inizio rosso e giallo

 


Sherlock Holmes

Una domenica della fine d'aprile 1886, Touie, la moglie di Conan Doyle, scrisse a sua cognata Lottie: "Arthur ha terminato un altro libro, un breve romanzo di circa duecento pagine, intitolato A study in scarlet. Lo ha finito ieri sera...".
Del suo nuovo romanzo, l'autore si sentiva piuttosto convinto: lo riteneva originale. Vi era, tanto per cominciare, un personaggio di qualche interesse. Anche per Sherlock Holmes si può andare in cerca di un modello realmente esistito: il dottor Joseph Bell che era stato uno dei maestri di Conan Doyle alla facoltà di medicina di Edimburgo. Magro, affilato, dotato di acuta intelligenza e d'ironia veramente mordace, il dottor Bell predicava che, per formulare una diagnosi, occorre usare mani, orecchi, occhi e soprattutto cervello. Era un medico e la sua lotta aveva per oggetto i misfatti delle malattie, ma il suo metodo poteva essere applicato anche per perseguire i misfatti dell'uomo: insegnava, spronava, infatti, a dedurre. Agitando le mani lunghissime, affusolate, il dottor Bell sentenziava, divinando, da particolari che ai suoi allievi apparivano trascurabili, ambienti, professioni e storie dei pazienti: da un nonnulla ricostruiva una vita, e la lucidità con cui più volte colpiva nel segno sbalordiva chi non riusciva a seguire i suoi procedimenti mentali.
L'ex allievo del dottor Bell aveva cercato di versare il ricordo dell'eccezionale maestro nel figlio di carta che voleva eccezionale. Ai suoi tempi non esisteva ancora un vero sistema di criminologia scientifica: il primo importante testo su quest'argomento, L'investigazione criminale di Hans Cross, sarebbe stato messo in circolazione solo nel 1891, quando ormai Sherlock Holmes era ben vivo. Questo dato basta a far apprezzare la novità non solo letteraria dell'impresa di Conan Doyle: mentre sopra la sua testa la moglie strimpellava il pianoforte nello studio tappezzato da acquarelli del padre, fantastici ma più spesso spaventosi, il giovane medico senza troppi pazienti, per creare un personaggio interessante riuscì addirittura a mettere insieme le premesse per una rivoluzione dei metodi polizieschi. Non è un'opinione solo nostra, ma il giudizio pronunciato una quarantina d'anni dopo la nascita di Sherlock Holmes da un esperto, il dottor Edmond Locard, capo del laboratorio scientifico della polizia di Lione, nel suo studio Policiers de roman et de laboratoire: "Sostengo che un esperto di polizia, o un magistrato inquirente, non si accorgerebbe di sprecare il proprio tempo se leggesse i romanzi di Doyle...", e così via con autentico entusiasmo e rispetto.

Ma vediamo di approfondire, con obiettività, vincendo l'antipatia che proviamo per lui, la nostra conoscenza di Sherlock Holmes:
"II suo fisico, di per se stesso, era tale da attirare l'attenzione dell'osservatore più superficiale. La statura di Holmes superava il metro e ottanta, era tanto magro da parere più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti, salvo in quei periodi di torpore di cui ho fatto cenno; il naso affilato e un poco adunco conferiva alla sua faccia un'espressione vigilante e decisa. Anche il mento, quadrato e pronunciato, denotava in lui una salda volontà. Aveva le mani sempre macchiate d'inchiostro e di sostanze chimiche, eppure possedeva una straordinaria delicatezza di tatto, come avevo osservato vedendolo manipolare i suoi fragili strumenti."
