Breve storia della CGIL

La Confederazione Generale Italiana del Lavoro è la più antica organizzazione sindacale italiana ed è anche quella maggiormente rappresentativa, con i suoi oltre cinque milioni e mezzo d'iscritti, tra lavoratori, pensionati e giovani che entrano nel mondo del lavoro.

Nel 1848 si costituisce a Torino, fra gli operai tipografi, la prima Società Operaia di Mutuo Soccorso, che riuscì a conquistare la prima forma di contratto collettivo di lavoro stipulato in Italia; e solo cinque anni dopo si tiene il primo Congresso nazionale delle Società Operaie del Regno di Sardegna, organizzazioni che nel 1870 saranno più di mille.

E proprio fra i tipografi (l'aristocrazia operaia, perchè i tipografi erano la categoria di lavoratori più colta e professionalizzata: ovviamente sapevano tutti leggere e scrivere) nasce, nel 1872, il primo vero e proprio sindacato di categoria, l'Associazione fra gli operai tipografi italiani.
Solo due anni dopo viene fondata l'Opera dei congressi, la prima organizzazione sindacale cattolica.
Nel 1882 nasce il Partito Operaio Italiano (socialista).
Nel 1891 vengono fondate a Milano e a Torino le prime due Camere del Lavoro, organismi territoriali che presto si diffonderanno in tutta Italia, con il compito di coordinare le iniziative delle categorie, e nello stesso anno si tiene il primo Congresso Nazionale delle Società Operaie, in cui viene deciso ufficialmente - e sulla base di un progetto organizzativo definito - di costituire i vari sindacati di categoria: è praticamente la data di nascita del sindacalismo moderno.
Non a caso proprio quell'anno, nell'Enciclica Rerum Novarum (Sui problemi attuali) il papa Leone XIII formula i principi su cui si baserà la creazione di un movimento sindacale cattolico.
L'anno successivo il Partito Operaio diventa Partito Socialista Italiano.
Il primo Congresso delle Camere del Lavoro d'Italia si tiene nel 1893, nel pieno delle lotte contro la fame e per il lavoro, soprattutto in Sicilia e in Lunigiana.
Il 1898 è l'anno dei moti per il pane, culminati nell'eccidio di Milano ad opera del generale Bava Beccaris.


Il primo sciopero generale viene organizzato a Genova nel 1900, per contrastare lo scioglimento da parte del Governo della locale Camera del Lavoro: la lotta si conclude vittoriosamente.
L'anno successivo nascono in alcune aziende le prime Commissioni Interne, che però non hanno ancora un riconoscimento ufficiale da parte di Governo e organizzazioni imprenditoriali; le prime legittimazioni si avranno all'Itala di Torino nel 1906, poi alla Borsalino nel 1908 e alla Fiat nel 1912.

Nel 1906 a Milano viene fondata la CGL, Confederazione Generale del Lavoro, per unificare e coordinare tutte le forze operaie: all'atto della fondazione partecipano 700 delegati in rappresentanza di oltre 80 Camere del Lavoro e di circa 200.000 aderenti. (1)
La CGL si è dotata di una particolare struttura (che mantiene tuttora): verticale, con le Federazioni di categoria, e orizzontale, attraverso le Camere del Lavoro. Oggi le Federazioni di categoria nazionali sono 15  mentre le Camere del Lavoro in tutto il territorio nazionale sono 134.
Compito delle Federazioni è tutelare gli interessi delle varie categorie, mentre le singole Camere del Lavoro si occupano delle questioni locali e del coordinamento. Alla Confederazione, secondo il proprio Statuto, spetta il ruolo di direzione generale del movimento.
Nel 1912, su posizioni fortemente critiche rispetto alla CGL nasce l'Unione Sindacale italiana (USI), la cui componente fondamentale sarà quella anarchica, e che non avrà mai alcun peso reale nell'organizzazione del movimento e nella direzione delle lotte. Intanto la guerra del 1914 cambia molti aspetti dell'economia italiana.  Viene decretata la ''mobilitazione industriale'' e negli stabilimenti sono vietati gli scioperi, mentre vengono fatte molte assunzioni nelle officine collegate alla produzione bellica, negli uffici, nei trasporti pubblici, allo scopo di assicurare il massimo di sostegno alla guerra. Il potere contrattuale dei sindacati s'indebolisce drasticamente: non c'è possibilità di avanzare rivendicazioni, né tanto meno si possono effettuare manifestazioni o scioperi. Torino diventa un centro attivo di protesta operaia, perché i contratti scaduti sono prorogati fino alla fine del conflitto. Si hanno veri  e propri atti insurrezionali per tutta la città, anche collegati ad un movimento di rivolta sconsideratamente promosso dalla cosiddetta ala sindacalista-rivoluzionaria, una corrente minoritaria della CGL.

