inizio rosso e giallo



Elizabeth George


Susan Elizabeth George (Warren, Ohio, 1949) insegna lingua e letteratura inglese.
Attualmente vive fra la California e South Kensington (Inghilterra).

I suoi romanzi sono ambientati in Inghilterra (più sotto è lei stessa a spiegarne la ragione) ed i personaggi principali sono due investigatori di Scotland Yard: l'ispettore Thomas Lynley, aristocratico suo malgrado, ed il sergente investigativo Barbara Havers, proletaria tosta e poco attraente, che si muovono in una Londra assolutamente plausibile e insidiosa: l'autrice, neanche fosse una londinese doc, e non una nata nel profondo Ohio, si muove con sicurezza per le vie della città e quando - spesso - si addentra nei quartieri non proprio chic, lo fa con la cinica disinvoltura di chi ben conosce le gang giovanili e il variegato squallore del mondo illegale.
In particolare George sa modificare con grande disinvoltura stile e linguaggi a seconda dei personaggi che emergono nelle storie e riesce a rendere credibili la ragazza sbandata, tossica e prostituta, la giovane signora frivola e ben vestita, lo sbirro cinico che durante gli interrogatori azzanna alla gola, il giovane colto e progressista, ecc., fino alle comparse che vivono solo in poche righe. Trame ben costruite, ambientazione convincente e assai poco stereotipata, violenza cruda e inevitabile ma gestita evitando la facile spettacolarità. In Nessun testimone ci pare di ricordare che i due poliziotti non sparano neppure un colpo (e la vicenda non è mica un thè dalla zia) e la situazione viene risolta da Havers con un formidabile colpo di padella.
In Prima di ucciderla l'operazione è brillante: la vicenda nel finale s'innesta su un altro romanzo, ma tutto si svolge con i poliziotti sullo sfondo e ruota attorno all'impossibilità di essere normali: per chi non è bianco, anche a Londra il peso dell'emarginazione e della violenza sembra essere più forte di qualsiasi ipotesi di redenzione.

  • E liberaci dal padre (A Great Deliverance, 1988), Sonzogno, 1989; Fabbri, 1992; Longanesi, 2001
  • La miglior vendetta (Payment in Blood, 1989), Sonzogno, 1990; Longanesi, 2003
  • Scuola omicidi (Well-Schooled in Murder, 1990), Sonzogno, 1991; Longanesi, 2005
  • Il lungo ritorno (A Suitable Vengeance, 1991), Mondadori, 1992; TEA, 1995
  • Per amore di Elena (For the Sake of Elena, 1992), Mondadori, 1993; o Corsa verso il baratro, Longanesi, 2008
  • Dicembre è un mese crudele (Missing Joseph, 1993), Mondadori, 1995; Longanesi, 2010
  • Un pugno di cenere (Playing For the Ashes, 1994), Longanesi, 1995; TEA, 2010
  • In presenza del nemico (In the Presence of the Enemy, 1996), Longanesi, 1997
  • Il prezzo dell'inganno (Deception On His Mind, 1997), Longanesi, 1988; TEA, 2010
  • Il morso del serpente (In Pursuit of the Proper Sinner, 1999), Longanesi, 1999, TEA, 2014
  • Cercando nel buio (A Traitor to Memory, 2001), Longanesi, 2002
  • Agguato sull'isola (A Place of Hiding, 2003), Longanesi, 2004, 2016
  • Nessun testimone (With No One as Witness, 2005), Longanesi, 2006
  • Prima di ucciderla (What Came Before He Shot Her, 2006), Longanesi, 2007
  • La donna che vestiva di rosso (Careless in Red, 2008), Longanesi, 2009
  • Questo corpo mortale (This Body of Death, 2010), Longanesi, 2011
  • Un castello di inganni (Believing the lie, 2012), Longanesi, 2012, TEA, 2017
  • Un piccolo gesto crudele (Just One Evil Act, 2013), Longanesi, 2014
  • Le conseguenze dell'odio (A Banquet of Consequences, 2015), Longanesi, 2015
  • Punizione (The punishment she deserves, 2018), Longanesi, 2018
  • Una cosa da nascondere (Something to Hide, 2020), Longanesi, 2022


Dai suoi romanzi sono stati tratti vari telefilm prodotti dalla BBC (2001 - 2008), con Nathaniel Parker (Thomas Lynley) e Sharon Small (Barbara Havers).



