Porzûs

La premessa è che nell'inverno 1944-1945 si svolsero una serie di colloqui segreti tra la direzione dell'Osoppo, che aveva rifiutato di inquadrare nelle formazioni jugoslave i propri uomini operanti a cavallo del confine, e il comando delle SS, e almeno in un caso tra l'Osoppo e la famigerata X MAS di Junio Valerio Borghese: da parte nazifascista l'intento era quello di contrastare l'avanzante "slavocomunismo" costituendo un fronte che comprendesse anche i partigiani anticomunisti.
Vi era, però, un'ordinanza del Comando Volontari della Libertà che a livello di direzione Italia Nord nell'ottobre 1944 qualificava come "tradimento" - che in tempo di guerra prevede una sola condanna: la fucilazione - ogni trattativa con il nemico (direttiva ripresa dal CVL del Triveneto nel novembre 1944). Quindi queste iniziative dell'Osoppo, o di taluni suoi esponenti, erano oggettivamente un atto gravissimo.
D'altra parte i negoziati si conclusero senza alcun accordo (ed altrettanto vero era che nei reparti partigiani le direttive militari raramente furono attuate alla lettera): le formazioni Osoppo, comunque, parteciparono con grande senso patriottico, insieme ai garibaldini, alla liberazione di diverse zone friulane e in nessun caso possono essere avvicinate ai belogardisti (milizie volontarie anticomuniste) o alle Guardie Azzurre slovene che si schierarono militarmente con gli invasori italiani e successivamente con i nazisti.


Il 7 febbraio 1945 una formazione di partigiani garibaldini al comando di "Giacca" (Mario Toffanin) arrivò alle malghe di Porzûs (frazione del comune di Attimis, a una ventina di Km a nordest di Udine), sede della 1a Brigata Osoppo, e al crepuscolo uccisero il comandante "Bolla" (Francesco De Gregori), il delegato politico "Enea" (Gastone Valente, del Partito d'Azione), Elda Turchetti, 21 anni, di Pagnacco (indicata qualche tempo prima come spia da Radio Londra) e "Gruaro" (Giovanni Comin). Gli altri osovani (tranne quattro che riuscirono a fuggire: tra questi "Centina" (Aldo Bricco), che doveva sostituire al comando "Bolla", a sua volta nominato capo di stato maggiore del neocostituito Comando di Coordinamento delle Divisioni Osoppo Friuli) vennero fatti prigionieri, portati nel bosco di Spessa, interrogati ripetutamente e nei giorni seguenti (particolare inquietante, questo: perché aspettare? Possibile che i comandi garibaldini nel frattempo non ne fossero venuti a conoscenza e non potessero bloccare l'esecuzione?) furono fucilati nel Bosco Romagno (tra questi 17 "Ermes", Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo). Solo due furono lasciati in vita perché erano conosciuti dai gappisti e furono proprio loro i principali testimoni d’accusa al processo.


Secondo la sentenza del Tribunale di Lucca, la strage fu ordinata dalla Federazione del PCI di Udine perché gli osovani si opponevano ai disegni espansionistici degli jugoslavi, appoggiati dai garibaldini, considerati entrambi da vari comandanti osovani “il nemico occulto”.
Mario Lizzero "Andrea", comandante della Garibaldi del Friuli Venezia Giulia, sostenne sempre che l’azione fu un’iniziativa personale di Giacca, la cui formazione non era peraltro inquadrata nella Garibaldi Natisone. Lo stesso Lizzero ha presieduto il tribunale partigiano che condannò a morte "Giacca" per questo misfatto, ma, stranamente, la sentenza non fu mai eseguita.
Giovanni Padoan "Vanni", commissario politico della divisione Garibaldi - Natisone, afferma invece che la decisione fu presa dal Comando del IX Corpus jugoslavo e avallata dalla Federazione udinese del PCI, all'insaputa del comando della Garibaldi: "Al processo io ero pronto a testimoniare, ma furono i miei a non volerlo. Avrei detto la verità: che Porzûs fu il frutto della volontà di due comunisti di Udine, segretario e vicesegretario del partito, che obbedivano alla Jugoslavia e non all'organizzazione partigiana italiana. Responsabilità loro, non certo di tutto il PCI, né tanto meno della resistenza garibaldina. Il commisario del IX Corpus jugoslavo mi disse in seguito che furono loro, gli jugoslavi, a dare l'ordine." (il Venerdì di Repubblica, 18.03.2005; per una trattazione ampia, molto seria e documentata, e a nostro parere convincente, cfr.: Giovanni Padoan "Vanni", Porzûs, Ed. della Laguna, 2000).