Alla fine della guerra i primi a far sentire la loro voce sono i contadini poveri, che occupano terre demaniali o incolte in Lazio, Puglia, Calabria, Sicilia: la protesta si diffonde in tutta Italia, e in particolare in Toscana, Umbria e Marche, dove i mezzadri (2) chiedono una ripartizione più equa dei prodotti.
Il sindacato si rafforza e a livello nazionale la CGL nei primi mesi del dopoguerra conta 600.000 iscritti,  che arrivano a oltre 2.000.000 nel 1920.
Nel 1919 la FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici) ottiene un clamoroso successo: le controparti padronali accolgono la richiesta di ridurre l'orario giornaliero a 8 ore (48 settimanali) a parità di salario. Contestualmente, e negli anni immediatamente successivi, vengono strappate alcune conquiste fondamentali: il diritto di sciopero, la libertà di organizzazione, aumento dei salari, miglioramenti significativi nella legislazione sociale, il suffragio universale maschile (già in buona misura introdotto da Giolitti nel 1911, nel 1918 viene esteso a tutti gli uomini).
Lo stesso anno viene fondato il Partito Popolare, la formazione cattolica da cui nel secondo dopoguerra nascerà la Democrazia Cristiana.
Il 21 gennaio 1921, da una scissione a sinistra del PSI, nasce il Partito Comunista d'Italia.

Nel frattempo (marzo 1919) Mussolini dà vita al movimento fascista (poi Partito Nazionale Fascista) e incominciano le azioni violente degli squadristi (abbondantemente finanziati da industriali e agrari) contro le organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio: l'incendio della Camera del Lavoro di Torino, (3) il massacro nel Polesine dei capi lega (cioè le organizzazioni sindacali di base), la devastazione delle sedi della CGL in Emilia e in Toscana, sono solo gli episodi più gravi di un periodo (1920-22) nel quale le vittime delle squadracce saranno molte centinaia. (4)
Nel 1922 i fascisti creano la  Confederazione Nazionale delle Corporazioni sindacali, con cui nel 1923 la Confindustria stipula un accordo (Patto di Palazzo Vidoni) in base al quale i due organismi s'impegnano a collaborare  per far cessare la conflittualità sociale. Tra il 1925 e il 1926, con le leggi eccezionali, fascistissime, viene completata la fine delle libertà costituzionali e vengono messe fuori legge le libere associazioni, tra cui, naturalmente, il sindacato.

Ciò non significò, tuttavia, il venir meno della coscienza di classe da parte degli operai: molti di essi continuarono clandestinamente a fare politica, e in particolare i militanti comunisti, gli unici, peraltro, a mantenere una qualche struttura organizzata, ancorché clandestina.

Nel marzo 1943 viene organizzato nel triangolo industriale un clamoroso sciopero contro il caro-vita, e l'anno dopo lo sciopero generale sarà di carattere apertamente politico, unico esempio di lotta aperta in un paese occupato dalle truppe naziste.

 


La CGL, aveva proseguito faticosamente la propria attività clandestina, fino a ricostituirsi ufficialmente con il nome di Confederazione Generale Italiana del Lavoro nel giugno del 1944 con il cosiddetto Patto di Roma fra le tre grandi componenti del movimento operaio italiano, i comunisti, i socialisti, i cattolici. Firmatari del Patto furono Giuseppe Di Vittorio per il PCI, Achille Grandi per la DC e Emilio Canevari per il PSI. Uno dei principali artefici di questo accordo era stato il socialista Bruno Buozzi che però proprio in quei giorni fu arrestato dalle SS e fucilato.Questa unità della classe lavoratrice era destinata a incrinarsi fortemente a causa dei contrasti che a livello politico stavano maturando, ma per alcuni anni segnò una stagione fondamentale nella vita del sindacalismo democratico.
Anche la Confederazione Generale italiana dell'Industria (Confindustria) si ricostituisce a Roma nel 1944.




Nel giugno 1947 si tenne il primo e ultimo Congresso unitario della CGIL, che eleggerà Giuseppe Di Vittorio Segretario Generale. La CGIL conta 5.735.000 iscritti, di cui il 56% ha votato a favore della corrente comunista, il 23% di quella socialista, il 13 di quella cristiana, il 2 di quella socialdemocratica e il 2 di quella repubblicana. Percentuali minori a favore di azionisti, anarchici e indipendenti. Il Congresso si svolge all’indomani dell’estromissione delle sinistre dal governo (maggio 1947) e sul dibattito pesano fortemente le tensioni e le divergenze fra la componente socialcomunista e quella cattolica. La discussione ruota attorno all’art. 9 dello Statuto che riguarda gli indirizzi politici del sindacato e le azioni di lotta: i rappresentanti DC, in parte sostenuti dagli stessi socialisti orientati a ridimensionare l'egemonia del PCI nel sindacato, ne chiedono la modifica per evitare che il sindacato si trasformi in uno strumento di lotta contro il governo. Nel tentativo di salvare l’unità l’articolo sarà riformato e, con il voto contrario della componente cristiana, passa la proposta di Fernando Santi (PSI) che fissa la maggioranza di tre quarti per le decisione politiche e la proclamazione degli scioperi politici. Unitaria, invece, la mozione conclusiva che chiede il risanamento monetario, l’azione contro il carovita e la disoccupazione, l’adozione di un minimo salariale, l’estensione a tutti i lavoratori della scala mobile su salari e stipendi, la riforma agraria e industriale. Il direttivo eletto dal Congresso sarà composto da 38 comunisti, 20 socialisti, 11 democristiani e 6 di correnti minori. La vita unitaria sarà brevissima, perchè dopo le elezioni politiche del 1948 la scissione sarà inevitabile.


