Luciano Comida

Il primo Fantômas


Ieri sera, aprendo un pacchetto arrivato con la posta, ho provato una delle più grandi emozioni della mia vita di lettore.
Pochi giorni fa, avevo finalmente rintracciato in una libreria francese e a un prezzo eccezionale (15 euro più cinque di spese di spedizione) il primo volume dell'edizione Salani (1935) della serie di Fantomas.
E ho potuto tenerlo tra le mani.

Uscita in Francia tra il 1911 e il 1913, trentadue romanzi stupefacenti e amatissimi da Ejsenstein e Magritte, Kurt Weill e Antonin Artaud, Cocteau e Cortazar, surrealisti e Umberto Eco, è una saga che non ha uguali nella storia della letteratura: sgangherata perchè scritta con ritmi da forzati da Pierre Souvestre e Marcel Allain (trecento pagine al mese dettate alle dattilografe, senza nemmeno rileggerle, l'uno all'insaputa dell'altro dopo aver deciso la trama ed essersi divisi i capitoli tirando a sorte), una miscela di poliziesco e romanzo d'appendice, affresco sociale e truculenze, squarci di delirante poesia e macroscopiche incongruenze.
Leggere queste migliaia e migliaia di pagine significa entrare in un mondo parallelo e coloratissimo: seguire lo spietato criminale Fantomas e i due uomini che gli danno la caccia (il poliziotto Juve e il giornalista Fandor) in un territorio immenso, tra centinaia di personaggi e di ambienti. Nobiltà francese che sta per scomparire alla vigilia della Prima guerra mondiale, bassifondi parigini che formicolano di delinquenti (i cosiddetti apaches), proletariato e piccola borghesia, donne perdute e magistrati corrotti, boia e corse di cavalli, circhi e investigatori americani, episodi ambientati nella Russia zarista e nel Sudafrica dei diamanti, nella Montecarlo dei casinò o in Messico, nelle nevi svizzere o negli orribili manicomi di cent'anni fa, delitti misteriosi, muri che grondano sangue e cadaveri giganti, fontane che sembrano cantare e treni che scompaiono, morti che paiono resuscitare e spaventose stragi, omicidi situazionisti, gag degne dei fratelli Marx e amori romanticissimi.
Fino alla epica conclusione che, nell'ultimo romanzo, chiude le fila della saga con una rivelazione pazzesca ma a suo modo logica.
In Francia, il successo fu enorme ed epocale: i libri vendevano centinaia di migliaia di copie, Louis Feuillade ne trasse cinque splendidi film muti, i surrealisti elessero Fantomas come simbolo della libera fantasia, molti intellettuali si innamorarono perdutamente di quei bizzarri libri, zeppi di giganteschi difetti ma anche di straordinari gioielli.
In Italia, la Salani tradusse i 32 Fantomas subito, negli anni Dieci, per poi ristamparli negli anni Trenta, in edizioni integrali.
Li fece ritornare in edicola la Mondadori negli anni Sessanta con le stupende copertine di Karel Thole ma un grave difetto: traduzioni mutilate, ridotte alla metà degli originali.
Ho letto la prima volta il ciclo quando avevo più o meno vent'anni nella versione Mondadori, comprata volumetto dopo volumetto, in una emozionante caccia al tesoro, nelle bancarelle dell'usato.
E a quel tempo (in previsione di un libro su Fantomas) cominciai a prendere appunti.
Poi, nel corso degli anni, rilessi alcuni romanzi.
Più tardi, nel '95, io e Tatjana ci siamo fatti una sbornia fantomasiana: in un paio di mesi, un libro dopo l'altro, con un senso di ebbra, misteriosa pienezza.
Intanto, pian piano, tra molte difficoltà, cercavo di procurarmi anche i volumi Salani: a tutt'oggi ne ho raccolti 27 su 32.
Nel frattempo, andavo avanti con i miei appunti, ormai arrivati a oltre cento pagine fitte fitte.
E mi convincevo sempre più di due cose.
La prima: poche letture al mondo possono diventare appaganti e intossicanti come l'epopea di Fantomas.
La seconda: a loro modo, con gli strumenti della narrativa popolare e con i ritmi della catena di montaggio editoriale, Souvestre e Allain seppero presagire e raccontare in maniera medianica la crisi dell'Europa che precipitava verso la crisi della dissoluzione, nel baratro della mostruosa carneficina '14-'18 e poi verso il nazifascismo. In questo senso, Fantomas rappresenta l'anticipazione di quegli orrori che stavano arrivando per spazzar via un intero modo di vivere.
E ieri ho finalmente avuto tra le mani il volume iniziale e ho finalmente visto dal vivo e toccato con le mie dita la tanto favoleggiata copertina, con quell'immagine dell'uomo pallido e allucinato che incombe su Parigi e sull'Europa stringendo nella mano destra un pugnale insanguinato.
È tempo di ricominciare a divorare dall'inizio le sue avventure, con quell'incipit indimenticabile, brutto ma sensazionale, rozzo ma geniale.