A parlare, naturalmente, è il dottor Watson, il presunto biografo. A questo proposito ci permetteremo una breve divagazione, abbastanza in tema del resto, sugli strani rapporti che intercorrono tra le coppie famose d'investigatori: nulla di palesemente corrotto, s'intende - la narrativa poliziesca tradizionale è, in genere, pudicissima o ipocritissima - qualcosa, comunque, di un poco diverso o almeno tendenzialmente divergente dalla normalità, sì. Questi uomini che per volumi e volumi, anni e anni, vivono a ridosso uno dell'altro, non solo nell'esistenza ufficiale ma anche in quella privata, finiscono per essere come vecchi coniugi, tra cui le passioni si sono spente a favore delle abitudini, della comprensione e dei risentimenti, però possono ridivampare a un'improvvisa tentazione di gelosia: il tiranno, naturalmente, il maschio, è l'investigatore, l'altro, il biografo e aiutante, gli appartiene, gli è in fondo un poco femminilmente succubo. È in questo senso che Rex Stout ha avventato la sua celebre frase: "Watson era una donna"? Tale frase, che venne pronunciata, per la storia, la notte del 31 gennaio 1941 alla riunione degli "Irregolari dì Baker Street", insomma i fedeli di Sherlock Holmes, americani-e che Ellery Queen definisce blasfema in una sua divertente nota - è stata ripresa a orecchio più volte, tuttavia non ci risulta aver portato a un approfondimento della questione.
Di Watson, si conoscono relazioni con l'altro sesso addirittura sfocianti nel matrimonio. Quanto alle condizioni psicofisiche del più famoso poliziotto del mondo, l'allusione a una segreta malattia, a un vizio almeno, è indubbiamente una conseguenza, uno sviluppo d'un dato di Dupin. Ricordate che la condotta di costui è descritta come anormalmente, morbosamente sovraeccitabile e incostante? Ebbene, già dal primo libro delle avventure di Sherlock Holmes, il dottor Watson, con tutto il suo candore, lascia sospettare che il suo idolo ricorresse a qualche correzione innaturale per sopperire a qualche mancanza o esasperazione, a qualche scompenso, insomma, di temperamento.
"La sua energia pareva inesauribile, quando lo coglieva un accesso di attività, ma ogni tanto accadeva una qualche reazione in lui. Allora, per giorni e giorni, se ne restava sul divano del salotto, dalla mattina alla sera, pronunciando a malapena qualche monosillabo e senza contrarre un solo muscolo della faccia. In tali occasioni avevo notato nei suoi occhi un'espressione vacua, assente, e avrei sospettato che facesse uso di qualche stupefacente, se la palese temperanza e l'igiene che regolano la sua vita non m'avessero indotto a respingere una simile ipotesi."
Watson è candido, Conan Doyle un poco meno: sul suo eroe, già dalle prime pagine, ammicca un dubbio, un interrogativo destinati a trovar conferma: Sherlock Holmes indulge alla cocaina.
"Sherlock Holmes tolse una bottiglia dalla mensola del caminetto e una siringa ipodermica da un lucido astuccio di marocchino. Con le lunghe dita, bianche e nervose, avvitò all'estremità della siringa l'ago sottile e si rimboccò la manica sinistra della camicia. I suoi occhi si posarono per qualche attimo pensierosi sull'avambraccio e sul polso solcati di tendini e tutti punteggiati e segnati da innumerevoli tracce di iniezioni. Infine si conficcò nella carne la punta acuminata, premette sul minuscolo stantuffo, poi, con un profondo sospiro di soddisfazione, ricadde a sedere nella poltrona di velluto."
