Miriam Mafai

Quella notte a Botteghe Oscure

Enrico Smirnov arrivò alla Direzione del PCI poco dopo le 19 di martedì 20 agosto. Alto, magro, i capelli biondi ben ravviati all'indietro, Smirnov era, tra i giovani funzionari dell'ambasciata sovietica di Roma, quello che meglio conosceva i corridoi delle Botteghe Oscure. Salì al secondo piano dove lo aspettava Armando Cossutta, coordinatore della Segreteria. Smirnov era latore di un messaggio importante: l'ambasciatore desiderava parlare subito con Cossutta.
Andai subito a Villa Abamelek, sull'Aurelia, racconta Cossutta. Lì mi aspettava l'ambasciatore Nikita Riyov. Mi sembrò un po'imbarazzato ed esitante. Poi mi raccomandò la massima riservatezza, e mi annunciò che su richiesta del governo e del partito comunista cecoslovacco le truppe del Patto di Varsavia stavano per passare la frontiera. Io reagii, gli ricordai qual era la nostra posizione, di critica, di condanna, di rifiuto di ogni eventualità di intervento militare. Fu tutto. Mi alzai e tornai di corsa alle Botteghe Oscure dove mi aspettava Fernando Di Giulio.
La notizia dell'invasione arrivò alle Botteghe Oscure nella tarda serata di quel martedi 20 agosto, del tutto inaspettata. Tra la fine di luglio e i primi di agosto infatti, dopo una lunga fase di contrapposizione di sospetti e di polemiche, si era registrato un netto miglioramento dei rapporti tra Dubcek e i sovietici.

I massimi dirigenti del PCI di questo erano particolarmente soddisfatti essendosi schierati, fin dall'inizio, con il nuovo corso. A maggio il segretario del PCI, Luigi Longo aveva voluto incontrare, a Praga, Dubcek. Un gesto politicamente molto importante. Prima di partire, lo stesso Longo aveva confidato ai membri della Direzione: "È giusto, è bene andare. Ma dobbiamo sapere fin d'ora che, una volta andati là ed espressa la nostra solidarietà, poi, qualunque cosa accada non potremo tornare indietro."
Coerenti con questo impegno i comunisti italiani non si erano tirati indietro nemmeno quando, a metà luglio, Breznev era sembrato deciso a stroncare con la forza la primavera di Praga. In quella occasione una delegazione del PCI era andata a Mosca per dire ai sovietici che occorreva trovare una soluzione politica ai contrasti e che comunque, in ogni modo, gli italiani sarebbero stati dalla parte di Dubcek.
In quelle settimane, quando si era temuto il peggio, alle Botteghe Oscure si era deciso anche che nessuno dei membri della Direzione lasciasse, per le vacanze, l'Italia. Poi la situazione era migliorata.
Dopo l'incontro di Bratislava, al quale avevano partecipato tutti i massimi dirigenti del partito cecoslovacco e quelli del Patto di Varsavia, Dubcek aveva dichiarato soddisfatto: I nostri alleati ci hanno capito, l'amicizia con l'URSS è più forte che mai. Allora, nella prima settimana di agosto, la tensione anche nel PCI si allenta. Il pericolo di un intervento è ormai scongiurato, e anche i massimi dirigenti del PCI si concedono una vacanza. Molti vanno in URSS, quasi in segno di riconciliazione. Parte per Mosca Longo, parte per l'Asia centrale Pecchioli, partono per Odessa e Yalta Giancarlo Pajetta e Macaluso. Vanno all'estero anche Amendola e Bufalini. Pietro Ingrao, fedele alle sue abitudini, si rifugia a Lenola il paese natale a pochi chilometri da Roma, Carlo Galluzzi allora responsabile della sezione esteri del PCI se ne va in Alto Adige. Restano a Roma Cossutta, Napolitano, Di Giulio e Maurizio Ferrara, direttore dell'Unità.
Sono quasi le nove di sera quando Cossutta torna alle Botteghe Oscure dove Di Giulio lo ha aspettato. Bisogna raggiungere subito per telefono i membri della direzione che sono in Italia e farli rientrare a Roma. Di Giulio chiama Galluzzi. Gli dice: Vieni subito, è successo quello che pensavi. Cossutta chiama Ingrao: Rientra immediatamente a Roma, ci vediamo all'Unità. Ingrao non chiede di più. Longo, a Mosca, a quell'ora non sa ancora nulla. Da Yalta Giancarlo Pajetta tenta di chiamare Roma, da dove manca da più di una settimana. La linea telefonica è interrotta, ma questo non lo allarma.
Nel corso della notte, racconta Sandro Curzi allora redattore capo del quotidiano del PCI, tentammo di metterci in contatto con Praga. A mezzanotte non c'era ancora nessuna notizia. La prima edizione, quella per le province uscì ancora con il titolo principale su Johnson e il Vietnam. Poi alle due di notte arrivò il primo flash d'agenzia e noi riuscimmo a telefonare ai compagni del Rude Pravo. Pubblicammo come fondo dell'Unità il loro appello disperato. Era quasi l'alba quando chiudemmo il giornale con il titolo a tutta pagina: Le truppe sovietiche entrano in Cecoslovacchia. Al giornale c'erano Ingrao, Cossutta, Di Giulio, Ferrara. No, non ci furono dubbi di nessun tipo. Invano, nel corso della stessa notte, Cossutta tenta di raggiungere Longo a Mosca. Le linee non funzionano, il segretario del partito è irraggiungibile.
La mattina dopo, alle nove, a Yalta un funzionario del Comitato Centrale del PCUS si avvicina a Giancarlo Pajetta e gli porge un foglio battuto a macchina. È il comunicato che annuncia che i paesi del Patto di Varsavia hanno deciso di portare il loro fraterno aiuto ai comunisti cecoslovacchi in pericolo. Pajetta chiede: Quando accadrà? Il suo interlocutore sovietico gli risponde: È già accaduto, stanotte.
Esattamente alla stessa ora, in una stanza del secondo piano delle Botteghe Oscure, Pietro Ingrao e Giorgio Napolitano preparano la prima risoluzione con cui il PCI prende posizione sull'accaduto. Lo stesso Ingrao, nel corso di uno speciale del Tg3 che è andato in onda ieri sera, racconta la sofferenza di quelle ore. Vivemmo un momento molto amaro. Tutta la nostra battaglia di quei mesi a sostegno del Vietnam aveva fatto crescere una forte coscienza internazionalista per il diritto dei popoli all'autodeterminazione. Ed ora l'URSS soffocava con i carri armati a Praga la volontà dei comunisti e degli operai cecoslovacchi. Verrà pagato, per questo un prezzo molto duro.
Mentre Napolitano e Ingrao scrivono il documento, si riesce ad avere al telefono Longo, a Mosca. Finalmente i sovietici lo avevano informato. Quando gli viene letto il comunicato con il quale si esprime il grave dissenso del PCI, Longo commenta: Va bene. E poi si raccomanda: Fate presto, fate presto e informate i francesi.

