inizio rosso e giallo


Fabio Giovannini - Marco Zatterin

Sherlock Holmes: indagine su un mito


Ad una prima lettura delle avventure di Sherlock Holmes, sì direbbe che il suo creatore non abbia voluto dare molta importanza ai dati biografici. Nel contempo nell'opera del detective sono infatti pochi i particolari che aiutano a ricostuirne la carriera, come se Conan Doyle si fosse divertito a nascondere una parte della vita di Holmes dietro allusioni e riferimenti incrociati, evitando contatti con il mondo del troppo esplicito. Il lettore che voglia saperne di più sulla vita dell'investigatore, si trova quindi costretto a seguirne le tracce e imitarne lo stile. Un duro lavoro che però viene puntualmente ricompensato perché, alla fine, i dati biografici ci sono tutti. Basta saperli prendere con pazienza e fiuto e ci si accorgerà che è possibile venire a capo di tutti i fili. E si scoprirà che Conan Doyle è stato estremamente generoso nell'offrire possibilità per ridisegnare la vita di Holmes.

Prima di Watson

Considerazioni acute dalla spiegazione relativamente semplice portano ad affermare che Sherlock Holmes è nato nel 1853. Il punto di partenza è L'avventura dell'uomo carponi che si svolge nel settembre del 1903. Il dottor Watson afferma che questo è uno degli ultimi casi risolti da Holmes e quindi si può immaginare che la sua attività sia terminata più o meno in quel periodo. In L'inquilina velata, Watson racconta che il detective ha praticato la professione per ventitré anni e quindi, calcolando l'interruzione avvenuta per colpa di Moriarty e durata almeno tre anni (dal 1891 secondo La casa vuota) si può arrivare a dire che la carriera di Sherlock Holmes si sia sviluppata fra il 1878 ed il 1890 e fra il 1894 ed il 1903. Se si esclude Il caso del «Gloria Scott» (databile 1873) è quindi possibile stabilire che la prima fatica di Holmes sia stata Il cerimoniale dei Musgrave nel 1878, tre anni prima dell'incontro con Watson.
Ora, visto che Musgrave fu presentato a Holmes da un compagno dell'università «che non vedeva da quattro anni», si può dire ancora che nel 1874 il detective fosse al college, al terzo anno per la precisione. Questo significa che i suoi studi erano cominciati nel 1871 all'età di diciotto anni. Era quindi nato nel 1853 e a conferma di questo, c'è un altro dettaglio. In Il suo ultimo saluto, Altamont, cioè Sherlock Holmes, è descritto come un «uomo alto e magro sui sessant'anni», età certamente approssimativa che però sostiene quanto detto sopra.
Sulla data di nascita di Sherlock Holmes, va sottolineato, si è sviluppata una vera propria battaglia, anzi un colossale scontro fra le diverse scuole di pensiero. Michael Hardwich afferma infatti che Holmes è nato nel 1854 per entrare a Oxford nel 1872, due anni prima del «Gloria Scott» databile 1874. Per William Baring Gould, uno dei più precisi biografi holmesiani, è nato il sei gennaio del 1854. In entrambi i casi si va al di là dei testi. Anche se non di molto.

