Edmund Wilson

Marx e Engels


Cambiare il mondo - la lezione di Hegel - Il giovane Marx - La lezione di Feuerbach - Engels - La condizione operaia - Il processo storico - La lotta di classe - Il proletariato - il programma politico - Il "Manifesto" - La dialettica - Il materialismo - Ideologia e mitologia


Cambiare il mondo

Il grande compito di Karl Marx nel primo periodo della sua maturità intellettuale fu quello di orientare il pensiero filosofico tedesco verso i problemi attuali della Germania contemporanea.
Il mondo della filosofia tedesca ci appare bizzarro quando lo incontriamo dopo la Rivoluzione francese. Le astrazioni dei francesi - siano esse Libertà, Fratellanza, Uguaglianza, oppure le Armonie e le Attrazioni Appassionate di Fourier - sono principi sociali tendenti a evocar visioni di un miglioramento sociale e politico; ma le astrazioni dei tedeschi, in confronto, sono miti nebulosi e amorfi, che gravitano nel cielo grigio che sovrasta la pianura di Königsberg e Berlino, e che scendono nella realtà soltanto sotto forma di divinità mediatrice.
Marx ed Engels dovevano giungere alla conclusione che, se i filosofi tedeschi non erano riusciti a fornire principi per l'uomo come essere sociale, ciò era dovuto alla loro impotenza obiettiva sotto un regime antiquato e feudale: per esempio, la "autodeterminazione" di Kant aveva rappresentato il riflesso intellettuale e l'influsso della Rivoluzione francese sulla mentalità della borghesia tedesca la quale aveva l'impulso, ma non ancora la capacità, di liberarsi dalle antiche istituzioni, cosicché quella "volontà" rimaneva una "volontà fine a se stessa... una determinazione puramente ideologica, un postulato morale", privo di influenza pratica sulla società.

La lezione di Hegel

Hegel aveva sostenuto che la società, lo "Stato", era la realizzazione della ragione assoluta, cui il singolo doveva subordinarsi. In seguito, egli disse che aveva inteso alludere allo Stato perfetto; ma la sua politica ed il suo atteggiamento negli almi successivi danno motivo di ritenere che egli considerasse tale perfezione già raggiunta con lo Stato prussiano di Federico Guglielmo III. La società aveva cessato di svilupparsi, era completa e pietrificata in uno stampo. Eppure, nello stesso tempo, quello Stato perfetto era soltanto un'entità mistica nelle tenebre dell'idealismo germanico, poiché era concepito soltanto come un prodotto e una figura di una divina "Idea" primordiale, che si attuava attraverso la ragione. Il re, che era stato in tal guisa munito di un Diritto Divino e la cui permanenza al potere era garantita dai termini del pensiero più progredito, proteggeva e incoraggiava gli hegeliani che erano divenuti così i pilastri dell'amministrazione.
Eppure, c'era in Hegel un principio rivoluzionario il quale, prima che egli divenisse il rigido professore prussiano, era emerso, portato alla superficie dall'ondata della Rivoluzione francese. Egli aveva passato in rivista tutta la storia quale la conosceva e aveva dimostrato i processi organici, ricorrenti e ineluttabili attraverso i quali le vecchie società si trasformano in nuove. Perché mai, dunque, questi processi dovevano arrestarsi subitamente? La rivoluzione del 1830 in Francia aveva provocato un fermento in Germania. Questo era stato represso e seguito da una reazione caratterizzata, tra l'altro, da un tentativo di risuscitare la religione ortodossa.

Nacque allora una nuova scuola hegeliana che si servì dell'hegelismo per liquidare il cristianesimo. Nel 1835, David Friedrich Strauss pubblicò la sua Vita di Gesù. Una delle maggiori realizzazioni di Hegel era stata quella di dirigere l'attenzione dei tedeschi verso lo sviluppo delle istituzioni umane come espressione specifica del genio dei vari popoli. D. F. Strauss, pur affermando come Hegel che il cristianesimo rappresentava la verità ideale, scandalizzò i tedeschi sostenendo che i Vangeli non erano documenti storici, ma soltanto miti e che, quantunque si potesse appurare che essi avevano, in origine, un substrato di verità, erano in gran parte inconscio prodotto di fantasie collettive scaturite dalla mente dei primi cristiani. Bruno Bauer, nelle sue critiche ai Vangeli pubblicate nel 1840 e nel 1841, tentava di liquidare quell'ossessione mitopeica che di per se stessa partecipava della natura di un mito, esaminando i documenti del Nuovo Testamento come prodotti della fantasia umana, e concludendo che si trattava di una falsificazione cosciente del primo che l'aveva perpetrata: Gesù non era mai esistito. In tal modo Bauer si era sbarazzato del cristianesimo, ma, hegeliano qual era ancora, elaborò più tardi una dottrina dell'"autocoscienza" la quale, negando l'esistenza della materia come realtà distinta dallo spirito, lasciava l'umanità ancora incorporea, ancora sospesa nel vuoto filosofico.


Il giovane Marx

Nel 1837, quando era ancora studente a Berlino, Karl Marx era stato accolto in un Doktorklub, di cui faceva parte Bauer, e dove nacque un movimento dei "Giovani hegeliani". Marx era stato attratto dalla filosofia hegeliana che era ancora la corrente di pensiero più forte in Germania, ma ben presto cominciò ad avversarla. Il principio deicida in Marx si ribellava contro l'Idea Assoluta. "La filosofia non fa misteri in proposito" - egli scriveva in una tesi di laurea in cui pur tuttavia predominava il metodo hegeliano - "il suo credo è il credo di Prometeo. In una parola, detesto tutti gli dei. Tale è la sua divisa contro tutte le divinità del cielo o della terra che non riconoscono come somma divinità la stessa autocoscienza umana." Né, come vedremo, quest'autocoscienza umana doveva rimanere soltanto un'astrazione universale come l'autocoscienza definita da Bruno Bauer. […]