Sherlock è ancora più sconcertante se lo si affronta sul piano culturale: qui è un miscuglio inaudito d'ignoranza totale e di straodinaria sapienza. Watson, per capire qualcosa circa l'uomo da poco conosciuto - hanno affittato insieme, per risparmiare, un appartamento al n. 221 B di Baker Street - si prova a elencare le:
"Cognizioni di Sherlock Holmes: 1. Letteratura: zero. 2. Filosofia: zero. 3. Astronomia: zero. 4. Politica: scarse. 5. Botanica: variabili. Conosce a fondo caratteristiche e applicazioni della belladonna, dell'oppio e dei veleni in generale. Non sa nulla di giardinaggio e di orticultura. 6. Geologia: pratiche ma limitate. Riconosce a prima vista le diverse qualità di terra. Dopo una passeggiata, mi ha mostrato certe macchie sui suoi pantaloni indicando, in base al loro colore e alla loro consistenza, in qual parte di Londra avesse raccolto il fango dell'una o dell'altra. 7. Chimica: profonde. 8. Anatomia: esatte, ma poco sistematiche. 9. Letteratura sensazionale: illimitate. A quanto pare, conosce i particolari di tutti gli orrori perpetrati nel nostro secolo. 10. Suona bene il violino. 11. È abilissimo nel pugilato e nella scherma. 12. È dotato di buone nozioni pratiche in fatto di legge inglese."
Arrivato a questo punto, Watson si perde di coraggio e di pazienza, decide che non riuscirà a capire quale mira e quale professione possano conciliare tali voci troppo varie, butta la lista nel fuoco e aspetta che Holmes stesso fornisca una risposta ai suoi interrogativi.
La prima risposta gli arriva quando Sherlock stesso gli confessa di essersi
"reso colpevole di alcune monografie: trattano tutte di argomenti tecnici. Eccone qui una, per esempio: Sulla distinzione tra le ceneri dei vari tipi di tabacco. In essa enumero centoquaranta tipi di sigari, sigarette e tabacco da pipa, con tavole colorate illustranti le varie differenze fra le ceneri dei diversi tipi. Si tratta di un particolare che ricorre continuamente nei processi penali, e che può essere talvolta di importanza capitale come indizio. Per esempio, se si riesce a stabilire con assoluta certezza che un determinato delitto è stato commesso da qualcuno che fuma una lunkah indiana, questo, evidentemente, delimiterà il campo delle nuove indagini. Per un occhio esercitato esiste, tra la cenere nera di un Trichinopoly e quella bianca dell"occhio di uccello', la stessa differenza che passa tra un cavolo e una patata."
E la seconda risposta quando finalmente lo vede alle prese con l'indagine per un delitto:
"Trasse di tasca un metro e una grossa lente d'ingrandimento, rotonda. Armato di quei due strumenti si mise a trotterellare in silenzio per la stanza, fermandosi qua e là e, di quando in quando, inginocchiandosi. Una volta si sdraiò addirittura al suolo. Era così assorto che sembrava essersi dimenticato della nostra presenza. Infatti, continuava a parlar da solo, sottovoce, prorompendo di continuo in esclamazioni, sbuffate, fischi e piccole grida di giubilo e di speranza. Mentre l'osservavo non potevo fare a meno di paragonarlo a un segugio di razza, ben allenato, intento a inseguir la preda. Per più di venti minuti continuò le proprie ricerche misurando con la massima cura la distanza che separava tracce a me invisibili e, di tanto in tanto, applicando il metro alle pareti in un modo incomprensibile. In un punto, raccolse con cura dal suolo un mucchietto di polvere grigia e lo ripose in una busta. Infine, esaminò con la lente d'ingrandimento le parole scritte sul muro, scrutando minuziosamente ogni lettera. Dopo di che parve soddisfatto e si rimise in tasca il metro e la lente d'ingrandimento. 'Dicono che il genio consiste in un'illimitata capacità di curare i particolari' osservò sorridendo. 'È una pessima definizione, ma si applica al lavoro dell'investigatore.'"