Ma siamo ormai in pieno clima da guerra fredda, la contrapposizione fra destra e sinistra è durissima (alle elezioni politiche la DC aveva appena clamorosamente battuto il Fronte Popolare), e sarà in occasione dell'attentato a Togliatti, nel 1948, che le componenti moderate della Confederazione (democristiani e socialdemocratici) attueranno la scissione: appresa la notizia dell'attentato, l'Esecutivo nazionale della CGIL proclama immediatamente uno sciopero generale prolungato, mentre i dirigenti democristiani della CGIL sollecitano la fine dello sciopero: è, di fatto, la fine dell'unità sindacale.
Su pressione della DC (e con i dollari americani) nasce dunque la Libera Confederazione Generale Italiana del lavoro. Nel 1949 ci sarà un'ulteriore scissione: anche i repubblicani escono dalla CGIL e la Lcgil con le nuove minoranze va a costituire la Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori, CISL (1950). Successivamente si costituisce l'Unione Italiana del Lavoro (UIL), composta da repubblicani, socialdemocratici, e parte dei socialisti.
Una divisione comprensibile dal punto di vista del clima politico-ideologico generale, ma che avrà effetti disastrosi sulla capacità della classe operaia di fronteggiare l'impetuoso sviluppo capitalistico di quegli anni: le aziende impongono senza quasi incontrare resistenza aumenti di orario e ritmi di lavoro più intensi, si consolidano le differenze salariali tra uomini e donne, e tra nord e sud.
Malgrado le sconfitte e le divisioni, in molte zone, soprattutto del Mezzogiorno, si sviluppa il movimento dell'occupazione delle terre e degli "scioperi a rovescio" (venivano lavorate terre incolte, o si provvedeva a lavori di utilità sociale, senza, però, il consenso delle autorità); la repressione del regime democristiano è durissima ("che cosa fa quel Mario Scelba... con la sua celere Questura, ma i comunisti non han paura..." diceva una canzone popolare di allora), alle manifestazioni e agli scioperi si risponde regolarmente coi manganelli, e uno dei momenti più drammatici fu l'eccidio di Modena (1950).
Nelle fabbriche il contrasto fra i militanti delle tre Confederazioni s'inasprisce parallelamente all'acuirsi dello scontro fra le sinistre e la DC, ma nel biennio 1958-59 si ottengono comunque due importanti risultati: le lotte contrattuali rompono il blocco dei salari e viene sancita la parità salariale tra uomo e donna.

Nei primi anni '60, dunque, l'azione sindacale riprende faticosamente, ma il segnale della riscossa operaia è il primo sciopero generale dell'industria (1962) indetto unitariamente da CGIL, CISL e UIL.
È un segnale importantissimo, e infatti per i lavoratori l'esigenza di lottare uniti tende sempre più a prendere il sopravvento rispetto alle fratture ideologiche: si va estendendo un movimento unitario che sfocerà nella forte mobilitazione operaia per il rinnovo del contratto degli elettromeccanici, nel 1966.
Dopo quasi vent'anni di divisione le tre grandi Confederazioni sindacali ed i rispettivi sindacati di categoria, FIOM-CGIL, FIM-CISL, UILM, ritrovarono un terreno unitario di confronto e di lotta.
Fu più che altro una spinta proveniente dal basso, dalle grandi fabbriche: al Nord, ed in particolare nel triangolo industriale Milano - Torino - Genova, nel corso di un decennio vi era stato un fortissimo afflusso di immigrati provenienti dal Mezzogiorno, e molti di essi trovarono un impiego nelle aziende che, sull'onda del boom, erano in forte espansione. Nuovi segmenti di classe operaia andarono dunque a rinvigorire un movimento sindacale indebolito dall'aspra divisione ideologica e da molti anni di strapotere padronale.
Gli organismi tradizionali di rappresentanza sindacale, le Commissioni Interne, che pure avevano lottato duramente, si erano in qualche modo irrigidite su una linea difensiva, e l'ingresso in fabbrica di giovani che non avevano pregiudizi di tipo ideologico portò fra i lavoratori un vento di cambiamento.
A fine anni '60 i sindacati sollevano il problema delle gabbie salariali in una vertenza condotta unitariamente: le differenze tra zona e zona sono consistenti, anche se ridotte da  due accordi nel 1953 e nel 1961. L'obiettivo di eliminare del tutto le sperequazioni geografiche viene raggiunto in base ad un accordo concluso tra FIOM e Industriali.