La lezione di Feuerbach

Oltre a Strauss e a Bauer, c'era un terzo critico della religione, Ludwig Feuerbach, il quale, nel 1841, colpì profondamente la generazione di Marx con un libro intitolato L'essenza del cristianesimo. Secondo Feuerbach, l'Idea Assoluta di Hegel, che riteneva essersi oggettivata nella materia al fine di attuare la ragione, era stata un presupposto gratuito che Hegel non era in grado di comprovare. In realtà, l'Idea Assoluta era un equivalente del Verbo divenuto Carne; e Hegel, in definitiva, era soltanto l'ultimo dei grandi apologeti del cristianesimo. Dimentichiamo l'Idea Assoluta; iniziamo un'indagine sull'uomo e sul mondo quali li troviamo. Allora ci appare ovvio e palese che le leggende e i riti della religione sono espressione di menti umane.
Feuerbach riuscì a liberare la religione dalla teoria della fantasia collettiva di Strauss, a salvare l'istinto etico dell'autocoscienza pura in cui era ricaduto con Bruno Bauer dopo che questi aveva respinto i principi sanciti dalle Sacre Scritture, e a legare indissolubilmente tanto la religione quanto la morale alle abitudini dell'uomo. Ma è ancora convinto che sussista la necessità d'una religione. Lui stesso tenta di elaborare un nuovo culto dell'amore basato sul sesso e sull'amicizia. Immagina un'umanità astratta unificata dalla ragione.
Ora si presentava a Marx il compito di sbarazzarsi completamente della religione e di porre le emozioni, i riflessi morali dell'uomo in rapporto con le vicissitudini della società. Era pure suo compito dare un nuovo indirizzo alla "Volontà" della filosofia germanica, che era stata "un postulato puramente ideologico" e di cui nemmeno Fichte, benché ne avesse contemplato la realizzazione, aveva previsto il pieno successo, considerandola, invece, fine a se stessa; si presentava, cioè, a Marx il problema di convertire questa astrazione in una forza appartenente al mondo materiale.
In un'interessante serie di note su Feuerbach, scritte nel 1845, Marx affermava che l'errore di tutte le precedenti forme di materialismo consisteva nel considerare che gli oggetti esteriori agissero sulla mente, la quale rimaneva passiva, mentre il difetto dell'idealismo consisteva nel considerare che ciò che la mente scorgeva non potesse influire sul mondo. La verità era che la realtà o l'irrealtà del pensiero, eccetto quando il pensiero entra in azione, costituivano problemi puramente accademici: noi possiamo soltanto avere la coscienza di conoscere le nostre azioni in rapporto al mondo esteriore. Su questo mondo esteriore dobbiamo influire: quando constatiamo d'esser riusciti a trasformarlo, sappiamo che le nostre concezioni sono esatte.
Vari utopisti come Robert Owen avevano creduto che una educazione diversa potesse produrre una diversa specie di esseri umani. Ma l'utopista Owen era in realtà un materialista, e, come materialista, non riusciva a spiegare in che modo lui stesso, che presumibilmente era il prodotto di condizioni precedenti, fosse pervenuto a differenziare tanto la propria mentalità da essere in grado d'educare gli altri. V'erano dunque due specie di esseri umani? No: v'era un principio dinamico di cui risentiva tutta l'attività umana. Come altrimenti si poteva spiegare la coincidenza fra il mutamento delle cose che scorgiamo e il nostro sforzo intenzionale?
Feuerbach aveva immaginato un uomo astratto con sentimenti religiosi e astratti; ma, in realtà, l'uomo era sempre stato un elemento della società e i suoi sentimenti religiosi, come tutti gli altri sentimenti, erano in rapporto col tempo e con l'ambiente in cui viveva. I problemi che avevano dato origine alle concezioni sovrannaturali della religione erano in definitiva problemi pratici che potevano essere risolti dall'azione dell'uomo intesa a trasformare il mondo materiale.
Quanto al materialismo tradizionale, le sue concezioni erano egualmente non-sociali: esso considerava gli esseri umani soltanto come entità separate che andavano a formare una associazione "civica". Il nuovo materialismo proposto da Marx consisteva nel guardare l'umanità dal punto di vista più organico della società umana, o della umanità socializzata. […]

Engels

[…] Nel novembre successivo, Friedrich Engels andò in Inghilterra e vi rimase per ventidue mesi. Era quello, per gli inglesi, un periodo di crisi economica senza precedenti. I cotonifici di Manchester erano fermi, e le strade pullulavano di operai disoccupati che chiedevano, con un cipiglio minaccioso da ribelli, l'elemosina ai passanti. Il movimento cartista per il suffragio universale e per la rappresentanza delle classi operaie in parlamento aveva raggiunto il punto cruciale nell'estate precedente con uno sciopero generale di tutta l'Inghilterra del nord, ed era cessato soltanto quando la polizia aveva sparato su una numerosa folla di dimostranti. Nel maggio successivo, vi fu uno sciopero di operai di laterizi, che finì in una sanguinosa rivolta. Nel Galles, i contadini impoveriti distruggevano le case degli esattori delle imposte.
Friedrich Engels, arrivato a Manchester, osservò la situazione con l'occhio comprensivo e analitico dello straniero d'intelligenza superiore. Esplorò Manchester, così disse, fino a conoscerla quanto la sua città natale. Venendo da Barmen-Elberfeld aveva una certa preparazione. Studiò la topografia della città e vide che il centro commerciale era circondato da una cintura di quartieri operai e che, fuori da quella cintura, le ville e i giardini dei proprietari si confondevano piacevolmente con la campagna circostante; osservò pure che i proprietari avevano fatto in modo da poter compiere il tragitto tra le loro case e la Borsa, senza mai essere costretti a prendere visione delle condizioni in cui si trovavano i quartieri operai, poiché le vie che essi percorrevano attraversando tali quartieri erano fiancheggiate di negozi, l'uno accanto all'altro, che nascondevano la miseria e il sudiciume che stava dietro a essi. Eppure, era impossibile attraversare Manchester senza incontrare gente stranamente storpia, persone con le ginocchia deformi e con la colonna vertebrale deviata: memento di quella razza oppressa le cui energie davano vita a Manchester.
Engels osservò con minuziosa attenzione quella razza. Aveva imbastito un amoretto con un'irlandese di nome Mary Burns, che lavorava nella fabbrica di Ermen & Engels ed era stata addetta alla manovra di una macchina chiamata "self-actor". Sembra che la ragazza fosse dotata di una certa indipendenza di carattere; si dice, infatti, che rifiutasse l'offerta fattale da Friedrich, di liberarla dalla necessità di lavorare. Aveva acconsentito, tuttavia, ad abitare con la sorella in una casetta messa a sua disposizione da Engels nel sobborgo di Salford, in mezzo ai boschi e ai campi e lontano dalle ciminiere e dai barconi carbonieri di Manchester. Là egli aveva già iniziato quella strana doppia esistenza che doveva condurre per tutto il periodo della sua carriera di uomo d'affari. Pur avendo un alloggio in città e recandosi all'ufficio durante il giorno, passava le serate in compagnia delle sorelle Burns, elaborando il materiale per un libro che avrebbe dovuto rivelare il lato fosco della vita industriale. Mary Burns, ardente patriota irlandese, alimentava l'entusiasmo rivoluzionario di Engels e gli faceva da guida negli infernali abissi della città.