A diciotto anni, come tutti i ragazzi acuti di buona famiglia dell'Inghilterra della regina Vittoria, Holmes va all'università. Ma a quale? Ancora, i biografi si contraddicono. C'è chi dice Oxford (Gavir Brend e Ronald Knox), chi Cambridge (Blakeney), chi tutti e due (Barin Gould). Noi propendiamo per la prima ipotesi E per spiegarla usiamo la via seguita da Brend.
Oxford e Cambridge sono coinvolte in cinque casi: Il Gloria Scott, Il rituale dei Musgrave, Il terzino scomparso, Scandalo all'università e L'uomo carponi. I primi due riguardano i tempi in cui Holmes era all'Università anche se non è dato di sapere quale essa fosse. Il terzo caso riguarda Cambridge ma non si sa se fosse stata questa la sede di studi del detective. Gli ultimi due forniscono interessanti riferimenti indiretti. Si comincia da Il terzino scomparso, interamente ambientato a Cambridge, che offre le prime prove del fatto che Holmes non sia stato lì in precedenza. La prima evidenza è che lui non conosca l'esistenza di un treno che porti, nel tarda serata da Londra a Cambridge. Quando Holmes era al college, risiedeva ancora a Londra («Gloria Scott»): fosse stato studente a Cambridge avrebbe sicuramente conosciuto l'esistenza del treno delle 11.45, l'ultimo buono per tornare all'università a fine week end. Può darsi, però, che quel particolare treno non fosse stato ancora istituito ai tempi della scuola di Holmes. Una cosa che appare comunque poco probabile. Preso un treno per Cambridge, non ovviamente quello delle 11.45, Holmes e Watson arrivano nella cittadina e, dopo aver interrogato il dottor Armstrong che appare coinvolto nella sparizione di Staunton, il giocatore di rugby, devono trovarsi un posto per la notte. E allora Holmes dice: «Adesso, mio povero Watson, eccoci qui, abbandonati e senza amici in questa città inospitale che non possiamo lasciare senza rinunciare al nostro caso». Perché città inospitale? Se Holmes l'avesse conosciuta bene non avrebbe certo detto una cosa di questo tipo. Avrebbe potuto fare commenti di carattere personale, oppure dire che si trattava di un posto dove c'era gente con cui non andava più d'accordo. Questa poca considerazione fa quindi pensare che non ci fossero mai stati rapporti diretti.
Sempre a Cambridge, la sera dopo, Holmes racconta di essere andato in giro per la campagna e aver visitato quattro paesi: Chesterton, Histon, Waterbeach e Oakington. Supponendo, come è probabile, che le visite siano avvenute nell'ordine in cui sono citate, questo è un segno che il detective non conosce la zona. Data infatti la rete viaria dell'epoca, sarebbe stato molto più opportuno visitare Chesterton, poi Waterbeach, quindi Histon e Oakington. La scelta di Holmes fa allora pensare che avesse talmente fretta da perdere involontariamente un sacco di tempo vagando senza una mappa. Un buon conoscitore di Cambridge non avrebbe mai commesso questo errore.
In Scandalo all'Università, Hilton Soames, figura canonica del College St. Lukes, si rivolge ad Holmes dicendo «Lei sa benissimo, Mr. Holmes, che le porte del nostro college sono doppie, una verde e una di quercia scura». Si capisce allora che il solo motivo per cui il detective debba conoscerle risiede nel fatto di esservi stato. Nello stesso caso, Holmes dice a Watson di sapere che nella città ci sono solo quattro cartolerie. In L'uomo carponi Holmes definisce quindi Oxford una città incantevole e, questo facendo il paio con la definizione negativa data di Cambridge in Il terzino scomparso, arriviamo al totale della nostra somma. È un «Oxfonian».

Abbiano già accennato come il primo problema che si propone al detective sia Il Gloria Scott, nel 1873. Victor Trevor invita Holmes per un breve periodo di vacanza a Donnithorpe, nel Norfolk e lì il giovane non ancora detective risolve il suo primo caso, cambiando la sua vita e quella di non pochi altri. Nel 1875 lascia quindi Oxford e prende in affitto due stanze in Montague Street, ad un passo dal British Museum dove comincia a recarsi per proseguire gli studi. Risale a quel periodo Il cerimoniale dei Musgrave, datato precisamente 1878. Era il momento che Holmes aveva tanto aspettato: finalmente un omicidio misterioso e un caso che porta il venticinquenne detective a fare conoscenza diretta con quelli di Scotland Yard. Una specie di battesimo del sangue per lo scalpitante Holmes che, da allora, non si sarebbe più arrestato.

Quel Capodanno del 1881...

