Paolo Flores D'Arcais

Le ragioni dei laici

la Repubblica 17 gennaio 2008

Caro direttore, posso esprimere la mia perplessità per l'unanime concerto politico e mediatico che giudica il regnante pontefice vittima della prevaricazione e della intolleranza di un "laicismo fondamentalista"? Prevaricazione che impedirebbe al Papa di parlare e perfino di muoversi liberamente nella sua città?
Certo, un viaggiatore che arrivasse per la prima volta in Italia, alle lettura dei giornali in aereo si farebbe l'idea che da noi la Chiesa cattolica è perseguitata, e che un forsennato laicismo ha messo al suo supremo Pastore la mordacchia. Ma soggiornando per qualche settimana, e informandosi ogni sera da un diverso telegiornale, scoprirebbe con stupore che Joseph Ratzinger è libero di parlare, eccome, e che anzi è di fatto l'onnipresente editorialista dei telegiornali pubblici e privati, che riprendono ogni sua dichiarazione, importante o meno che sia, con enorme e compunto rilievo.
Ma all'Università gli hanno impedito di aprire bocca, si dirà. Proviamo a stare ai fatti. Il Magnifico Rettore e la maggioranza del Senato Accademico decidono di invitarlo all'inaugurazione dell'anno accademico, momento simbolico per eccellenza per la scienza e il sapere (come l'inaugurazione dell'anno giudiziario per la giustizia). Non è chiaro se in quanto Papa Benedetto XVI o in quanto prof. Ratzinger, e se per una "lectio magistralis" o in qualità di "ospite" (le autorità accademiche della Sapienza accrediteranno via via versioni contrastanti). Un gruppo di docenti di Fisica esprime la sua contrarietà. Alcuni gruppi di studenti dichiarano che daranno luogo a concomitanti e pacifiche manifestazioni irridenti.
Ora, non è lecito che alcuni docenti giudichino sbagliata la scelta di invitare Papa Ratzinger come unico "ospite" all'inaugurazione dell'anno accademico? Se, poniamo, la scelta del rettore Guarini fosse caduta, anziché su Benedetto XVI, su - che so - Tariq Ramadan, da molti considerato un islamico antidogmatico e "aperto" e dunque interlocutore fondamentale per l'Occidente, personalmente io avrei protestato, e con me forse molti di quanti oggi giudicano inammissibile la protesta dei 67 scienziati romani per l'invito in esclusiva a Ratzinger. E qualche gruppo di studenti avrebbe indetto qualche manifestazione, più o meno folcloristica e irridente, contro le posizioni di Ramadan. E nessuno avrebbe parlato di inammissibile censura nei confronti di quest'ultimo.
E allora, cosa c'è di scandaloso o di prevaricatorio nelle posizioni espresse dal professor Marcello Cini e dai suoi autorevolissimi colleghi scienziati? Avrebbero voluto che invece di Ratzinger, quale "ospite" per l'inaugurazione dell'anno accademico fosse invitata una personalità più consona all'istituzione e alla cerimonia. Tutto qui.
Con buone argomentazioni, mi sembra. Entriamo nel merito. L'università è, come vuole la retorica, il "Tempio" della scienza e del sapere. Dell'autonomia del sapere, della ricerca libera da dogmi.
Sarebbe logico pensare, come "invitato" (invitato unico, ripetiamolo) proprio a una grande personalità della scienza. Tanto più in un momento in cui, in tutto il mondo, il cuore della scienza contemporanea, il darwinismo, viene attaccato dai più diversi oscurantismi ideologici o religiosi.
Sarebbe logico, insomma, pensare a una Levi Montalcini, che tiene alto il nome dell'Italia nel mondo, o, se si vuole una personalità straniera, a colui che, dopo la morte di Stephen Jay Gould, è il più noto darwinista vivente, Richard Dawkins.
