LA CHIESA DEL SILENZIO

 

SOSTENIBILITA' SOLIDARIETA'
ECONOMIA P A C E
ENERGIE RIFIUTI
INQUINAMENTO O G M
TRASPORTI LIBRI

 

 

Due parole di presentazione

Non è un tentativo di “depistaggio”; si tratta piuttosto di un aggiornamento.
Il titolo del libro non tratta della “Chiesa del silenzio” nel senso comunemente inteso, così come nel passato si è voluto chiamare quella chiesa che sotto i regimi dittatoriali dell’Est era stata ridotta al silenzio dalla persecuzione comunista. Quella chiesa, pur silente, gridava forte la sua fede. Il suo era un silenzio eloquente, essendo l’ascolto non il porgere l’orecchio alle parole dette, ma il farsi condurre dalle parole, dette e non dette, e, quindi, anche dal silenzio. Quello era il silenzio, imposto dall’esterno, ad una chiesa dissenziente, che contestava le pratiche liberticide dell’impero. Era il silenzio di una chiesa viva.
C’è, invece, in questa triste alba del terzo millennio, un silenzio che è omertoso o cortigiano, un silenzio “omicida” direbbe oggi don Primo Mazzolari, quel “silenzio degli onesti” che Martin Luther King temeva molto più che non “le parole dei violenti”. Questo è il silenzio, imposto dall’interno, di una chiesa connivente con le pratiche neoliberiste del nuovo impero: una chiesa che non parla perché non vede e non ascolta. Questo è il silenzio di una chiesa morta.
Per altro verso, diciamolo pure, questa stessa chiesa appare molto loquace, quasi al limite della sopportabilità per quanto riguarda la minuziosità della casistica nella morale sessuale e una vera e propria invasione di campo per quanto attiene alla vita politica italiana.
Sembrano ormai lontani i tempi del Concilio, “salutato come un segno provvidenziale che riconduceva la Chiesa alla sua funzione evangelizzatrice e l’alleggeriva delle compromissioni col potere politico che, per non dire di più, l’hanno appesantita e intorpidita nel corso dei duemila anni della sua storia. Se le reazione della Chiesa del potere furono, e continuano ad essere, di sorda resistenza, la Chiesa della profezia vide rispecchiate, nelle affermazione del concilio, le sue più vive speranze” (Gustavo Zagrebelsky su La Repubblica del 25.11.2005).
Ma sono lontani anche, in campo politico-sociale, i pur recenti anni ’80.
Il crollo del muro di Berlino, che nel novembre del 1989 ha fatto piangere di gioia il mondo intero, facendo intravedere un futuro di solidale libertà e di serena convivenza tra i popoli, ha “liberato” purtroppo “la bestia” di cui si parla nel libro dell’Apocalisse.
Celebrati i funerali dell’impero sovietico, l’America si è ritrovata finalmente “libera”, senza controlli e senza opposizioni, guardiano unico del mondo, arbitro assoluto nell’imporre le sue regole al diritto e alla politica. La statua della libertà si è tramutata in tigre e il “Sogno americano”, di fatto, ha assunto i connotati di un paradosso: la contraddizione tra gli ideali rumorosamente sbandierati e gli interessi concretamente perseguiti.  
Con la caduta del muro di Berlino è come se si fossero sbriciolati gli argini della politica e del diritto che contenevano nel bacino della democraticità e della legalità le regole del mercato che, così, invece, si è ritrovato sovrano unico e assoluto. “Il sovrano è quel potere - scrive Raniero La Valle sul numero 23/05 di Rocca - che non riconosce alcun potere al di sopra di sé, che giudica tutto e non è giudicato da nessuno. Tale è il potere del mercato, da quando si è deciso che l'unica legge è la sua, e che ad esso devono piegarsi e soccombere tutte le altre leggi, comprese quelle a tutela dei diritti umani fondamentali (…) L’ascesa del mercato globale, dopo la fine dell’età degli Imperi, conclusasi nel 1945, e la fine dell’età dei blocchi contrapposti, conclusasi nel 1989, si può infatti intendere come l’ascesa al trono di un nuovo sovrano, cioè di un potere sovraordinato che non può essere sindacato da nessuno”.
Il mercato, come uno tzunami, si abbatte sulle nazioni e ne cancella la storia; violenta i popoli distruggendo la loro cultura, i loro linguaggi e le loro tradizioni; mercifica uomini e donne desertificando la loro coscienza e trasformandoli in utensileria di produzione; saccheggia la natura ingabbiandola nella subcategoria di “luogo-occasione” per le proprie scorrerie.  
Peccato che la chiesa, nella sua attuale gerarchia, non veda la portata destabilizzante e l’immoralità devastante di tutto ciò. Si ha l’impressione che per la gerarchia conti solo ciò che gli uomini e le donne fanno in camera da letto: la teologia ha ceduto il posto alla sessuologia e l’etica è stata “riduzionata” a “genetica”.

