Leonardo Raito

Il Pci e la Resistenza in Friuli Venezia Giulia

 

[lo scritto che qui pubblichiamo è in alcun parti discutibile, ma è un serio contributo]

La spinosa questione dei territori di confine annessi all'Italia con i trattati di pace seguiti alla Grande Guerra, ma con una consistente popolazione slovena e croata, apparve in concreto già l'8 settembre 1943, quando alla firma dell'armistizio con gli Alleati conseguì la capitolazione italiana.
L'opera di Elena Aga Rossi e di Vicotr Zaslavsky "Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca" a tal proposito, è illuminante:
"Il movimento per la liberazione della Jugoslavia, guidato dal partito comunista dichiarò l'annessione del cosiddetto "litorale sloveno", dell'Istria e del "litorale croato" alla "nuova Jugoslavia" comunista. Questa decisione provocò l'immediata reazione di Togliatti, in quel periodo ancora a Mosca, che in una lettera a Dimitrov, senza entrare nel merito del contenzioso territoriale, la caratterizzò "prematura" e tale da seminare divisioine tra i ue popoli e tra i rispettivi partiti comunisti."

La posizione sovietica sulla questione è chiara da tempo, fin dalla dichiarazione di guerra italiana all'URSS nel 1941, a seguito dell'attacco esco a Stalin. Nel dicembre 1941, a seguito ella visita del ministro degli esteri britannico Eden a Mosca, Stalin propone la firma di un protocollo segreto per la riorganizzazione dei confini dell'Europa a guerra finita. Tra i punti principali, la ricostituzione della Jugoslavia nei suoi vecchi confini, magari con un ampliamento a spese dell'Italia, appropriandosi di Trieste, Fiume e delle isole dell'Adriatico. Togliatti all'inizio è scettico, quasi contrario. Rileggendo i passi della biografia scritta da Giorgio Bocca, pare convinto a riuna restaurazione dell'amministrazione reazionaria italiana, cioè si creerà una situazione profondamente diversa da quella che esiste nella parte libera dell'Italia […] questa direttiva vale anche e soprattutto per la città di Trieste.
Noi non possiamo ora impegnare una discussione sul modo come sarà risolto domani il problema di questa città, perché questa discussione può oggi soltanto servire a creare discordia tra il popolo italiano e i popoli slavi […] una linea diversa si risolverebbe in un appello alla occupazione di Trieste da parte delle truppe inglesi […] i compagni, i buoni democratici e tu per primo dovete capire che l'interessa supremo oggi è quello della lotta contro il fascismo e per la democrazia"

