Il trionfo dello stalinismo (1934-1939)

Ad uno sguardo superficiale, se si considerano cioè solo i discorsi ufficiali, il XVII Congresso del PCUS fu estremamente favorevole a Stalin, acclamato senza riserve da tutti gli oratori. Eppure, dei 1.966 delegati presenti nella grande sala del Cremlino in quel 26 gennaio 1934, all'apertura del congresso, ben 1.108 moriranno per suo ordine negli anni successivi e, tra loro, 98 dei 139 membri del Comitato Centrale. Cerchiamo dunque di raffigurarci la grande sala dalle pareti tappezzate di rosso, i ritratti che le ricoprono, la tribuna che la domina. Quel giorno la storia ha dato appuntamento alla storia.
Dal resoconto stenografico: "L'ingresso in sala del compagno Stalin è accolto da clamorosi applausi." I delegati, in piedi, gridano: 'Urrà!", 'Viva il compagno Stalin!"
Stalin legge un lungo rapporto che esalta i risultati del primo piano quinquennale e traccia le grandi linee del secondo. Alla tribuna siedono Kirov (assassinato alla fine dell'anno), Ordžonikidze (che si suiciderà nel 1935), Kujbyšev (morto nel 1935 in circostanze misteriose), Rudzutak (il presidente della Commissione Centrale di controllo, fucilato nel 1938), Kalinin, presidente dell'URSS, Vorošilov, capo dell'Armata Rossa, Koser (fucilato nel 1937), Çubar (fucilato nel 1938), Postyšev (fucilato nel 1938), Eiche (fucilato nel 1940), Petrovskij (allontanato poi da ogni incarico), e infine i fedelissimi di Stalin, Ždanov, Mikojan, Kaganoviç e Molotov.
Nella sala i delegati sono attentissimi. Si notano tra gli altri Jagoda, il capo dell'OGPU (fucilato nel 1936) ed i suoi successori, Ežov (fucilato nel 1938) e Berija (fucilato nel 1953, il primo ad essere colpito dalla destalinizzazione).
Non lontano da loro siedono i vecchi bolscevichi incanutiti sotto il peso di tanti anni di carcere, di emigrazione e di deportazione, i compagni di Lenin: Zinovjev, Kamenev, Bucharin, Tomskij, Preobraženskij, Radek, Rykov. I delegati più giovani guardano con interesse e inquietudine la vecchia guardia. Un solo assente, Trotskij, sempre in esilio. Settant'anni di storia riuniti nella sala del congresso in quella fredda giornata del gennaio 1934. Fuori un gelo da spaccare le pietre. Nel suo mausoleo il cadavere imbalsamato di Lenin. I delegati stranieri sono giunti a decine: dirigenti del Comintern e Segretari dei Partiti comunisti (spesso clandestini).
Come non provare una stretta al cuore pensando al drammatico destino di quei delegati, un destino che è il riflesso di quello di tutto un popolo, di tutta un'epoca? Hanno già dovuto affrontare molte prove, ma non sono nulla a paragone di quelle che dovranno ancora venire: il terrore stalinista, la seconda guerra mondiale, la ricostruzione.
In ogni caso, è sintomatico delle contraddizioni reali esistenti in quel 1934 il fatto che tutti gli ex oppositori, ad eccezione di Trotskij, siano presenti al Congresso. E ancor più significativo è il fatto che vengano ascoltati attentamente. Nel suo rapporto Stalin denuncia con forza il trotskismo, ma non attacca nessuno dei presenti, alcuni dei quali sono appena tornati dalla seconda deportazione. Si ha la sensazione che si tratti di un vero congresso di unione del partito e che si sia adottato una sorta di compromesso per evitare discussioni che, dall'una e dall'altra parte, metterebbero in pericolo questa unità.
Inoltre, gli interventi degli ex oppositori che saranno fatti tutti morire tra il 1936 e il 1938 non mancano di interesse. Bucharin, ad esempio, comincia col rendere omaggio a Stalin e fa un'autocritica di una sincerità che farebbe sorridere se non fosse tragica. "Le condizioni della vittoria del nostro partito sono state, in primo luogo, l'elaborazione di una linea notevolmente giusta ad opera del Comitato Centrale e del compagno Stalin, in secondo luogo la realizzazione diligente e coraggiosa di questa linea e, in terzo luogo, l'implacabile liquidazione delle opposizioni e dell'opposizione di destra come pericolo principale, vale a dire dello stesso gruppo del quale ho fatto parte io stesso."
Più avanti, Bucharin pone l'accento sui cambiamenti provocati dalla realizzazione del primo piano quinquennale sotto il profilo tecnologico, sottolineando con grande intelligenza il nuovo ruolo assunto dalla scienza nella produzione. Ed ancora mette in guardia con gran forza sul pericolo di guerra, ricondotto a due matrici fondamentali: la Germania fascista e l'impero nipponico. E cita a lungo il Mein Kampf di Hitler, mentre nel suo discorso Stalin fa una critica superficiale del nazismo, limitandosi a dire: "Siamo ben lontani dall'entusiasmarci per il nazismo." E se critica la politica di superiorità razziale della Germania nei confronti degli slavi, non pronuncia nemmeno il nome di Hitler; partendo dall'idea giusta che il fascismo è un sintomo di debolezza della borghesia, Stalin ne sottovaluta la dannosità e l'originalità. Bucharin, invece, sottolinea il pericolo che incombe sull'Unione Sovietica e conclude con queste parole: "Ecco il volto bestiale del nemico di classe. Ecco ciò che si presenta ai nostri occhi; ecco, compagni, ciò che dovremo fare nelle battaglie piu gigantesche che la storia ci abbia mai imposto. Sappiamo petfettamente che il nostro campo è quello che lotta per il socialismo ed è quindi il campo di coloro che si battono per la tecnica, la scienza, la cultura e la felicità degli uomini."

