Karl Marx - Friedrich Engels

Sull'Italia


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Garibaldi ha dimostrato di essere non soltanto un capo coraggioso, ma anche un generale dotato di una buona preparazione scientifica. L'attacco aperto a una catena di forti costieri è un'impresa che richiede non soltanto talento militare, ma scienza militare.

Friedrich Engels

 

Michele Nana

Marx ed Engels sul Risorgimento Italiano


Gli scritti di Marx ed Engels sul Risorgimento italiano sono riproposti (Karl Marx - Friedrich Engels, Sul Risorgimento italiano, a cura di Agostino Bistarelli; prefazione di Gabriele Polo, Manifestolibri, 2011) in quattro sezioni tematiche, sulla scorta della più ampia raccolta approntata con consueta maestria da Ernesto Ragionieri più di cinquant'anni fa (e già sollecitata da alcune pagine carcerarie di Gramsci). Si tratta di scritti giornalistici, ma di un'intensità e una capacità analitica che si ricercherebbe invano su gran parte dei nostri giornali: e i due, che pure conoscevano l'italiano, non avevano certo a disposizione il ventaglio di fonti disponibile al giorno d'oggi.
Nell'arco di tempo della loro pubblicazione originaria, fra 1848 e 1860, quando Marx e Engels vivono le loro trentine (erano nati nel 1818 e nel 1820), l'Italia non esiste, se non come «questione italiana» che destabilizza il quadro europeo, anche per via della predicazione mazziniana che si distende su scala continentale. Lo sguardo sull'Italia dei due «comunisti» ha il pregio di evidenziare con sicurezza gli elementi caratterizzanti di una situazione in divenire, destinati a diventare cardini interpretativi della storiografia successiva: il peso determinante del contesto internazionale, con lo scontro fra l'Austria asburgica e il Secondo impero francese, ma anche con il ruolo diplomatico della Gran Bretagna; le ambiguità della politica piemontese, con le aperture liberali che fanno del Regno di Sardegna l'unico stato costituzionale italiano e la riduzione del problema nazionale nelle strette della politica espansionista sabauda; il gioco delle forze sociali, che permettono di dar conto dell'egemonia moderata, ma anche del ruolo dell'iniziativa popolare garibaldina.
Marx stesso, ma lo stesso vale senz'altro anche per il suo fedele compagno Engels, è consapevole dell'analogia fra interpretazione storica e lettura sociologica del presente, alla luce del medesimo criterio direttivo, che avrebbe anche dovuto fondare una politica scientifica: nel maggio del 1858, in una corrispondenza per la «New York Daily Tribune» dedicata a Mazzini e Napoleone, Marx afferma che «nella storiografia moderna ogni reale progresso è stato compiuto discendendo dalla superficie politica nelle profondità della vita sociale».

Una parodia del 1789

Assente dalle pagine del Manifesto, l'Italia insorge proprio mentre l'opuscolo è in stampa ed Engels registra puntualmente la rivolta siciliana e la saluta con gioia, così come Marx vede nella ripresa democratica di fine '48 un modello per il resto d'Europa. Per loro la rivoluzione democratica e nazionale in Germania deve essere accompagnata da processi analoghi, specialmente in Polonia e in Italia, per indebolire i baluardi della reazione, gli Imperi russo e austriaco. Pochi anni dopo gli scritti marxiani di «storia del presente» (Le lotte di classe in Francia e Il diciotto brumaio) riconsiderano il Quarantotto europeo come parodia del 1789 francese, ma anche come prima manifestazione di una politica proletaria autonoma, pur destinata alla selvaggia repressione, esemplare nelle giornate parigine di giugno.
Il nuovo scenario degli anni Cinquanta vede il rilancio dello sviluppo capitalistico e il compromesso fra vecchie e nuove classi dirigenti in senso antidemocratico e antioperaio. Marx ed Engels sono impegnati in una serrata polemica antimazziniana, per la mancata attenzione che la politica del Genovese riserva alle condizioni materiali dell'azione rivoluzionaria, cioè alla situazione economica e al coinvolgimento dei contadini. Riconoscono, tuttavia, nel Piemonte liberale l'unica forza che può unificare l'Italia, anche se una rivoluzione nazionale democratica, dato il contesto internazionale e l'equivoco atteggiamento sabaudo, avrebbe potuto darsi solo come rivoluzione popolare.
Il giudizio sulla guerra del 1859 è molto duro: l'annessione della Lombardia, ceduta dall'Austria alla Francia e quindi «girata» al Regno di Sardegna, configura una «rivoluzione senza rivoluzione», mentre rafforza il dispotismo russo e il bonapartismo francese. Tuttavia Marx e Engels colgono alcuni segnali destinati a cambiare il corso del Risorgimento: la non piena disponibilità piemontese ai voleri di Napoleone III, l'atteggiamento dei governi provvisori nei territori dei Ducati, delle Legazioni e della Toscana e, soprattutto, l'iniziativa garibaldina. L'impresa dei Mille ispira ai due compagni pagine apologetiche del Generale, nel quale ripongono le speranze per un altro esito, rivoluzionario, dell'unificazione italiana. L'ultimo scritto, del settembre 1860, saluta Garibaldi in marcia su Napoli.

Antiche egemonie

Marx e Engels sarebbero tornati su vicende italiane solo dieci anni dopo, negli ultimi anni di vita della Prima Internazionale, ma avrebbero costantemente confermato il loro giudizio su un'Italia sorta dal compromesso fra classi dominanti (una «egemonia conservatrice antica» chiosa opportunamente Gabriele Polo nella prefazione al volume), caratterizzata dall'oppressione economica e politica delle classi subalterne, che pure erano state protagoniste, a differenza che in Germania, di impetuosi movimenti negli anni dell'unificazione nazionale. Nella stagione dell'Internazionale e nella successiva crescita del movimento operaio italiano i contatti con i compagni del Bel Paese si intensificano e nei suoi ultimi anni di vita Engels segue con interesse la nascita e i primi passi del Partito socialista. Ma questi sviluppi post-risorgimentali riguardano un'altra storia, e forse meriterebbero a loro volta un'antologia di scritti e lettere.

da "il manifesto", 8 settembre 2011