Cjargna di una volta

UN PO' DI ETIMOLOGIA LOCALE

 

Con il venir meno dell’impero romano scomparvero, o passarono in secondo piano, molti usi e tra­dizioni, e alla classica composizione latina dei nomi - praenomen, nomen, cognomen - si sostituì un unico segno onomastico personale: veniva cioè usato un nome solo, ma ciò rendeva particolarmente difficile identificare con esattezza una persona. Così, a partire dalla fine dell’alto medioevo, intorno al X sec., si venne lentamente ricostruendo una forma che permetteva un riconoscimento sufficien­temente preciso, con l’introduzione di un secondo elemento del nome, quello che oggi, appunto, chiamiamo cognome.

Si trattò di un processo lungo e articolato, sviluppatosi in modi assai diversi a seconda delle aree geografiche, ma nell’ambito cristiano-mediterraneo in genere i cognomi si delinearono sulla base di alcune caratteristiche abbastanza ben definite: ad esempio il mestiere (Calderari, Fabbro, Sartori), il capostipite nel caso di famiglie nobili (Capetingi) o un genitore (D’Andrea, De Lucia), l’assenza di genitori (Angeli, Diotallevi, Esposito, Innocenti), l’intreccio fra paternità e un altro elemento (Da Monte, Del Missier, Di Ronco); e, naturalmente, il luogo di provenienza (in Carnia Fiorencis - evo­luzione dell’originario de Florentiae - Gubiani, Lucchini). 1


Ma, a proposito di nomi propri, è interessante notare come nei paesi carnici sia valsa per molto tem­po la consuetudine - che va ormai scomparendo - di chiamare abitualmente le persone non tanto con i loro nomi e cognomi anagrafici, bensì col primo nome, o un suo diminutivo, seguito dall’indica­zione di un vecchio di casa, o, più frequentemente, da un soprannome o altro appellativo di cui tal­volta si è perso il significato originario. Ecco alcuni esempi (sperando di non far torto a nessuno, in particolare a quelli che non ci sono più) riferiti a Mione: Adriano da Toi, Anuta dal Prédi, Berto da Burèla, Catina da Feranda, Catina di Zâri, Checo da Gnacùta, Checo da Piròna, Dorina di Loi, Fausto da Cechina, Garita da Bora, Gidio di Blâs, Guido da Spezeâr, Lucia dal Nedâr, Luciano da Galòcia, Pieri da Prences, Pieri da Sauràn, Pierin da Ciùcia, Pierin da Tuta, Pierin dal Ciuèt, Regina da Lûši, Renato dal Fâri, Ricardo da Pustèta, Romanut da Tamât, Santina da Gnacùta, Tita da Chiandòn, Tita da Florìda, Tita dal Rêt, Toni da Bresenài, Toni da Musulìt, Ustìn di Carli.

E ancora, in tema di nomi, alcune fra le ipotesi etimologiche riferite a Ovaro e alle sue frazioni. Ovaro: dal latino opularium, bosco di aceri. Agrons: accrescitivo da agru, acero, o dal lat. ager, campo. Cella: dal lat. cella, deposito di formaggio, ma anche piccola chiesa. Chialina: probabilmen­te da cjalìin, caligine. Clavais: forse dal lat. clava, pollone, germoglio. Cludinico: toponimo predia­le (legato cioè al metodo romano di suddividere i terreni, che poi generalmente prendevano il nome, sotto forma di aggettivo, dal nuovo proprietario) da Claudinius. Entrampo: dal lat. intra amnes, tra i fiumi (nella fattispecie Pesarina e Degano). Lenzone: forse dal nome personale ted. Lanzo. Liariis: dal lat. area, spianata. Luincis e Luint: forse dal termine pre-latino lonta, buca. Muina: dal nome personale lat. Hammonìa. Ovasta: dall’aggettivo lat. vastus, esteso. Una menzione particolare meri­ta il piccolo borgo di Baûs, il cui nome - come ci ha segnalato l’amico Mariano Fiorencis - deriva dal ted. Bauhaus, cioè casa del lavoro, ovvero scuola di arte, edilizia e architettura: tale denomina­zione è dovuta al fatto che in questa località al mulino cinquecentesco (ancora in attività) si sono aggiunti nel corso degli anni ben quattro segherie, una carbonaia, un’officina di fabbro (fària), una stazione di posta, un frantoio per le pietre, un paio di locande, una falegnameria; il nome inevitabil­mente richiama il grande centro culturale della repubblica di Weimar, che fu il cuore dell’avanguar­dia artistica degli anni ’20 (Klee, Kandinskij, Gropius, Mies van der Rohe): chi l’avrebbe detto che anche la Val di Gorto aveva la sua piccola Bauhaus?