il suo sito


Elizabeth George

Il mio mondo

Fin dal 1988, quando uscì il mio primo romanzo, ho scoperto che uno dei vantaggi di aver raggiunto lo status di "scrittore pubblicato" è la possibilità di conoscere e parlare con centinaia di lettori e aspiranti autori. Spesso, in queste conversazioni, le domande sono piuttosto scontate ("Ma come ha fatto a trovare un agente?", "Dove trova gli spunti per i suoi romanzi?" e così via), però, di tanto in tanto, capita che il discorso prenda una piega diversa e m'induca a riflettere su che cosa faccio quando mi siedo davanti al mio computer, ma, soprattutto, sul perché lo faccio.
Un lettore mi ha scritto che intendeva scrivere gialli fino a quando non fosse diventato abbastanza bravo da poter scrivere un "romanzo vero". Evidentemente, gli sfuggiva il fatto che un giallo (in tutte le sue possibili declinazioni: thriller, mystery, spy-story, eccetera) è già un "romanzo vero", con tutti gli attributi del caso. Dal suo punto di vista, scrivere gialli era soltanto un modo per far pratica, un pò come se si preparassero biscotti nella speranza di riuscire un giorno, a realizzare una bella torta a più strati.
A parte il discutibile buonsenso dimostrato da quel signore nel confidare i suoi convincimenti e progetti letterari proprio a una scrittrice di gialli, sono due le obiezioni che si possono muovere al suo discorso. In primo luogo, voler negare al giallo il suo posto nel mondo dei "romanzi veri" significa negare la dignità di "veri autori" a maestri come William Faulkner (Bandiere nella polvere), Charles Dickens (Casa desolata), William Wilkie Collins (La signora in bianco), Edgar Allan Poe (I delitti della Rue Morgue) e George Eliot (Silos Marner), nonché a scrittori più recenti quali Scott Turow (Presunto innocente) o Barbara Vine (La casa della lunga estate) e a una folla di altri i cui romanzi gialli e/o polizieschi hanno resistito e resisteranno all'oblio del tempo. In secondo luogo, considerare il romanzo giallo come "inferiore" equivale a dimenticare che, per scrivere un buon giallo, bisogna costruire i personaggi, la trama, l'ambientazione; mettere a punto i dialoghi, le metafore, le allusioni; definire i drammi, i conflitti, le pulsioni di amore e di morte. Insomma: bisogna usare l'immaginazione. E usarla al meglio.
Forse è la struttura stessa del romanzo giallo a confinarlo (nell'opinione di molti) a un rango inferiore. Tale struttura è infatti praticamente invariabile: è accaduto, o sta per accadere, un fatto molto grave (un omicidio, per esempio), oppure ci si trova di fronte a una questione drammatica; in ogni caso, prima dell'ultima pagina del libro (oppure proprio nell'ultima pagina) si deve arrivare a una soluzione. Ma è proprio il modo in cui lo scrittore tratta questo schema prefissato che può trasformare, come spesso accade, un "romanzo di genere" in un "classico letterario".
Proprio perché esiste una struttura, l'autore di gialli può scegliere di dare al lettore qualcosa di più della nuda trama, costruendo una vicenda che non soltanto avvinca il lettore, ma ne stimoli anche la perspicacia. In questo genere di romanzi, l'eroe (o l'eroina) - sia una spia, un poliziotto, un investigatore privato, un agente dell'FBI o un dilettante che viene coinvolto suo malgrado in circostanze impreviste che mettono a dura prova la sua mente (e anche la sua anima) procede spedito verso la conclusione della storia, incontrando sul suo cammino vicoli ciechi, indizi, false piste e conflitti. Nulla vieta allo scrittore di prendere quello "scheletro" di storia e aggiungerci muscoli, carne, pelle e organi, sviluppando una trama secondaria e personaggi collaterali; esplorando temi sociali o la complessa psicologia dei rapporti umani.
Sono fermamente convinta che i romanzi che resistono al tempo, che si rifiutano di rimanere legati alle regole banali del genere, sono proprio i romanzi che seguono questo svolgimento.
Scrivere un giallo che sia anche un "romanzo vero" significa soprattutto parlare dei personaggi. Sono proprio i personaggi e le circostanze che essi stessi creano a far avanzare la storia, e non viceversa. I personaggi non sono burattini di un dramma la cui portata si scopre soltanto alla fine della storia grazie a un solo, indecifrabile indizio o in virtù di un finale a sorpresa il cui unico scopo è appunto sorprendere. I romanzi gialli sono "romanzi veri" quando finiscono dove cominciano: vale a dire con un esame profondo dell'animo umano... di un animo lacerato, disperato, pacificato, angosciato; di un animo colmo d'amore, di felicità, di paura.
Quando un autore decide di creare un romanzo giallo partendo dai personaggi, sfida se stesso ad andare oltre i semplici meccanismi della trama, a cancellare dalla mente la tentazione di attenersi a una formula e a rischiare. Decide di usare quel personaggio come base per le centinaia di pagine e le migliaia di parole che seguiranno alla sua creazione. È questo che ho cercato di fare nei miei romanzi, i quali vengono di volta in volta definiti gialli letterari, romanzi di suspense psicologica, polizieschi o romanzi inglesi, ma sono sempre, almeno per come li concepisco io, "romanzi veri", dall'inizio alla fine.