Si dà il via così nella mattinata del 21 ad una edizione straordinaria dell'Unità, che uscirà prima di mezzogiorno. I dirigenti italiani che sono in URSS chiedono e ottengono di raggiungere al più presto Mosca. Una delegazione di segretari di federazione che atterra nella mattinata del 21 a Sinferopoli viene informata da Pajetta di quanto è accaduto, e riparte immediatamente per l'Italia.
A Mosca nella tarda serata si incontrano Pecchioli, Macaluso, Pajetta e Longo. Io ero disperato, ma Longo sembrava tranquillo, racconta Pajetta. Mi fece leggere il comunicato che era stato redatto a Roma, nel quale per la prima volta in un documento ufficiale del PCI si esprimeva grave dissenso nei confronti di un'iniziativa dell'URSS. Longo ci informò dei tentativi, inutili, che aveva fatto durante la giornata per avere un incontro al massimo livello con i sovietici. Nelle sue parole la nostra posizione era anche più aspra di quella del comunicato della nostra Direzione.
In Italia, nel pomeriggio e nella serata di mercoledì 21 si riuniscono, spontaneamente, i primi attivi di federazione e di sezione. Le prime assemblee, ricorda Adalberto Minucci allora segretario della Federazione di Torino, furono appassionate. C'era molta emozione. Non tutti erano d'accordo con il comunicato uscito sull'Unità. Erano una minoranza, senza dubbio, ma c'erano anche non pochi compagni convinti che l'URSS per decidersi a quel passo doveva aver avuto le sue buone ragioni.... A Ravenna c'era la squadra di pallavolo di Praga che doveva giocare al Palazzo dello Sport nel corso della Festa dell'Unità. Vennero tutti in Federazione piangendo, ricorda Gianni Giadresco, allora segretario della Federazione. Piangevano come disperati. E veniva da piangere anche a me, perché mi sembrava che i carri armati sovietici avessero travolto anche la nostra idea di un socialismo diverso, la via italiana al socialismo.
Il giorno dopo, giovedì 22, quando arriva a Roma, Longo usa un termine più forte di dissenso. Parla esplicitamente di riprovazione.
Ed è questo il termine che viene adottato nella risoluzione della Direzione del PCI del 24. La settimana successiva viene riunito il Comitato Centrale che fa sua la posizione di Longo. Da allora non esiste più per il PCI il partito fratello e il termine aiuto fraterno, usato dai sovietici per giustificare l'ingresso dei carri armati a Praga, è entrato nel vocabolario comunista come drammaticamente irrisorio.

grazie a: Repubblica, 20.08.1988