Sylvain Cypel

Repressione ovvero I processi come continuazione della politica con altri mezzi

Dal 1932 diversi processi a porte chiuse contribuiscono ad indebolire l'opposizione a Stalin. Dal 1936 al 1938 la repressione fa un salto di qualità: nel corso di tre processi pubblici una parte dei vecchi bolscevichi, quelli che hanno fatto la Rivoluzione, Bucharin, Zinoviev, Kamenev, Kreštinski e diversi altri, considerati ormai "nemici del popolo" vengono condannati a morte o deportati, al termine di stravaganti sceneggiate giudiziarie.
Il procuratore Andrej Januarevič Vyšinskij fa sfoggio di grande capacità di sofisticazione nell'insulto e nella bassezza. Usando il terrore come metodo di governo, Stalin regna ormai senza rivali al vertice dello Stato e del Partito.
Trotskij viene assassinato in Messico nel 1940.

In tre ondate successive, dal 1936 al 1938, capi storici della rivoluzione e stalinisti convinti "confessano" crimini immaginari prima di essere deportati o fucilati. Si Sta realizzando un'immensa operazione di epurazione. Il culto della personalità viene eretto a sistema.
Il 5 giugno 1936 la Pravda annuncia: "Con mano ferma continueremo ad annientare i nemici del popolo, i mostri e le arpie trotskiste". Dietro i manifesti che nelle strade proclamano "la vita è migliore, la vita è più bella", si sta preparando una purga assolutamente inimmaginabile: i tre "processi di Mosca" ne costituiranno la facciata pubblica.
Dal 1932 al 1934 numerosi processi a porte chiuse hanno già reso inerme qualsiasi opposizione a Stalin. Questa volta il Vojd (la guida) si lancia in un'innovazione: una parte dei "vecchi bolscevichi" quelli che hanno fatto la rivoluzione, vengono processati per tentativo di omicidio dei dirigenti, sabotaggio dell'economia, spionaggio... e tutti ammettono i fatti.
L'ex oppositore di sinistra Turi Piatakov, che ha ormai aderito al potere, dopo il primo processo dichiara: "Il sangue si ghiaccia nelle vene di fronte a questi crimini. Il nostro magnifico paese si stringe intomo ai nostri capi beneamati, in primo luogo Stalin." Piatakov diventa a sua volta "protagonista" del processo successivo e ammette "crimini" analoghi.
Lo scopo dei processi è I'alIargamento dell'ambito del terrore agli stessi membri del partito e, in via accessoria, la necessità di convincere il popolo che i responsabili di queste sofferenze quotidiane sono "sabotatori" e non il regime.

Il cosiddetto processo "dei sedici" inizia il 19 agosto 1936. Con i dirigenti storici Zinoviev e Kamenev, tutti ammettono di aver formato un "centro" per affondare l'economia e assassinare Stalin. Condannati a morte, verranno uccisi il 25 dello stesso mese.
Un mese dopo Nikolai Ežov viene nominato da Stalin Commissario del popolo per gli affari interni, grande organizzatore delle "inchieste". Il precedente commissario, Henrik Jagoda, è invece sul banco degli imputati del secondo processo. Quest'ultimo si svolge dal 23 al 30 gennaio 1937. Quindi nuovi accusati fanno compagnia a Piatakov, Radek e Muralov. Dopo aver ammesso "crimini" analoghi, vi aggiungono lo "spionaggio" a favore della Germania nazista, dell'lnghilterra e della Polonia.
Ad eccezione di Karl Radek, spedito in un campo di lavoro, tutti vengono giustiziati.
L'abiezione aumenta ancora con l'ultimo processo (2-13 marzo 1938), centrato su Nikolai Bucharin, brillante teorico accusato di essere stato una "spia" anglo-tedesca fin dagli anni '20, ma anche di aver voluto assassinare Lenin nel 1918.
Ogni volta gli accusati ripetono fino alla nausea che Trotskij (in esilio dal 1929) è "l'anima e l'organizzatore dei centri terroristici" e tutti esprimono la loro tardiva venerazione al "geniale Stalin". Com'è possibile che questi uomini siano stati portati ad un tale stadio di svilimento? Ex oppositori spezzati da anni di prigione, forniscono forse un ultimo favore al partito al quale hanno dedicato la loro vita?
Sui 90 "ex" bolscevichi citati durante i processi, solo 16 compaiono in tribunale. Malgrado le torture e le minacce alle loro famiglie, gli altri hanno rifiutato di confessare crimini immaginari e sono stati liquidati in segreto.
Alla sbarra alcuni accusati resistono. "Non ho mai commesso alcuno dei crimini che mi vengono contestati", dichiara Krestinski. Il processo s'interrompe. Il giorno dopo egli confessa. Radek dice ai giudici: "Se avete a che fare solo con dei criminali, degli spioni, come potete essere sicuri che ciò che vi abbiamo detto qui sia la verità?"

Tra tutti, Bucharin recita la propria parte con maggiore brio. "La confessione degli accusati è un principio medievale", dice al procuratore Vyšinskij. Quest'ultimo gli chiede se riconosce il testimone Karelin.
"Sì, risponde, eravamo insieme nel Suo ufficio", lasciando intendere che deposizioni e confessioni venivano preparate in anticipo. Vyšinskij insiste: "Lei lo ha conosciuto prima?"; Bucharin replica: "Nel 1918 o nel 1919. Ma è talmente cambiato che farei fatica ad affermare che è lo stesso uomo!"
Queste dichiarazioni, come le innumerevoli contraddizioni e inverosimiglianze dei dossier d'accusa, passano inosservate.
Gli scrittori sovietici Babel, Pasternak, Grossman, Tolstoj declamano "nessuna pietà per i complici del fascismo!".
Milioni di comunisti nel mondo
accettano verdetti che l'Associazione internazionale dei giuristi ritiene "perfettamente legali". Ad eccezione di rarissimi intellettuali, l'opinione pubblica occidentale non esprime alcuna emozione.
Una repressione infernale - l'Ežovcitcina - si abbatte sulla società.
Stalin teme l'Armata Rossa: nel giugno del 1937 un processo segreto manda metà dello Stato maggiore davanti al plotone di esecuzione. Vengono fucilati più di 15mila "trotskisti" che già marcivano in campi di lavoro da oltre 10 anni.
Vi vengono internati 30mila responsabili del partito devoti a Stalin.
Nel 1937-38 2 milioni di sovietici entrano nel gulag. Alla fine del 1938 Ežov scompare, sostituito da Lavrentij Berija. Sembra sia stato fucilato o internato con la diagnosi di malato di mente.

l'Unità, 5.3.2003