Molti dirigenti del partito avrebbero voluto mettere Kirov al posto di Stalin: il Testamento di Lenin restava ben presente alla memoria della maggior parte di loro. Certo, il testamento non era stato pubblicato nell'URSS (1), ma il testo era stato egualmente stampato nel bollettino del Congresso, e quindi molti delegati ne erano a conoscenza. Kirov, segretario del partito a Leningrado, membro del Politburo, era stato un fedele luogotenente di Stalin fino al 1933 ed aveva avuto una parte importante nelle battaglie contro gli oppositori nel partito; non accettò di essere contrapposto a Stalin, ma durante le elezioni al Comitato Centrale fu cancellato dalla lista solo tre volte contro le 270 cancellature di Stalin. E questi se ne ricorderà a tempo debito. In quell'inizio del 1934, però, la situazione imponeva ancora la conciliazione.
Le elezioni del Comitato Centrale furono un chiaro riflesso di questa esigenza. Furono eletti alcuni giovani: Berija, Ždanov, Krusëv, Ežov (uomo di fiducia di Stalin), Bulganin, che dovevano avere un ruolo importante nei trent'anni successivi, mentre vennero rielettl tutti i dirigenti già eletti al XV Congresso del 1927; furono rieletti anche alcuni vecchi dirigenti dell'opposizione che avevano fatto onorevole ammenda.
Insomma, Stalin restava in libertà vigilata. Del resto, alcune modifiche allo statuto del partito insistevano sulla democrazia intema del partito con la stessa forza con cui esigevano una rigorosa disciplina: era specificato che i congressi del partito dovevano tenersi ogni tre anni e che il Comitato Centrale riunirsi ogni quattro mesi. I rapporti tra i vari organismi dirigenti venivano così puntualizzati: "Il Comitato Centrale affida il lavoro politico all'Ufficio Politico, la direzione generale del lavoro organizzativo all'Orgburo e il lavoro quotidiano di organizzazione e di esecuzione alla Segreteria." Ora, questo equivaleva praticamente relegare in secondo piano la Segreteria (e il Segretario generale con essa).
Le espulsioni dal Comitato Centrale potevano essere decise unicamente previa convocazione del plenum del Comitato Centrale e della Commissione centrale di controllo e a condizione che fossero approvate da una maggioranza dei due terzi dei presenti, il che non era mai avvenuto sino ad allora e non si sarebbe mai più ripetuto negli anni successivi. Tutte queste misure, se si tien conto della prassi politica di Stalin e non dei suoi discorsi, dovevano essergli necessariamente sgradite in quanto rafforzavano la legalità socialista e la direzione collegiale e limitavano quindi la repressione contro i comunisti. Il 1934 fu contrassegnato in sordina dal conflitto tra queste due linee che non contrapponevano più la vecchia opposizione al partito, ma, questa volta, il partito a Stalin; e Stalin finirà per trionfare ricorrendo, per schiacciare il partito, alla provocazione, all'astuzia e al terrore.
Il compromesso del XVII Congresso costrinse Stalin a cambiare atteggiamento su diversi punti. Per il tramite di Gorkij cercò di conquistarsi il favore degli scrittori ricevendoli personalmente; nominò Bucharin redattore capo delle Izvestija (il secondo giornale del paese dopo la Pravda); ebbe alcuni colloqui con Kamenev e gli affidò un posto di responsabilità nella cultura. Autorizzò lo svolgimento del primo Congresso degli scrittori sovietici, che si tenne alla presenza di numerosi scrittori stranieri (tra cui Gide, Malraux e Aragon): rappresentanti delle diverse correnti letterarie parlarono con relativa libertà, benché Ždanov assegnasse alla letteratura obiettivi utilitaristici e definisse lo scrittore "un ingegnere delle anime"; Bucharin protestò contro una definizione troppo riduttiva del realismo socialista e attaccò l'estremismo letterario, mentre Radek criticò la nuova letteratura facendo il nome di James Joyce, difeso invece da altri delegati; Gorkij, Pasternak, Ehrenburg, appoggiati da Bucharin, parlarono contro il dogmatismo. Per lo più, gli intellettuali che parteciparono a questo congresso, che vide riunite tutte le tendenze, sparirono poi nella repressione di massa degli anni successivi.

Il 10 luglio 1934 l'OGPU venne soppressa. Non è escluso che con tale decisione si tentasse di ridurre i poteri della polizia politica. Incaricato dei compiti sino ad allora devoluti all'OGPU fu il NKVD, il Commissariato del popolo per gli affari interni, e la Pravda uscì col titolo: La salvaguardia dell'ordine rivoluzionario e la sicurezza dello Stato.
Contemporaneamente, venne creata una Conferenza Speciale (Osoboe Sovescanie: Osso) presso il NKVD, con "il diritto di applicare per via amministrativa il divieto di soggiorno, la deportazione, la reclusione nei campi di rieducazione fino a cinque anni e l'espulsione dall'URSS. " In altri termini, si riprendeva con una mano ciò che si era dato con l'altra; la polizia politica rimase inalterata nella sua direzione, nella sua composizione e nei suoi poteri. Il partito e lo Stato erano stati incapaci di trasformarla veramente con i soli mezzi legali: era divenuta uno Stato nello Stato, e Stalin continuò a controllarla direttamente.
La deportazione per cinque anni, dunque, era applicabile ad ogni individuo "socialmente pericoloso". La Conferenza Speciale era un organo di eccezione: decideva fuori di qualsiasi controllo e senza che la situazione interna ed estera giustificasse veramente il suo operato.
È facile rendersi conto fino a qual punto le carenze della democrazia fossero all'origine dello sviluppo dello stalinismo e del suo trionfo. Niente è più generico della definizione di "individuo pericoloso": chi può stabilirlo veramente? Lo stesso principio di "conferenza speciale", che implicava la deportazione senza possibile difesa dell'"individuo socialmente pericoloso", era particolarmente pericoloso. Tanti dirigenti della maggioranza si scavavano la tomba con le proprie mani accettando queste disposizioni di un arbitrio e rigore senza uguali, anche se l'intervento della Procura avrebbe potuto limitare in certa misura la repressione: cosa che deI resto non avvenne, anche perché il Procuratore Generale dell'URSS era Vyšinskij, il futuro protagonista assoluto dei grandi processi di Mosca.
Costretto a giocare d'astuzia, Stalin usava abilmente i suoi atouts: il miglioramento della situazione economica e alimentare accresceva la sua popolarità anche se, al tempo stesso, rendeva più incomprensibili le misure eccezionali e il terrore a cui ricorreva e che erano il solo modo per eliminare i nemici personali passati e futuri, vale a dire la maggior parte dei comunisti.

