato la più profonda umiliazione della Francia, dalla convenzione di Londra del 1840 alla capitolazione di Parigi nel 1871 e alla presente guerra civile, in cui, con la speciale autorizzazione di Bismarck aizza contro Parigi i prigionieri di Metz e di Sedan.

Nonostante la versatilità del suo ingegno e la mobilità dei suoi propositi, è stato legato per tutta la vita alla più fossile routine. É evidentissimo che le correnti latenti più profonde della società moderna dovevano rimanergli per sempre celate; ma perfino i cambiamenti superficiali più palpabili erano inaccessibili a un cervello la cui vitalità si era tutta rifugiata nella lingua. Così, per esempio, non si è mai stancato di denunciare come sacrilegio ogni deviazione del vecchio sistema protezionista francese; come ministro di Luigi Filippo si era fatto beffe delle ferrovie come di un'assurda chimera; e quando fu all'opposizione sotto Luigi Bonaparte bollò come profanazione ogni tentativo di riforma del decrepito sistema militare francese. Mai, durante la sua lunga carriera politica, egli si è macchiato neppure di un solo provvedimento, sia pure dei più insignificanti, di qualche utilità pratica. L'unica sua coerenza è stata l'avidità di ricchezze e l'odio contro coloro che le producono. Entrato povero come Giobbe nel suo primo ministero, sotto Luigi Filippo, ne uscì milionario. Il suo ultimo ministero sotto lo stesso re (quello del 1 marzo 1840) lo espose a pubbliche accuse di mal vessazioni alla Camera dei deputati, alle quali si accontentò di rispondere con delle lacrime, articolo che egli tratta altrettanto liberamente quanto Jules Favre o qualsiasi altro coccodrillo. A Bordeaux [5] il primo provvedimento per salvare la Francia dall'imminente rovina finaziaria fu di attribuirsi un appannaggio di tre milioni all'anno, il che fu la prima e l'ultima parola di quella "repubblica economica", la cui prospettiva aveva aperta ai suoi elettori di Parigi nel 1869. Uno dei suoi antichi colleghi della Camera dei deputati del 1830, anch'egli capitalista, e ciononostante membro devoto della Comune di Parigi, il signor Beslay, ha testè rivolto a Thiers in un manifesto pubblico le parole seguenti:

"L'asservimento del lavoro al capitale è sempre stato la pietra angolare della vostra politica, e dal primo giorno che avete visto la Repubblica del Lavoro installata nell'Hotel de Ville non avete cessato di gridare alla Francia: "Costoro sono dei criminali!"".

Maestro di piccole truffe di Stato, virtuoso dello spergiuro e del tradimento, artista in tutti i bassi stratagemmi, nelle astuzie furbesche e nelle vili perfidie delle lotte di partito parlamentari; non avendo scrupolo, se fuori del potere, di attizzare una rivoluzione, né di soffocarla nel sangue una volta al timone dello Stato; con pregiudizi di classe al posto delle idee, e con la vanità al posto del cuore; con una vita privata altrettanto infame quanto è odiosa la sua vita pubblica; anche ora, che rappresenta la parte di un Silla francese, egli non può fare a meno di far risaltare la bruttura delle sue azioni col ridicolo della sua ostentazione.

La capitolazione di Parigi, consegnando alla Prussia non solo Parigi, ma tutta la Francia, conclusa la lunga serie di intrighi col nemico e dei tradimenti che gli usurpatori del 4 settembre avevano incominciato, a detta dello stesso Trochu, in quello stesso giorno. D'altra parte, essa dette inizio alla guerra civile che costoro stavano per impegnare, con l'aiuto della Prussia, contro la repubblica e contro Parigi. La trappola era preparata nei termini stessi della capitolazione. In quel momento più di un terzo del paese era nelle mani del nemico. La capitale era tagliata dalle provincie. Tutte le comunicazioni erano disorganizzate. In quelle circostanze, eleggere una vera rappresentanza della Francia era impossibile, a meno di non disporre di molto tempo per la preparazione. In cosiderazione di ciò, la capitolazione stipulava che un'Assemblea Nazionale doveva essere eletta entro otto giorni, cosicchè in molte parti della Francia la notizia delle elezioni imminenti arrivò solamente alla vigilia del giorno stabilito. L'Assemblea, inoltre, per un esplicita clausola della capitolazione, doveva essere eletta solo allo scopo di decidere della pace e della guerra, e di concludere, eventualmente, un trattato di pace.
La popolazione non poteva non sentire che i termini dell'armistizio rendevano impossibile la continuazione della guerra, e che per sancire la pace imposta da Bismarck i peggiori uomini della Francia erano i migliori. Ma non contento di queste precauzioni, Thiers, anche prima che il segreto dell'armistizio fosse trapelato a Parigi, partì per un viaggio elettorale nelle provincie, per ridare artificialmente vita al cadavere del partito legittimista, che ora, insieme con gli orleanisti, avrebbe dovuto prendere il posto dei bonapartisti, per il momento impossibili. Egli non ne aveva nessuna paura.
Quale partito si prestava come strumento di controrivoluzione più di quello che, inconcepibile come forza dirigente della Francia moderna e trascurabile perciò come rivale, svolgeva un'azione che, secondo le parole dello stesso Thiers (Camera dei deputati del 5 gennaio 1833), "si era sempre ridotta a tre risorse; l'invasione straniera, la guerra civile e l'anarchia"?
Ma i legittimisti credevano fermanente all'avvento del loro millennio retrospettivo lungamente atteso. Il tallone dell'invasione straniera calpestava la Francia; un impero era crollato e Napoleone era prigioniero; ed essi stessi erano sempre là. La ruota della storia era evidentemente tornata indietro per fermarsi alla Chambre introuvable [6] del 1816. Nelle assemblee della repubblica, dal 1848 al 1851, essi erano stati rappresentati dai loro capi parlamentari colti e inesperti; ora era il grosso del partito che si faceva avanti: tutti i Pourceaugnac [7] della Francia.