Senza nessun motivo particolare, il giovane Stamford ed il dottor Watson si ritrovano a bere un aperitivo al Criterion, un bar a due passi da Piccadilly, nel pieno centro di Londra, il primo di gennaio dell'anno di grazia 1881. E proprio perché l'occasione non è programmata, i due cominciano a parlare del più e del meno. Watson, in particolare, dopo aver lamentato i malanni occorsigli in Afganistan, spiega l'esigenza di trovare una casa adatta alle sue finanze. Stamford gli dice di avere un amico in cerca di qualcuno con cui dividere le spese e le camere di un appartamento estremamente grazioso. I due, fatta colazione allo Holborn, vanno all'Ospedale San Bartolomeo dove l'amico in questione, che si chiama Sherlock Holmes ed il cui carattere è già stato annunciato come difficile, sta compiendo alcuni esperimenti chimici.
Fino a quel momento Watson non se l'è passata troppo bene. Laureato a Londra in medicina nel 1878 e completati gli studi a Netley come medico militare, si è visto spedire in India con il 5° Reggimento Fucilieri del Northumberland. Ferito alla spalla, o alla gamba (non è chiaro), nella fatale battaglia di Maiwand, viene trasferito all'ospedale di Peshavvar dove è colto da un attacco di gastroenterite che lo porta in fin di vita. Con la nave Orontes se ne torna quindi in Inghilterra e si rifugia in un albergo che paga con la pensione di reduce. Fino all'incontro del San Bartolomeo. «Dottor Watson, ecco Sherlock Holmes». Cosa avranno pensato l'uno dell'altro? Holmes, per Watson, è «alto più di sei piedi e talmente magro da sembrare ancora più alto. Gli occhi sono acuminei e svegli. Il naso aquilino contribuisce poi all'espressione attenta e decisa. I lineamenti sono diritti e pungenti e le mani invariabilmente macchiate di inchiostro e prodotti chimici, ma, nonostante ciò, mantengono un tocco assolutamente delicato».
Il dottore sembra invece a Holmes «un gentleman di tipico stile medico con tocchi militari. La carnagione è scura ma non è il suo colore naturale, lo si vede dai polsi che sono chiari. È stato a lungo poco bene e i lineamenti emaciati lo danno chiaramente a vedere».
Si presentano. Holmes enumera i suoi difetti: fuma molto tabacco forte, fa esperimenti chimici, va spesso soggetto a crisi di cattivo umore e non apre bocca per giorni interi. Suona il violino. Watson è accomodante. Dichiara di fumare tabacco da marinaio, aggiunge di possedere un cucciolo di mastino (che non verrà più menzionato in seguito), di odiare i frastuoni perché ha i nervi scossi, di essere pigro e di alzarsi ad ore impossibili. L'affare è fatto. L'appuntamento è per il giorno dopo a mezzogiorno in punto al numero 221b di Baker Street.

La cultura di Holmes

Da quel momento Watson, ormai inquilino di Holmes, comincia a studiare il nuovo amico, eccitato per le sue incredibili doti, ma senza dimenticare di scavare nel carattere del personaggio di cui, in un primo momento, non conosce esattamente nemmeno il lavoro. Il risultato è una tabellina che descrive le doti dello strano compagno.

1. Letteratura: nulle.
2. Filosofia: nulle.
3. Astronomia: nulle.
4. Politica: scarse.
5. Botanica: variabili. Conosce a fondo caratteristiche e applicazioni della belladonna, dell'oppio e dei veleni in generale. Ma non sa nulla di giardinaggio e orticoltura.
6. Geologia: pratiche, ma limitate. Riconosce a prima vista le diverse qualità di terra.
7. Chimica: profonde.
8. Anatomia: esatte, ma poco sistematiche.
9. Letteratura criminale: illimitate.
10. Suona bene il violino.
11. Abilissimo nella scherma e nel pugilato.
12. È dotato di buone nozioni pratiche in fatto di legge inglese:

