Berlino 1953

 

L'economia della DDR, la Repubblica Democratica Tedesca, in virtù delle risorse del paese e degli impianti industriali anteguerra, era la meno arretrata del blocco sovietico ma l'impostazione burocratica della pianificazione non favoriva certo l'efficienza e la produttività.
Per superare le difficoltà venivano effettuate scelte inefficaci che, oltre a tutto, non tenevano conto dell'elemento che avrebbe essere dovuto centrale in uno stato socialista, la classe lavoratrice.
Ad esempio erano gli organi politici che - coerentemente con la politica di programmazione tipica dell'URSS - fissavano gli obiettivi ed i carichi di lavoro per gli operai: nel maggio 1953 il Politbüro della SED, il Partito di Unità Socialista di Germania, decise che le le quote di lavoro dell'industria erano inadeguate e stabilì che venissero elevate del 10%.
Quando, per rispettare le nuove direttive, un complesso di imprese edilizie decise di applicare tagli nei salari nel caso non fossero raggiunte tali quote, gli operai protestarono con forza e, non ottenendo alcun riscontro, entrarono in sciopero: la loro manifestazione innescò un'incredibile reazione a catena e in tutti i centri industriali si diffuse rapidamente il movimento di lotta, a cui si stima che abbiano partecipato oltre un milione di persone.
La protesta, naturalmente, andò subito ben oltre le pur importanti rivendicazioni sindacali e assunse inevitabilmente un forte significato politico: contestare decisioni attuate nella sfera economica ma elaborate nei centri del potere politico non poteva, apppunto, che essere un atto politico, che, mettendo in discussione la dirigenza governativa, rischiava di incrinare la struttura stessa dello Stato.
Il governo non era preparato ad affrontare una situazione del genere e non seppe trovare una soluzione politica, che mediasse fra le esigenze del sistema e quelle di coloro che erano la base strutturale di questo sistema, e scelse la via più sbrigativa: la repressione.

L'Armata Rossa che aveva distrutto le truppe hitleriane e liberato la Germania aveva lasciato un forte contingente nel paese, reso particolarmente efficiente dalla necessità di contrapporsi in modo adeguato alle forze occidentali, e fu dunque questo lo strumento della normalizzazione. Che tuttavia non risultò affatto rapida e immediatamente risolutiva, come invece si auguravano i centri di potere - a Berlino e a Mosca, perché gli scioperi e le proteste non accennarono a diminuire, e persero energia, fino ad esaurirsi, solo dopo oltre due mesi di violenti scontri, con centinaia di vittime.











Andrea Tarquini

Berlino 1953 rivolta per la libertà


Fu una rivoluzione democratica molto più ampia di quanto non si sapesse, la rivolta contro la dittatura stalinista di Walter Ulbricht del 17 giugno 1953. Non coinvolse solo il settore orientale di Berlino ma tutto il paese, e nella provincia continuò fino a luglio inoltrato. Soltanto la guarnigione sovietica salvò dal crollo il "primo Stato socialista sul suolo tedesco".
L'apertura degli archivi segreti della Stasi consente per la prima volta di fare piena luce su quel capitolo tragico della storia della guerra fredda. Il lavoro di due giovani storici, Armin Mitter e Stefan Wolle, toglie ogni dubbio: prima del '56 ungherese, prima del '68 di Praga e dell'estate 1980 di Danzica, l'impero sovietico cominciò a vacillare in Germania orientale. Ovunque la protesta partì dalle fabbriche per contagiare ogni strato sociale: studenti e contadini, pastori protestanti e donne, affrontarono i panzer chiedendo libere elezioni e l'unità nazionale.
La scintilla della rivolta è già nota: la "costruzione accelerata del socialismo" aveva ridotto la Rdt alla fame. L'aumento delle "norme produttive" (incremento dei ritmi e degli orari) fu la goccia che fece traboccare il vaso. Quando il Cremlino impose al regime il ritiro delle famigerate "norme" e un'umiliante quanto generica autocritica era già troppo tardi.
Dicono i rapporti da ogni fabbrica, dal Kombinat chimico di Halle ai cantieri di Rostock: "La situazione è sfuggita al controllo del partito. I dirigenti dell'azienda non sono più in grado di fornirci rapporti sul clima politico".
A Berlino Est, solo gli ufficiali russi avrebbero letto quei cablogrammi: quando il 17, lo sciopero parte dagli edili di Berlino, Ulbricht e Grotewohl hanno già lasciato il palazzo del governo, e si sono rifugiati in una guarnigione dell'Armata rossa.
In ogni città, sorge un Comitato di sciopero. Le rivendicazioni sono ovunque le stesse, i "quattro punti" degli operai di Berlino Est: ripristino dei vecchi salari, riduzione del costo della vita, elezioni libere e segrete, nessuna repressione contro gli scioperanti e le loro organizzazioni. Evoca Danzica 1980, 27 anni prima, ma senza un Walesa. Invano, sconfitta la rivoluzione, gli uomini della Stasi cercarono di strappare a forza nomi di un leader inesistente. "Lo avessimo avuto, non saremmo qui", sono le risposte registrate. Solo la radio occidentale forniva notizie da una città all'altra. Nella sola Berlino, il generale Dybrova impiegò tre divisioni corazzate per imporre la legge marziale. Ma ovunque l'Armata rossa affrontò lo stesso scenario, da sola.