La condizione operaia

Egli vide i lavoratori che vivevano come topi nelle squallide tane che servivano loro d'abitazione. Intere famiglie, e qualche volta più di una famiglia, erano ammassate in una sola stanza, i sani con gli ammalati, gli adulti coi bambini; i parenti stretti dormivano tutti assieme, ma qualche volta non c'erano nemmeno letti su cui riposare, poiché tutti i mobili erano stati venduti per comperare legna; alcuni di quegli alloggi erano umidi sotterranei dai quali bisognava togliere l'acqua a secchie quando pioveva; c'era chi viveva nella stessa stanza coi maiali; e tutti erano nutriti con farina mista a gesso e con cacao pessimo, avvelenati dalla ptomaina della carne guasta, e intossicati di laudano che somministravano anche ai bambini; in mancanza di fognature, vivevano in mezzo a mucchi di escrementi e di rifiuti, cosicché scoppiavano frequenti epidemie di colera che mietevano vittime anche nei quartieri migliori.
La crescente richiesta di donne e bambini nelle fabbriche faceva sì che i padri di famiglia fossero disoccupati, nuoceva allo sviluppo fisico delle ragazze, favoriva le maternità illegittime; le donne erano costrette ad andare al lavoro anche in avanzato stato di gravidanza e a ritornarvi prima che avessero ricuperato le forze dopo il parto; molte operaie finivano col darsi alla prostituzione, e i bambini, portati in fabbrica all'età di cinque o sei anni, erano privati delle cure delle madri che a loro volta lavoravano in fabbrica tutto il giorno e non ricevevano alcuna istruzione da una comunità che voleva soltanto utilizzarli per un lavoro meccanico; quando veniva l'ora di uscire da quelle galere, cadevano esausti; non avevano la forza di lavarsi e neppure di mangiare, tanto meno avevano la forza di studiare o di giocare, talvolta erano troppo stanchi persino per rincasare. Nelle miniere di ferro e di carbone, non solo gli uomini ma anche le donne e i bambini passavano la maggior parte della loro vita a strisciare sotto terra nelle anguste gallerie e, quando salivano alla superficie, venivano taglieggiati con la trattenuta per la casa e per le spese fatte allo spaccio di fabbrica, quando non c'era un rinvio di due settimane nella paga. Ogni anno ne perivano in media mille e quattrocento per la rottura di funi marce, per cedimenti dovuti a scavi eccessivi degli strati e per esplosioni dovute alla cattiva ventilazione e alla negligenza dei fanciulli stanchi; quando non perivano in un disastro, venivano falciati dalle malattie di petto.
La popolazione rurale, dal canto suo, privata dallo sviluppo industriale del suo antico status, per cui gli uomini facevano i braccianti o i fittavoli e avevano la protezione del proprietario dei terreni per il quale lavoravano, era stata trasformata in un branco di lavoratori avventizi del cui benessere nessuno era responsabile, e che venivano puniti col carcere o con la deportazione se osavano, in tempi di carestia, rubare e mangiare la selvaggina del padrone.
Sembrava a Engels che i servi della gleba del Medioevo, che per lo meno erano legati alla terra e avevano una posizione ben definita nella società, fossero privilegiati in confronto agli operai delle fabbriche. In quel periodo, in cui le leggi per la protezione della manodopera non erano nemmeno seriamente allo studio, in Inghilterra, vecchi contadini e lavoratori manuali e persino piccoli borghesi venivano gettati nelle miniere e nelle filande come tanta materia prima, senza nemmeno un tentativo di selezione, tenendo conto soltanto di ciò che avrebbero fruttato i prodotti finiti. Negli anni di crisi, gli uomini in soprannurnero, tanto utili negli anni di gran lavoro, venivano abbandonati al loro destino e diventavano venditori ambulanti, spazzini o semplicemente accattoni (talvolta si vedevano intere famiglie che chiedevano l'elemosina nelle vie) per non parlare dei ladri e delle prostitute. Thomas Malthus, diceva Engels, aveva affermato che l'aumento di popolazione gravava sempre sui mezzi di sussistenza, cosicché era necessario che un numero considerevole di persone venisse eliminato dalle privazioni e dal vizio; la nuova Legge sui Poveri aveva messo in pratica questa dottrina, trasformando i ricoveri di mendicità in carceri così inumane che i poveri preferivano morir di farne in libertà. […]
Tutto ciò costituì una rivelazione per Engels. Egli seguì i primi dibattiti sulle condizioni della manodopera, in Parlamento, dove la discussione sul Poor Relief e sul Factoiy Ad aveva recentemente fatto passare in seconda linea il movimento della classe media contro le Leggi sul Grano, e giunse alla conclusione che l'antagonismo di classe stava "mutando completamente l'aspetto della vita politica." Per la prima volta, comprese chiaramente l'importanza degli interessi economici cui, per il passato, gli storici avevano attribuito poca o nessuna importanza. Engels si convinse che, almeno nell'attuale stato di cose, gli interessi economici erano senza dubbio un fattore decisivo.


