Paul Marcinkus e lo IOR

 

È stato il punto d’incontro tra lo scandalo del Banco Ambrosiano e le finanze Vaticane.

A cavallo fra gli anni '70 e '80 nelle ovattate e modeste stanze di questa banca, due sono stati i connubi alle origini dello scandalo: quello fra la banca vaticana IOR e il Banco Ambrosiano, quello fra Monsignor Paul Marcinkus e Roberto Calvi. Una Vatiican connection, come suonava il titolo di un best-seller o, nella quale, come al solito quando si parla delle i dati precisi rischiano di naufragare in un mare di nebbia. Dalla nebbia emergono, comunque, i nomi di personaggi ben noti: Sindona, la P2, Gelli, Ortolani, Carboni, ecc..

I fatti essenziali sono noti, anche se sulle colpe di ciascuno si discuterà all’infinito.

La banca vaticana (IOR, Istituto per le Opere di Religione), fondata da Pio XII nel 1942 a scopi benefici; diretta dal 1969 da un intraprendente prelato americano, amico di molti vip conosciuti sui campi di golf di Roma, Marcinkus, comincia a fare affari con il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e con le discusse banche consociate nelle Bahamas, e altrove. Un fiume di dollari, in un abbraccio che si rivelerà mortale.

A un certo punto Calvi, nei guai fino al collo, disperato perché non riesce a rastrellare urgentemente la somma - sembra - di 1200 milioni di dollari, strappa a Marcinkus delle lettere di patronage, una sorta di garanzia per tacitare i creditori.

Poi il crollo. I creditori chiedono che lo IOR “onori” come si suol dire, le lettere di patronage. Si apre un contenzioso serrato, aspro. Infine il Vaticano, deciso a chiudere una partita molto scottante, paga circa 250 milioni di dollari, pur continuando a protestarsi innocente. “Lo IOR riconferma di non avere alcuna responsabilità in ordine al dissesto del Banco Ambrosiano”. I creditori non ottengono l'incriminazione di Marcinkus: lo stato italiano, in forza di dubbie norme concordatarie, gli copre le spalle.

Ma quanto era corresponsabile lo IOR delle malefatte del Banco Ambrosiano? Quale il rapporto fra Marcinkus e Calvi? Fra questi e Gelli e Sindona e le trame che hanno inquinato l’Italia? Se veramente innocente, come mai il Vaticano si è deciso a pagare? Questi e molti altri interrogativi sono destinati a rimanere senza risposta.

F. Gentiloni, l'Unità, 1992

 

Marco Tosatti

What's IOR Name?

È l'organismo del Vaticano che ha sempre creato il maggior numero di problemi a quella che è stata definita una multinazionale dello spirito; proprio perché di spirituale sembra abbia ben poco. La sua nascita risale all'11 febbraio 1887, quando papa Pecci, Leone XIII, costituì la Commissione delle Opere Pie. Roma è capitale d'Italia da neanche vent'anni, le cicatrici della Breccia sono ancora aperte, la Santa Sede non si fida di amministrazioni finanziarie esterne... Pio X nel 1908 confermò bisogno ed esistenza della gestione autonoma dei soldi vaticani, sotto un nuovo nome: Commissione amministratrice delle Opere di Religione.


È l'epoca del «prigioniero del Vaticano»; il Pontefice non varca le Mura Leonine, e l'attività della Santa Sede è limitata. Ci vogliono i Patti Lateranensi firmati un altro 11 febbraio - 1929 - per riconoscere la Santa Sede come Stato indipendente. L'accordo riconobbe l'extraterritorialità del minuscolo stato e dei suoi organismi; e per rifondere la Chiesa di una serie di espropri iniziati in era napoleonica e terminati con la presa di Roma le versava 750 milioni di lire; inoltre la Santa Sede riceveva titoli di debito pubblico per un miliardo. Con questa «dote» ha inizio la storia moderna della finanza di Oltretevere.
Il banchiere laico Bernardino Nogara fu scelto da papa Ratti, Pio XI, come capo della neo-costituita Amministrazione speciale per le Opere di Religione, l'antenato più recente dello IOR. Nogara accettò, a due condizioni: gli investimenti dovevano essere slegati da considerazioni religiose o dottrinali e doveva poter operare in ogni parte del mondo. Nel periodo - poco più di dieci anni - che separò l'accordo Stato-Chiesa dall'inizio della Seconda Guerra mondiale Nogara investì i capitali vaticani nell'economia italiana: energia elettrica, comunicazioni telefoniche, credito bancario, ferrovie locali, produzione di macchine agricole, cemento, acqua e fibre tessili sintetiche.


