Berlinguer e il KGB

È la sera del 3 ottobre del 1973. E un piccolo corteo di berline nere scortato da motociclisti sfreccia sulla strada che porta da Sofia all'aereoporto. In una, è seduto Enrico Berlinguer; con il seguito, viaggiano anche i due funzionari del PCI, Gensini e Oliva, che lo hanno accompagnato in Bulgaria.
Non c'è fretta, il segretario del PCI si è mosso con largo anticipo dalla residenza messagli a disposizione dal Bkp per i quattro giorni di una una visita culminata nell' incontro con Todor Zhivkov. Chiede all'interprete di far rallentare l' autista, ma la corsa continua, sotto gli occhi della pattuglie che controllano ogni incrocio.
Poi, come dal nulla, spunta un camion carico di pietre, e chiude completamente la carreggiata proprio davanti all'auto che trasporta il leader di Botteghe Oscure.
L'impatto è tremendo, l'autista muore sul colpo, Berlinguer è salvo per miracolo: ha solo sbattuto con violenza la testa, ma è lucido mentre lo portano in ospedale. Dopo un "incidente", che secondo Emanuele Macaluso fu in realtà molto di più: un attentato concepito per togliere di scena l'uomo che pochi giorni dopo avrebbe tracciato la linea del compromesso storico.
Mandante obbligato il Kgb, allora padrone di casa in Bulgaria come in tutti gli Stati "fratelli" dell' Est. Rivelato in un' intervista che compare domani su Panorama, il sospetto di Macaluso apre una pagina inedita nella storia dei rapporti tra Botteghe Oscure e l' Urss mentre infuria la polemica sui finanziamenti ai comunisti italiani.
Una storia clamorosa, che secondo il dirigente riformista testimonia dei reali rapporti tra i dirigenti del Cremlino e l'uomo che fin dal ' 69 si era scontrato con durezza con Breznev e Ponomariov, e che otto anni dopo avrebbe compiuto lo "strappo". È una storia talmente degna di un romanzo di Le Carré, da provocare ironie e scetticismo.
Anche Giovanni Berlinguer e Giuseppe Fiori, che del segretario del PCI ha scritto una biografia, mostrano di non prenderla sul serio e parlano di sensazionalismo. Altri ex dirigenti comunisti dicono di non averne saputo mai nulla. Il presidente della Repubblica Francesco Cossiga si chiede perché mai Macaluso parli solo ora di un "fatto gravissimo", e afferma che ne avrebbe dovuto riferire allora alle autorià italiane. Ugo Intini, poi, si dice "sbalordito" per il lungo silenzio del PCI.
A smentire tutto, parlando di sospetto "insensato", è l' ambasciatore sovietico a Roma Adamishin, secondo il quale il Kgb, dopo la morte di Stalin, "non ha mai eliminato nessuno, nemmeno persone che preoccupavano i sovietici molto più del segretario del PCI". Ma Macaluso, sottolineando di non aver espresso "una versione, ma un' opinione", afferma di "mantenere il sospetto".
E non è il solo. Perché ad essere convinto che qualcosa di strano fosse avvenuto quella sera del ' 73, tanto da indurlo a raccontarlo esattamente in quei termini, era proprio Enrico Berlinguer: tutt'altro che certo, dopo anni di viaggi Oltrecortina, che solo per caso un camion fosse riuscito ad attraversare il dispositivo di polizia che tradizionalmente, nei paesi del Patto di Varsavia, bloccava rigidamente e con largo anticipo il traffico sugli itinerari percorsi da personalità ospiti del partito-stato.
In ospedale, accertata l'assenza di lesioni gravi, medici e funzionari lo avvertirono che sarebbe comunque stato necessario "per precauzione" trattenerlo in corsia almeno quarantotto ore. Berlinguer non si scompose: "Se lo credete necessario... Debbo però avvertire la Direzione del partito, sarà necessario - aggiunse come per inciso - fare un comunicato stampa: per domani ho degli impegni a Roma". Il gelo degli interlocutori durò pochi istanti. Ma l'indomani l'illustre paziente fu immediatamente dimesso: e - con buona pace delle "misure precauzionali" indispensabili poche ore prima - imbarcato su un aereo-ambulanza che lo riportò a Roma.
Era "scosso", secondo la testimonianza di Macaluso: "Gli dissi - ricorda il senatore - che secondo me quell' incidente ' puzzava' . ' Per carità, non toccare quell' argomento' , replicò lui. Ma capii che lui per primo era convinto di essere sfuggito a un attentato". Che non se ne sia mai parlato pubblicamente, Macaluso lo spiega con il fatto che "non avevamo prove in mano". Ma è un fatto che da allora Berlinguer abbia cercato in tutte le maniere di non tornare a Sofia: "I bulgari - ripeteva - sono più sovietici dei sovietici."
E, per lui, non era un'accusa da poco.

La Repubblica, 27 ottobre 1991