Ma torniamo alle voci dell'elenco redatto da Watson. Occorre sottolinearne almeno una, quella contrassegnata dal numero 9: letteratura sensazionale. Holmes non conosce solo i resoconti dì tutte le indagini vere, ma anche di quelle immaginarie. Così gli capita di enunciare a Watson con la consueta spavalderia il proprio parere sui suoi predecessori di carta:
"Dupin era un mediocre. Quel suo trucco d'intervenire nei pensieri del suo amico dopo un quarto d'ora di silenzio, è pretenzioso e superficiale. Senza dubbio Dupin aveva una certa capacità analitica, ma non era quel famoso fenomeno che Poe pareva ritenerlo... Lecoq era un miserabile pasticcione. Aveva una sola dote al suo attivo: l'energia. La lettura di Lecoq il poliziotto mi ha dato addirittura la nausea. Il problema consisteva nell'identificare un prigioniero sconosciuto. Io avrei potuto risolverlo in ventiquattrore. Lecoq ci ha messo sei mesi... So benissimo di avere le doti per rendere famoso il mio nome. Non c'è, non c'è mai stato un uomo al mondo che si sia dedicato alle indagini sul crimin con la mia profondità di cognizioni e con la mia innata abilità. Ma quali sono i risultati? Non ci sono delitti da mettere in luce, o, al massimo, c'è qualche grossolano reato con un movente così palese che persine i funzionari di Scotland Yard riescono a scorgerlo a prima vista..."

Nonostante i suoi lamenti circa la scadente qualità dei crimini da investigare, Sherlock Holmes - pensare che il nome preso dapprima in considerazione per il gran personaggio era stato Sherrinford - riuscirà a diventare famoso, più che famoso, applicando la teoria secondo la quale da una goccia d'acqua un ragionatore veramente logico dovrebbe dedurre la possibile esistenza d'un oceano Atlantico e d'una cascata del Niagara, senza averli mai visti e senza aver mai sentito parlare dell'uno o dell'altra, perché tutta la vita è una grande, unica catena, la cui natura è intuibile da chi ne sappia osservare un solo anello.
Agli inizi, tuttavia, la sua sorte fu un poco in pericolo: il manoscritto di A study in scarlet, inviato a Payn, direttore del Cornhill Magazine che già aveva accettato qualcosa di Conan Doyle, ricevette qualche elogio ma anche l'amara sentenza che era troppo lungo per essere pubblicato in un solo fascicolo e troppo breve per essere spezzato in puntate; quanto all'editore Arrowsmith, successivamente chiamato in causa, costui respinse senza neppure leggerlo il romanzo al mittente che maliconicamente ma non rassegnatamente così commentò il fatto in una lettera alla madre: "La letteratura è un'ostrica difficile da aprire! Ma con il tempo le cose cambieranno..."
Non c'era da aspettare molto, l'ostrica riottosa stava per cedere: Ward, Loock & Co, ricevuto e letto A study in scarlet, comunicarono all'autore di essere disposti ad anticipargli venticinque sterline per il suo romanzo in cambio della rinuncia totale a ogni futuro diritto. Condizioni piuttosto dure, di fame. Conan Doyle cercò di ottenere la promessa di qualche percentuale sulle vendite, gli altri furono irriducibili, toccò a lui capitolare.
Del resto, in quel periodo era preso da nuovi interessi: a differenza della sua creatura, Conan Doyle non era affatto un intellettuale specializzato. Quando nel 1889 - due anni dopo che la prima avventura di Sherlock Holmes era uscita come pezzo principale del Beeton's Christmas Annual, senza riscuotere la minima attenzione da parte della critica - il direttore americano del Lippincott's Magazine si presentò a chiedere una seconda avventura al medico di Southsea, questi stava pensando a un romanzo storico e fu spinto ad accettare solo dalla prospettiva di guadagnar qualcosa e, quando nel 1891 l'editore dello Strand Magazine, cui sempre per guadagnar qualcosa era stato inviato qualche episodio spicciolo dell'investigatore di Baker Street, cominciò a tempestare con la richiesta di nuovi pezzi della serie, Conan Doyle, avendo abbandonato la carriera medica per dedicarsi alla letteratura, si trovò persino a resistere: l'interesse con cui aveva creato il personaggio era ormai sfumato, ora lui aveva voglia di esprimere ben altre ambizioni, ben altri sogni. Per troncare netto, chiese molto, a stretto giro di posta gli arrivarono dallo Strand l'assenso e l'ansiosa domanda: quando si sarebbe potuto ricevere il primo dei nuovi racconti?