Quanto ad Aplis, questo termine era comunemente usato nelle date come abbreviazione di aprilis, ma non è chiaro il nesso; forse la derivazione è dal lat. applicare, che significa anche approdare, con riferimento alle funzioni di porto del sito; il prof. Desinan, invece, suggerisce l’ipotesi che Aplis derivi da un nome di persona, forse celtico.

Per il fiume Degano l’origine è con tutta probabilità il lat. decanus, anziano, autorevole, e cioè cor­so d’acqua principale; ma qualcuno ritiene che possa anche derivare da degagna, cioè una delle uni­tà di suddivisione del territorio usate dai Longobardi.

La Val di Gorto (Guart), infine: dal pre-romano gortu, luogo chiuso, vallata; ma forse si collega a varie radici indogermaniche (corte, còrtos, garten) che analogamente corrispondono a luogo ripara­to, difeso: all’origine un castellerio primitivo, che poteva essere quello che sorgeva sul terrazzo fra Cella e Agrons prima della Pieve di Gorto. 2

Per quanto riguarda Mione, il nome del paese pare derivi dal cognome di una famiglia: Mioni, infat­ti, è abbastanza diffuso e così, ad esempio, si chiamavano vari intagliatori di legno tolmezzini, che ebbero una certa fama e arricchirono di pregevoli pale lignee diverse chiese carniche (Invillino, Lia­riis, Mione, Prato Carnico, Zuglio). Ma può derivare anche dal ted. Aimone, o da Mio, diminutivo di Bartolomeo. All’incertezza sull’etimologia di Mione fa riscontro anche la povertà di notizie stori­che su questo paese, le cui origini, comunque, sono probabilmente assai remote, come testimoniano i vari reperti archeologici, di provenienza sia celtica che longobarda, ritrovati in zona: alcuni, fra l’altro, nei pascoli di Mont di Prences, 3 e comunque riferibili in genere ai pajàns, ai pagani, cioè a popolazioni genericamente considerate straniere, e dunque, a prescindere dall’epoca in cui hanno fatto la loro comparsa, non cristiane. 4


A. Burgos, 2013

1 Quando cominciarono ad essere utilizzate forme di registrazione delle nascite, ad esempio nelle parrocchie, chi riceveva la denuncia spesso formulava una domanda in questi termini: «Di chi è il figlio?» e poi trascriveva letteralmente la risposta: «Del Fabbro, Del Frate, Del Medico», ecc.. Cfr. anche E. De Stefani, Cognomi della Carnia, Società Filologica Friulana, Udine 2003.

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2 G. Frau, Dizionario toponomastico del Friuli - Venezia Giulia, Ist. per l’Enciclopedia del FVG, Udine, 1978, p. 80; C. C. Desinan, Toponomastica del Canal di Gorto, in M. Michelutti (a cura di), In Guart. Anime e contrade della Pieve di Gorto, Società Filologica Friulana, Udine, 1994; G. Marinelli, Guida della Carnia e del Canal del Ferro, Ed. Aquileia, Tolmezzo, 1924-5. 2Alcune di queste indicazioni sono in realtà tutte da dimostrare: ad esempio, il valente studioso Gilberto Dell’Oste ritiene che nomi come Liariis o Pesariis possano derivare da aria, equivalente al piccolo stavolo di montagna ora chiamato stàipa.

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3 Il nome allude palesemente a dei principi che avrebbero abitato quei luoghi, ma più probabilmente si trattava di una piccola guarnigione, che tuttavia evocava nei poveri montanari potenza e nobiltà: la leggenda narra che in un certo prato avessero sepolto un tesoro, ma, attenzione, se qualcuno avesse provato a scavare, al primo colpo di piccone la terra avrebbe tremato, inghiottendo i profanatori. Negli anni ’20 Gianni Micoli Toscano - se per burla o per curiosità non è dato di sapere - incaricò tre baldi giovanotti di andare a fare una ricerca: arrivati sul posto, questi iniziarono a darsi da fare con pala e picòn, ma poco dopo sentirono voci inquietanti provenire dal sottosuolo e se la diedero a gambe. Pare che incautamente Gianni avesse dato loro in anticipo il compenso pattuito e quindi i tre si erano comprati un butigliòn di sgnapa: evidentemente l’avevano scolato prima ancora di cominciare il lavoro.

4 «L’epiteto di ‘salvan’ (selvatico), che è correlativo di ‘pagano’, ‘ariano’, ecc., è il riflesso della opposizione della popolazione romana, cattolica, ai primi Longobardi - appunto ariani o pagani - e della netta separazione fra dominatori e dominati»: C. G. Mor, I boschi patrimoniali del Patriarcato e di San Marco in Carnia, Cooperativa Alea, Udine, 1992, p. 37.