Alla fine di novembre del 1934 iI Comitato Centrale si riunì nuovamente e confermò la politica di distensione sul piano interno e di unità antifascista sul piano internazionale. Probabilmente, la situazione stava diventando troppo pesante per Stalin, il quale aveva motivo di temere che nei mesi successivi i suoi poteri venissero ancor più limitati. Il relatore del Politburo dinanzi al CC fu Kirov: segretario del partito a Leningrado, Kirov doveva trasferirsi a Mosca fin dagli inizi del 1935 per lavorare alla segreteria del Comitato Centrale.
Tutti i membri delle vecchie opposizioni erano tornati a Mosca, solo Trotskij mancava all'appello: ma per quanto tempo ancora? In caso di guerra si sarebbe pur dovuta realizzare l'unione nazionale contro il nemico; e allora, come non fare appello al creatore dell'Armata rossa, al vincitore della guerra civile? Minacciato direttamente, a maggiore o minor scadenza, Stalin doveva quindi muoversi, e in fretta. In questa prospettiva è più facile capire il clamoroso assassinio di Kirov, ucciso da un personaggio equivoco che sicuramente aveva dietro di sé il NKVD.
Stalin si era finalmente sbarazzato dell'uomo che appariva sempre più come un suo possibile sostituto, meno brutale di lui, più moderato, e grazie alla viva sensazione suscitata dalla morte di Kirov tra l'opinione pubblica sovietica e nel partito, poteva eliminare i suoi potenziali avversari e condurre la politica che andava proponendo senza successo da tanti anni.
Insomma, l'assassinio di Kirov, sia che Stalin ne fosse direttamente responsabile, sia che strumentalizzasse l'evento, fu un vero e proprio putsch contro il partito e contro lo Stato sovietico: fin dalla sera dell'omicidio, senza consultarsi con i colleghi del Politburo, Stalin fece promulgare un decreto che ordinava di accelerare i processi in corso contro i terroristi e di eseguire senza indugi le sentenze capitali già pronunciate; e tutto questo quando quei processi non avevano alcun rapporto diretto con l'assassinio di Kirov. Trentanove persone furono fucilate a Leningrado, ventinove a Mosca, decine di altre in Ucraina. Il NKVD fece confessare all'assassino che l'ordine di uccidere Kirov gli sarebbe stato dato da un centro "zinovjevista" clandestino di Leningrado, in contatto con Trotskij.
Fece molto scalpore la notizia che per iniziativa di un altro centro clandestino, questa volta moscovita, era stato deciso anche l'assassinio di Stalin: sappiamo che si trattava di volgari menzogne, il ladro che gridava "al ladro!". Sono ben pochi, nella storia, gli esempi di doppiezza e di provocazione che possono stare alla pari con questi.
Zinovjev e Kamenev furono arrestati il 16 dicembre, insieme con molti vecchi dirigenti del partito.

Il primo grande processo si aprì il 15 gennaio 1935 a Leningrado: Zinovjev fu condannato a dieci anni di carcere, Kamenev a cinque. Ebbero luogo centinaia di arresti, tutti di comunisti, e tutti gli accusati furono deportati per decisione dell'Osso. Nel 1933 e nel 1934 aveva già avuto luogo un'epurazione nelle file del partito: 800.000 persone erano state espulse nel 1933, 340.000 lo furono nel 1934: gli effettivi del partito (tra iscritti e candidati) erano passati dai 3.117.151 del '32 ai 2.358.724 del '35.

Le misure prese alla fine del 1934 e nei primi mesi del 1935 colpirono solo alcune migliaia di comunisti, ma tutti gli iscritti al partito erano minacciati: una circolare del Comitato Centrale del dicembre 1934 esortava ad epurare i membri delle vecchie opposizioni: furono compilate liste di sospetti, cominciarono a piovere le denunce, a Leningrado furono effettuati migliaia di arresti.
Il Politburo, messo davanti al fatto compiuto, preoccupato per l'evolversi della situazione e ingannato sulla colpevolezza dell'opposizione interna, approvò tutte queste misure. Il Comitato Centrale non fu nemmeno convocato.
In poche settimane Stalin aveva raddrizzato la barra, ma non poteva spingersi oltre: la maggioranza del Politburo continuava ad opporsi alla condanna a morte dei vecchi dirigenti del partito.

Per Stalin la difficoltà era che intendeva stabilire la propria dittatura sulla base del regime sovietico, del socialismo e della rivoluzione d'ottobre: doveva dunque presentarsi come il continuatore di Lenin e non rompere brutalmente con il passato. Doveva procedere per tappe e fare in modo che le proprie vittime apparissero nemici della rivoluzione e del potere sovietico.