«Se l'unico mezzo per scoprire qual è la mira di quest'uomo consiste nel conciliare queste voci, e nell'individuare una professione che le richieda tutte, tanto vale che rinunci fin d'ora al tentativo». Questo è il pensiero conclusivo dell'ottimo Watson, frastornato dalla sua conoscenza. Eppure, ce ne accorgeremo in seguito, il suo giudizio è errato.
Cominciamo dalla letteratura e dalla filosofia. In Il segno dei quattro, Holmes cita Carlyle, Goethe, Jean Paul e Winwood Reade. In Un caso d'identità ricorda Orazio, mentre in Il mistero di Valle Boscombe legge Petrarca e discute su George Meredith. In Il cerchio rosso cita Shakespeare, in La lega dai capelli rossi recita Flaubert. E ancora troviamo tracce di Tacito, Boileau e La Rochefoucauld. Per un ignorante, tutto questo sembra effettivamente troppo. Pensi piuttosto a sé il buon Watson, che come medico ha veramente molto da imparare. La sua cura preferita è il brandy e la usa contro tutti i malanni. Non riesce poi a capire quando Holmes si finge malato, come succede in L'avventura del poliziotto morente o in I signori di Reigate, e la sua prontezza di intervento sanitario è comunque poco brillante.

Le abitudini

Carattere instabile, disordine incredibile, amore per qualsiasi cosa possa essere fumata con preferenza per la pipa. Sherlock Holmes non deve essere stato un ottimo compagno di casa né un buon inquilino, considerato anche che la governante, Signora Hudson, ha sempre nutrito per lui un «sacro terrore». Conserva il tabacco in una pantofola persiana, i sigari nel portacarbone mentre le pipe e gli accendini rimangono in giro per la stanza senza alcun ordine apparente. Il tabacco è forte, probabilmente Arcadia, e viene acquistato da Bradley ad Oxford Street. Due sono poi le viziose abitudini: quella di fare continuamente anelli di fumo e quella di consumare, la mattina presto, tutti gli avanzi della pipa del giorno precedente lasciati seccare nel corso della notte. Anche se è convinzione del detective che «il fumo uccida l'appetito».

Viene poi la droga. Come descritto con puntiglio in Il Segno dei Quattro, Holmes possiede una siringa ipodermica con la quale si inietta una soluzione di cocaina al sette per cento tre volte al giorno nei periodi abulici. Una brutta abitudine assunta già ai tempi di La Faccia Gialla (1882) e continuata per molti anni senza un intervento di Watson, pessimo medico e indulgente amico. Dai resoconti del dottore biografo, l'ultimo riferimento a sostanze stupefacenti risale al dicembre 1897, nel Terzino Scomparso. Da allora, si può immaginare che Holmes abbia smesso o comunque diminuito il suo uso di cocaina, anche per motivi di salute vista l'età ormai non più giovanissima. Dietro il vizio di Holmes c'è l'impossibilità di stare fermo ed inattivo. «La mia filosofia è curiosa» confessa a Watson in Il Segno dei Quattro, «mi stanco quando ozio». Logico che quindi l'immobilità sia sentita e accusata profondamente e che da questa derivino le depressioni e le manie («guai a chi tocca le sue cose»), E non solo. Dall'ozio discende sicuramente anche l'instabilità della personalità holmesiana, così irrequieta, sempre alla ricerca di qualcosa capace di svegliare i sensi e giocare qualche scherzo alla noia della vita quotidiana. Parabola che include anche un vivace gusto per il travestimento.