Il 27 giugno 1942 un documento autografo di papa Pio XII segna la nascita dell'Istituto per le Opere di Religione; una banca vera e propria con lo scopo di far fruttare i capitali a disposizione. Siamo giunti al periodo di tormentato e discusso della Banca vaticana. Se la sua esistenza trova una giustificazione - almeno agli occhi del mondo ecclesiale - nella necessità di porre al riparo da speculazioni, partecipazioni finanziarie problematiche da un punto di vista etico e indiscrezioni sempre temute, d'altro canto la gestione dello IOR negli ultimi sessanta anni è stata marcata da scandali e infortuni clamorosi.
Il primo grande scandalo risale agli anni '60. Nel 1962 lo IOR deteneva il 24,5% della Banca privata finanziaria di Michele Sindona, al quale, nel 1969, papa Paolo VI affidò una consulenza per la modernizzazione dello IOR. A Sindona fu venduta la Società Generale Immobiliare, della quale lo IOR mantenne una quota del 3%. Successivamente, furono numerosissime le partecipazioni comuni, comprese le movimentazioni di capitali in paradisi fiscali, fra IOR e Sindona. Le disavventure giudiziarie del finanziere siciliano, e la sua morte per avvelenamento gettarono un'ombra pesante anche sulla banca vaticana.


Ma il peggio doveva ancora venire. Nel 1971 l'arcivescovo statunitense Paul Marcinkus, che si era guadagnata la fiducia di papa Montini, Paolo VI, per l'energia e l'efficienza con cui organizzava i viaggi papali, fu nominato presidente dello IOR, dopo un breve corso di formazione bancaria negli Usa, il suo unico (e scarso) bagaglio professionale.
Nel 1972 lo IOR possedeva circa il 51% della Banca Cattolica del Veneto. Per volontà di Marcinkus, il 37% delle azioni vennero cedute al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, provocando la reazione dei vescovi veneti e dell'allora vescovo Albino Luciani (futuro papa Giovanni Paolo I) che, non essendone stati informati, chiusero per protesta i loro conti presso la Cattolica del Veneto.
Dieci anni più tardi, nel giugno del 1982 esplose il caso del Banco Ambrosiano. Il crac della banca di Roberto Calvi vide il coinvolgimento diretto dei vertici dello IOR, che si salvarono dall'arresto solo grazie all'extraterritorialità della Città del Vaticano. Lo IOR fu, tra il 1946 e il 1971, il maggior azionista del Banco Ambrosiano; ma i problemi diventarono gravissimi con l'arrivo di Calvi. Marcinkus firmò lettere di «patronage» - una sostanziale copertura - per le operazioni eseguite all'estero, su società fittizie o di comodo. Tutte società fantasma con sede in paradisi fiscali, la cui funzione era fare da schermo alla scomparsa di circa duemila miliardi di lire dalle casse dell'Ambrosiano.


Beniamino Andreatta, allora ministro del Tesoro, impose la liquidazione dell'Ambrosiano. Marcinkus fu indagato in Italia nel 1987 per concorso in bancarotta fraudolenta. La Banca Vaticana non ammise alcuna responsabilità per il fallimento del Banco Ambrosiano, una commissione mista (Agostino Gambino, Pellegrino Capaldo e Renato Dardozzi per il Vaticano, Filippo Chiomenti, Mario Cattaneo e Alberto Santa Maria per lo Stato Italiano) giunse - non all'unanimità - ad ammettere una responsabilità morale dello IOR nel crac. Il 25 maggio 1984, a Ginevra, lo IOR siglò un accordo con le banche creditrici dell'Ambrosiano, versando 406 milioni di dollari a titolo di «contributo volontario». E gli affari ricominciarono...

La Stampa

 

Andrea Tornelli

La parabola di Paul Marcinkus, dal paese di Al Capone allo scandalo IOR

 