L'eccidio di Porzûs è rimasto per 60 anni al centro di un'aspra polemica, dovuta sia alle reticenze del PCI (in qualche modo comprensibili nell'atmosfera infuocata del dopoguerra, ma ingiustificabili negli anni successivi), sia, in particolare, alla volontà politica della DC di deligittimare a tutti i costi i comunisti e di disconoscere il ruolo assolutamente decisivo che essi ebbero nella Resistenza (fra l'altro lasciando sul terreno più della metà degli oltre 40.000 partigiani caduti). "Bolscevichi assassini e infoibatori", insomma, come miserabile slogan propagandistico teso a far prevalere la visione di un PCI in ogni caso eterodiretto (cioè agli ordini di Mosca) e animato solo da propositi sanguinari e antidemocratici.
Ed è soprattutto grazie a questa cinquantennale campagna diffamatoria che oggi riemergono prepotentemente, soprattutto attraverso i mass media, le tesi storiografiche revisioniste che puntano a centrare tutta la memoria di quegli anni terribili sui "massacri operati dai comunisti" e sulla loro totale complicità nella tragedia delle foibe. Poco importa se due ministri - governo Berlusconi - della Repubblica nata dalla Resistenza siano stati o siano fascisti: Gianfranco Fini è stato il pupillo del Segretario del MSI, il fucilatore di partigiani Giorgio Almirante, e Mirko Tremaglia ha combattutto nella Repubblica di Salò a fianco delle SS.

Solo nel 2001, per iniziativa del garibaldino "Vanni" e dell'osovano don Redento Bello "Candido" (peraltro non sostenuti in modo convincente dall'ANPI e, soprattutto, dall'Associazione Partigiani Osoppo), si è avuto un importante momento di riconciliazione, con il fraterno abbraccio dei due comandanti partigiani, uno col fazzoletto rosso e l'altro col fazzoletto verde, davanti al casolare di Porzûs.
Così "Vanni" si è rivolto ai parenti delle vittime e a tutti i partigiani "L'eccidio di Porzus e del Bosco Romagno, dove furono trucidati 20 partigiani osovani, è stato un crimine di guerra che esclude ogni giustificazione. E la Corte d'Assise di Lucca ha fatto giustizia condannando gli autori di tale misfatto. (1) Benché il mandante di tale eccidio sia stato il Comando sloveno del IX Korpus, gli esecutori, però, erano gappisti (2) dipendenti anche militarmente dalla Federazione del PCI di Udine, i cui dirigenti si resero complici del barbaro misfatto e siccome i Gap erano formazioni garibaldine, quale dirigente comunista d'allora e ultimo membro vivente del Comando Raggruppamento Divisioni Garibaldi-Friuli, assumo la responsabilità oggettiva a nome mio personale e di tutti coloro che concordano con questa posizione. E chiedo formalmente scusa e perdono agli eredi delle vittime del barbaro eccidio. Come affermò a suo tempo lo storico Marco Cesselli, questa dichiarazione l'avrebbe dovuta fare il Comando Raggruppamento divisioni Garibaldi-Friuli quando era in corso il processo di Lucca. Purtroppo, la situazione politica da guerra fredda non lo rese possibile."
Quanto fosse sincera la commozione con cui sono state pronunciate queste parole è confermato dal fatto che "Vanni", in realtà, già nel 1966 disse chiaramente ciò che pensava: "Giacca", comandante del massacro, era un assassino; e nell'ultimo decennio, attraverso minuziose ricerche e varie pubblicazioni ha documentato le responsabilità di una parte del PCI.

Fra l'altro in Friuli, e altrove, non si è mai voluto ricordare un episodio analogo (anche se quantitativamente meno rilevante) accaduto nel dicembre 1943 presso Malga Silvagno (VC): quattro garibaldini trucidati da partigiani bianchi.

(1) Per evitare qualsiasi ulteriore polemica "Vanni" ha omesso di ricordare che alcuni dei condannati (tra cui egli stesso!) erano totalmente estranei ai fatti.
(2) I GAP, Gruppi di Azione Patriottica, durante la Resistenza erano i nuclei armati del PCI, protagonisti peraltro di importanti ed eroiche imprese.