Il processo storico

Il grande elemento che Marx, Engels e i loro contemporanei attinsero dalla filosofia di Hegel fu il concetto del processo storico. Hegel aveva tenuto le sue Lezioni sulla filosofia della storia all'università di Berlino durante l'inverno 1822-23 (si ricorderà che Michelet prese contatto con le opere di Vico l'anno successivo); e, nonostante il suo linguaggio mistico e astratto, aveva dimostrato come fosse ben radicata in lui l'idea che le grandi figure rivoluzionarie della storia non erano semplicemente esseri notevoli che movevano le montagne con la loro volontà individuale, ma piuttosto strumenti attraverso i quali le forze della società che stavano dietro di loro raggiungevano i loro fini inconsci. Giulio Cesare, per esempio, dice Hegel, combatté effettivamente e vinse i suoi rivali, distrusse la costituzione di Roma allo scopo di raggiungere la propria posizione di supremazia, ma in realtà attinse la propria importanza, nei confronti del mondo, dal fatto che stava attuando la necessaria impresa - solo possibile attraverso il controllo autocratico - di unificare l'Impero romano.
"Non dunque soltanto il suo interesse privato" - scrive Hegel - "ma un impulso inconsapevole lo indusse a compiere quell'impresa per la quale il tempo era maturo. Così sono tutti i grandi personaggi storici i cui fini personali mirano a quelle grandi realizzazioni volute dallo Spirito Universale. Si possono chiamare eroi in quanto hanno attinto i loro fini e la loro vocazione non dal calmo regolare corso degli eventi, sanzionato dall'ordine costituito, ma da una fonte nascosta, da una fonte che ancora non ha raggiunto l'esistenza del loro tempo, da quello spirito profondo, ancor nascosto sotto la superficie, che battendo contro il mondo oggettivo come contro un ordigno esplosivo lo fa scoppiare, in quanto è un corpo estraneo all'ordigno in questione. Si presentano, quindi, come uomini che sembrano attingere l'impulso della loro vita da loro stessi, uomini le cui imprese provocano uno stato di cose e un complesso di relazioni storiche che sembrano essere soltanto loro interesse, loro opera.
Tali individui non avevano coscienza dell'Idea generale che andavano sviluppando mentre perseguivano i loro fini, al contrario, erano uomini politici, pratici, ma nello stesso tempo erano uomini di pensiero, capaci di analizzare le esigenze dell'epoca, ciò che era maturo per essere sviluppato. Questa era l'autentica Verità per la loro epoca, per il loro mondo; la prossima specie, per così dire, che già era formata in grembo al tempo.
Spettava a loro conoscere questo principio nascente, il passo successivo e indispensabile che il loro mondo doveva compiere, farne il loro fine e dedicare i loro sforzi a promuoverlo. Uomini appartenenti alla Storia del mondo (eroi di un'epoca) devono quindi essere riconosciuti come i veggenti di tale epoca; le loro imprese, le loro parole ne sono il lievito. I grandi uomini hanno concepito i loro propositi per soddisfare se stessi, non gli altri. Quali che siano i disegni e i consigli prudenti che essi possono aver attinto da altri, questi rappresenterebbero il lato più inconsistente e limitato della loro carriera; poiché in loro era la capacità d'intendere la situazione e da loro gli altri imparavano approvando la loro politica o ad essa piegandosi. Poiché lo Spirito che ha compiuto quel nuovo passo nella Storia giace nel più profondo di ogni individuo, rimane sopito finché i grandi in questione lo destano. Gli uomini seguono questi condottieri d'anime poiché sentono la forza irresistibile del loro proprio spirito interiore in essi personificato
."


La lotta di classe

Però, mentre Hegel aveva mostrato la tendenza a ritenere che lo sviluppo della storia attraverso le rivoluzioni e le progressive attuazioni dell'Idea avesse raggiunto il culmine con lo stato prussiano del suo tempo, Marx ed Engels, accettando il progresso rivoluzionario ma respingendo l'Idea divina, guardavano all'avvenire per l'attuazione di un mutamento, guardavano all'epoca futura in cui dalla prossima rivoluzione sarebbe scaturito il trionfo dell'Idea comunista.
Avevano ormai nuove idee riguardo al comunismo. Valutati i loro predecessori, con la loro mentalità acuta e realistica avevano eliminato i sentimentalismi e le fantasie di cui erano permeate le concezioni pratiche degli utopisti. Da Saint-Simon accettarono come valida la sua scoperta secondo cui la politica moderna era semplicemente la scienza di regolare la produzione; da Fourier, il suo atto d'accusa contro la borghesia, la sua consapevolezza del contrasto paradossale tra "la frenesia della speculazione, la spia del commercialisrno divorante", che trionfavano sotto il regno della borghesia e le "brillanti promesse dell'illuminismo" che li avevano preceduti; da Owen, l'affermazione che il sistema vigente nelle fabbriche doveva costituire la radice della rivoluzione sociale. Videro però che l'errore dei socialisti utopisti era stato quello di immaginare che il socialismo dovesse venire imposto alla società da membri delle classi superiori. Secondo la loro concezione la borghesia nel suo insieme non poteva essere indotta ad andare contro i propri interessi.
Alla fin fine, l'educatore, come Marx doveva scrivere nelle sue Tesi su Feuerbach, deve anzitutto ricevere un'istruzione: egli, in realtà, non espone ai propri discepoli una dottrina fornitagli da Dio; si limita a dirigere un movimento di cui egli stesso fa parte, che gli dà forza e che gli assegna una meta. Marx ed Engels attuarono la fusione delle finalità degli utopisti col processo hegeliano di sviluppo della totalità. Già alla metà del secolo essi erano così in grado di capire chiaramente, come non l'aveva capito nemmeno John Humphrey Noyes, che era impossibile per piccole unità comuniste giungere a riscattare la società o anche sopravvivere a dispetto del sistema commerciale; e non era stato soltanto un complesso di deplorevoli incidenti e di sgradevoli rapporti personali a render futile il movimento comunista americano, ma anche l'ignoranza del meccanismo della lotta di classe. […]