Così doveva essere sia sul piano interno che su quello internazionale. E del resto questo rispondeva ad una realtà, forse difficile da capire e da ammettere per noi: effettivamente, Stalin portava avanti il socialismo, anche se procedeva in modo dispotico. Si può sempre pensare che sarebbe stato possibile e necessario fare altrimenti, ma, purtroppo, per lo storico si tratta di una questione puramente morale: perché un certo processo si sviluppa in un modo piuttosto che in un altro? La caratteristica della storia è che essa segue un corso certamente singolare ma tale che non lo si può più modificare nel momento che la storia è divenuta per l'appunto storia. Se diciamo questo non è certo perché approviamo lo stalinismo, ma solo per tentare di farne un'analisi obiettiva che tenga conto di tutti i suoi aspetti contraddittori.
Per lo più gli storici che hanno scritto su questo argomento hanno indagato su un aspetto soltanto del fenomeno, alcuni insistendo sul fattore dispotismo, altri sul bilancio positivo dell'edificazione socialista: non hanno torto né gli uni né gli altri, ma l'importante è di cogliere il nesso dialettico esistente tra i diversi risvolti del fenomeno staliniano.

Agli inizi del 1935 la maggioranza del Politburo, appoggiata da moltissimi iscritti al partito e dall'opinione pubblica, continuava ad opporsi al terrore, del quale non capiva la necessità, ma tutto quello che il Politburo poteva ormai fare era di cercare di limitare la portata dello stalinismo. Proprio in questo senso l'assassinio di Kirov segnò una svolta nella storia politica dell'URSS.

Ormai, facendo leva sul NKVD, Stalin dominava completamente il partito. Solo l'intervento dell'Armata Rossa avrebbe potuto modificare la situazione.


Ma, per questo, avrebbe dovuto volerlo e poterlo. I capi dell'esercito rosso non vollero, almeno fino al 1936, e dopo quella data non lo poterono più. L'Armata Rossa conservava vive tradizioni di obbedienza all'autorità del partito che ne rendevano difficile l'intervento nei suoi affari interni. II ricordo del ruolo sostenuto dall'esercito francese e da Bonaparte nella rivoluzione francese e il timore di una dittatura militare non invogliavano certo a ricorrere all'esercito per stroncare con la forza un dibattito politico od un conflitto tra dirigenti.
Stalin tentò di controllare il Politburo e di impedire qualsiasi opposizione alla sua politica, ma continuava a trovarsi in difficoltà. Zinovjev e Kamenev erano in carcere, ma non erano morti. A riprova delle persistenti difficoltà di Stalin, il Comitato Centrale riunitosi nel febbraio 1935 elesse un Politburo che rispettava l'equilibrio delle forze così come si era definito al XVII Congresso.
Ciò non impedì che Stalin cominciasse ad instaurare il terrore all'interno del partito, ma questo terrore non era paragonabile a quello che dilagò dopo il 1936. Al tempo stesso, egli costrinse i suoi potenziali nemici a ritirate sapientemente calcolate, autocritiche, "malattie", ecc..
Stalin aveva messo al bando due associazioni che rappresentavano in certo qual modo la coscienza morale del regime, la Società dei vecchi bolscevichi e l'Associazione degli ex prigionieri politici, che avevano firmato una petizione contro l'applicazione della pena di morte ai vecchi bolscevichi. Nel luglio del 1935 Kamenev fu giudicato a porte chiuse e condannato a dieci anni di carcere sotto l'accusa di aver organizzato un complotto contro Stalin. Ciò nonostante, gli anni 1935 e 1936 rimasero contrassegnati dallo stesso fragile equilibrio che si era osservato in occasione del XVII Congresso: in apparenza, il partito comunista continuava a funzionare, sia pure ormai in modo formale; il Comitato Centrale saltuariamente si riuniva ancora, e così pure gli organismi dirigenti e le organizzazioni di base a tutti i livelli.
Una commissione speciale, della quale facevano parte Bucharin e Radek, aveva elaborato una nuova Costituzione (votata alla fine del 1936 dal Congresso dei soviet) che stabiliva l'eguaglianza politica di tutti i cittadini, il che rappresentava in teoria un passo avanti considerevole rispetto alle Costituzioni del 1918 e del 1924; venivano proclamati i diritti fondamentali dei cittadini (lavoro, riposo, svaghi, istruzione, pensione) e venivano riconosciute l'eguaglianza delle nazionalità e dei sessi, la libertà di coscienza, l'inviolabilità della persona, di domicilio e della corrispondenza. Quanto alle altre libertà, il loro esercizio rimaneva legato "agli interessi della classe operaia. e doveva passare attraverso le organizzazioni di massa ed il partito". Quest'ultimo era definito "avanguardia della classe operaia, nucleo dirigente di tutte le organizzazioni della classe operaia." Nonostante questi limiti, la Costituzione del 1936 rappresentava formalmente un quadro giuridico favorevole allo sviluppo della democrazia.

E questo appariva tanto più verosimile in quanto l'economia sovietica registrava successi incontestabili. Nell'industria il secondo piano quinquennale beneficiava degli investimenti e degli sforzi compiuti fin dall'inizio del primo: la produzione delle fonti energetiche aumentava rapidamente (tranne che per il petrolio) e la siderurgia registrava ritmi di crescita ancora più spettacolari.
Se l'industria dei beni di consumo non si sviluppava aIlo stesso ritmo, ciò avveniva perché si era data deliberatamente la priorità aIl'industria pesante. Il secondo piano quinquennale fu realizzato anzi termine, come lo era stato il primo. Naturalmente, si deve tener conto delle invenzioni statistiche del tempo, ma i successi erano innegabili e reali.
Quanto all'agricoltura, anch'essa registrava un incontestabile miglioramento. La produzione cerealicola era in aumento nonostante il mediocre raccolto del 1936; il rendimento per ettaro aumentò da sette a nove quintali per il grano; il patrimonio zootecnico era in netta ripresa; grazie agli appezzamenti di terra colcosiani, la produzione di frutta e di legumi registrava una ascesa notevole.
Anche se non erano rilevanti quanto sosteneva Stalin, questi progressi economici rappresentarono i fondamenti reali sui quali si sviluppò il terrore stalinista, in netto contrasto con quei successi, con la Costituzione e con l'ascesa culturale, notevolissima, di un popolo condannato fino ad allora all'ignoranza, aIl'alcolismo e alla superstizione.