Perché l'Inghilterra?

Il detective Thomas Lynley e il sergente Barbara Havers, di Scotland Yard, sono apparsi per la prima volta nel romanzo E liberaci dal Padre, uscito nel 1988. Oggi, dopo dodici anni e altri nove romanzi, sono ancora insieme per affrontare il loro decimo caso, narrato nel Morso del serpente, ambientato nel Derbyshire... quindi, come sempre, in Gran Bretagna. Elizabeth George ha descritto con tale abilità i luoghi, i costumi e il linguaggio di quel Paese da rendere diffìcile credere che sia americana. Per questo ha deciso di spiegare ai suoi lettori da dove deriva la sua passione per tutto ciò che è inglese...

Perché l'Inghilterra? È una domanda che mi hanno posto centinaia di volte, fìn da quando ho pubblicato il mio primo libro. Perché mai un'americana, nata nell'Ohio e vissuta prima nella California del Nord e poi, da circa trent'anni, in quella del Sud, scrive romanzi sempre ambientati in Gran Bretagna? Con l'andar del tempo, ho risposto in molti modi, non tanto per variare qualcosa che, in capo all'ennesima 'replicà, sarebbe suonato monotono, ma soprattutto perché non è stato facile neppure per me capire esattamente il motivo per cui ho scelto proprio quel Paese come sfondo dei miei romanzi.
Di certo, tutto ha avuto origine dai miei studi universitari, orientati più verso la letteratura inglese che verso quella americana. E anche quando ho cominciato a insegnare, mi trovavo più spesso a parlare di William Shakespeare piuttosto che di Herman Melville o Nathaniel Hawthorne. Ma un ruolo fondamentale lo hanno avuto anche i 'favolosi anni Sessantà, quando ai due 'centri di gravità culturali cui ero abituata, cioè New York e Los Angeles, se ne aggiunse un terzo: Londra. È stato così che le mie inclinazioni letterarie si sono fuse con la rivoluzionaria cultura pop. Inoltre è a quell'epoca che risale il mio primo viaggio in Gran Bretagna. Ho amato all'istante ogni cosa che vedevo e sentivo. Chissà perché, mi sono sentita a casa. E dunque non l'ho mai lasciata. Fisicamente, è ovvio, sono dovuta tornare in California, ma il mio cuore è rimasto là. E da allora non si è più mosso.
éèla mia passione e perché credo che uno scrittore debba parlare di ciò che ama, non di quello che crede più 'vendibilè. Scrivere è un atto intensamente personale, che si compie in solitudine e che isola dal resto del mondo. Così, quando cominciai a dedicarmi alla narrativa mi dissi che, se volevo scrivere, se quella doveva diventare la mia vita, allora era necessario che i miei pensieri, le mie idee 'risiedesserò in un luogo in cui anch'io desideravo trovarmi. E quel posto era - e continua a essere - l'Inghilterra. Quando non lo sarà più e magari, chissà?, diventerà Reykjavik... allora cambierò residenza.
Perché non mi trasferisco laggiù? Sarebbe troppo lungo spiegarlo. Vi racconterò invece un piccolo aneddoto sul Morso del serpente, il mio ultimo libro, che prende il titolo da un verso del Re Lear di Shakespeare, là dove il re maledice una delle sue fìglie, augurandole di provare, nel futuro, ciò che lui sta provando in quel momento e cioè 'quanto sia più crudele del morso del serpente l'avere un figlio ingrato.'
Questo romanzo è nato da una cartolina che ho trovato a Londra, in Cromwell Road, mentre insieme a mia cugina, Georgia Ann, stavo tornando nel mio appartamento dopo aver fatto la spesa. Ci siamo fermate di botto scorgendo quella cartolina sul marciapiede e notando che ce n'erano moltissime altre, sparse per terra. Io ne ho raccolta una. Lei altre due. Le abbiamo lette e ci siamo guardate, perplesse. Di certo abbiamo avuto lo stesso pensiero, che io poi ho formulato a voce alta: 'Qui c'è un romanzo e io lo scriverò'. Era il febbraio del 1996. All'epoca ero impegnata nella stesura de II prezzo dell'inganno, però ho avvertito all'istante che quella cartolina poteva ispirare una storia... la storia che adesso arriva a voi. Comincia a Londra e poi si sposta nel Derbyshire, un luogo in cui gli esseri umani vivono da secoli, una landa selvaggia e desolata dove è possibile trovare tombe preistoriche, miniere abbandonate, forti romani, castelli in rovina, palazzi nobiliari... e due cadaveri. Nel Derbyshire è andato a vivere un detective di Scotland Yard in pensione, determinato a realizzare un sogno: lasciarsi alle spalle una vita difficile, da agente segreto, e gestire un piccolo hotel. Ha portato con sé la moglie e la loro figlia, Nicola. Ma quell'uomo imparerà ben presto che i sogni spesso si mutano in incubi e che non c'è modo di sfuggire alla violenza che sembra pervadere l'umanità intera.