Ma, si è obiettato, la Sapienza voleva un "ospite" che incarnasse l'impegno per la pace. In questo caso, più che mai, si davano scelte assai più congrue rispetto a quella del regnante pontefice, che su questo versante non ha fin qui avuto modo di illustrarsi significativamente (a meno che non si pretenda che un Papa è, ipso facto, la migliore delle icone di pace possibili). Dal Dalai Lama a scrittori come Yeoshua o Rushdie, da Noam Chomsky fino a Gino Strada (certamente l'italiano che nel mondo è considerato il più impegnato concretamente per la pace).
Non mi sembra perciò che abbia riscontri nella realtà l'immagine di un laicismo "fondamentalista" che vuole tappare la bocca al Papa, di fronte a una Chiesa davvero laica e aperta al dialogo con ogni ateismo contemporaneo. Perché il rettore Guarini non aveva affatto scelto la via del dialogo ma del monologo. L'invito era solo per il Papa, e ad avere spazio di "ospite" sarebbe stata solo la sua Parola. Se il sapere esige dialogo tra i diversi punti di vista (come si va ripetendo contro i 67 scienziati), perché il senato della Sapienza non ha invitato Joseph Ratzinger e Richard Dawkins?
Perché un solo punto di vista? Punto di vista, oltretutto (non facciamo finta di nulla) di un Papa e di una Chiesa gerarchica che si stanno segnalando per: a) un attacco sempre più sistematico al darwinismo (la cui scientificità non sarebbe accertata, vedi volume ratzingeriano appena uscito in Germania) e b) un attacco di inaudita violenza alle donne che abortiscono, la cui scelta viene equiparata esplicitamente all'omicidio.
Campagna, quest'ultima, sulla cui gravità e relative implicazioni mi sembra non ci si indigni abbastanza (o addirittura affatto). Eppure, se qualcuno accusasse il cardinal Ruini di essere un ladro e il cardinal Bertone di essere un assassino, sarebbe tutto uno stracciarsi di vesti (e fioccherebbero querele). Perché i prelati della Chiesa gerarchica e il loro Sommo Pontefice possono invece impunemente accusare tutte quelle donne del più grave dei reati del codice penale, di essere delle assassine? Se ricordassero loro che sono in peccato mortale, e rischiano le pene dell'inferno, nulla da ridire. Ma accusarle di essere "assassine" questo è ignobile e inammissibile, oltretutto da parte di chi, volendo impedire l'uso del preservativo contro l'Aids, è corresponsabile della morte di migliaia e migliaia di persone solo in Africa (persone, non embrioni).
Infine, l'accusa più incredibile, ma che ormai dilaga su ogni telegiornale: gli studenti erano pronti alla violenza per impedire al Papa di parlare. Eppure sia il premier Romano Prodi che il ministro dell'Interno Giuliano Amato hanno dichiarato che non sussisteva il minimo rischio per la sicurezza del Papa. Perché allora si continua con questa menzogna, con questo processo alle intenzioni?
Nessuno ha impedito al Papa di recarsi alla Sapienza e di essere, nell'Aula Magna, l'unico e monopolistico "ospite". Ma il Papa ha "rinunciato", cioè ha rifiutato, perché non ha accettato che, a qualche centinaia di metri di distanza, alcuni professori discutessero di scienza in termini antitetici ai suoi e alcuni studenti irridessero con maschere e cartelli ai suoi dogmi (attività sulla cui legittimità si spera nessuno abbia da obiettare, perché costituzionalmente garantite). Il Papa, insomma, pretendeva non solo il monopolio della ospitalità in Aula Magna ma anche l'unanime plauso dentro e fuori. Mancando tale unanimità, con perfetta astuzia politica ha preferito fare la grande rinuncia, e passare per vittima di una prevaricazione laicista inesistente. Visto che se ci sono posizioni che ormai stentano ad aver cittadinanza in tv, e al massimo trovano "asilo" in spazi marginali, sono quelle laiche (di credenti o atei che siano).