CAPITOLO I: IL GENIO DEL DELITTO

- Fantomas!
- Come dite?
- Fantomas!
- Che significa?
- Niente...e tutto!
- Ma pure, chi è?
- Nessuno...e tuttavia qualcuno!
- Insomma, che fa questo qualcuno?
- Fa paura!!!
Finito il pranzo, si passò nella sala.
La marchesa di Lagrune, andando in fretta verso il caminetto, prese da un paniere un ciocco e lo gettò sulla brace ardente. Il ciocco crepitò, la sua fiamma illuminò la sala d'una gran luce chiara, e istintivamente gli invitati della marchesa si avvicinarono al fuoco. Da tempo immemorabile, durante i dieci mesi consecutivi che ella passava ogni anno nel suo castello di Beaulieu, al settentrione del dipartimento di Lof, confinante con la Corrèze, in quella pittoresca regione circondata dalla Dordogne...

Un piccolo esempio delle traduzioni mutilate presenti nell'edizione Mondadori, tratti dal primo volume che venne intitolato Il terrore mascherato, rielaborazione dell'originale Fantomas.
Nel capitolo iniziale, il magistrato Bonnet racconta agli altri invitati al castello Lagrune la sparizione di lord Beltham, la attribuisce al misterioso Fantomas e la inquadra nell'insieme di una grave situazione criminale. Alla discussione assiste il diciottenne Charles Rambert (che nel seguito del ciclo fantomasiano sarà... non vi dico in quale ruolo... un assoluto protagonista): il giovane è affascinato da Fantomas e il suo entusiasmo scandalizza il giudice. Che tra l'altro gli dice: "Ecco il prodotto dell'educazione moderna, dello stato d'animo creato dal giornalismo, dalla letteratura, nella nostra gioventù! Si fa un'aureola ai delinquenti; s'improvvisa loro una pubblicità fantastica! È roba da far rizzare i capelli! Voi siete pazzo, ragazzo mio! Mettete sullo stesso piano gli assassini e i poliziotti, non fate distinzione fra il bene e il male. All'occasione, voi erigereste sullo stesso piedistallo gli eroi del delitto e gli eroi della difesa sociale! Voi avete molta immaginazione, giovanotto, troppa, direi. Ma passerà. Siete ancora nell'età in cui si parla senza sapere."
Più tardi, a letto, Charles stenta a dormire perchè continua a fantasticare su Fantomas.
La scena è importante per vari motivi: tutto il ciclo di Fantomas è percorso da fermenti dirompenti, inquietanti e antiborghesi.
Che si inquadrano nel clima della Francia dei primi anni del Novecento, agitata da un forte illegalismo: criminali veri e propri o anarchici come quelli della banda dei Travailleurs de la Nuit o della banda Bonnot.
Inoltre, uno dei due autori (Marcel Allain) aveva forti simpatie per la causa del progresso sociale e per i socialisti, e queste posizioni traspaiono in innumerevoli parti della saga. Anche se va ribadito che il ciclo di Fantomas è e resta un'opera d'appendice, per quanto degna di perduto amore.
Ma torno a quel primo capitolo, sconciato nella versione Mondadori: purtroppo, la traduzione di Roberto Mauro del 1963 accorcia pesantemente il dialogo tra il magistrato Bonnet e Charles Rambert, mettendo così il silenziatore alla fascinazione del giovane verso Fantomas.
L'effetto è triplice: il massacro del testo originale, il trionfo di un ipocrita perbenismo, il rischio di non capire la successiva evoluzione del personaggio di Charles.
In realtà, la versione Mondadori ricalca abbastanza pedissequamente l'edizione Pagotto di Milano che nel 1954 ritradusse (mutilandoli) i primi cinque romanzi del ciclo. Iniziò lì, dopo l'ottimo lavoro svolto dalla Salani, lo scempio dell'opera di Souvestre-Allain.
Non si trattano così i capolavori.