Fino all'agosto del 1936 la repressione continuò, ma in modo ancora limitato, sia nel partito che nel paese. L'epurazione del 1935 aveva colpito decine di migliaia di comunisti e agli inizi del 1936 un nuovo tesseramento doveva permettere di allontanare dal partito altre decine di migliaia di iscritti. Il metodo usato per realizzare queste purghe, fondato sulla denuncia e sul controllo capillare del NKVD, non lasciava la minima possibilità di difesa ai comunisti epurati. I vecchi bolscevichi erano i piu colpiti, mentre le epurazioni precedenti avevano eliminato solo gli elementi "carrieristi".
Gli espulsi dovevano affrontare grosse difficoltà nella ricerca di un lavoro e nella loro esistenza quotidiana: venivano così accuratamente preparati gli strumenti del terrore. L'esistenza della Conferenza Speciale permetteva di deportare chiunque per una durata di cinque anni in base ad una semplice decisione amministrativa. L'arsenale repressivo si arricchì nel 1935 di leggi che comminavano la pena di morte a chiunque tentasse di fuggire all'estero. Le famiglie dei militari fuggiti all'estero venivano automaticamente esiliate. Il 7 aprile 1935 un decreto imponeva l'esecuzione di tutte le sentenze penali, ivi compresa quella di morte per tutti i sovietici dai dodici anni in poi.

Il NKVD vedeva crescere la propria importanza.
Oltre alla sicurezza all'interno e all'estero, i suoi compiti si estesero anche al campo economico. Il principio dei campi di rieducazione (le primi strutture di questo tipo furono create nel 1923 nelle isole Solovecki) era destinato dapprima a rieducare i criminali comuni e i controrivoluzionari facendoli lavorare nell'interesse della collettività. Fino al 1929 i gulag (acronimo di Glavnoe Upravlenie Lagerei, Amministrazione Centrale dei Campi) erano rimasti poco numerosi e scarsamente popolati. Dopo il 1930, invece, il numero dei campi e dei deportati aumentò a causa della repressione contro i kulaki e contro i contadini ostili alla collettivizzazione. Mancando fonti attendibili, è difficile citare cifre esatte: si sa soltanto che nel 1933 il numero dei kulaki (o presunti tali) deportati era intorno agli 850.000, ma è la sola cifra precisa (2) che si conosce (lettera Molotov-Stalin del maggio 1933). Sappiamo anche che molti grandi lavori furono eseguiti sotto la direzione dell'OGPU-NKVD dopo il 1930, ad esempio il canale Mar Bianco-Baltico (il canale Stalin), che occupò ben 300mila persone provenienti dai campi di lavoro forzato del nord.



Il 19 agosto 1936 si aprì il primo grande processo di Mosca. La data è importante perché per la prima volta Stalin mise in esecuzione un piano tante volte fallito dopo il 1932: instaurare il terrore contro i comunisti
.

Con un' abilità che ha dell'incredibile e un'audacia senza pari, si ammantò della bandiera della rivoluzione e del socialismo e costrinse i capi storici della rivoluzione del 1917 a riconoscere le loro "colpe". In un mondo in cui il fragore delle armi risuonava sempre piu cupo, (3) dove il nazismo era in netta ascesa, dove l'antisovietismo non disarmava, doveva riuscire a rendere credibili le invenzioni più insensate della sua polizia politica. Ai processi gli imputati ripetevano le loro confessioni grazie a raffinati metodi di tortura (4) (violenze fisiche e psicologiche - vennero sperimentate con successo le prime tecniche di "lavaggio del cervello" - uso di droghe, minacce alle famiglie, pressioni politiche e ideologiche) e le "confessioni" degli accusati permettevano di dare una giustificazione al terrore e alla repressione di massa.
La direzione del partito e il Comintern furono messi davanti al fatto compiuto: come dubitare dell'esistenza di un complotto quando Zinovjev e Kamenev dichiaravano di essere agenti della Gestapo e di aver organizzato l'assassinio dei membri del Politburo? E il colmo è che Stalin fece effettivamente assassinare molti di loro: la sua tattica consisteva precisamente nel far confessare agli imputati i suoi stessi crimini.
Ebbero luogo altri due grandi processi, entrambi allestiti sullo stesso scenario, nel 1937 e nel 1938: in quest'ultimo fu la volta di Bucharin, di Rykov e di altri. Tomskij si era suicidato nel 1936. Ordžonikidze scomparve nel 1937, suicida o ucciso per volere di Stalin. Jagoda, il responsabile del NKVD, era stato destituito, incarcerato nel 1937 e fucilato nel 1938. Il suo sostituto, Ežov, fu a sua volta arrestato e fucilato nel 1939.

Quasi tutti i dirigenti del partito tra il 1917 e il 1922 scomparvero allo stesso modo dopo aver confessato di essere agenti della Gestapo o dei servizi segreti nipponici, ma senza che un sola volta, a parte le confessioni, venisse prodotta una prova materiale della loro colpevolezza. Gli organi dirigenti del partito, nonostante le norme decise al XVII Congresso, non furono consultati, e per un ottimo motivo: nella loro maggioranza erano per lo più contrari a questa politica. Proprio per questo Stalin fece assassinare quella maggioranza.