Appena si riunì a Bordeaux questa assemblea di "rurali", Thiers le fece capire che i preliminari di pace dovevano essere ratificati subito, senza nemmeno gli onori di un dibattito parlamentare, perchè queste era la sola condizione alla quale la Prussia avrebbe permesso loro di aprire le ostilità contro la repubblica, e contro la sua cittadella, Parigi. E, in realtà la controrivoluzione non aveva tempo da perdere. Il II Impero aveva più che raddoppiato il debito nazionale e immerso tutte le grandi città in gravosi debiti municipali. La guerra aveva gonfiato le passività in modo spaventevole e devastato senza pietà le risorse della nazione. Per completare la rovina, lo Shylock [8] era là con la sua tratta per il mantenimento di mezzo milione dei suoi soldati sul suolo francese, la sua indennità di cinque miliardi e l'interesse del 5 per cento per le scadenze rinviate. Chi doveva pagare il conto? Solo con l'abbattimento violento della repubblica gli accaparratori della ricchezza potevano sperare di riversare sulle spalle dei suoi produttori il costo di una guerra che proprio essi, gli accaparratori, avevano provocato. La immensa rovina della Francia spronava dunque questi patriottici rappresentanti della terra e del capitale a inserire, sotto gli occhi stessi e sotto il patronato dell'invasore, nella guerra esterna una guerra civile, una rivolta di negrieri.

Un grande ostacolo si levava sulla via di questo complotto: Parigi. Il disarmo di Parigi era la prima condizione di successo. A Parigi dunque Thiers ingiunse di deporre le armi.
Quindi la città fu portata all'esasperazione dalle frenetiche manifestazioni antirepubblicane dell'Assemblea dei "rurali" e dalle equivoche manifestazioni personali di Thiers circa lo stato giuridico della repubblica; dalla minaccia di capitolare e di decapitalizzare Parigi; dalla nomina di ambasciatori orlealisti; dalle leggi di Dufaure circa le cambiali e le pigioni scadute, leggi che rovinano il commercio e l'industria degli artigiani; dalla imposta Pouyer-Quertier di due centesimi su ogni esemplare di qualsivoglia pubblicazione; dalla condanna a morte di Blanqui e di Flourens; dalla soppressione dei giornali repubblicani; dal trasferimento dell'Assemblea nazionale di Varsailles; dal rinnovo dello stato d'assedio proclamato da Palikao e spirato il 4 settembre; dalla nomina di Vinoy, il decembriseur, a governatore di Parigi, di Valentin, gendarme bonapartista, a prefetto di polizia e di D'Aurelle de Paladines, il generale gesuita, a comandante in capo della Guardia nazionale di Parigi.

E ora abbiamo una domanda da rivolgere al signor Thiers e ai suoi tirapiedi, membri del governo di difesa nazionale. É noto che, per mezzo del suo ministro delle finanze signor Pouyer-Quertier, Thiers aveva contratto un prestito di due miliardi. Orbene è vero o non è vero:

1) Che l'affare fu regolato in modo che una provvigione di qualche centinaio di milioni fosse assicurata per beneficio personale di Thiers, Jules Favre, Ernest Picard, Poyer-quertier e Jules Simon?

2) Che il denaro non doveva essere versato che dopo la "pacificazione" di Parigi?

In ogni modo, vi dovette essere qualche cosa di molto urgente a questo proposito, perchè Thiers e Jules Favre in nome della maggioranza dell'Assemblea di Bordeaux, sollecitassero senza vergogna l'occupazione immediata di Parigi da parte delle truppe prussiane. Questo però non entrava nel giuoco di Bismarck, come egli, sogghignando, raccontò in pubblico più tardi, al suo ritorno in Germania, agli ammirati filistei di Francoforte.


Note

[1] Firma dell'armistizio che sancisce la capitolazione di Parigi.

[2] Il 18 marzo la resistenza popolare bloccò il piano di Thiers per "riportare l'ordine" a Parigi: le truppe fraternizzarono con gli insorti e Thiers fu costretto a lasciare la città.

[3] Fogli di licenza che in Inghilterra venivano accordati ai delinquenti che avevano già scontato la maggior parte della pena.

[4] Ferdinando II, re delle due Sicilie, così soprannominato per aver ordinato il borbardamento di Messina nel novembre 1848.

[5] Dopo la sconfitta l'Assemblea nazionale si era trasferita lì.

[6] Camera introvabile. Così, data la sua assoluta inefficienza, era chiamato il parlamento dopo la restaurazione del 1815.

[7] Pourceaugnac, tipico rappresentante della nobiltà di campagna, era il protagonista dell'omonima commedia Molière.

[8] Nel Mercante di Venezia di Shakespere impersona l'avarizia.