 L’Impero, da parte sua, ha affinato i suoi strumenti di distruzione sostituendo la persecuzione con la blandizie, le privazioni con le regalie, il muso duro con il sorriso ipocrita, la ieraticità con le prostrazioni. Che squallore quei parlamentari italiani che mentre nel cuor loro avevano già deciso di appoggiare la guerra, tutta americana, all’Iraq, a camere riunite, si spellavano le mani nell’applauso a quel papa che quella guerra aveva duramente e insistentemente condannato e tentato di impedire!
Torna più che mai attuale il grande avvertimento del vescovo Ilario di Poitiers.
Quando con Costantino il cristianesimo si è trasformato in cristianità e si è ritrovato ad essere cultura cristiana, civiltà cri­stiana, il martirio scomparve come quotidiana, contemporanea, reale memoria crucis nella storia cristiana. Ilario di Poitiers (+367), che vede ormai la chiesa non più contraddetta né osteggiata, ma omaggiata e apparentemente ascoltata, ritiene di dover così mettere in guardia i cristiani: “Ora combattiamo contro un nemico insidioso, un nemico che lusinga...; non ci flagella la schiena, ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni dandoci così la vita, ma ci arricchisce dandoci così la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci percuote ai fianchi, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la te­sta con la spada ma ci uccide l'anima con il denaro, l'onore, il potere”.

Contro questa deriva, spetta ai semplici fedeli fare da sentinelle, vigilare sui “vigilanti” (episcopi), rompere il silenzio per dare voce all’umanità ferita, alla dignità calpestata, alla natura violentata e, in questo servizio, riscoprire la entusiasmante e gioiosa vocazione profetica che nella chiesa tutti, comunitariamente, investe ed ognuno, singolarmente, responsabilizza. Tra molti credenti e molti non credenti, per ragione sia di fede che di democrazia, cresce l’insofferenza verso una gerarchia “idiota” (nel senso letterale del termine, che “gira intorno a se stessa”) e di una classe politica genuflessa, senza più dignità alcuna.

L’autore di questo libro non sono io, ma le molte persone sparse in tutta Italia, che sentono su di sé la pesantezza del momento e che, non arrendendosi allo scoramento o alla disperazione, non astraendosi in una religiosità intimistica e consolatoria né blindandosi nell’indifferenza della disaffezione, hanno voluto gridare la loro rabbia e rinverdire la loro speranza.
Stimolati dalla mia lettera pubblicata su La Repubblica del 13 ottobre 2005, nella rubrica curata dal dott. Corrado Augias, hanno preso carta e penna ed hanno scritto, mandando lettere o inviando messaggi via e-mail, per esprimere le loro amarezze e il loro disappunto.
Tutti, credenti e non, nel sogno di una nuova pentecoste che scuota i nostri vescovi dai loro calcoli fatti di grandi mire egemoniche e di piccole furbizie diplomatiche.
Il potere, come capacità di decidere per gli altri, la bulimia come volontà di possesso mai soddisfatta, il narcisismo come il rapportare il mondo a sé invece che vedere se stessi in funzione del mondo, saranno pure virtù per questa mondana chiesa.
Per noi sono e restano le tentazioni mai definitivamente debellate di una “chiesa altra”.

Antrosano, 27 novembre 2005 (prima domenica di avvento)

Aldo Antonelli

 

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