Ecco i nomi dei membri del Comitato Centrale eletto al XII Congresso (1923), l'ultimo a cui partecipò Lenin (seppur non di persona, ma inviando la celebre Lettera):

  • Andreev - morto nel 1972
  • Bucharin - fucilato nel 1938
  • Çubar - fucilato nel 1937
  • Dzerzinskij - morto nel 1927
  • Jaroslavskij - scomparso nel 1938
  • Kamenev - fucilato nel 1936
  • Korotkov - fucilato nel 1937
  • Kujbysev - morto nel 1935
  • Lenin - morto nel 1924
  • Molotov - morto nel 1986
  • Ordžonikidze - suicidatosi nel 1937
  • Petrovskij - condannato a vent'anni di carcere
  • Radek - fucilato nel 1938
  • Rakovskij - fucilato nel 1937
  • Rudzutak - fucilato nel 1938
  • Rykov - fucilato nel 1938
  • Sapronov - fucilato nel 1937
  • Smirnov A. P. - scomparso nel 1938
  • Sokolnikov - fucilato nel 1938/
  • Stalin - morto nel 1953
  • Tomskij - suicidatosi nel 1936
  • Trotskij - assassinato nel 1940
  • Vorošilov - fucilato nel 193
  • Zelenskij - morto nel 1971
  • Zinovjev - fucilato nel 1936


Analogo confronto rispetto ai membri del Comitato Centrale eletti al 6 ° Congresso, svoltosi clandestinamente tra il 26 Luglio e il 3 Agosto 1917:



Su ventisei membri titolari, quindi, ben diciassette furono condannati a morte, assassinati (o costretti a suicidarsi), deportati da Stalin, ed inoltre sei membri del Politburo del 1922 su dieci, otto su tredici del Politburo del 1924, nove su diciassette del Politburo eletto dopo il XV Congresso del 1927.
Su trentuno persone elette al Politburo fra il 1918 e il 1935 venti scomparvero tragicamente. Lo stesso avvenne a livello del Comitato Centrale, dei Segretari regionali, provinciali e distrettuali.
I processi pubblici di Mosca coinvolsero solo una minoranza di comunisti. Per lo più, i comunisti arrestati furono fucilati o deportati senza processo.
Ežov presentò a Stalin (1937-1938) 383 liste di dirigenti che dovevano essere giudicati dal tribunale militare ma la cui sentenza, secondo Krusëv (rapporto segreto al XX Congresso), sempre la stessa, la condanna a morte, era gà decisa in precedenza. Stalin sanzionava queste sentenze, e con lui Molotov.

In definitiva, questo terrore non può essere paragonato né con quello della rivoluzione francese né con quello della guerra civile e per due ragioni: non era assolutamente giustificato da motivi rivoluzionari e fu incomparabilmente più sanguinoso. Durante il terrore degli anni 1793-1794 in Francia si contarono circa trentamila morti. Quanto al terrore rosso della guerra civile, esso fece non più di 150.000 vittime (secondo le valutazioni più anticomuniste). Invece, il terrore staliniano dal 1936 al 1938, fece alcuni milioni di vittime, fucilate o scomparse nei gulag.
Ai responsabili del partito si aggiunsero economisti, intellettuali, comunisti stranieri, molti comunisti delle repubbliche federate e autonome appartenenti a nazionalità non russe, dirigenti del Komsomol (l'organizzazione giovanile del partito) e dei sindacati. Ciò che avvenne ndeI Politburo e nel Comitato Centrale si ripeté a tutti i livelli della vita sovietica. Questa repressione di massa significò di fatto la liquidazione del partito.

Sotto la pressione del NKVD i bolscevichi si accusavano a vicenda. Nel febbraio del 1937 il Comitato Centrale fu costretto ad approvare questa politica, il che non impedì ai due terzi dei suoi membri di essere arrestati e di morire sotto i colpi del NKVD.
La maggioranza degli uomini che dirigevano il partito al momento della rivoluzione di ottobre furono fucilati
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La maggioranza dei dirigenti del Gosplan, molti Commissari del popolo e ambasciatori scomparvero nella tormenta: ad esempio due vicepresidenti del Consiglio dei commissari del popolo, il presidente del Consiglio dei commissari della RSFSR e i suoi due vicepresidenti, molti commissari del popolo dell'Unione della RSFSR, molti presidenti del Consiglio delle altre repubbliche federate o autonome caddero vittime della repressione staliniana. I dirigenti dei Comitati Centrali dei partiti delle repubbliche federate furono letteralmente decimati. La maggioranza del Comitato Centrale del Komsomol subì la stessa sorte.

Stalin non risparmiò nemmeno l'Armata rossa, che fu letteralmente decimata dalla repressione: decine di migliaia di ufficiali di gran valore persero la vita e decine di migliaia di altri furono deportati: complessivamente, tre marescialli su cinque, tredici comandanti d'armata su quindici, cinquantasette comandanti di corpo d'armata su ottantacinque, centodieci generali di divisione su centonovantacinque caddero vittime della repressione staliniana. E ciò, fra l'altro, spiega molto bene come mai le forze armate sarebbero state in forte deficit di direzione e di operatività al momento dell'invasione nazista.

Non meno pesante fu la repressione contro gli intellettuali.
Stalin aveva soppresso quasi tutte le nuove istituzioni nate dopo la guerra civile, come ad esempio l'università Sverdlov, la stessa davanti alla quale aveva tenuto le sue conferenze, raccolte poi in un volume divenuto celebre: I principi del leninismo. Storici e filosofi, biologi e matematici, scrittori ed artisti morirono a migliaia o furono deportati per molti anni. Fu questa, ad esempio, la sorte riservata al direttore dell'Istituto di storia del partito Knorin, al filosofo Sten, al biologo Vavilov, agli scrittori Mandelštam e Babel, al regista Mejerchold. Majakovskij si era suicidato nel 1930.