* nel 1905 in Francia entra in vigore la legge sulla laicità dello stato. Il primo articolo garantisce la "libertà di coscienza e il libero esercizio dei culti". Nel secondo si precisa che "la Repubblica non garantisce né il salario né le sovvenzioni ad alcun culto"

Edmondo Berselli

Laicisti e clericali

la Repubblica 18 gennaio 2008

L'ostracismo della Sapienza, con papa Ratzinger indotto dalle contestazioni a rinunciare all'invito che gli aveva rivolto l'università di Roma, sembra per molti aspetti un esito fuori stagione di un rapporto fra lo Stato e la Chiesa che è stato oggetto di fortissime tensioni durante la storia italiana degli ultimi centocinquant'anni.
Da un lato è facile infatti comprendere l'animo anticlericale delle élite risorgimentali, che si trovavano di fronte il papa re e il potere temporale, insieme con la rete episcopale ed ecclesiastica, concepiti come un simbolo reazionario di resistenza alle ambizioni nazionali e un macigno sull'unificazione. Tanto più che furono gli stessi protagonisti rivoluzionari del Risorgimento, a cominciare da Mazzini a Garibaldi, a individuare ben presto nel papato il "fattore di blocco" del nazionalismo ottocentesco.
Mazzini con la sua religiosità popolare, sostanzialmente aliena dalle organizzazioni formalizzate della gerarchia cattolica, sulla scia di quel "Dio e popolo" che lo avrebbe condotto all'avventura della Repubblica romana nel 1848, finita l'anno dopo contro i francesi del generale Oudinot nella battaglia del Gianicolo; e l'Eroe dei due mondi, autore del motto "I preti alla vanga!", che non avrebbe mai nascosto, a cominciare dalle sue prove letterarie, l'avversione quasi fisica che gli ispiravano tonache e porpore, cioè gli appartenenti a una "setta contagiosa e perversa" (dovrebbe appartenere gli annali della comicità nazionale l'episodio in cui Garibaldi chiede al Vaticano di annullargli il matrimonio, offrendo in cambio, forse neppure senza sarcasmo, di cambiare il nome al proprio somaro, in precedenza spregiosamente battezzato "Pionono").
L'aneddotica anticlericale e di riflesso la suscettibilità cattolica avrebbero memorizzato nei decenni la definizione garibaldina di Pio IX come "un metro cubo di letame". Ma è anche vero che la breccia di Porta Pia, con i bersaglieri che irrompono contro gli zuavi del papa, era per la chiesa una ferita pressoché insanabile. Perché essa non significava solo un atto violento di espropriazione, motivato dagli slogan patriottici, ma rappresentava una sorta di alterità irrimediabile delle classi dirigenti postunitarie, con la loro cultura liberoscambista, le affiliazioni massoniche e un anticlericalismo spesso esplicito.
A lungo, per il mondo cattolico, il "libera Chiesa in libero Stato" propugnato dal conte di Cavour venne percepito dal clero e dai fedeli come l'intenzione di estromettere la religione dalla vita pubblica, «escludendola dalla società civile, dal mondo della politica, dall'istruzione, dalla scienza», come ebbe a scrivere il laico Giovanni Spadolini (e come una violazione altrettanto grave era apparsa a metà dell'Ottocento la legge del parlamento piemontese, voluta da Cavour e Rattazzi, volta alla soppressione di numerosi enti religiosi e all'acquisizione dei loro beni).
Che l'astio reciproco fosse più che visibile lo si può desumere dalle scomuniche inflitte ai "piemontesi" dal papa, e più diffusamente lo si può cogliere sull'altro fronte nel proliferare in politica di inni, canti, poemetti e illustrazioni di tipico stampo anticlericale, di cui L'Asino fondato dal carducciano, e quindi "satanico", Guido Podrecca è soltanto l'esempio più noto (semmai, è la vita di Podrecca, deputato socialista, interventista e infine candidato nel 1919 nelle liste fasciste, a testimoniare la trasversalità evolutiva dell'anticlericalismo).