Nel 2009, a Bologna, c'è stata una mostra collettiva dove vari artisti hanno esposto la loro visione del personaggio di Fantomas, che ha ispirato il nome del locale, il Fantomars.
Tutti i pittori invitati danno, infatti, una interpretazione personale della più famosa tra le interpretazioni del malvagio eroe, quella di Magritte nel quadro Il ritorno di fiamma del 1943. Ideata da Giovanni Monti, l'esposizione ha visto fra le altre opere di Francesca Anita Modotti, Daniele Pezzoli, Valerio De Filippis ed Emilia Badalà.
Info: fantomars@live.it Web: www.fantomars.jimdo.com

"Fantomas non è più il pretesto di una storia; la storia è al suo servizio. Le opere di Fantomas non possono essere distrutte nè subire modifiche (...) Fantomas esige più dagli altri che da se stesso. Egli non è mai visibile per intero: si può vedere il suo ritratto attraverso il suo volto. Quando è perseguitato dai ricordi, segue il suo braccio che lo trascina. Si muove come un automa, sposta i mobili o i muri che si frappongono sul suo cammino (...) La scienza di Fantomas è più preziosa della parola. Non la si indovina e non si può dubitare della sua potenza" (Magritte).
Magritte incontra per la prima volta Fantomas in un manifesto cinematografico nel 1913, se ne ricorderà e ne dipingerà il volto nel 1927.
Quel ritratto può essere considerato l'alter ego di Magritte: un "eroe" trasversale in romanzi, pellicole cinematografiche e fumetti, che incarna la trasgressione di ogni regola borghese, l' "eroe" della città, della notte, onnipresente. È crudele e accorto, delinquente sfrenato e allo stesso tempo meticoloso. In lui convive ogni possibile contraddizione senza schizofrenie di alcuna sorta. Sfida il mistero della realtà con i suoi agguati e sembra vivere in una dimensione esistenziale in cui non c'è nessuna regola, se non quella di portare a termine nel miglior modo possibile il proprio gioco.
In Fantomas, Magritte vede la possibilità di sfuttare una mitologia costituita da fatti, cronaca quotidiana e clamorose imprese. E, attraverso lo scardinamento del velo della tranquilla e borghese quotidianità, la possibilità di raggiungere una dimensione del mistero che non è più quella desolata delle piazze di De Chirico, ma che vive in ogni cosa intorno a noi.
Fantomas è il mistero e i suoi agguati non possono che ripetersi all'infinito: il mistero può infatti assumere qualsiasi forma ed è capace (come l'arte contemporanea) di riprodursi e riproporsi.
Fantomas, inoltre, torna sempre sul luogo del delitto. Allo stesso modo Magritte ritorna sui suoi quadri, sui temi a lui più cari, senza per questo risultare mai ripetitivo, a differenza di molti altri artisti accusati di esserlo e di essere troppo spesso rifacitori di se stessi.

Il testo su Magritte l'ho preso da questo sito:
http://www.liceolocarno.ch/Liceo_di_Locarno/materie/storia_arte/magritte/surrealismo_magritte.html


http://lucianoidefix.typepad.com/nuovo_ringhio_di_idefix_l/

l'amico Luciano è morto nel maggio 2011