La repressione di massa colpì anche i comunisti stranieri presenti a Mosca: iI Partito comunista polacco fu disciolto nel 1938; lo stesso avvenne per il Partito comunista dell'Ucraina occidentale e per quello della Bielorussia occidentale; la repressione si abbatté sui dirigenti dei PC lettone, estone, lituano (le repubbliche baltiche non erano ancora repubbliche sovietiche); scomparvero anche alcuni dirigenti del PC jugoslavo (tra cui un segretario del Comitato Centrale), del PC bulgaro, dei PC cinese, coreano, iraniano, indiano; Bela Kun, il dirigente della rivoluzione ungherese del 1919, fu condannato a morte; anche alcuni comunisti tedeschi rifugiatisi nell'URSS rimasero vittime della repressione: tra gli altri Eberlein, segretario del Comitato Centrale; più in generale, ogni militante di un partito straniero residente a Mosca (ad esempio per sfuggire alla dittatura nel proprio paese) fu messo sotto stretto controllo.

Un esempio che può dare un'idea più precisa della repressione di massa è quello della regione di Smolensk. L'intera direzione del partito fu eliminata nel giugno del 1937, a cominciare dal segretario, un vecchio bolscevico membro del Comitato Centrale: mille quadri del partito e dei soviet furono sostituiti nel giro di poche settimane. La repressione si estese alle famiglie delle vittime e ai non comunisti. E i motivi non erano sempre politici. Il sistema delle denunce e il numero di queste denunce erano tali per cui era facile rimanere a propria volta vittime della repressione.

Milioni di persone furono così deportate.

Le ricerche effettuate da numerosi studiosi occidentali si fondano spesso su indicazioni frammentarie, pubblicate qua e là dopo il XX Congresso del PCUS, ma l'ordine di grandezza è sicuramente di alcuni milioni. Medvedev parla di cinque milioni di persone arrestate tra il 1936 e il 1939, delle quali quattro o cinquecentomila furono mandate a morte: gli interventi dei dirigenti sovietici al XXII Congresso del PCUS, nel 1961, confermarono la diretta responsabilità di Stalin, Molotov, Kaganoviç e Vorošilov in queste esecuzioni, ma è difficile pensare che gli altri membri del Politburo, Ždanov, Krusëv (ma nel 1961 gli era difficile dirlo perché era Segretario generale del PCUS...), Mikojan e tanti altri non ne fossero al corrente. Spiridonov (membro del Comitato Centrale, segretario del partito a Leningrado) dichiarò ad esempio: "Per quattro anni un'ondata incessante di misure repressive si abbatté su uomini che non avevano mai fatto nulla di infamante. Molti furono uccisi senza processo, in base ad istruttorie condotte affrettatamente. Vittime della repressione erano non soltanto questi stessi lavoratori, ma anche le loro famiglie, e persino i bambini." E Lazurkina (Leningrado) aggiunge: "Quale atmosfera si è creata nel 1937? Regnava la paura, una paura che noi leninisti non avremmo mai dovuto conoscere. Non avevamo fiducia in nessuno. Arrivavamo persino a calunniarci a vicenda. " Altri ricordano le purghe in Georgia, in Armenia, in Bielorussia.

La storia ha conosciuto ben pochi drammi simili a questo. Pensiamo a quelle centinaia di migliaia di comunisti (Paolo Spriano, nella sua Storia del PCI, parla di almeno 1.800.000 comunisti uccisi da Stalin) che soffrirono nella loro carne e nella loro anima, perseguitati dagli stessi uomini che avrebbero dovuto proteggerli, dai loro stessi compagni, vittime di un regime che avevano creato con le loro mani, di un uomo del quale avevano fatto la fortuna. Persino alcuni membri del Politburo addebitavano al NKVD tutti questi crimini, assolvendone Stalin.

Bucharin, torturato e costretto a mentire su se stesso e sugli altri, scrisse alla moglie una lunga lettera pochi giorni prima di morire:

    "La mia vita finisce qui, chino il capo sotto l'accetta del boia, ma questa accetta non è quella del proletariato, che dev'essere implacabile sì, ma anche senza macchia. Provo un senso d'impotenza totale davanti a questa macchina infernale che, ricorrendo a metodi medievali, ha acquistato un potere gigantesco, fabbrica calunnie a catena, si muove con audacia e forza di convinzione. Se più di una volta ho sbagliato nell'azione che ho condotto per edilificare il socialismo, i posteri non mi giudichino piu severamente di quanto non fece Vladimir Iliç. Abbiamo marciato verso un solo, identico obiettivo per la primissima volta, e il cammino non era ancora tracciato. Altri tempi, altri, costumi. Allora la Pravda dedicava un'intera pagina ai dibattiti; tutti discutevano sui mezzi e sui metodi più efficaci; litigavamo e poi facevamo la pace. Marciavamo tutti insieme. Mi appello a voi, future generazioni di dirigenti del partito. Uno dei vostri compiti storici sarà di fare l'autopsia della mostruosa nube di crimini che prolifica in quest'epoca spaventosa, divampando come una fiamma e soffocando il partito. Mi appello a tutti i membri del partito." (5)

Le parole dell'uomo che Lenin aveva soprannominato "il figlio prediletto del partito" risuonano in tutta la loro gravità e ci inducono a compiere lo sforzo di riflessione necessario per capire veramente il fenomeno staliniano.
Un comunista che non riconosca questa tragedia, e non veda in essa l'atto di morte del comunismo stesso, o è un imbecille o è un farabutto.