D'altronde, se i primi due decenni del Ventesimo secolo sono scanditi dall'emergere dei partiti di massa, e fra questi delle organizzazioni politiche dei cattolici, dopo il "non expedit", il patto Gentiloni e l'azione dei popolari sturziani, l'avvento del fascismo significò per l'Oltretevere una profonda ambiguità: agli occhi della chiesa, Benito Mussolini era il "lazzarone" romagnolo che in gioventù era stato un anticlericale virulento, fra l'altro autore nel 1910 del romanzo scandaloso L'amante del cardinale; per poi diventare secondo Pio XI "l'uomo della Provvidenza" con i Patti Lateranensi del 1929; ma restando anche agli occhi di molti fedeli il persecutore del movimento di Azione cattolica (tanto che un'enciclica del 1931 avrebbe definito l'ideologia fascista «una vera e propria statolatria pagana»).
Nel secondo dopoguerra invece lo scontro fu dominato e a suo modo modellato dal confronto fra Dc e Pci. Vero è che alle spalle c'è il drammatico "scontro di civiltà" rappresentato dalle elezioni del 18 aprile 1948, precedute dalle processioni, i comitati civici, i microfoni di Dio, le madonne piangenti, e seguite dalla scomunica inflitta da Pio XII ai comunisti. Ma, sotto un altro punto di vista, a partire dall'Assemblea costituente e in particolare dalla decisione di Palmiro Togliatti di approvare l'articolo 7 della Carta costituzionale, che recepiva il Concordato, la traiettoria politica dell'Italia repubblicana si è disegnata in larga misura sul profilo del rapporto fra comunisti e cattolici.
Si tratta di un rapporto che si è sviluppato su due piani: sul terreno istituzionale, come un rapporto fra due poteri, due autentiche "chiese", dotate dei propri ambasciatori e di specifici ancorché sottaciuti canali diplomatici; in campo politico invece nel tentativo da parte comunista di trovare intese con la parte progressista del cattolicesimo da far confluire nel solco delle "grandi masse".
Il lato specificamente anticlericale, nella seconda Repubblica, è risultato quindi un'esclusiva di ambienti molto ristretti e scarsamente popolari, a meno di non voler considerare espressamente "anticlericali" le campagne civili dei radicali a favore del divorzio e della depenalizzazione dell'aborto. Per risentire vibranti accenti sostanzialmente anticlericali occorre riandare al congresso socialista di Milano nel 1991, allorché Bettino Craxi, l'autore del nuovo concordato con il Vaticano, se la prese con il "clero politicante" e il suo rinnovato attivismo.
Per qualche aspetto, l'anticlericalismo sembra un atteggiamento semplicemente fuori moda. Ma è anche possibile che il permanere di un attrito e il riaffiorare di tensioni fra settori della società italiana e la Chiesa derivi da quello che Ernesto Galli della Loggia ha definito «l'incontro mancato» fra liberali e cattolici. Secondo questa interpretazione, il liberalismo nel nostro paese non è mai diventato un orientamento politico di massa proprio perché i liberali non hanno saputo "dirsi cristiani", cioè fare i conti con l'antropologia profonda dell'Italia. Nello stesso tempo, può anche darsi che la dissoluzione delle forze politiche "costituenti" negli anni Novanta abbia tolto autoconsapevolezza e sicurezza alla cultura politica. E che l'anticlericalismo di oggi dipenda in fondo dall'incertezza delle idee, di fronte invece all'intenso pressing intellettuale del papa e dei suoi seguaci, credenti o semplicemente devoti.