Paul Casimir Marcinkus, detto “Chink”, l’arcivescovo che fu presidente dello IOR e che la magistratura italiana tentò invano di rinchiudere dietro le sbarre per il crac del Banco Ambrosiano, non ha mai avuto il phisique du role del pio sacerdote. L’arcivescovo protagonista di uno degli scandali vaticani più clamorosi è morto nel febbraio 2006 in Arizona, dove si era ritrirato con funzioni di viceparroco.
Nato nel 1922 a Cicero, il sobborgo di Chicago noto per aver dato i natali ad Al Capone, da una famiglia di immigrati lituani, Paul Casimir aveva cinque fratelli e il padre si guadagnava da vivere pulendo i vetri degli uffici. La vocazione si manifesta abbastanza presto: a tredici anni si iscrive a una scuola della diocesi e a diciotto si trasferisce nel seminario maggiore di St. Mary of the Lake a Munderlein, in Illinois, dove studia filosofia e teologia. Nel ’47 riceve l’ordinazione sacerdotale e viene inviato in una parrocchia di un quartiere nella parte sudoccidentale di Chicago, in missione fra le giovani famiglie. Appena un anno dopo, Marcinkus viene trasferito al Tribunale diocesano e due anni dopo lo troviamo già a Roma per studiare diritto canonico. Nel 1952, mentre si trovava a Londra per una ricerca, fu raggiunto da una lettera del Vaticano che lo invitava a trascorrere due mesi presso la sezione inglese della Segreteria di Stato. I professori della Gregoriana avevano infatti segnalato il nome di don Paul al factotum di Pio XII, monsignor Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI. Quel periodo di prova divenne definitivo. E Marcinkus si trasformò poco a poco nel punto di riferimento romano per tutti gli americani.
Durante il Concilio Vaticano II lo troviamo al lavoro per garantire i prezzi migliori per i voli transoceanici dei vescovi e la loro sistemazione negli alberghi romani. Nel ’63 fa costruire Villa Stritch (dedicata a un cardinale di Chicago), un complesso da un milione di dollari progettato per ospitare i prelati statunitensi e ne diviene il primo rettore.
La sua vera carriera coincide con i primi viaggi apostolici del Papa. Nel 1964 Paolo VI, che Marrcinkus aveva aiutato a studiare inglese, gli chiede di organizzare la trasferta in India per il Congresso eucaristico. Le sue capacità organizzative si rivelano formidabili, tanto da allora dirige ogni viaggio del Pontefice, da New York a Fatima, dall’Uganda al Cile. Tutti cominciano a chiamarlo “l’uomo del Papa” e la sua preoccupazione per l’incolumità fisica di Paolo VI gli fa guadagnare il soprannome di “gorilla”.

Un soprannome azzeccato, data l’imponente stazza del prelato americano. Nel 1969 il Papa lo consacra vescovo e lo trasferisce alla guida allo IOR, pur non avendo Marcinkus alcuna competenza di banche e finanza. Passano pochi anni, e nel 1972 il suo nome viene tirato in ballo nello scandalo dei titoli azionari falsificati che il Vaticano avrebbe acquistato dalla mafia. L’indagine sulla Vatican connection è affidata all’FBI. Gli agenti entrano nelle sacre stanze e interrogano i più stretti collaboratori dell’allora Sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Benelli. Che da allora diventerà avversario di Marcinkus. Il prelato di Cicero viene prosciolto dall’accusa, ma quella data segna l’inizio della sua cattiva fama.
Sono gli anni in cui, grazie a potenti appoggi, Michele Sindona ha facile accesso al Vaticano. Così come il suo “allievo” Roberto Calvi, discusso presidente del Banco Ambrosiano, con cui lo IOR di Marcinkus entra presto in affari. Con l’aumentare del suo potere, il “Chink” vede crescere anche il numero dei suoi nemici. Profondamente indignato per il modo d’agire un po’ troppo disinvolto del presidente dello IOR è ad esempio il patriarca di Venezia Albino Luciani, che a metà degli Settanta ebbe dei contrasti con Martcinkus relativi al Banco San Marco e alla cessione della Banca cattolica del Veneto al Banco Ambrosiano. Si dice che giunto a Roma per chiedere spiegazioni di un’operazione condotta senza che i vescovi veneti fossero stati avvisati, Luciani sia stato messo alla porta piuttosto alle spicciole dal “Chink”.

Monsignor Marcinkus smentirà la circostanza. Sta di fatto che, secondo molte autorevoli fonti, subito dopo l’elezione, Papa Luciani manifestò l’intenzione di rimuovere il prelato americano dal vertice dello IOR “perché un vescovo non deve dirigere una banca”. Certe operazioni spregiudicate dell’Ambrosiano erano ben note ancor prima dell’arrivo al Soglio di Karol Wojtyla. Ma Giovanni Paolo II prende in simpatia Marcinkus, lo promuove arcivescovo (1981) e lo nomina pro-presidente della pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano. Oltre che di finanze, il prelato statunitense si occupa della vita spicciola dello Stato più piccolo del mondo. Operai e maestranze lo ricordano ancora con grande affetto: era capace di arrampicarsi sulle impalcature per portare qualcosa da bere ai muratori, sensibile alle loro esigenze, pronto ad aiutare chiunque fosse in difficoltà.
Lo stesso non si può dire per quanto riguarda le operazioni finanziarie. Le carte e i documenti spulciati dai liquidatori dell’Ambrosiano e dai magistrati descrivono transazioni per centinaia di milioni di dollari dalle società fantasma di Calvi allo IOR. Per 11 anni la banca vaticana, grazie al suo status “offshore” fece da intermediaria per le operazioni del “banchiere di Dio” che nel 1982 morirà impiccato sotto il ponte dei Frati neri nel cuore di Londra. A inguaiare l’intraprendente arcivescovo furono le famose lettere di patronage, concesse dallo IOR a Roberto Calvi nel momento in cui l’impero di scatole cinesi dell’Ambrosiano cominciava a sfaldarsi. Con quelle lettere, la banca vaticana confermava che “direttamente o indirettamente” esercitava il controllo su Manic.S.A. (Lussemburgo), Astolfine S.A (Panama), Nordeurop Establishment (Liechtenstein), U.T.C. United Trading Corporation (Panama), Erin S.A (Panama), Bellatrix S.A (Panama), Belrosa S.A (Panama), Starfield S.A (Panama). La “prova” delle colpe di Marcinkus, secondo gli inquirenti che chiederanno il suo arresto per concorso in bancarotta fraudolenta, mai concesso dal Vaticano. In realtà, esisteva anche un’altra lettera, a firma di Calvi, che sollevava la banca della Santa Sede da ogni responsabilità. Ingenuo e desideroso di aiutare un compagno d’affari che gli offriva week-end di lavoro alle Bahamas o complice di operazioni sporche? Nessuno saprà mai fino in fondo la verità.