Non avendo incontrato le imprese di Dupin particolare successo commerciale, Poe era stato libero di abbandonare il suo eroe, appena gli era risultato troppo macchinoso. ma le imprese di Holmes conquistavano ogni giorno lettori su lettori, affascinati, sedotti dal presunto spettacolo della ragione al lavoro.
L'infallibilità e l'avidità di enigmi di quell'odiosa creatura - perché non dovremmo manifestarle la nostra antipatia quando il primo a manifestargliela è stato proprio il suo creatore? - suscitavano ammirazione ed entusiasmo, la presunta logica era diventata materia d'attrazione, divertimento, passione, a Conan Doyle toccava rispettare la sentenza del pubblico.
Così scriveva e scriveva: la mattina dalle otto a mezzogiorno, la sera dalle diciassette alle venti conviveva con Sherlock Holmes. Alzava gli occhi dal foglio e gli pareva di vederlo sedere in un angolo della stanza, nel chiarore incerto della lampada, i tratti aquilini fortemente disegnati - il disegnatore Sidney Paget aveva magistralmente dato una fisionomia definitiva al gran personaggio: gli occhi assenti fissi a un punto qualsiasi del soffitto, la vecchia pipa di radica tra le labbra, aureolato di fumo azzurregnolo. silenzioso, immoto, una specie di ossessione. Ma era ancora peggio quando gli pareva di sentirlo parlare, sputare sentenze, non tanto vanitoso quanto insopportabilmente esatto.
È difficile convivere con qualcuno che abbia sempre ragione, sia capo del governo, sia moglie, sia amico del cuore, Conan Doyle non aveva mai posseduto il candore di Watson, e ormai aveva abbastanza confidenza teorica con il crimine, perché l'idea del delitto non lo sfiorasse prima o poi.
Era il novembre del 1891, l'ex medico aveva quasi completato la nuova serie di sei avventure: gli mancava un solo episodio, nel dare questa notizia alla madre lasciò scivolare con finta indifferenza quasi tra le righe: "Ho in mente, all'ultimo. di accoppare Holmes e di liquidarlo una volta per sempre perché mi distolglie da cose tanto più importanti". "Non puoi farlo" fu la immediata replica della madre. "Non devi assolutamente, te lo proibisco". Il figlio ubbidì, anche se a malincuore: la sesta avventura della nuova serie terminò con Holmes ancora in vita.
Ma l'idea del delitto era ormai nella mente di Conan Doyle e, quando nell'aprile del 1893, abbastanza esaurito, terribilmente raffreddato e irritato, disgustato, infuriato dal dover condurre in porto una nuova serie delle avventure del poliziotto più famoso del mondo - un suo nuovo ultimatum che elevava ancora il prezzo di ogni episodio era stato prontamente accettato dallo Strand - comunicò alla madre: "Sono a metà dell'ultimo racconto di Holmes, al termine del quale il gentiluomo scompare per non tornare mai più. Sono stufo anche solo di sentirlo nominare."
Neppure la vecchia signora potè più intercedere validamente, il personaggio costava troppo al suo autore in preoccupazioni ed energie: inventare qualcosa di complicato, di eccezionale ogni volta, dover mantenersi all'altezza del passato, dover appagare l'aspettativa del pubblico era sfibrante.
Del resto, Conan Doyle aveva già scelto da tempo luogo e modalità del delitto: la cascata di Reichenbach vista in Svizzera, ove s'era recato a riposare un poco. Si trovava appunto di nuovo in Svizzera quando quel dicembre del 1893 lo Strand pubblicò il racconto al termine del quale Sherlock Holmes piomba nel precipizio: il clamore delle proteste con cui fu accolta quella scomparsa giunse a Conan Doyle da lontano ma pur sempre in modo da aumentare il suo odio per il terribile poliziotto. Non gli toccò vedere gli impiegati della City andare al lavoro portando il lutto per il loro eroe preferito, ma ricevette lettere su lettere di sgomento o insulti, richieste ansiose di notizie da tutte le parti del mondo.