Pietro Greco

Ma io quei professori li difendo

l'Unità 18 gennaio 2008

Saranno anche stati ingenui, politicamente. Ma non meritano certo la pubblica gogna cui sono sottoposti in queste ore dalla gran parte dei giornali, delle radio e delle televisioni i 67 professori che hanno giudicato “incongruo” l’invito che il loro Rettore, Renato Guarini, ha rivolto al Papa, Benedetto XVI, affinché inaugurasse il nuovo anno accademico dell’università La Sapienza di Roma. Anzi, il loro comportamento è stato del tutto corretto nel metodo e sufficientemente fondato nel merito.
Cosa hanno fatto, dunque, i 67? Hanno scritto, nel lontano mese di novembre, una cortese, anche se ferma, lettera al loro Rettore per criticare un'iniziativa che giudicavano “incongrua”. Non hanno contestato la legittimità dell'invito che Renato Guarini ha rivolto al Papa. Né hanno minacciato le barricate. Si sono limitati a esprimere per iscritto un giudizio di congruità, esercitando un loro diritto. Anzi, un loro dovere. Qualsiasi atto nell’università, anche se proposto dal Rettore e approvato a maggioranza dal Senato accademico, può essere sottoposto a critica. E se un docente o uno studente giudica “incongruo” che ad aprire l’anno accademico - atto di notevole pregnanza simbolica - sia Tizio piuttosto che Caio, ha tutto il diritto di farlo presente al suo Rettore. E quell'espressione di un giudizio non può essere in alcun modo considerata un tentativo di censura.
Tanto più nel mondo delle scienze, naturali e umanistiche, dove l’analisi critica, palese e anonima, è la norma assoluta. E dove - come insegna il sociologo Robert Merton - non vale, in alcun caso, l’ipse dixit. Nell’università una critica, a chicchessia - fosse anche al Papa - non può essere considerata di per sé un atto di intolleranza, ma al contrario è un'interpretazione piena di laicità e democrazia vissuta.
Naturalmente, la critica può essere a sua volta criticata. E giudicata sbagliata nel merito. C’è, dunque, un palese errore di merito nel giudizio di “incongruità” espresso dai 67 professori al loro Rettore sul fatto che a inaugurare con una “lectio magistralis” (di questo si parlava a novembre) l’anno accademico 2007/08 dell’università La Sapienza di Roma fosse il Papa, Benedetto XVI?
Francamente, non pensiamo. In discussione, infatti, non è se un Papa possa parlare in un’università.
È già successo, in molte università e in molti paesi. Con soddisfazione di tutti. È successo anche alla Sapienza: per esempio, il 17 maggio 2003 quando Giovanni Paolo II che fece un applaudito intervento ricevendo una laurea “honoris causa”.
I 67 professori hanno messo in discussione due cose. Primo: se è congruo che un Papa o una qualsiasi autorità religiosa inauguri l’anno accademico, ovvero compia un gesto di alto valore simbolico (nessuno più dei religiosi conosce il valore dei simboli) in un’istituzione laica. È un po’ come se a tenere l'udienza il primo mercoledì dell’anno in sala Nervi in Vaticano venisse chiamato il Presidente della Repubblica italiana. L’evento sarebbe da molti giudicato non congruo.
Secondo: i 67 si sono chiesti se è congruo che a inaugurare l’accademico all’università di Roma sia quest’anno, questo Papa, Benedetto XVI. Che nei suoi tre anni di magistero non solo si è trovato, più volte, a polemizzare con svariati ambienti scientifici su singole questioni (dalla ricerca sulle staminali embrionali al darwinismo), ma ha addirittura affermato (proprio in un’università, a Regensburg) che una scienza senza la guida della fede è cieca. Il Papa può legittimamente proporre questo rapporto asimmetrico tra scienza e fede. Ma è altrettanto legittimo (anzi, è auspicabile) che uno scienziato - o una qualsiasi persona laica - possa contestarlo. La scienza rivendica come suo valore fondante l’universalismo. Può contribuire pienamente al suo sviluppo chiunque: a prescindere dal sesso, dalla razza e, appunto, dalla fede religiosa. I cattolici non fanno scienza meglio dei protestanti, degli islamici o dei non credenti. E affermarlo, come hanno fatto i 67, può essere politicamente ingenuo (bisogna sempre calcolare gli effetti indesiderati di ogni propria azione), ma non è affatto oltraggioso. Anzi, è addirittura meritorio.
Invece, i 67 che hanno esercitato questo diritto di critica - corretto nel metodo, e ben fondato nel merito - sono stati messi alla pubblica gogna. La gran parte degli editorialisti li ha accusati di intolleranza, di attentato alla laicità e alla democrazia. Un ex ministro ne ha chiesto il licenziamento, come successe ai tempi del fascismo a chi rifiutò il giuramento al regime. Un ex segretario di partito li ha definiti ignoranti e un ex Presidente della Camera li ha definiti imbecilli senza forse sapere che tra quei 67 più d’uno è in odore di Nobel.
Non dobbiamo preoccuparci per il giudizio - certo criticabile, ma legittimo nel metodo e ben fondato nel merito, espresso dai 67 - ma faremmo bene a preoccuparci del conformismo di un paese che tratta così sessantasette persone che hanno l’unico torto di aver fatto emergere con ingenua determinazione l’esistenza di un nodo, quello dei rapporti tra chiesa e società, che negli ultimi tempi si è aggrovigliato e si è stretto fino a diventare a volte doloroso.