Nel 1969 erano venuti a scadenza molti contratti di lavoro e la stagione dei rinnovi contrattuali iniziò dunque all'insegna di queste nuove energie operaie, e in moltissime aziende si crearono comitati di lotta spontanei, in aperta polemica con la prudenza delle Commissioni Interne, duramente provate dalla repressione degli anni precedenti. Era "l'autunno caldo": le lotte operaie raggiunsero livelli di adesione e di combattività che non si erano mai visti in precedenza e i sindacalisti più intelligenti capirono che non si poteva sprecare questo formidabile potenziale: l'idea di fondo fu quella di sostituire le vecchie strutture di rappresentanza sindacale con organismi che fossero maggiormente legati alla base, e che fossero eletti direttamente all'interno dei reparti, indipendentemente dal sindacato di appartenenza: i delegati scelti in questo modo andarono a costituire i nuovi consigli di fabbrica.
Essi furono l'elemento centrale della riscossa operaia e proprio sotto la spinta di questo forte movimento unitario CGIL, CISL e UIL si posero concretamente il problema di superare le divisioni che le avevano viste separate dal 1948, e i tre Congressi Nel giugno il Congresso della CGIL, nel riconfermare la linea della contrattazione aziendale, decide di attivare le struture sindacali come sede per la contrattazione, sollecitando il riconoscimento del diritto di assemblea sul luogo di lavoro. L'autunno caldo sancisce la ritrovata unità d'azione dei lavoratori, sui salari, le pensioni, la salute in fabbrica. Il 19 novembre 1969, dopo 20 anni di divisione, si terrà il primo sciopero generale unitario di tutte le categorie. In questi anni le lavoratrici conquistano una serie di garanzie sia a livello contrattuale che legislativo, dalla parità salariale alla legge del '71 che assicura la conservazione del posto di lavoro nei periodi pre e post maternità; ma in generale la conquista più importante sarà lo Statuto dei lavoratori.


Proprio la fortissima spinta unitaria proveniente dalle fabbriche induce le tre Confederazioni (in tre successive riunioni congiunte dei propri organismi dirigenti) a "istituzionalizzare" questa nuova unità e ad accelerare i tempi politici.
A Firenze, alla fine di ottobre del 1970, si tenne la prima grande assemblea nazionale unitaria delle tre Confederazioni (Firenze 1): il dibattito, che peraltro seguiva le vivacissime discussione interne alle tre organizzazioni, vide sostanzialmente due schieramenti: da una parte le categorie dell'industria, e in particolare i metalmeccanici, che premevano per arrivare in tempi brevi alla costituzione di una grande organizzazione unitaria, dall'altra i sindacati del pubblico impiego ed i vertici più legati a posizioni politiche moderate, che erano assai poco convinti. L'assemblea si chiuse con un compromesso: una sorta di dichiarazione d'intenti che poneva l'obiettivo dell'unità organica; vennero quindi indicate le linee intorno alle quali proseguire il dibattito, fissando come seconda scadenza una nuova assemblea da tenersi prima dell'estate '71.
Il dibattito era molto acceso, e su di esso pesava moltissimo il forte imprinting politico di ciascuna confederazione: alla CGIL erano iscritti prevalentemente comunisti e socialisti, alla CISL facevano riferimento i democristiani e in generale i cattolici (compresa, tuttavia, quella parte radicale del cattolicesimo sociale che influenzò notevolmente alcuni sindacati di categoria, in particolare la FIM), nella UIL si erano raggruppati i laici moderati, repubblicani, una parte dei socialisti, socialdemocratici, e proprio quest'ultima componente era la meno convinta rispetto al processo unitario.
Nel febbraio del 1971 si tenne una riunione delle Segreterie di CGIL, CISL e UIL (Firenze 2), in cui si definì una prima tempistica di attuazione degli orientamenti emersi a Firenze 1; nel maggio dello stesso anno le tre Segreterie si riunirono di nuovo ed emersero i punti sui quali non vi era accordo: l'autonomia nei confronti dei partiti, l'incompatibilità fra cariche sindacali ed altri incarichi, l'affiliazione internazionale e l'assetto delle organizzazioni contadine (in cui la DC aveva tradizionalmente molto peso); nodi che solo parzialmente verranno sciolti nella riunione interconfederale del 24 novembre 1971 (Firenze 3), nella quale venne addirittura deciso di convocare i Congressi di scioglimento delle singole Confederazioni per il settembre 1972. I socialdemocratici continuarono ad essere in dissenso rispetto a questa scelta, mentre i metalmeccanici avrebbero preferito tempi più rapidi.

Agli inizi del 1972 la CGIL diede attuazione concreta ad alcuni dei principali punti riguardanti incompatibilità ed autonomia (chiedendo a tutti i propri dirigenti di dimettersi dalle assemblee elettive istituzionali), ma il segretario della UIL, il repubblicano Vanni, criticò aspramente questa scelta unilaterale, si associò alle remore dei suoi colleghi socialdemocratici e dichiarò che l'unità era ancora impossibile: la maggioranza della UIL fu d'accordo (contrari i socialisti) e la prospettiva dell'unità, che era sembrata così vicina, ritornò ad allontanarsi. La CISL confermò il suo orientamento unitario, ma la frattura non si ricompose.
Le spinte unitarie della base, tuttavia, non potevano essere ignorate, e dopo polemiche molto aspre si trovò una soluzione di compromesso, un patto federativo tra le Confederazioni che garantisse la massima unità d'azione e prevedesse la costituzione di organismi dirigenti unitari.