La possibilità di trasformarsi in personaggi diversi, la dote di recitare come a teatro durante la fase dell'indagine sono uno dei caratteri più eccelsi di Sherlock Holmes. E lui, mancato attore con il gusto dell'entrata clamorosa, sfrutta questo suo potenziale senza pensarci troppo, tanto che, nei sessanta racconti che ne narrano le gesta, sono almeno quattordici le mascherate holmesiane. Nel Segno dei Quattro è un marinaio anziano; in Uno Scandalo in Boemia si trasforma da oscuro ubriacone a prete anticonformista; in L'uomo dal labbro storto si trucca da vecchio; in Il diadema di Berilli è un perditempo qualunque; in I signori di Reigate diventa un brillante inserviente; in Il problema finale è ancora prete ma questa volta italiano; in La casa vuota si traveste da vecchio defome; in Ladri Gentiluomini è un giovane uomo di fatica; interpreta lo stesso ruolo, ma francese, nel caso di Lady Carfax; cambia sesso e diventa una vecchietta in La pietra di Mazzarino; si finge malato in Il detective morente; è Altamont, la spia, in L'ultimo saluto.

Ad Holmes piace poi cambiare a tavola. I suoi pasti con Watson sono spesso ricchissimi e comunque estremamente delicati. Vale la pena di ricordare il menù del pranzo luculliano di Il Segno dei Quattro. Ostriche, gallo cedrone, vini bianchi assortiti e caffè, lista niente male per un inglese. Quanto ai ristoranti, due sono i nomi favoriti, Simpson's on the Strand e Mancini, menzionati il primo in Il detective morente e in Il cliente illustre, il secondo nel Mastino. In I progetti di Bruce Partington, Holmes e Watson scelgono ancora italiano, questa volta il Goldini, in Gloucester Road. Vino e whisky piovono in buona quantità, ma, alla fine, la lotta per il miglior drink viene vinta dal Porto anche se è il brandy che riscuote i maggiori favori di Watson. Il Chianti, il Porto ed il Tokai sono quindi citati in Il segno dei Quattro. In L'uomo carponi Holmes afferma che il Porto servito nel Chequers di Camford era uno dei migliori mai provati mentre in L'inquilina velata, insieme a Watson, pranza con gusto innaffiando una pernice con del Montrachet.
Anche nel mangiare, Holmes non perde però occasione di dimostrare una certa irregolarità. Vestito della sua vestaglia color porpora, fa tradizionalmente colazione verso le nove e mezzo, normalmente con continental breakfast, toast e caffè. La cena viene quindi servita alle sette della sera, confezionata dalla premurosa Signora Hudson con grande varietà. Tenendo presente che, come ammette lo stesso Watson, «la dieta di Holmes è fra le più disparate» (La faccia gialla).

Gli abiti sono invece abbastanza classici, comunque diversi dall'iconografia tramandata dai ritratti. Sherlock Holmes, secondo il dottor Watson, non ha mai indossato il tipico cappellino da caccia, né la mantellina Inverness. Il suo stile è altero ed elegante, tendente allo sportivo senza disdegnare l'abito da sera, comunque comodo. Nel caso di Valle Boscombe, veste un lungo mantello da viaggio e un cappello di stoffa aderente; più generalmente usa delle giacche con il collo stretto ed in casa trionfa la vestaglia. Specialmente quando suona il suo prezioso violino Stradivarius, nelle notti di pensieri, con melodie che sembrano sconnesse e che invece rappresentano un tentativo di inseguire l'indizio e le tracce di qualche criminale.