Francesco Burgos

Ratzinger non Sapiens

Cari amici laici che non avete sostenuto la protesta degli studenti e che anzi li avete severamente redarguiti, mi dispiace che il papa abbia rifiutato il dialogo con voi. Sono rammaricato che davanti ad ogni vostra apertura, ad ogni vostro gesto distensivo, lui reagisca chiudendovi la porta in faccia, anzi rilanciando.

Lui è fatto così e fin da ragazzo, quando aderì alla gioventù hitleriana, ha dimostrato di apprezzare solo il confronto vivace e duro e che dei fedeli sudditi e sudeti non ha nessuna considerazione. Li disprezza, li ignora o al limite si diverte ad umiliarli.

Il Rettore di Firenze vuole invitarlo. Noi siamo pronti ad accoglierlo per un dialogo a 360 gradi C. (magari ad Arcetri...)

Cari laici devoti, voi da che parte starete?

Napolitano ha chiesto scusa al Papa. Ruini non ringrazia, anzi si lamenta del ritardo con cui le scuse sono arrivate.

Conclusioni:

1) La Repubblica Italiana umiliata per l'inutile servilismo del suo incompetente Presidente.

2) La Chiesa vuole la resa incondizionata dei suoi interlocutori, non accetta compromessi.

3) Non ha senso piegare la schiena, come hanno fatto i Mussi e i Veltroni.

don Aldo Antonelli

Perché


"Chi semina vento raccoglie tempesta"!

A me non piace ricorrere ai detti o citare proverbi perché li ritengo la tomba della ragione, una sorta di cristallizzazione della pigrizia mentale. Ma questa volta il detto/proverbio mi si è presentato immediato e spontaneo nella sua apoditticità.

Quando ci si ingolfa in un processo di sovraesposizione, mediatica e/o politica che sia, non ci si può che aspettare una reazione altrettanto alta di intolleranza e di insofferenza.