Dal dicembre del 1893 ovunque andasse o fosse, all'estero o in patria, qualsiasi altra cosa facesse, romanzi storici, commedie e così via, prima o poi, direttamente o indirettamente, Conan Doyle venne rimproverato per aver sottratto a milioni e milioni di lettori il loro beniamino. Sherlock Holmes non si rassegnava al suo liquido sepolcro: alla lunga, chi sarebbe stato più forte, il personaggio o l'autore? L'autore ebbe infortuni con la critica per romanzi storici, commedie e così via, ebbe disavventure e avventure nella vita, tra cui la grave malattia della moglie e il nuovo folgorante amore per Jean Leckie, insomma maturò. Così, poco a poco diventò più malleabile sull'argomento, sebbene il semplice suono del fatidico nome bastasse a infondergli la nausea. Proprio lo rivolevano tanto, Sherlock Holmes? Lui non capiva come non fossero felici d'essersene sbarazzati: ebbene, se lo rivolevano, lo avrebbero riavuto.
Ricominciò con una commedia intitolata appunto Sherlock Holmes, scritta per un attore americano verso la fine del 1897 tanto per pagarsi una nuova casa di campagna, e pur senza mai nominare il suo eroe, ne fece sentire fuori campo la voce in uno dei suoi più bei racconti sensazionali composto nella primavera del 1898.
Poi, dopo un'appassionata partecipazione alla guerra angloboera e alla lotta politica, a partire dal marzo del 1901 buttò giù The hound of the Baskervilles, alla cui trama aveva in verità pensato, dapprima, senza neppure sospettare di dover ricorrere al demone di Baker Street. Solo quando ebbe finito di studiare i particolari dell'intreccio si chiese perché mai cercar d'inventare un nuovo personaggio di investigatore, avendone a disposizione uno ben collaudato. Tenne, però, ancora duro, più che altro per orgoglio - si vedeva già vinto, sentiva l'altro ridere di lui come di un Watson qualsiasi troppo in ritardo nel capire l'andamento delle cose, e allora s'irrigidiva - sulla morte di Sherlock Holmes.
The hound of the Baskervilles fu presentato come un episodio avvenuto prima della fatale caduta nella cascata di Reichenbach; e l'editore dello Strand, che pubblicò il romanzo in otto puntate tra l'agosto del 1901 e l'aprile del 1902, parlando all'assemblea annuale degli azionisti definì una volta di più spaventosa e disgraziatissima la fine del gran personaggio. "Holmes è in fondo alla cascata di Reichenbach" si ostinava a proclamare Conan Doyle: ma, dopo cinquecento repliche consecutive oltreoceano, l'attore americano William Gillette - più Sherlock Holmes degli stessi pupazzi disegnati da Sidney Paget - ormai sbarcava in Inghilterra con la commedia tratta e rielaborata dal copione dello scrittore inglese.
Del resto, la riapparizione sullo Strand del più famoso poliziotto del mondo, seppure postdatata, contribuì forse più della stessa campagna propagandistica a favore dei combattenti inglesi a far ottenere il titolo di Sir all'ex medico di Southsea. E poi sopravvenne la capitolazione: dall'America offrirono una cifra addirittura inammissibile per ogni nuova avventura di Holmes e il neobaronetto comunicò laconicamente su una cartolina postale al suo abile agente: "Molto bene".
Era la primavera del 1903: lui aveva quarantatre anni, si sentiva molto cinico e calmo, molto calmo.

grazie a: Oreste Del Buono - Lia Volpatti, Il dizionario dei detectives, Mondadori, 1980