Aldo Cazzullo

«Padre Pio, un immenso inganno»

Nel libro di Sergio Luzzatto (>Padre Pio. Miracoli e politica nell'Italia del Novecento, Einaudi, 2007) ricostruite anche le diffidenti valutazioni del pontefice Giovanni XXIII, che annotava: «I suoi rapporti scorretti con le fedeli fanno un disastro di anime» «Stamane da mgr Parente, informazioni gravissime circa P.P. e quanto lo concerne a S. Giov. Rotondo. L’informatore aveva la faccia e il cuore distrutto». L’informato è Giovanni XXIII. P.P. è Padre Pio. E queste sono le parole che il Papa annota il 25 giugno 1960, su quattro foglietti rimasti inediti fino a oggi e rivelati da Sergio Luzzatto. «Con la grazia del Signore io mi sento calmo e quasi indifferente come innanzi ad una dolorosa e vastissima infatuazione religiosa il cui fenomeno preoccupante si avvia ad una soluzione provvidenziale. Mi dispiace di P.P. che ha pur un’anima da salvare, e per cui prego intensamente» annota il Pontefice. «L’accaduto - cioè la scoperta per mezzo di filmine, si vera sunt quae referentur, dei suoi rapporti intimi e scorretti con le femmine che costituiscono la sua guardia pretoriana sin qui infrangibile intorno alla sua persona - fa pensare ad un vastissimo disastro di anime, diabolicamente preparato, a discredito della S. Chiesa nel mondo, e qui in Italia specialmente. Nella calma del mio spirito, io umilmente persisto a ritenere che il Signore faciat cum tentatione provandum, e dall’immenso inganno verrà un insegnamento a chiarezza e a salute di molti».

«Disastro di anime». «Immenso inganno»

Una delle «tentazioni» con cui il Signore ci mette alla prova. Espressioni durissime. Che però non si riferiscono alla complessa questione delle stigmate, su cui si sono concentrate le prime reazioni al saggio di Luzzatto, «Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento», in uscita la prossima settimana da Einaudi. All’inizio dell’estate 1960, Papa Giovanni è appena stato informato da monsignor Pietro Parente, assessore del Sant’Uffizio, del contenuto delle bobine registrate a San Giovanni Rotondo. Da mesi Roncalli assume informazioni sulla cerchia delle donne intorno a Padre Pio, si è appuntato i nomi di «tre fedelissime: Cleonilde Morcaldi, Tina Bellone e Olga Ieci», più una misteriosa contessa che induce il Pontefice a chiedere se il suo sia «un vero titolo oppure un nomignolo». Nel sospetto - cui il Papa presta fede - che la devozione delle donne nei confronti del cappuccino non sia soltanto spirituale, Roncalli vede la conferma di un giudizio che aveva formulato con decenni di anticipo.

Al futuro Giovanni XXIII, Padre Pio non era mai piaciuto. All’inizio degli Anni ’20, quando per due volte aveva percorso la Puglia come responsabile delle missioni di Propaganda Fide, aveva preferito girare alla larga da San Giovanni Rotondo. Ma è soprattutto la fede ascetica, mistica, quasi medievale di cui il cappuccino è stato il simbolo, per la Chiesa modernista di inizio secolo come per la Chiesa conciliare a cavallo tra gli Anni ’50 e ’60, a essere estranea alla sensibilità di Angelo Roncalli. Che, sempre il 25 giugno, annota ancora: «Motivo di tranquillità spirituale per me, e grazia e privilegio inestimabile è il sentirmi personalmente puro da questa contaminazione che da ben 40 anni circa ha intaccato centinaia di migliaia di anime istupidite e sconvolte in proporzioni inverosimili». E, dopo aver ordinato una nuova visita apostolica a San Giovanni Rotondo, ad appunto quasi quarant’anni da quella compiuta nel 1921, il Papa conclude che «purtroppo laggiù il P.P. si rivela un idolo di stoppa».

Gli appunti di Roncalli rappresentano uno dei passaggi salienti dell’opera di Luzzatto. E, se letti con animo condizionato dal pregiudizio, possono indurre a giudicarla o come una demolizione definitiva della figura del santo, o come un’invettiva laicista contro un fenomeno devozionale duraturo e interclassista. Ma sarebbero due letture sbagliate. Il giudizio di Luzzatto su Padre Pio non è quello sommariamente liquidatorio, che si è potuto leggere ad esempio nel recente e fortunato pamphlet di Piergiorgio Odifreddi. Luzzatto prende Padre Pio molto sul serio. E, con un lavoro durato sei anni, indaga non solo sulla sua biografia, ma anche e soprattutto sulla sua mitopoiesi: sulla costruzione del mito del frate di Pietrelcina e sulla sua vicenda, profondamente intrecciata non solo con quella della Chiesa italiana, ma anche con la politica e pure con la finanza. Un mito che nasce sotto il fascismo (Luzzatto dedica pagine che faranno discutere al «patto non scritto» con Caradonna, il ras di Foggia; ed è un fatto che le prime due biografie di Padre Pio sono pubblicate dalla casa editrice ufficiale del partito, la stessa che stampa i discorsi del Duce). Ciò non toglie che l’esito di quella ricerca sarà inevitabilmente elogiata e criticata, com’è giusto che sia. Ma anche gli stroncatori non potranno non riconoscere che uno studioso estraneo al mondo cattolico ha affrontato la figura del santo con simpatia, nel senso etimologico, e non è rimasto insensibile al fascino di una figura sovrastata da poteri - terreni prima che soprannaturali - più grandi di lei, e (comunque la si voglia giudicare) capace di alleviare ancora oggi il dolore degli uomini e di destare un interesse straordinario.