Appare in modo netto una presa di posizione a favore delle truppe partigiane jugoslave, una scelta importante, forse decisiva ai fini della risoluzione della questione giuliana. Nella Venezia Giulia operano due grandi organizzazioni partigiane: la "Garibaldi - Natisone", di chiara ispirazione comunista, e la "Osoppo" formazione di partigiani bianchi. Se nella resistenza italiana, il raggiungimento del bene comune riusciva a superare le barriere di pensiero, questo non avvenne in Venezia Giulia. Gli scontri raggiunsero in taluni casi l'apice di efferata violenza.
Credo opportuno andare a verificare l'esperienza del suddetto Vincenzo Bianco, noto anche come "Vittorio" nei complicati rapporti tra PCI e PCS. Mi soccorrono, in tale difficile compito, svariate opere edite. Gateano La Perna nel suo "Pola, Istria e Fiume 1943-45" edito da Mursia va a sottolineare il ruolo centrale di Bianco e scrive:
"All'inizio della primavera di quell'anno (1944), la direzione per l'Alta Italia del PCI aveva designato il torinese Vincenzo Bianco "Vittorio" a rappresentarla presso il Comitato Centrale del PCS. Bianco, che si trovava a Mosca, raggiunse la sua nuova destinazione con un aereo sovietico che in aprile lo paracadutò in Slovenia, assieme ad altri agenti. Presso il massimo organo comunista sloveno "Vittorio" rimase diverse settimane ed ebbe modo così di conoscere direttamente il punto di vista degli slavi sulle principali questioni allora sul tappeto. Verso la metà di giugno egli si trasferì nella Selva di tarnova dove ebbe numerosi contatti con gli esponenti dell'OF e con i responsabili militari dell'EPL."
A questo punto, se non è più in dubbio la grande importanza di Vincenzo Bianco, sottolineata anche dalle ricerche di Gianni Oliva e di Arrigo Petacco, in testi recentemente pubblicati dalla Mondadori, sembra davvero fondamentale studiare con attenzione le vicende che vedono implicitamente chiamato in causa "Vittorio":
"La prolungata permanenza presso gli sloveni aveva indotto Bianco ad accogliere le loro argomentazioni sulla questione delle rivendicazioni territoriali e a ritenere che le stesse dovessero essere sostenute apertamente anche dai comunisti italiani."
Cos'è successo dunque al sostegno dell'italianità dell'Istria? Perché ragioni politiche danno senso e vigore agli sforzi annessionisti filoslavi? Ma come reagiscono i massimi organi comunisti triestini? Ancora le pagine di G. La Perna ci illuminano:
"[…] Egli [Vincenzo Bianco] decise di trasferirsi a Trieste dove giunse negli ultimi giorni di agosto, subito dopo l'arresto di Frausin e Felluga. La federazione del partito, nonostante le perdite subite, non era ancora passata sotto il controllo degli esponenti filoslavi. Fin dai primi contatti che ebbe con Gigante, che reggeva la segreteria in sostituzione di Frausin e con i suoi collaboratori, si rese subito conto di quanto fossero avversate le pretese slave e le soluzioni da essi prospettate."
Pare evidente che qualcuno non è d'accordo: l'Istria è Italia e la Jugoslavia non può avanzare pretese. Ma la sottile trama della diplomazia segreta fa il suo corso. Nei primi giorni di settembre Bianco partecipa a una riunione con alcuni esponenti sloveni tra cui sono menzionati Anton Vratusa "Urban", Frank Stoka, massimo dirigente di Unità Operaia e dell' OF e Branko Babic. La Perna definisce la riunione "alquanto burrascosa". Cordiale di certo non fu, tanto che Bianco ritenne opportuno rinviare i lavori a un secondo momento, di certo preceduto da un nuovo incontro con il Comitato Centrale del PC Sloveno.
Vincenzo Bianco restò presso gli Sloveni più del previsto, ed ebbe discussioni accese con i vari esponenti politici via via incontrati. Rientrò a Trieste il 18 settembre, ma nel frattempo alcuni avvenimenti non possono essere trascurati.
Il 9 settembre Kardelij, a nome del PCJ aveva inviato alla direzione del PCI per l'alta Italia una lettera con un'analisi politica di quello che stava accadendo nella zona. Si esortavano i vertici italiani a favorire il passaggio delle formazioni partigiane alle dipendenze slave, adducendo come motivazione principale il rischio che, una volta giunti gli alleati, fossero disarmate. La dipendenza dagli Slavi avrebbe fatto sì che, sempre secondo Kardelij, i partigiani, inquadrati nelle formazioni di un paese alleato (la Jugoslavia appunto), non deponessero le armi.
Non mancavano di certo riferimenti espliciti all'appartenenza statale della regione e si invitavano i compagni italiani a non favorire in alcun modo la risorgente reazione e le mire espansionistiche sui territori slavi della Venezia Giulia: gli italiani dovevano rendersi conto che sarebbe stato nel loro interesse vivere in una Jugoslavia progressista piuttosto che in un paese imperialista come l'Italia si delineava.
Il 12 settembre Tito, in un discorso tenuto all'isola di Lissa presenziando alla costituzione di una nuova unità partigiana, diede ulteriore forza alle rivendicazioni territoriali slave. Ribadito il diritto delle genti slave a vedere unite alla patria la Venezia Giulia, la Dalmazia, la Carinzia, concluse con parole tristemente famose:
"Non vogliamo l'altrui, ma il nostro non diamo."