Gli archivi parlano di scioperi in almeno seicento aziende, manifestazioni e assalti alle sedi del partito in 373 città e villaggi, 1317 detenuti liberati, 10 province su 14 investite dall'agitazione. Dicono i rapporti: "I cantieri di Rostock sono fermi, bloccate le industrie a Brandeburgo e a Rathenau, paralizzate le acciaierie di Stalinstadt. I fascisti hanno in mano miniere di lignite e aziende nel centro del paese, controllano Lipsia e Dresda, Halle, Jena e Gera. Lo sciopero è politico, chiedono la caduta del governo della Rdt".

Ovunque assalti alle sedi del partito e della Stasi, cortei in piazza, roghi dei ritratti dei dirigenti del regime, di Lenin e di Stalin. Solo l' effigie di Marx veniva risparmiata. Ovunque, non nostalgie fasciste ma il richiamo alla Spd e ai sindacati dell'Ovest. Le carceri furono prese dai dimostranti, il comitato di sciopero controllava le liste dei detenuti: furono liberati solo i "politici", i "comuni" e i criminali nazisti furono lasciati in cella. In molte città i poliziotti consegnarono le loro armi e si unirono ai ribelli, come fece tre anni più tardi l'esercito ungherese. Un solo funzionario del partito fu linciato, perché faceva uccidere i suoi oppositori. La sera, nei villaggi, la gente brindava alla Spd, ad Adenauer e all'arrivo sognato dei soldati americani.
Panzer e fanti scelti dell'Armata rossa ripresero il paese città per città. Gli archivi non danno il numero complessivo delle vittime, ma registrano fucilazioni sul posto e interventi dei panzer sulla folla. Ai russi toccò riprendere in mano le amministrazioni locali, e smantellare municipalità liberamente elette. Colonnelli e maggiori del Kgb usarono toni duri con i comunisti tedesco-orientali e con i colleghi della Stasi, cui consegnarono migliaia di prigionieri che finirono nelle camere di tortura: "Imparate a difendervi da soli". Esecuzioni con le ghigliottine ereditate dalla Gestapo o con colpi alla nuca, deportazioni nei Lager nazisti riaperti, negozi riempiti alla men peggio ebbero pian piano la meglio sulla rivoluzione, ma la data restò impressa nelle coscienze.
Un Muro negli animi divise lo Stato tedesco-orientale dal suo popolo.

L'ultima annotazione degli archivi è di un ufficiale della Stasi, data del settembre 1989: "Il compagno Mielke (ultimo capo della Stasi e vice di Honecker, ndr) ha riunito il nostro Stato maggiore. Ordine del giorno, l'apertura delle frontiere ungheresi. Da lì i nostri giovani fuggono in massa. Mielke ha aperto la riunione commentando: ci risiamo, torna il 17 giugno".

grazie a: Repubblica, 18.06.1993