Fu così che nel luglio 1972 nacque la Federazione CGIL-CISL-UIL. Una struttura per molti versi macchinosa e poco flessibile, perché i suoi organismi dirigenti, ai vari livelli, erano sostanzialmente la sommatoria degli organismi di ciascuna Confederazione; e soprattutto non si era sciolto il nodo centrale, se cioè quella soluzione fosse il livello più alto possibile di unità o un momento di transizione verso quel sindacato unitario così fortemente voluto nelle fabbriche.
Molti sindacati di categoria, in particolare dell'industria, fecero un più deciso passo in avanti, unificando di fatto le tre organizzazioni, costituendo la Federazione Lavoratori Metalmeccanici, la FULC (chimici), l'FLC (edili), la FULTA (tessili e abbigliamento), ecc..


Nel 1973 si svolsero i Congressi delle tre Confederazioni, che riconfermarono la linea unitaria, ma senza trovare l'accordo politico in base al quale delineare un'agenda precisa.
Paradossalmente, la difficilissima situazione economica e sociale che il Paese si trovò a vivere in quegli anni favorì il perdurare di questo compromesso. Con la guerra del Kippur si verificò la prima grande crisi petrolifera mondiale: il prezzo del greggio s'impennò, l'inflazione iniziò a galoppare, e la Federazione unitaria fu costretta ad impegnarsi soprattutto sul fronte della difesa del potere d'acquisto . Questa forte ripresa della combattività operaia, unita al movimento di protesta che investe scuola e Università, preoccupò notevolmente gli ambienti politici reazionari, ed è proprio in quel periodo l'attivazione di quella strategia della tensione - pilotata dai servizi segeti italiani e statunitensi - che insanguinerà l'Italia per tanto tempo; intrecciato ad esso è il fenomeno del terrorismo di sinistra, a cui però la classe operaia risponderà compatta, determinata a difendere quella democrazia faticosamente conquistata: di questo grande senso di responsabilità civile fu il simbolo l'operaio comunista Guido Rossa, assassinato a Genova dalle Brigate Rosse nel 1979. Nel 1975 la CGIL, affiancandosi a CISL e UIL, aderisce alla Confederazione Europea dei Sindacati.
Nello stesso anno si tiene la più grande manifestazione mai realizzata nella storia del movimento sindacale: 500.000 lavoratori di tutta Italia sfilano a Napoli per lo sviluppo del Mezzogiorno: nei cortei lo slogan più gridato è "Nord - Sud uniti nella lotta!", nato durante un'analoga manifestazione, a Reggio Calabria, nel '72. Intanto l'inflazione cresceva del 15-20% su base annua ed i sindacati conseguirono un importantissimo risultato ottenendo nel 1975 una revisione del meccanismo della scala mobile: (5) fu infatti introdotto il punto unico di contingenza (che entrò gradualmente in vigore nel 1977), cioè un meccanismo automatico che adeguava buona parte del salario rispetto all'aumento del costo della vita e quindi salvaguardava le retribuzioni reali dei lavoratori. Inoltre la scala mobile, applicata fino ad allora al solo settore industriale, viene estesa anche agli altri settori con un accordo considerato storico tra la Confindustria e le tre maggiori organizzazioni sindacali.
La disoccupazione raggiunse in quel periodo punte drammatiche e i nodi strutturali dell'economia italiana (divario nord - sud, evasione fiscale, competitività) non trovarono soluzione alcuna.
Fra gli anni '70-'80 la Federazione unitaria punta in particolare - con una nutrita serie di lotte e di scioperi generali - ad una svolta di politica economica.


La grande assemblea unitaria dei Consigli generali e dei delegati a Roma (febbraio '78) segna l'inizio di una nuova strategia del movimento sindacale, secondo la quale le rivendicazioni salariali dovranno tener conto delle ''compatibilità'' con l'andamento economico. Si accetta così di autoimporre dei limiti alle rivendicazioni sindacali purché il governo assuma precisi impegni garantendo l'attuazione di provvedimenti atti a contrastare inflazione e disoccupazione: fu la cosiddetta svolta dell'Eur, fortemente voluta dal Segretario della CGIL Luciano Lama, che tuttavia non conseguì i risultati sperati.
Malgrado tutto, i rapporti fra le Confederazioni sembrarono raggiungere un livello particolarmente favorevole, dato che il clima politico generale era reso meno aspro dall'ipotesi di un incontro, di un accordo fra le tre grandi correnti politiche italiane, i comunisti, i democristiani, i socialisti.
Era la prospettiva del compromesso storico, che però naufragò anche sotto i colpi micidiali del terorrismo (16 marzo 1978: rapimento di Aldo Moro): ancora una volta la complessità del gioco politico influiva negativamente sullo sviluppo dei rapporti unitari, e contemporaneamente i sindacati dovevano fronteggiare una forte controffensiva padronale, culminata in modo drammatico.