Alcuni giorni dopo il discorso di Lissa si riunì le direzione del Fronte di Liberazione della Slovenia, l'OF.
Alla fine dell'assemblea, fu votata all'unanimità con la quale si proclamava l'annessione alla repubblica di Slovenia e con essa alla Jugoslavia federativa di Trieste e dell'intero litorale sloveno.
Riprendiamo ora l'analisi del ruolo di Vincenzo Bianco, ancora una volta dalle pagine di Gaetano La Perna.
"Quando Bianco prese contatto con il Comitato centrale del PC Sloveno venne subito informato, ovviamente delle dichiarazioni di Tito e della deliberazione dell'OF, mentre della lettera di Kardelj alla direzione del PCI per l'Alta Italia egli era venuto a conoscenza prima della sua partenza da Trieste. Subito iniziarono i difficili colloqui con i dirigenti comunisti Miha Marinko, Lijdia Sentjurc e Anton Vartusa. Gli avvenimenti riferiti poc'anzi ebbero naturalmente un peso notevole nelle argomentazioni dei dirigenti slavi e alla fine di estenuanti colloqui che si protrassero per più giorni Bianco venne convinto ad accettare la dichiarazione di annessione fatta dagli sloveni e, più in generale, a condividere tutta la loro linea politica. L'incontro si concluse con l'impegno da parte dell'italiano di inviare alle federazioni comuniste del Friuli e della Venezia Giulia una lettera per informarle di quanto era stato convenuto in quella occasione."

Come si concretizza la reazione di Bianco? Al suo ritorno a Trieste, come promesso, il 24 settembre inviò a tutte le federazioni della regione una lettera "riservatissima" firmata "a nome del CC del PCI", in cui si sottolineava la necessità di porre subito tutte le formazioni partigiane italiane sotto il comando slavo. Ma la cosa peggiore, quella che in un certo senso legittimava le pretese slave, e che esasperata divenne occasione di scorribande e dell'efferato piano di eliminazione di tutte le componenti anticomuniste della zona sarà l'accettazione, contenuta nella lettera dell'annessione di Trieste e del Litorale alla Slovenia come un inevitabile fatto storico. Le precise direttive politiche impartite, se anche avessero voluto porre in salvo i liberi cittadini della Venezia Giulia dalle politiche imperialiste occidentali, in sostanza rappresentarono l'inizio di un lungo calvario che si concluderà con l'esodo di migliaia di italiani dalla terra natia. La "riservatissima" in realtà fu riprodotta in numerose copie ed ampiamente divulgata, scatenando proteste e disorientamento tra i militanti giuliani. Lo stesso PCI non riconobbe le direttive come impartite a proprio nome. La firma "a nome del CC del Pci" costò a Bianco, che aveva nel frattempo raggiunto Milano per relazionare alla direzione, la radiazione dal Comitato Centrale.
Ma tanta severità servì a ben poco. La svolta chiara e la presa di posizione in favore delle pretese slave, rafforzò notevolmente le rivendicazioni dell'OF, dello ZAVNOH e di tutto l'MPL. Segnò inoltre una svolta nelle posizioni dei comunisti giuliani che, passati alle dipendenze della direzione Jugoslava, influirono sugli avvenimenti successivi, fino a favorire l'accoglimento in sede internazionale della maggior parte delle rivendicazioni slave.

Da allora il PCI Alta Italia guardò con distacco gli avvenimenti ai confini orientali, mantenendo nei confronti delle federazioni giuliane un atteggiamento spesso ambiguo, con la convinzione mai sopita di rinviare alla Conferenza della pace tutte le questioni riguardanti l'appartenenza statale dei territori contestati.
Poche erano le possibilità di recuperare una situazione che ormai andava precipitando.