da Gian Franco Orsi - Lia Volpatti, C'era una volta il giallo. 3. L'età del sangue, Alacran, 2007, pp. 86 - 91


Federica Velona

Intervista a Elisabeth George

547 pagine, copertina nera e oro, un titolo tipico dei gialli Il morso del serpente; cosi si presenta l'ultimo romanzo della scrittrice americana Elizabeth George. La George è venuta in Italia in occasione del lancio dell'edizione italiana del suo libro presso Longanesi e l'abbiamo intervistata sulla sua narrativa e in particolare sul Morso del serpente, un libro intricato e appassionante, ricco di sorprese, di risvolti amari ma anche umoristici, di acute riflessioni sulla vita contemporanea e sulla natura dell'animo umano.

Elizabeth George, pur essendo nata e pur vivendo in America lei ambienta i suoi romanzi in Inghilterra. Il suo amore per Shakespeare ha a che fare con questa scelta?

Il mio amore per Shakespeare certamente è stato un stimolo al mio amore per l'Inghilterra. Quando ho cominciato a leggere Shakespeare mi sono concentrata sulle tragedie storiche e ho concepito il desiderio di vedere dove erano ambientate queste opere. Quando sono andata in Inghilterra e ho visitato quei posti ho sentito una grande affinità con quel paese come se avessi vissuto lì in un'altra vita. Poi, quando ero al college, ho letto soprattutto letteratura inglese e questo ha accresciuto il mio amore per l'Inghilterra.

Tutti e dieci i suoi romanzi si svolgono in Inghilterra. Non pensa di scriverne uno che parli della California, il paese in cui vive attualmente?

Lo farei se avessi una storia che fosse californiana all'origine e se trovassi un'ambientazione californiana che mi convicesse, ma il posto in cui vivo in California non è molto suggestivo. Vivo nel Sud della California, a sud di Los Angeles, un'area metropolitana vastissima senza campagna intorno, per lo più dominata da enormi autostrade e grossi edifici e per me come scrittrice questo non è fonte di ispirazione.

Parliamo di personaggi. Nel Morso del serpente ne ho contati una trentina e ognuno di loro mi è parso caratterizzato in modo molto preciso, anche semplici comparse vengono definite nelle loro abitudini e nelle loro motivazioni più profonde. Come fa a governare questa folla di personaggi?

Li governo perchè creo tutti i miei personaggi in anticipo, nessuno compare sulla scena se io non so tutto su di lui. Questo lavoro lo chiamo analisi dei personaggi: è un lavoro di documentazione che parte dai nomi dei personaggi. In Inghilterra i nomi sono molto importanti, illustrano la classe, il livello culturale, il luogo di provenienza. Dal nome passo a un'analisi completa del personaggio dal punto di vista emotivo, psicologico, spirituale... così prima che il personaggio compaia sulla pagina so molto di lui o di lei e ciò consente una sua piena realizzazione.

Quindi quando comincia a scrivere sa già come andrà a finire la storia? Quello che colpisce nel suo libro è che non solo il lettore non sa chi è l'assassino ma ogni personaggio è pieno di sospetti verso gli altri, soprattutto verso quelli a cui vuole bene...

Sì, sì, ma io so chi è il colpevole...

Lo sa sin dall'inizio?