Il proletariato

Nel dicembre del 1843, Marx aveva scritto per i Deutsch Franzosische Jahrbhcher una "Critica della filosofia del diritto di Hegel" in cui aveva designato il proletariato come la classe che doveva assumere la nuova funzione hegeliana nell'attuale l'emancipazione della Germania: "Una classe in catene radicali, una delle classi della società civile che non appartiene alla società civile, un ordine che porta lo sfacelo di tutti gli ordini, una sfera che ha carattere universale in virtù delle sue universali sofferenze e che non rivendica alcun diritto particolare poiché non si perpetra ai suoi danni una ingiustizia particolare, ma l'ingiustizia senz'altro, che non può più invocare un titolo storico ma soltanto un titolo umano, che non nutre un antagonismo unilaterale verso le conseguenze dello Stato germanico ma un antagonismo universale verso i suoi assunti, una sfera, infine, che non può ernanciparsi senza liberarsi da tutte le altre sfere della società e senza, quindi, liberare quelle stesse sfere; che, in una parola, rappresentando la completa perdita dell'umanità medesima, può redimersi unicamente attraverso la redenzione di tutta l'umanità. Il proletariato rappresenta il dissolvimento della società come stato particolare."
E tuttavia, per quanto Marx sia giunto a tal segno, il proletariato rimane per lui ancora qualcosa di simile a una astrazione filosofica. Il principale movente emotivo nella parte che egli assegna al proletariato sembra frutto della sua personale situazione di ebreo. "L'emancipazione sociale degli ebrei è l'emancipazione della società dal giudaismo [...] una sfera, insomma, che non può ernanciparsi senza emancipare tutte le altre sfere dell'umanità": tali sono le conclusioni in parole quasi identiche dei due saggi scritti l'uno dopo l'altro e pubblicati, per così dire, affiancati. Marx, da un lato, non sapeva nulla del proletariato industriale e, dall'altro, rifiutava di prendere sul serio il giudaismo o di partecipare alle discussioni correnti sul problema ebraico dal punto di vista del caso speciale della cultura ebraica, sostenendo che le particolari condizioni degli ebrei erano strettamente collegate con la loro attività di usurai e di banchieri, e che, d'altra parte, non sarebbe stato possibile per loro dissociarsi da tali attività fino a quando non fosse stato abolito il sistema che regolava la loro esistenza. Di conseguenza lo stato d'animo e la ribellione dovuti all'inferiorità sociale degli ebrei come pure l'acume psicologico e la visione del mondo che derivavano loro dalla tradizione religiosa venivano trasferiti in tutta la loro forza formidabile a un immaginario proletariato.
Forse il servigio più importante reso da Engels a Marx, in quel periodo, consistette nel dare un volto e una figura ben definiti al proletariato astratto di Marx e situarlo in una casa e in una fabbrica reali. Engels aveva portato con sé dall'Inghilterra il materiale per il suo libro su La condizione della classe operaia in Inghilterra nel 1844 e ben presto si mise all'opera per scriverlo. Quell'opera prospettava il quadro sociale che avrebbe chiarito la visione di Marx; comprendeva i cicli della prosperità industriale che sempre ricadevano in crisi industriali - dovute, secondo Engels, alla cieca avidità degli industriali in concorrenza - e che alla lunga sarebbero sfociati in uno sfacelo generale: quella catastrofe millenaristica che, secondo Marx, doveva alla fine detronizzare gli dei e porre al loro posto la saggezza dell'uomo.[…]

Il programma politico

Marx ed Engels - che avevano assimilato con notevole rapidità il pensiero storico e sociale del loro tempo - concretarono così una completa e coerente teoria la quale metteva in chiaro i misteri del passato, semplificava le complicazioni del presente e apriva la visione di un sentiero piano verso l'avvenire, meglio di tutte le altre teorie che precedentemente erano state formulate. E non è tutto: essi avevano introdotto un "principio dinamico" (frase di Marx nella sua tesi di laurea) sul quale ci soffermeremo più tardi, principio che metteva in movimento tutto il sistema, che motivava in modo convincente una progressione nella storia, come nessuna delle altre generalizzazioni storiche aveva fatto, e che non solo polarizzava l'interesse degli uomini su un grande dramma, ma li costringeva a riconoscere di esservi coinvolti e destava in loro il desiderio di sostenere una nobile parte.
Essi avevano esposto per la prima volta questa teoria nella parte introduttiva dell'opera L'Ideologia tedesca, iniziata a Bruxelles quell'autunno; ma poiché l'opera non fu mai pubblicata, le loro idee non furono divulgate fino alla pubblicazione del Manifesto comunista, scritto per la Lega internazionale comunista alla fine dell'anno 1847-48.
Qui la loro lente si è distolta dalle ampie e vaghe forme astratte che popolavano i cieli germanici - essi non si preoccupano più nemmeno di beffarle - e si è diretta sull'anatomia della società. Il Manifesto comunista combina lo stile serrato e tagliente di Marx, la sua logica che ancora il presente al passato, con la franchezza e l'umanità di Engels, col suo senso del procedere del tempo. Ma non potremo mai trovare una dimostrazione di ciò che Engels doveva a Marx, più clamorosa di quella offerta dal confronto fra la prima stesura di Engels e il materiale quale si presenta dopo essere stato elaborato da Marx. I principi del comunismo di Engels - scritti, è vero, affrettatamente - sono un resoconto limpido e autorevole della situazione industriale contemporanea, che non ci provoca alcuna emozione e non ci fa nemmeno intravedere un punto cruciale della situazione stessa. Il Manifesto comunista contiene la forza degli esplosivi ad alto potenziale. Compendia con una terribile potenza in quaranta o cinquanta pagine una teoria storica generale, un'analisi della società europea e un programma d'azione rivoluzionaria.
Questo programma consiste nel "rovesciare con la forza tutto l'ordine sociale esistente", e nel mettere in vigore le seguenti misure:

1. Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita fondiaria della terra per le spese dello Stato;
2. Imposta fortemente progressiva;
3. Abolizione del diritto di eredità;
4. Confisca dei beni degli emigrati e dei ribelli;
5. Accentramento del credito in mano allo Stato mediante una banca nazionale con capitale di Stato e con monopolio esclusivo;
6. Accentramento dei mezzi di trasporto in mano allo Stato;
7. Aumento delle fabbriche nazionali e degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano comune;
8. Eguale obbligo di lavoro per tutti, istituzione di eserciti industriali, specialmente per l'agricoltura;
9. Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e di quello dell'industria, misure atte a far sì che gradatamente scompaia la distinzione tra città e campagna;
10. Istruzione pubblica e gratuita a tutti i fanciulli, abolizione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale, combinazione dell'educazione con la produzione materiale.

Il Manifesto

Ma presentare il Manifesto comunista dal punto di vista della sua evoluzione equivale a privarlo della sua forza travolgente e del suo effetto, paragonabile allo spietato raggio luminoso di un faro. L'atto d'accusa contro la posizione marxista era stato pronunciato nella sua forma più eloquente da Proudhon nella lettera che abbiamo citata. È vero che Marx ed Engels erano dogmatici, è vero che erano ingiusti verso i singoli, poiché Engels era ormai divenuto intollerante quasi quanto Marx, quasi quanto il vecchio Caspar, suo padre. Ma tanta decisione e tanta inflessibilità erano necessarie per spazzar via le illusioni dell'epoca. Abbiamo visto come tanto gli storici quanto i socialisti avessero avuto la tendenza a risolvere i più complessi problemi giovandosi dei grandiosi ideali, di marca prettamente germanica, delle virtù, delle idee, delle istituzioni astratte. Queste parole avevano assolto la medesima funzione di "quella benedetta parola Mesopotamia" dalla quale la pia vecchia della storia affermava di aver ricavato tanto conforto mentre leggeva la Bibbia; e dopo la compilazione del Manifesto comunista non furono mai più le stesse.
A coloro che parlavano di Giustizia, Marx ed Engels rispondevano: "Giustizia per chi? Sotto il capitalismo, il proletariato è quello che viene perseguitato più spesso e punito più severamente, e che inoltre poiché deve morire di fame quando è disoccupato è indotto a commettere la maggior parte dei reati." A chi parlava di Libertà, rispondevano: "Libertà per chi? Non potrete mai liberare il lavoratore senza restringere la libertà del padrone." A chi parlava della Vita, dell'Amore e della Famiglia - che il comunismo era accusato di voler distruggere - rispondevano che queste cose, allo stato attuale della società, erano esclusiva prerogativa della borghesia, poiché le famiglie del proletariato erano state smembrate dall'impiego delle donne e dei bambini nelle fabbriche e le sue donne più giovani erano ridotte a fare all'amore nelle miniere e nelle fabbriche oppure a vendersi quando fabbriche e miniere erano chiuse. A chi parlava di Dio e della Verità, Marx ed Engels rispondevano che non si sarebbe mai saputo ciò che queste parole significavano fino a quando non ci fossero stati moralisti e filosofi non più legati a società basate sullo sfruttamento e che, quindi, non potevano avere alcun interesse all'oppressione del popolo.
Oltre a ciò, il Manifesto comunista esprimeva la più amara protesta che mai fosse stata forse messa in stampa contro le versioni di tutti quegli elevati ideali che avevano prevalso durante l'epoca borghese: "Ogni volta che la borghesia è salita al potere, ha distrutto tutti i rapporti feudali, patriarcali e idilliaci. Ha spietatamente troncato il complesso di vincoli feudali che legavano gli uomini ai loro "naturali superiori; non ha lasciato altro legame tra uomo e uomo all'infuori dell'interesse egoistico e del duro principio del "pagamento in contanti". Ha affogato i sacri timori dell'estasi religiosa, l'entusiasmo cavalleresco e il sentirnentalismo del borghese dalle vedute ristrette nelle acque gelide del calcolo egoistico. Ha abbassato la dignità personale al livello del valore di scambio; e in luogo di innumerevoli libertà statutarie acquistate a caro prezzo, ha instaurato un'unica libertà senza principi, e cioè la libertà di commercio. In altre parole, ha sostituito lo sfruttamento velato da illusioni politiche e religiose con uno sfruttamento aperto, sfrontato, diretto e brutale."
Le ultime parole del Manifesto comunista, con la loro dichiarazione di guerra contro la borghesia, segnano una svolta nel pensiero socialista. Il motto della Lega dei Giusti era stato: "Tutti gli uomini sono fratelli". Ma a questo principio Marx ed Engels non volevano aderire: Marx dichiarava che vi erano intere categorie di uomini che egli non si sentiva di riconoscere come fratelli; e i due compilarono il nuovo motto che doveva servire come finale: "Tremino le classi dominanti alla prospettiva di una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere all'infuori delle loro catene. Hanno un mondo da conquistare. Proletari di tutto il mondo, unitevi!"
L'Idea di una giusta guerra, e con essa l'idea di un giusto odio, si è sostituita al socialismo di Saint-Simon, che si era presentato come una nuova forma di cristianesimo. Gli uomini non sono più fratelli; non vi è più solidarietà puramente umana. La vera solidarietà umana è quella che si attuerà quando saremo giunti a una società senza classi. Nel frattempo, quegli elementi della società che soli possono far sì che si avveri un avvenire simile - i proletari privati dei loro diritti e i pensatori rivoluzionari della borghesia, sempre che abbiano il senso della solidarietà di gruppo - devono rinunziare alla solidarietà umana coi loro avversari. I loro avversari - che non hanno "lasciato tra uomo e uomo altro legame se non quello del brutale interesse egoistico e del volgare principio del "pagamento in contanti"" - hanno distrutto irreparabilmente quella solidarietà. […]