E sebbene il Vaticano abbia continuato a negare qualsiasi malversazione, il cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato di Sua Santità negoziò con il governo italiano un accordo in base al quale lo IOR avrebbe versato la bellezza di 244 milioni di dollari ai creditori dell’Ambrosiano, come risarcimento per ogni pretesa presente o futura. Il pagamento, checché ne dicano i vertici della Santa Sede, equivale a un’ammissione di colpa. La somma fu versata anche grazie all’aiuto dei banchieri dell’Opus Dei, che si vedrà riconoscere lo statuto di Prelatura personale del Papa nel nuovo codice di diritto canonico promulgato di lì a poco. L’Anno Santo straordinario del 1983 indetto da Papa Wojtyla servirà anche a rimpinguare le casseforti vaticane dopo la bufera. Non tutto è chiaro nei passaggi che portano alla liquidazione del Banco dopo il crac così come molte zone d’ombra rimangono sulle circostanze della morte di Calvi. Giulio Andreotti, ad esempio, ha più volte manifestato la sua sorpresa per la rapidità con cui il più grande gruppo bancario cattolico venne distrutto.

Paul Casimir Marcinkus, nonostante le bufere, è rimasto alla guida dello IOR fino al 1989. Giovanni Paolo II lo ha protetto e difeso, anche se non l’ha premiato con la porpora. Oltre ai servigi resi nell’organizzazione dei viaggi, di cui Marcinkus è stato per anni indiscusso protagonista, un ruolo decisivo possono aver giocato i finanziamenti a Solidarnosc. Calvi aveva più volte sostenuto di aver avuto una parte nell’aiuto finanziario al sindacato polacco di Lech Walesa che con la sua attività segnò l’inizio della fine del comunismo. In una bobina registrata segretamente da Flavio Carboni si sente la voce di Calvi che dice: "Io gli ho detto sul muso a Marcinkus: guardi che se per caso risulta da qualche contabile che gira per New York che manda soldi a Solidarnosc, qui fra un po’ non c’è più pietra su pietra… Tanto per parlarci chiaro”. I finanziamenti sarebbero stati gestiti con operazioni estero su estero e incassati da un prete polacco residente a Roma che li faceva pervenire al sindacato. E traccia di un’operazione Polonia è rimasta anche in un verbale del consiglio di amministrazione del Banco Ambrosiano. Il presidente dello IOR però smentirà di essere stato a conoscenza dell’operazione: “Calvi non mi ha mai parlato di Solidarnosc. Se ha dato qualcosa a Solidarnosc, va bene, ma non ne ho mai saputo niente”. Di certo i soldi guadagnati da Marcinkus con gli investimenti e compravendita di proprietà sono serviti a finanziare “opere di religione” e sono stati utilizzati per costruire chiese.
Nonostante le frequenti voci e i numerosi pettegolezzi messi in giro dai suoi tanti nemici all’interno della mura vaticane, nulla è mai stato accertato contro Marcinkus, escluse, ovviamente, le sue acrobazie finanziarie. Le dicerie su una sua presunta relazione con una bella donna sposata, ex miss Francia, si sono rivelate del tutto infondate e frutto della malevolenza di monsignori e prelati invidiosi del potere del “Chink”. Così come si rivelerà del tutto priva di fondamento l’accusa rivoltagli nel 1984 dal giornalista inglese David Yallop, autore del best seller “In God’s name”. Nel libro si sostiene la tesi dell’omicidio di Papa Luciani, che sarebbe stato assassinato a causa di un complotto ordito, tra gli altri, anche da Marcinkus in combutta con l’allora Segretario di Stato Jean Villot e con il discusso arcivescovo di Chicago John Patrick Cody. Un altro prelato statunitense caduto in disgrazia per la cattiva gestione delle finanze ecclesiastiche.

La Stampa, 30 Giugno 2011