Sì. In realtà in uno dei libri che ho scritto il colpevole è stato per me una vera sorpresa. È successo con il mio ultimo libro che in America era intitolato Deception on His Mind. Ho scritto questo libro avendo in mente tutt'un altro assassino e mi è successo che a pagina novecento della prima stesura Barbara Havers stava interrogando un personaggio e nel mezzo di questo interrogatorio ho capito che stava parlando con il killer, ma non aveva mai pensato l'assassino fosse quello. Quando rilessi il libro mi accorsi che quel personaggio era sempre stato l'assassino solo che non me n'ero accorta, ma è stata l'unica volta che è successo nei miei libri.

Di recente sono usciti molti libri gialli con al centro detective di sesso femminile. Barbara Havers, la sua investigatrice indisciplinata, vestita in modo sciatto, mal alimentata, ma acuta e tenace rappresenta una boccata d'aria per le lettrici in un'epoca dominata da modelli femminili dall'impeccabile aspetto fisico ma senza cervello. Com'è nato questo personaggio?

Barbara Havers è stata concepita inizialmente in contrasto con l'ispettore Linley, in modo che nelle scene in cui i due personaggi comparivano insieme ci fosse una tensione che costituisse lo sfondo dei loro incontri. Lynley fa parte dell'alta borghesia, Barbara della classe lavoratrice, lui è molto colto, ha frequentato buone scuole private e l'università, lei è andata a scuole pubbliche. Lui è ricco, lei povera. Quindi c'è una divisione tra loro. Barbara Havers è una donna che riesce a essere se stessa e a non cadere nelle trappole che ci vengono suggerite dalla società come strumenti di femminilità.

Per contro Nicola, la ragazza uccisa nelle prime pagine del Morso del serpente, è giovane, bella, intelligente ma man mano che si va avanti con la lettura si scopre che l'unica cosa che le interessa davvero è fare soldi con il sesso... Perchè Nicola si comporta così?

Per diverse ragioni. In primo luogo Nicola ha un bisogno spasmodico di una vita eccitante, piena di cose. A venticinque anni si è resa conto che per avere cose il più rapidamente possibile deve guadagnare molto e ciò perchè vuole sempre di più. Inoltre ciò che volevo mostrare attraverso Nicola è che, sebbene lei sia mossa da un bisogno che non può darle alcuna soddisfazione spirituale e psicologica, è una donna autonoma e adulta, è una donna capace di prendere decisioni e di accettare le conseguenze di queste decisioni. E il tema del libro è questo: cosa significa essere adulti e autonomi. Nicola è una persona adulta, mentre l'assassino del libro se la prende con il padre per la sua sfortuna nella vita. Nicola non se la prende con nessuno, dice ai suoi genitori, questa è la mia decisione, le conseguenze negative, se ci saranno non saranno vostre, ma mie e questo è quanto fanno gli adulti.

L'aspetto più triste del libro è costituito dalla reazione dei genitori di Nicola, dal muro di silenzio che li separa dopo la morte della figlia...

Sì, ci sono due aspetti nelle figure dei genitori di Nicola. Il primo è che non capiscono di essere stati dei bravi genitori. Essere bravi genitori, secondo me, significa accompagnare dei bambini nel passaggio verso la maturità, farne persone in grado di compiere scelte autonome, libere, di cui rispondono. Credo che questo sia il dovere dei genitori. I figli non devono fare scelte che piacciono ai genitori, certo non sta ai genitori guidare i figli alla prostituzione, ma i genitori di Nicola pensano che l'unica misura del loro successo sarebbe che la figlia facesse ciò che loro pensano dovrebbe fare. L'altro problema è che loro hanno un tremendo bisogno di coprirsi la verità a vicenda. Ognuno di loro conosce la vera vita di Nicola ma ha paura della reazione dell'altro a questa scoperta.

Un'ultima osservazione: Elizabeth George, è chiaro che per lei il giallo è uno strumento per sondare gli abissi della mente degli uomini e delle donne...

Il giallo mette in crisi i personaggi e quando i personaggi entrano in crisi si vede di che stoffa sono fatti. Per esempio, quando Richard Nixon era in crisi abbiamo visto che ha scaricato su chiunque altro quello che aveva fatto, mentre quando Bill Clinton è stato in crisi ha detto, l'ho fatto, ho sbagliato, mi prendo le mie responsabilità. Questo è un esempio limite ma da ciò si misurano le persone. Solo mettendo in crisi le persone sappiamo come sono fatte, in un giallo la crisi è subito evidente.

intervista realizzata dal Guardian online