Scrive Luzzatto che «l’importanza di Padre Pio nella storia religiosa del Novecento è attestata dal mutare delle sue fortune a ogni morte di Papa». Benedetto XV si dimostrò scettico, permettendo che il Sant’Uffizio procedesse da subito contro il cappuccino. Più diffidente ancora fu Pio XI: sotto il suo pontificato si giunse quasi al punto di azzerarne le facoltà sacerdotali. Pio XII invece consentì e incoraggiò il culto del frate. Giovanni XXIII autorizzò pesanti misure di contenimento della devozione. Ma Paolo VI, che da sostituto alla segreteria di Stato aveva reso possibile la costruzione della Casa Sollievo della Sofferenza, da Pontefice fece in modo che il frate potesse svolgere il suo ministero «in piena libertà». Albino Luciani, che per poco più di un mese fu Giovanni Paolo I, da vescovo di Vittorio Veneto scoraggiò i pellegrinaggi nel Gargano. Mentre Wojtyla si mostrò sempre profondamente affascinato dalla figura del cappuccino, che sotto il suo pontificato fu elevato agli altari.
Non è in discussione ovviamente la continuità morale e teologica tra i successori di Pietro. Però è impossibile negare che i Pontefici succedutisi nel corso del Novecento abbiano guardato a Padre Pio con occhi diversi, comprese le asprezze giovannee. E, come documenta Luzzatto, quando La Settimana Incom illustrata sparò in prima pagina il titolo Padre Pio predisse il papato a Roncalli, compreso il dettaglio di un telegramma di ringraziamento che il nuovo Pontefice avrebbe inviato al cappuccino, Giovanni XXIII ordina al proprio segretario di precisare all’arcivescovo di Manfredonia che era "tutto inventato": «Io non ebbi mai alcun rapporto con lui, né mai lo vidi, o gli scrissi, né mai mi passò per la mente di inviargli benedizioni; né alcuno mi richiese direttamente o indirettamente di ciò, né prima, né dopo il Conclave, né mai».

Corriere della Sera, 25 ottobre 2007

Mario Guarino

Santo impostore. Controstoria di padre Pio

(1ª ed. Beato impostore, 2000). Milano, Kaos 2004, pp. 175, € 14,00)
Mario Guarino, già autore dei Mercanti del Vaticano (dettagliatissimo reportage sulle scorrerie finanziarie della Chiesa cattolica), ci propone ora una biografia “non autorizzata” sul santo e agitatore politico più in voga del momento. All’epoca della recensione questo volume era noto come Beato impostore. Successivamente è subentrata la santificazione di Francesco Forgione e il libro ha cambiato nome in Santo impostore. Il lavoro di Mario Guarino si basa soprattutto su fonti cattoliche: libri agiografici, entusiasti oltre ogni limite, e documenti ecclesiastici: quasi sempre, invece, dai contenuti particolarmente negativi nei confronti di padre Pio. Guarino accumula così un’impressionante mole di notizie che rendono il frate delle stimmate un personaggio terreno, assolutamente terreno nei suoi comportamenti, tale da rendere veramente discutibile la sua beatificazione anche da un punto di vista fideista: dalle finte malattie per evitare il trasferimento in un convento sgradito alle raccomandazioni per evitare il servizio militare. Non manca, all´interno del testo, la dettagliata ricostruzione di una strage avvenuta nel 1920 a San Giovanni Rotondo, che causò addirittura 11 morti e un centinaio di feriti, e causata da un gruppo di “Arditi di Cristo” dell´entourage del frate per protestare contro la legittima vittoria nelle elezioni comunali del partito socialista.

Di particolare interesse, inoltre, le pagine dedicate alla c.d. “Operazione Candelabri”: per impedire il trasferimento del frate: il podestà fascista e un avventuriero suoi sodali fecero stampare all´estero un libello diffamatorio nei confronti delle gerarchie vaticane. Il ricatto andò a segno e padre Pio poté tornare alle sue normali attività. Non manca neanche, nel 1957, una truffa miliardaria rifilata dal solito “buon finanziere cattolico” ai cappuccini di San Giovanni Rotondo. Frati legati al voto di povertà che, abbagliati dalla promessa di lucrosi tassi d´interesse nell´ordine del 70 per cento, vengono raggirati senza che i tanto millantati poteri soprannaturali fossero di alcun aiuto al futuro santo al fine di scongiurare l´imbroglio.

Nel racconto l´abilità dimostrata nello sfuggire a ogni verifica scientifica delle fantomatiche stimmate riconduce, inoppugnabilmente, la vita di padre Pio a quella di un comune mortale, con i suoi vizi (tanti) e le sue virtù (discutibili). Gli ultimi due capitoli sono dedicati al business legato al cappuccino.

L´ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, fondato dal frate, dopo le sue disavventure finanziarie nel corso degli anni Settanta che costrinsero il Vaticano a intervenire, è ora una struttura di potere politico che incassa, annualmente, diversi miliardi dallo Stato e dalla Regione Puglia, diversi dei quali girati (come provvigione?) al Vaticano stesso. La magistratura ha avviato delle indagini sulla vicenda. Quanto al convento, si narra degli otto miliardi affidati dai fedeli per costruire una nuova chiesa e svaniti nelle mani dell´ennesimo “buon finanziere cattolico”, delle concessioni edilizie concessegli in deroga al Piano Regolatore, nonché del business legato a souvenir e gadget vari: un mercato, del resto, fiorito molti anni prima, vivo il padre, con il mercimonio - invero “pulp” - delle pezzuole di stoffa usate per tamponare le sue stimmate insanguinate.

Un libro molto documentato, quindi: una voce fuori dal coro che fa emergere, sullo sfondo, un´Italia culturalmente arretrata, con una parte della popolazione che non vuole o non riesce a uscire da una realtà intrisa di superstizione.