Alla fine del ‘79 la Fiat licenziò 61 operai accusandoli di aver commesso atti di violenza e di intimidazione dentro la fabbrica e nell’autunno dell’80 annunciò la cassa integrazione (6) per quasi 24.000 lavoratori, metà dei quali dopo un anno sarebbero stati licenziati: vi erano sicuramente grossi problemi di esportazione delle auto sui mercati internazionali, ma una decisione di quella portata aveva anche motivi squisitamente politici, legati appunto al proposito di ripristinare l’ordine, e infatti tra i circa 12.000 che sarebbero stati definitivamente espulsi dalla produzione vi erano praticamente tutti i quadri sindacali e comunque i lavoratori sindacalmente più attivi. Il sindacato rispose con lo sciopero a oltranza e lo stesso Berlinguer andò davanti ai cancelli di Mirafiori a portare la solidarietà del PCI. Che la Fiat puntasse più a una resa dei conti che alla soluzione di problemi produttivi divenne esplicito quando la direzione aziendale annunciò la sospensione dei licenziamenti e la riduzione del periodo di cassa integrazione: dopo quasi un mese di sciopero c’era stanchezza fra i lavoratori e soprattutto paura per il futuro, e molti premevano per sospendere la lotta e cercare qualche compromesso con l’azienda; il colpo decisivo arrivò con la marcia dei 40.000: a metà ottobre un imponente corteo di capireparto, impiegati, dirigenti, insieme alle loro famiglie, sfilò per le strade di Torino chiedendo di poter tornare a lavorare e accusando i sindacati di portare alla rovina l’economia. Non si era mai visto niente del genere, era il segnale di una violenta spaccatura fra operai politicizzati e lavoratori intermedi, e, soprattutto, di una generale perdita di consenso da parte del sindacato: che infatti il giorno dopo firmò un accordo che era un inevitabile atto di resa.
Dopo questa vicenda fu chiaro che ciò che separava le tre Confederazioni non era solo un problema di diversi riferimenti ideologici, ma soprattutto una differenza di fondo nella strategia complessiva per uscire dalla crisi economica. Sfortunatamente il dibattito si andò focalizzando non tanto sui nodi strutturali quanto sulla questione del costo del lavoro: un successo indiscutibile di Confindustria, che aveva ben compreso come i successi sindacali degli anni precedenti (dai rinnovi contrattuali all'entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori, alla riforma delle pensioni) in buona misura fossero stati resi possibili dal consenso diffuso che i lavoratori avevano saputo conquistarsi in gran parte degli altri settori sociali. Dunque occorreva rispondere su questo terreno, e un'abile campagna mediatica (giornalisti: altro che "schiena dritta"!) concentrò l'attenzione dell'opinione pubblica su un aspetto specifico della crisi, cioè sul fatto che la causa principale delle difficoltà economiche era da ricercarsi nella mancata competitività del sistema Italia nei confronti degli altri paesi, a sua volta determinata dall'eccessivo costo del lavoro. Insomma, al solito era colpa degli operai, ed il meccanismo che garantiva l'adeguamento automatico dei salari rispetto all'aumento del costo della vita veniva sbattuto in prima pagina come causa di tutti (o quasi) i mali.
Il PCI si ritrovò praticamente da solo a contrastare questa martellante campagna di disinformazione, che Confindustria condusse fino al punto di disdire (1981) unilateralmente l'accordo del 1975 sulla scala mobile.
Le elezioni politiche del 1983 portarono alla Presidenza del Consiglio Bettino Craxi, il quale puntò decisamente ad isolare il PCI, trovando proprio nella scala mobile il terreno più favorevole per questa offensiva: il giorno di S. Valentino, nel 1984, il governò approvò un decreto che di fatto smantellava la scala mobile. CISL, UIL e la componente socialista della CGIL si dichiararono disponibili ad un accordo in questo senso (anche per ridurre drasticamente il peso della CGIL e diventare i soggetti portanti di una nuova concertazione), e ancora una volta i comunisti della CGIL si trovarono isolati.
Al punto che quando si arrivò al referendum che doveva decidere se mantenere o meno il meccanismo della scala mobile, la maggioranza degli italiani (56%) approvò le scelte del governo. La Federazione CGIL - CISL - UIL cessò di esistere (e con essa, di conseguenza, anche le Federazioni unitarie di categoria) e bisognerà attendere molti anni perché le tre Confederazioni riescano a ritrovare una qualche unità.