Il mito della dialettica

Ora dobbiamo dare una descrizione approfondita della struttura e del meccanismo del sistema che forma l'assunto dell'attività di Marx ed Engels.
Essi chiamavano la loro filosofia "Materialismo dialettico", denominazione che ha avuto il deplorevole effetto di trarre in inganno i non iniziati riguardo a ciò che è implicito nel marxismo, poiché in questa etichetta né la parola dialettico né la parola materialismo sono usate nel senso ordinario.
La "dialettica" di cui Marx ed Engels parlavano non era il metodo argomentativo di Socrate, ma la concezione del processo scoperta da Hegel. La "dialettica" sfruttata da Platone era una tecnica per arrivare alla verità conciliando due affermazioni opposte; la "dialettica" di Hegel era una legge che pure comportava contraddizione e conciliazione, ma che era applicata da Hegel non solo ai processi logici, ma anche a quelli del mondo naturale e a quelli della storia umana. Il mondo è in continuo mutamento, dice Hegel; ma i suoi mutamenti hanno un elemento di uniformità: e cioè ognuno di essi deve passare attraverso un ciclo di tre fasi.
La prima di tali fasi, chiamata da Hegel la tesi, è un'affermazione immediata; la seconda, l'antitesi, è un processo di scissione dalla tesi e di negazione della tesi stessa; la terza è una nuova unificazione, che concilia l'antitesi con la tesi ed è nota come sintesi. Questi cicli non sono semplici ricorrenze, che lascino il mondo tal quale era prima: la sintesi è sempre un progresso sulla tesi, poiché media in una "più elevata" unificazione le migliori caratteristiche tanto della tesi quanto dell'antitesi. Così, per Hegel l'unificazione rappresentata dalla prima Repubblica romana era una tesi. Questa prima unificazione era stata attuata dai grandi patrioti del tipo degli Scipioni; ma con l'andar del tempo, il patriota repubblicano assumerà un carattere diverso: questo tipo si trasforma nelle "grandi personalità" dell'epoca di Cesare e di Pompeo, individualità che tendono a disgregare lo Stato a mano a mano che l'ordine repubblicano comincia a decadere sotto l'influenza della prosperità romana: e questa è l'antitesi che si stacca dalla tesi. Ma alla fine Giulio Cesare abbatte i rivali e altre grandi personalità, e impone alla civiltà romana un ordine nuovo che è autocratico, una sintesi che compie una più vasta unificazione: l'Impero romano.
Marx ed Engels fecero proprio questo principio e ne proiettarono l'azione nell'avvenire, cosa che Hegel non aveva fatto. Per loro, la tesi era la società borghese che in origine era stata l'organismo sorto dallo sfacelo del regime feudale; l'antitesi era il proletariato, che in origine era scaturito dallo sviluppo dell'industria moderna, ma che era stato poi avulso, attraverso la specializzazione e la degradazione, dal nucleo centrale della società moderna e che, col tempo, doveva rivoltarsi contro di essa; la sintesi sarebbe stata la società comunista che doveva risultare dal conflitto della classe operaia con quella dei proprietari e dei datori di lavoro, e la presa di possesso degli impianti industriali da parte della classe lavoratrice; tale sintesi avrebbe rappresentato una più alta unità poiché avrebbe armonizzato gli interessi di tutto il genere umano.

Il materialismo

Passiamo ora all'aspetto materialistico del materialismo dialettico del marxismo. Hegel era stato un filosofo idealista. Aveva considerato i mutamenti storici come i passi con cui ciò che egli chiamava l'Idea Assoluta perveniva progressivamente ad attuarsi nell'oggettività del mondo materiale. Marx ed Engels capovolsero Hegel, com'essi dicevano, e in tal modo per la prima volta lo misero diritto nel senso giusto. "Per Hegel - scrive Marx in Das Kapital - il processo del pensiero, che sotto il nome di Idea egli trasforma persino in un soggetto indipendente, è il demiurgo del mondo reale, mentre il mondo reale è soltanto il suo aspetto esteriore. Per me, al contrario, l'ideale non è altro che il materiale dopo che è stato trasposto e tradotto entro il cervello umano."
Marx ed Engels avevano dichiarato che tutte le idee erano umane e che ogni idea era collegata a qualche specifica situazione sociale, provocata da principio, a sua volta, dal rapporto dell'uomo con specifiche condizioni materiali.
Ma che cosa voleva dire questo esattamente? Per molte persone superficiali che hanno appena udito parlare di marxismo, ciò vuol dire qualcosa di estremamente semplice: vuoi dire che l'uomo agisce sempre per motivi di interesse economico e che tutto ciò che l'umanità ha pensato o fatto è suscettibile d'essere spiegato in quei termini. Sembra a simili persone di aver scoperto nel marxismo una chiave per tutte le complessità delle faccende umane, e di essere in grado - cosa ancor più soddisfacente - di svalutare le realizzazioni altrui additandone il movente venale. Se tali persone fossero obbligate a giustificare i loro assunti e se fossero in grado di sostenere una discussione filosofica, potrebbero soltanto ricadere in qualche varietà del "meccanicismo", che rappresenterebbe i fenomeni della coscienza, con l'accompagnamento dell'illusione della volontà, come qualcosa di simile a una fosforescenza generata dall'attività meccanica, o forse parallela a essa, ma in entrambi i casi incapace di influenzarla. Il fatto di prestarsi a tale errata interpretazione è stato una delle principali sciagure del marxismo, ed Engels ebbe a dire a Joseph Bloch, in proposito, che "molti dei recenti "marxisti" [del 1890] si erano senza dubbio rivelati "una rara accozzaglia."
Marx ed Engels avevano respinto quello che chiamavano "il meccanicismo puro" dei filosofi francesi del diciottesimo secolo. Vedevano, come dice Engels, l'impossibilità di applicare "i concetti meccanicistici a processi di natura chimica e organica", in cui, per quanto le leggi meccaniche avessero pure una validità entro certi limiti, erano certamente "sopraffatte da altre e più alte leggi". Così nella società, per citare un'altra lettera di Engels, non si poteva affermare "che la situazione economica sia l'unica causa attiva e che tutto il resto sia soltanto un effetto passivo."
E allora? In che senso era vero che le considerazioni economiche determinassero i rapporti sociali e che le idee derivassero da esse? Se le idee non erano "effetti passivi", quali erano la natura e la portata della loro attività? Come potevano agire sulle condizioni economiche? Come potevano le stesse teorie di Marx ed Engels concorrere a provocare una rivoluzione proletaria? […]