Le donne

Irene AdlerPer Holmes, l'unica rappresentante del sesso femminile degna di essere ricordata sarà sempre Irene Adler, la donna di Uno scandalo in Boemia. Bella, scaltra ed intelligente cantante lirica è l'unica persona che mai abbia turbato i sentimenti dell'investigatore. Tutte le altre sono state soltanto lo spunto per battute e osservazioni filosofiche che dimostrano come Holmes pur non ammettendo esperienze dirette, conosca alla perfezione l'altro sesso. «Nessuna donna va mai creduta sino in fondo, non almeno le migliori» afferma in Il segno dei Quattro e in L'uomo dal Labbro Storto aggiunge di aver «vissuto abbastanza per sapere che quanto una donna sente può valere più di un ragionamento analitico». Per Holmes, quindi, la donna è una creatura assolutamente unica, un punto di sfida e riferimento allo stesso tempo. Il suo distacco dal genere è quasi il frutto di un risentimento personale che sfocia nel perenne tentativo di comprendere qualcosa di impossibile. «La mente e il cuore di una donna sono dei rompicapi insolubili per l'uomo» (Il cliente illustre) e «le ragioni delle donne sono imperscrutabili» (La seconda macchia), sono due frasi che sostengono questa teoria, che lo stesso Holmes ha inteso benissimo. «Le donne non hanno mai avuto presa su di me - racconta ancora in La Criniera del Leone - e questo perché il mio cuore è sempre stato guidato dal cervello. Ma non posso fare a meno di vedere questo volto dai lineamenti chiari, con tutta la morbida freschezza del Downlands nel suo delicato colore, senza pensare che qualunque giovane non riuscirebbe ad affrontarlo uscendone incolume».
Holmes comprende e, forse proprio perché sente il pericolo «donna» sta lontano dall'altro sesso. Ma, in fondo, conserva una certa nostalgia per quanto perduto e la conclusione naturale la offre all'unico suo amico in Il piede del Diavolo: «Non ho mai amato, Watson, ma se l'avessi fatto e la mia donna avesse incontrato una fine così orrenda, mi sarei comportato persino peggio di quanto non abbia fatto il nostro cacciatore di leoni».

L'enigma delle Cascate Reichenbach


Nei dieci anni a partire dal 1881, Holmes e Watson risolvono, stando ai resoconti del dottore, ben ventisette casi. Nel novembre del 1887, Watson si sposa con Miss Morstan, abbandona Baker Street e lascia Holmes solo, senza però disdegnare qualche intervento in suo aiuto, considerando che la sua clientela è scarsa.
Poi, nel 1891, succede il fatto destinato a cambiare la vita della coppia. Il 24 aprile di quell'anno, Holmes fa visita a Watson nel suo studio medico e lo invita a passare una settimana in Europa all'inseguimento del perfido Moriarty e del suo partner Colonnello Sebastian Moran, il secondo uomo più pericoloso di Londra dopo il «Napoleone del Crimine». Watson accetta di buon grado e i due partono alla volta della Svizzera dove, al termine di un corpo a corpo feroce, il detective ed il criminale precipitano nelle cascate Reichenbach.
È la fine del grande detective? Certamente no. Holmes è riuscito a trovare un appiglio e, eludendo il colonnello Moran, si è messo in salvo decidendo di non far sapere a nessuno di essere in vita, per evitare la vendetta della gang del defunto Professor Moriarty. Una settimana dopo lo troviamo infatti a Firenze, sicuro che nessuno al mondo è al corrente del suo scampato pericolo.
Comincia a quel punto il lungo pellegrinaggio che Watson racconta in La Casa Vuota. Holmes passa due anni in Tibet sotto il falso nome di Sigerson, quindi si intrattiene a Lhasa dove conosce il capo Lhama. In seguito fa tappa in Persia, a La Mecca e a Kartum dove incontra Khalifa sul quale riferirà al ministero degli Esteri. Infine, siamo nel 1894, ritorna in Europa, in Francia, dove viene a conoscenza dell'omicidio di Ronaid Adair che lo riporta a Londra.
Qui ritrova le camere di Baker Street, conservate dal fratello Mycroft e comincia la caccia al Colonnello Moran che finirà arrestato per l'assassinio di Adair e per l'aggressione ai danni dello stesso investigatore.
A quel punto, la carriera del detective riprende a pieno ritmo sino ad un secondo momento dubbio, la sparizione di Watson, che avviene nel 1896, anno in cui l'unico caso che sappiamo con sicurezza risolto è quello di L'inquilina velata. Parliamo di sparizione, ma le ipotesi che la concretizzano sono due, un secondo matrimonio o un litigio fra i due amici. Come detto, Watson si era sposato nel 1887 ed il matrimonio era durato circa sei anni, sino alla fine del 1893 (o l'inizio del '94), momento della morte della moglie per malattia. Un secondo matrimonio fra il '94 e il '96, anno del ritorno di Watson a Baker Street, non appare di conseguenza probabile. Se quindi la decisione di saltare la narrazione degli eventi del 1896 deriva da un tentativo di occultare, molto britannicamente, un dissidio con Holmes, la sparizione temporanea di Watson dalla vita del detective appare spiegata. Se si esclude un secondo matrimonio, allora le cause non sono poi così oscure e risiedono nei difetti dei due uomini. Holmes era infatti tossicodipendente mentre Watson aveva il vizio del gioco, entrambi erano assolutamente privi di tatto. Un diverbio fra i due appare quindi estremamente probabile, soprattutto in un momento di debolezza. Watson abbandona Holmes e questi costituisce la Sherlock Holmes Agency, probabilmente con un socio nuovo che alla fine non lo soddisferà completamente tanto che, al termine del 1896, il detective comincia già a sentire la mancanza dell'amico Dottore. Ed il ricongiungimento avverrà puntualmente ai primi di novembre, con l'avvio del caso di L'inquilina velata.