È dagli inizi degli anni '80 che si discute di come individuare meccanismi per attenuare il deficit di bilancio e l'inflazione, e in questa cornice viene posto il problema del costo del lavoro (spesso non tenendo conto che questo è solo un aspetto della competitività delle aziende): la trattativa dura quasi quattro anni a partire dal giugno dell'89. La Confindustria insiste perché venga messa sotto controllo la dinamica delle retribuzioni, tesi che CGIL, CISL e UIL respingono; le trattative vanno avanti finché a giugno del '90 comincia la mediazione del governo dopo lo sciopero dei metalmeccanici che registra un'adesione intorno al 90%. L'accordo tra Governo, Confindustria e Sindacati viene raggiunto nel luglio '93: la scala mobile in quanto tale viene definitivamente abolita e vi sarà un altro meccanismo (?) per la tutela del salario dei lavoratori. Dopo la sigla dell'accordo, il Segretario Generale della CGIL, Bruno Trentin, si dimette. Il 1995 è l'anno della riforma delle pensioni, e sul versante della contrattazione di categoria è  l'anno che segna il rinnovo del secondo biennio contrattuale di importanti comparti del mondo del lavoro, come quello dei metalmeccanici.
Nel 1996 si svolge a Rimini il congresso della CGIL che ha come slogan ''il lavoro a congresso''. I punti più importanti del programma politico riguardano la contrattazione nazionale e decentrata, la riduzione degli orari di lavoro e l'occupazione, la riforma del welfare: temi che richiedono da un lato interventi di politica economica sostanzialmente diversi dal passato e, dall'altro, una nuova qualità della contrattazione. I lavori del congresso terminano con un documento approvato a stragrande maggioranza: ''La piena occupazione nella società che cambia, i lavori, il loro riconoscimento sociale''.
Nel marzo del '97 CGIL, CISL e UIL, proclamano una manifestazione nazionale per rilanciare la centralità dell'occupazione e del Mezzogiorno: quattrocentomila lavoratori manifestano a Roma per sollecitare l'attuazione integrale del "patto sul lavoro", intesa raggiunta con il governo nel settembre del '96. Sostanzialmente si rivendica dal governo dell'Ulivo una nuova politica per l'occupazione (in compenso quel governo legifera maldestramente, introducendo nuove e perniciose forme di precarietà, i co.co.co).
Ma il 1997 vede altri due significativi eventi: l'accordo sulle pensioni e l'imponente manifestazione contro la secessione: il 20 settembre 1997 un milione di persone scendono in piazza con CGIL, CISL e UIL in difesa dell"'unità del Paese e per il federalismo solidale". In altre parole, il sindacato si mobilita per difendere i diritti della stragrande maggioranza dei lavoratori che manifestano contro le spinte secessionistiche e contro chi le alimentava, in primis la Lega di Bossi.
Nel novembre dello stesso anno viene raggiunta quella che l'allora Presidente del Consiglio, Prodi, definì "una storica intesa" sulle pensioni tra governo e sindacati. L'accordo di Ognissanti, come lo definirono i media, stabiliva una sostanziale parità di regole per tutti coloro che dovevano andare in quiescenza ed accelerava il percorso di riforma del '95 per mandare in pensione di anzianità gli italiani con meno di 35 anni di servizio e 57 anni di età. L'accordo cancella le pensioni baby, cioè la possibilità per gli statali di lasciare il lavoro con meno di 35 anni di contributi. I cambiamenti, compreso il blocco delle uscite (per un anno) per 32 mila insegnanti e il divieto di cumulo per gli ex dipendenti privati, sarebbero scattati a partire dal '98.
Sul versante della contrattazione, nel '97 quasi due milioni di persone sono alle prese con un contratto scaduto, mentre un altro milione di lavoratori sono interessati al rinnovo del secondo biennio contrattuale: le più importanti vertenze aperte sono quelle di  metalmeccanici, edili, imprese di pulizia, autoferrotranvieri, ferrovieri, alimentari, tessili.

Il 1998 è per la CGIL è l'anno della campagna contro il lavoro minorile: all'inizio di gennaio Cofferati lancia l'allarme sulla diffusione dello sfruttamento dei bambini anche nel nostro paese (secondo il Censis sono almeno 300 mila).  Nei mesi immediatamente successivi, il governo Prodi istituisce, per la prima volta in Italia, un tavolo che vede impegnati governo, sindacati e imprenditori a combattere il fenomeno. In aprile il governo presenta una Carta di impegni che prevede significative misure per eliminare il lavoro minorile.
L'altro fronte caldo per il sindacato è  rappresentato dall'occupazione. Il 20 giugno una manifestazione nazionale, voluta da CGIL, CISL e UIL, porta a Roma centinaia di migliaia di lavoratori per l"'occupazione, lo sviluppo e il mezzogiorno", per spingere governo ed enti locali ad uscire dall'immobilismo sul piano dell'occupazione.
Si avvia, intanto, una complessa stagione di rinnovi contrattuali (che tra dipendenti pubblici e privati interessa più di 5 milioni di lavoratori) giocata principalmente attorno a due temi  che hanno surriscaldato il dibattito tra Confindustria e sindacati: salario (con la difesa dei due livelli di contrattazione) e riduzione d'orario.
Il '98 è anche l'anno delle elezioni delle RSU nel pubblico impiego, che segnano una vittoria per il sindacato confederale e in particolare per la CGIL, che si afferma come primo sindacato in un settore del mondo del lavoro da sempre considerato particolarmente sensibile alle lusinghe del sindacalismo autonomo e corporativo.
A maggio del '98 nasce Nidil (Nuove Identità di Lavoro), la nuova struttura della CGIL che organizza tutti quei lavoratori che i sociologi chiamano di "seconda generazione": un arcipelago di nuove identità di lavoro difficilmente riconducibili alle categorie sindacali tradizionali.
Il '98 si chiude con il "Patto di Natale": governo, sindacati e imprese, raggiungono l'intesa sul nuovo patto sociale. Viene definito da tutti i contraenti un "buon accordo" di grande equilibrio, perché contiene vantaggi per il sistema produttivo e per le famiglie, con una serie di politiche che, se attuate, sono funzionali allo sviluppo e indispensabili per creare nuova occupazione al Sud.
Il governo Berlusconi ha la brillante idea di proporre l'abolizione dell'art. 18 (7) dello Statuto dei Lavoratori, e i sindacati, in particolare la CGIL, danno vita ad un fortissimo movimento di protesta, culminato nell'enorme manifestazione di Roma (23 marzo 2002), con la partecipazione di oltre 3 milioni di lavoratori e di studenti.
Nel settembre 2002 Sergio Cofferati lascia la direzione della CGIL e nuovo Segretario viene eletto Guglielmo Epifani.
Nel 2010 per la prima volta la CGIL sceglie un segretario generale donna: Susanna Camusso.
All'inizio del 2019 le succede il segretario generale della FIOM, Maurizio Landini.