Ideologia e mitologia

Marx ed Engels avevano cominciato entrambi come idealisti. Credevano di aver demolito Hegel; e senza dubbio nessuno si era mai adoperato con maggior perseveranza ed energia per screditare le futili illusioni umane, per far toccare con mano agli uomini le loro miserie, per polarizzare il pensiero degli uomini sui loro problemi pratici. Eppure, lo stesso sforzo costante da essi compiuto - sforzo che un inglese o un francese non avrebbero mai ritenuto necessario - tradisce la loro predisposizione contraria. In realtà, si erano trascinati dietro una buona dose di quell'idealismo germanico contro il quale credevano di combattere. Il giovane Marx che aveva beffato i medici i quali credevano che l'anima si potesse purgare con una pillola era ancora presente nell'assertore del materialismo dialettico.
Le astrazioni della filosofia tedesca, che possono sembrarci senza significato o goffe se le affrontiamo in inglese o in francese, assumono in tedesco, attraverso la loro grandiosa solidità, quasi la forza espressiva degli déi primitivi. Sono sostanziose, e tuttavia hanno le qualità degli esseri puri; sono astratte e tuttavia corroboranti. Hanno la prerogativa di santificare, di consolare, di inebriare, di rendere battaglieri, come forse possono fare soltanto i canti e le antiche epiche degli altri popoli. È come se le antiche deità delle tribù del Nord fossero state convertite al cristianesimo, pur mantenendo la loro imponente natura pagana; come se poi, spodestata la teologia cristiana dal razionalismo francese del diciottesimo secolo, si fossero messe la maschera della ragion pura. I tedeschi, che hanno fatto così poco nel campo dell'osservazione sociale, che hanno prodotto così pochi grandi romanzi o drammi a sfondo sociale, hanno conservato e sviluppato in una misura sbalorditiva il genio della creazione dei miti.
Dunque la dialettica è un mito religioso, senza il peso della personalità divina, ed è legata alla storia dell'umanità. "Detesto tutti gli dei", aveva dichiarato Marx in gioventù; ma era anche entrato nello spirito del risoluto marinaio che portava l'autorità degli dei nel petto, e in uno dei suoi primi articoli sulla Rheinische Zeitung, in merito alla libertà di stampa, dichiara che lo scrittore deve a modo suo adottare i principi del predicatore religioso, adottare il principio di "obbedire a Dio piuttosto che all'uomo", in rapporto a quegli esseri umani tra i quali egli stesso è confinato dalle proprie necessità e dai propri desideri umani." Quanto a Engels, la sua fanciullezza era trascorsa all'ombra del pulpito dal quale il grande calvinista evangelista Friedrich Wilhelm Krummacher predicava ogni domenica ad Elberfeld e sbalordiva e faceva piangere la congregazione. Engels racconta in una delle sue Lettere dal Wuppertal come Krummacher sopraffacesse gli ascoltatori con la logica dei suoi terribili argomenti. Dato il principale assunto del predicatore - la totale "incapacità dell'uomo a volere il bene per impulso spontaneo, e tanto meno a farlo" - ne conseguiva che Dio doveva dare all'uomo quella capacità, e, poiché la volontà stessa di Dio era libera, l'assegnazione di tale capacità doveva essere arbitraria; ne conseguiva che "i pochi prescelti sarebbero stati benedetti nolentes, volentes, mentre gli altri sarebbero stati dannati per sempre." "Per sempre?", domandava Krummacher; e rispondeva: "Sì, per sempre!" Sembra che ciò abbia prodotto profonda impressione sul giovane Engels.

Karl Marx aveva identificato la propria volontà con l'antitesi del processo dialettico. "I filosofi si sono limitati a interpretare il mondo", egli aveva scritto nelle sue Tesi su Feuerbach. "Il nostro compito è quello di mutarlo." Nella filosofia tedesca c'era sempre stata la tendenza ad assegnare alla volontà la funzione di una forza sovrumana, e tale volontà era stata "ricuperata" da Marx e incorporata nel materialismo dialettico, dove infondeva alle sue idee rivoluzionarie impulso e forza travolgente.



da: Stazione Finlandia. Biografia di un'idea: il socialismo da Babeuf a Lenin, Mondadori, 1997

E. Wilson (1895-1972), laureatosi a Princeton, si formò insieme alla "generazione perduta". Fu critico militante sulle pagine dei settimanali New Republic e New Yorker. Furono i suoi articoli ad attirare l'attenzione di critica e del pubblico sui giovani Hemingway, Dos Passos, Fitzgerald, Faulkner.
Nel 1931 pubblicò Il castello di Axel, studio del simbolismo nella letteratura occidentale. Fu una delle maggiori figure del mondo intellettuale USA, dotato di straordinaria cultura e intelligenza. Si avvicinò poi con prudenza agli strumenti marxisti (Fino alla stazione di Finlandia, 1940) e freudiani.