Nel novembre del 1938 la repressione aveva assunto dimensioni tali che le sue conseguenze si ripercuotevano in tutti i campi della vita economica e sociale. L'economia socialista si era sviluppata fino al 1937 nonostante il totalitarismo staliniano. E questo era dovuto alla sua stessa natura, vale a dire alla socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, alla capacità di espansione che le era propria indipendentemente dal sistema politico, da ogni metodo di gestione. Indubbiamente, questi fattori incidevano più o meno favorevolmente sullo sviluppo economico. In questo senso, il fenomeno staliniano ebbe un ruolo negativo, frenando questo sviluppo impetuoso.

Nel 1938 il terrore aveva raggiunto una tale intensità che finì per divenire un ostacolo per lo stesso sviluppo economico. Il terzo piano quinquennale, adottato al XVIII Congresso del 1939, prese avvio nell'ambito di un'economia di guerra e subì forti ridimensionamenti: si dovettero stanziare crediti maggiori per le forze armate, per l'industria bellica e per lo sviluppo delle regioni orientali del paese, meno esposte in caso d'invasione. Questo non spiega perché la produzione dell'acciaio ristagnasse tra il 1937 e il 1939: solo la scomparsa di centinaia di migliaia di quadri qualificati e il dissesto della produzione che ne derivò causarono questo ristagno. E fu indubbiamente questa constatazione a dettare un rallentamento del terrore. Nel novembre 1938 il Comitato Centrale e il Consiglio dei commissari del popolo si pronunciarono per una diminuzione della repressione.
L'8 dicembre venne annunciato che il responsabile del NKVD, Ežov, abbandonava la carica: egli aveva avuto una pesantissima responsabilità in tutti questi avvenimenti e per designare il terrore, si parla per l'appunto di questo periodo come di "ežovscina", ma Jagoda, responsabile del NKVD prima di lui, e Berija, che gli succedette, furono altrettanto crudeli e dispotici: il NKVD non fu che il braccio secolare di Stalin, la sua Inquisizione.
Questa Inquisizione poteva essere più o meno arbitraria e dispotica e con Ežov essa aveva raggiunto il vertice della crudeltà e dell'orrore. L'eliminazione di Ežov rappresentò pertanto una certa distensione. Migliaia fra i torturatori più efferati del NKVD furono torturati e fucilati a loro volta. Alcune migliaia di persone furono scarcerate, ad esempio il fisico Landau ed il costruttore di aerei Tupolev.
Gli arresti diminuirono di numero, ma non cessarono: molti ufficiali che avevano combattuto in Spagna furono arrestati e fucilati al ritorno in patria, ad esempio Antonov Ovšeenko (che aveva occupato il Palazzo d'Inverno nel 1917), il generale Stern e molti altri.

Fu in queste condizioni che, nell'aprile del 1939, si aprì il XVIII Congresso del PCUS, ma nessuno parlò degli uomini che erano scomparsi e che tuttavia erano stati eletti al Comitato Centrale durante il precedente Congresso. Stalin presentò il rapporto politico, Ždanov quello sul partito.
Le nubi si accumulavano nel cielo sovietico. Ad est combattimenti giganteschi avevano luogo tra sovietici e giapponesi sul lago Khassan; ad ovest i nazisti, dopo essersi annessi l'Austria e la Cecoslovacchia, satvano per attaccare l'Unione Sovietica con il beneplacito dei francesi e degli inglesi, che nel settembre del 1938 avevano concluso con Hitler l'accordo di Monaco. La guerra civile si era conclusa tragicamente in Spagna con la vittoria di Franco. L'Unione Sovietica, economicamente e militarmente piu debole della Germania di Hitler, era dissanguata dal terrore che aveva duramente colpito l'Armata rossa e l'economia. Stalin aveva stritolato il partito per rendersene padrone e per eliminare tutti gli avversari passati, presenti e futuri, della sua dittatura e della sua politica.

Con la fine della guerra civile la dittatura del proletariato era divenuta tutt'uno con quella del partito. Nel 1939 era divenuta tutt'uno con quella di un uomo.

Quest'uomo disse freddamente nel suo rapporto: "Non si può dire che l'epurazione sia stata effettuata senza gravi errori. Purtroppo, gli errori sono stati più numerosi di quanto non si sarebbe potuto supporre. Non v'è dubbio che non dovremo più ricorrere al metodo dell'epurazione di massa."
Ma dei 1.827 delegati al XVIII Congresso solo 35, il 2%, erano sopravvissuti al XVII, ed erano milioni i sovietici deportati.


NOTE

per le fonti utilizzate v. quanto indicato in Nascita dello stalinismo



(1) Il testo era stato rivelato dallo studioso americano Max Eastman, amico di Trotskij, nel 1925 in Since Lenin died
(2) In realtà l'apertura, dopo il 1991, degli archivi segreti sovietici, ha consentito rilevazioni meno approssimative. Si veda qui la pagina relativa al numero delle vittime.
(3) La guerra civile ebbe inizio in Spagna il 16 luglio 1936
(4) Non riteniamo necessario insistere su questi metodi, oggi ben conosciuti: il nostro intento non è di descrivere in modo dettagliato il terrore stalinista, ma di tracciarne una panoramica e di spiegarlo nelle sue linee essenziali. La confessione di Arthur London fornisce un'idea abbastanza fedele di ciò che avveniva durante quei processi. La tortura fu autorizzata nel 1937 (telegramma di Stalin del 1.1.1938, citato da Krusëv al XX Congresso del PCUS), ma era già in uso da molto tempo
(5) Questa testimonianza fu resa nota solo molti anni dopo, nel 1961: è riportata nel bellissimo libro scritto dalla moglie: Anna Larina, Ho amato Bucharin, Ed. Riuniti, 1989; nel 1988 Carlo Lizzani ha raccontato la vicenda in un film, Caro Gorbaciov.