Comincia in quel momento l'ultima fase di grande attività di Holmes. Altri quattordici casi, compreso quello del Mastino dei Baskerville e poi Waston se ne va di nuovo, nel 1902, per il suo ultimo e secondo matrimonio. Il detective, ormai cinquantenne resisterà ancora per una mezza dozzina di avventure e nel 1903, risolto il problema dell'Uomo Carponi sceglierà la via del Sud Inghilterra ed il ritiro nella sua Villa nel Sussex, fra Eastbourne e Brighton, con una grande vista sul Canale della Manica.

Il suo ultimo saluto


Nella tranquillità del suo prepensionamento, Holmes comincia a coltivare api e scrive il suo trattato sull'argomento, in compagnia della «sua governante», che immaginiamo essere la Signora Hudson.
Ritorna però in scena nel 1907 in La criniera del Leone, racconto tramandatoci dalla stessa penna del detective, in uno stile perfettamente watsoniano, aiutato forse dallo stesso dottore nel corso delle sue visite di fine settimana. Nei cinque anni successivi, Holmes continua la sua vita ritirata insieme alle api che «guarda combattere con lo stesso occhio con cui curava il mondo criminale di Londra». E tutto va così tranquillo fino all'alba del primo conflitto mondiale quando il dovere lo richiama in azione.
Nel 1912, Sir Edward Crey e Mr. Asquith lo convincono a collaborare con i servizi segreti di Sua Maestà e lo mettono in viaggio per il mondo, a Chicago, a Buffalo, dove sotto le mentite spoglie di Altamont, una spia mezza irlandese e mezza americana, si inserisce nelle maglie dell'informazione tedesca. L'apparizione finale avviene il 2 agosto del 1914, come Watson, redivivo, «unico punto fisso in una epoca di cambiamenti», racconta in L'ultimo saluto.
In una casa del Sussex Holmes/Altamont inganna il suo ultimo nemico, la spia Von Bork e fugge verso il definitivo teatrale addio al pubblico dei suoi lettori.

Adesso, possiamo pensare che Sherlock Holmes stia riposando da qualche parte. Nella sua dimora di fronte al mare, vive sereno l'eternità che la sua mente gli ha regalato, nel mondo degli «eroi» del raziocinio: per loro, rimasti in pochi, il destino è quello dell'immortalità, anche involontaria, a tutti i costi. Come del resto sarà sino a che, in un qualsiasi posto del globo, continuerà a rivivere nell'animo dei lettori lo spirito dell'eterno adolescente.

grazie a: Sherlock Holmes l'inglese, Mystfest 87, 1987

vedi anche:

Fabio Giovannini - Marco Zatterin, Sherlock Holmes: indagine su un mito centenario, Dedalo, 1987