Da troppi anni andiamo assistendo ad una prevaricazione da parte della gerarchia ecclesiastica che mortifica la politica, emargina la diversità e condanna l'altrui pensiero. La brama ossessiva e possessiva nel rivendicare privilegi ed esenzioni, finanziamenti e protezioni; gli interventi altezzosi sul parlamento perché legiferi a suo (di lei Chiesa) piacimento; la miopia tutta autoreferenziale nel non scorgere valori là dove laicamente pur ci sono; tutto ciò ha contribuito a infliggere nella Chiesa una mutazione genetica tale da rendere difficile scorgere sul suo volto i lineamenti di quella comunità nella quale "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo" (Lumen Gentium 1). Il volto di tenerezza e di simpatia che guarda al mondo con la passione dell'attenzione e dell'amore ha lasciato il posto, in questi lunghi e tristi anni, alla maschera del cipiglio che ordina e redarguisce. Il pastorale è diventato bastone, al grembiule del servo è stato sostituito il paludamento del principe e la testimonianza, unica, legittima forma di presenza della chiesa nella società, ha ceduto il passo all'ordinanza.
Questo stravolgimento, a sua volta, ha trasformato la base stessa della chiesa "appiattita sulle logiche dello scambio, impoverita di ogni slancio profetico, lontana dal compito di offrire ad una società inquieta e per tanti aspetti lacerata motivi di fiducia, di speranza, di coesione" come ebbe a dire Pietro Scoppola già nel febbraio del 2001.  La penna di Eugenio Scalfari, su Repubblica di domenica 13 Gennaio, ha descritto molto bene la situazione disastrosa in cui è stata ridotta ultimamente la comunità ecclesiale e quella civile insieme. «In Italia ci sono oggi due minoranze, quelle dei cattolici autentici e quella degli autentici laici. In mezzo c'è un corpaccione di laici e di cattolici "dimezzati", che ostentano virtù civiche e religiose che non praticano affatto. Quella è la maggioranza del paese». E aggiunge «Il guaio è che la gerarchia ecclesiastica e il Magistero non sono affatto turbati da questa situazione paganeggiante. La loro preoccupazione è l'otto per mille, i contributi pubblici..»

Ora, se una tale affatto evangelica presenza della Chiesa nel paese lascia l'amaro in bocca a molti credenti, teologi e semplici fedeli, cosa non può creare nella coscienza dei dubbiosi e dei diffidenti? Se questa regia devastante riesce a disaffezionare il fedele, come non seminerà odio e risentimento nell'animo del miscredente?

Non c'è dubbio che nel ritorno di questo vecchio e becero anticlericalismo una buona parte di responsabilità è da addebitare alla chiesa stessa.

Il cardinale Ruini, sordo e miope allo stesso tempo, invece che chiedersi se non sia stato lui stesso il fautore di tanto sfascio, pervicacemente insiste sulla linea dello scontro, convocando in piazza San Pietro tutti i romani che "amano il papa". Ci toccherà assistere ancora una volta al pubblico concubinaggio tra chiesa e politica, tra semplici, sprovveduti fedeli e interessati opportunisti politici, tra l'impudenza di atei devoti e l'imprudenza di pietosi devoti. 

Siamo lontani anni luce dalla chiesa che emergeva dal Vaticano II, che era una Chiesa più attenta a lavare i piedi dell'umanità che non preoccupata di curare le vesti che portava addosso.

Lontani dall'ardire del grande teologo Enrico Chiavacci che nel 1996 scriveva: «Nessuna preoccupazione per il proprio trionfo e neppure per la propria sicurezza e tranquillità deve dettare le scelte della Chiesa... Tutte le espressioni esterne di autocompiacimento, di reclamizzazione o promozione dell'immagine, di trionfo ecclesiastico, devono essere senza esitazione bandite; esse annunciano un vangelo falso, e rendono non credibile l'autentico annuncio cristiano».

Antrosano, 16 Gennaio 2008

link 1 e link 2

Livio Fanzaga

Vade retro Galileus!

"All'università c'è l'odio di Satana che agisce contro Dio e contro la Chiesa. Una forza virulenta ispirata dall'Inferno."

"Dietro questi personaggi c'è sempre il maligno. Certi professori hanno le corna e la coda: se li spruzzi di acqua santa fumano, come negli esorcismi più tremendi."

Così il terrorista Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria (che, per inciso, con i suoi 850 ripetitori, è la più importante radio cattolica del mondo, e in Italia è forse seconda solo alla Rai).