bibliografia

qui la storia della CGIL più in dettaglio

Note

(1) I Segretari della CGL e poi della CGIL: Rinaldo Rigola (1906-1918), Ludovico D'Aragona (1918-1925); durante il regime fascista il sindacato sopravvisse clandestinamente sotto la guida dell'esule Bruno Buozzi, che nel '44 verrà catturato dai tedeschi e fucilato; Giuseppe Di Vittorio (1944-1957); Agostino Novella (1957-1970); Luciano Lama (1970-1986); Antonio Pizzinato (1986-1988); Bruno Trentin (1988-1994); Sergio Cofferati (1994-2002); Guglielmo Epifani (2002-2010); Susanna Camusso (2010-2019); Maurizio Landini (2019- ).
(2) La mezzadria è un contratto agrario con il quale un proprietario di terreni e un coltivatore (mezzadro), si dividono (tipicamente a metà) i prodotti e gli utili di un'azienda agricola: è una forma di conduzione che ormai va scomparendo, ma in passato, a partire dal basso medioevo, era molto diffusa (in Italia particolarmente nelle regioni centrali); la mezzadria costituì a lungo un freno all'introduzione di metodi imprenditoriali nell'agricoltura, con la conseguenza di una bassa produttività dei terreni.
(3) Sono gli anni dei Consigli di Fabbrica, delle occupazioni, dell'Ordine Nuovo di Gramsci.
(4) Come ricorda Gramsci (articolo non firmato, 23.7.1921, in: Socialismo e fascismo, Einaudi, p. 248), nel corso del 1920 circa “2500 italiani (uomini, donne, bambini e vecchi) hanno trovato la morte nelle vie e nelle piazze, sotto il piombo della pubblica sicurezza e del fascismo. Nei trascorsi 200 giorni di questo barbarico 1921 circa 1500 italiani sono stati uccisi dal piombo, dal pugnale, dalla mazza ferrata del fascista, circa 40000 liberi cittadini della democratica Italia sono stati bastonati, storpiati, feriti.” Nell’agosto 1921 dirigenti del PSI, della CGL e del Partito Fascista firmarono un “patto di pacificazione per far cessare minacce, vie di fatto, rappresaglie, punizioni, vendette”: è noto quale esito ebbe tale accordo.
(5) La scala mobile veniva calcolata seguendo l'andamento variabile dei prezzi di particolari beni di consumo, generalmente di larga diffusione, costituenti il cosiddetto paniere, e un'apposita commissione aveva il compito di determinare ogni tre mesi le variazioni del costo della vita utilizzando - come indice di riferimento - appunto le variazioni dei prezzi di tali beni. Accertata e resa uguale su base 100 la somma mensile necessaria per la famiglia tipo, in riferimento ad un dato periodo per l'acquisto dei prodotti del paniere, le successive variazioni percentuali dei prezzi dei beni di consumo divenivano i punti di variazione dell'indice stesso del costo della vita.
(6) Un complesso meccanismo, più volte modificato e che si applica con modalità differenti a seconda dei settori, volto a garantire un certo reddito, per un periodo determinato, ai lavoratori sospesi dalla produzione per una crisi di quel settore: lo Stato, in altre parole, interviene direttamente, tramite l'INPS, per fornire ai lavoratori (che, non gravando sui costi aziendali, non vengono licenziati) un'indennità sostitutiva della retribuzione
(7) L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori stabilisce che “… il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento (…) o annulla il licenziamento senza giusta causa (…) ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro”. Il lavoratore, dunque, che ritenga di essere stato licenziato senza una giusta causa o un giustificato motivo, può ricorrere al giudice, e se in sede giudiziaria viene accertata l’assenza di questi due requisiti, il giudice emette una sentenza con la quale può obbligare il datore di lavoro a riassumere il lavoratore licenziato. Questa norma è valida per tutti coloro che lavorano in aziende con più di quindici dipendenti. Il governo Berlusconi proponeva una deroga all’art. 18, di modo che nel caso di un licenziamento senza giusta causa nei successivi quattro anni il lavoratore licenziato venisse indennizzato con una somma di denaro, ma non potesse più godere del diritto ad essere riassunto con sentenza del giudice.