Aldo Agosti

Gramsci e Togliatti


"Leggenda nera" ha definito Bruno Gravagnuolo sulI'Unità dell'8 agosto 2004 quella che periodicamente riaffiora nel dibattito sul controverso rapporto fra Gramsci e Togliatti e che tende a raffigurare il secondo come una sorta di "parassita politico" del primo.
La vicenda è complessa, e il clamore mediatico che spesso l'ha strumentalmente accompagnata non ha mai aiutato a fare chiarezza. Con gli anni però quelIa che Giuseppe Vacca aveva definito nel 1994 la "linea d'ombra" nei rapporti tra i due ha assunto l'aspetto di una lacerante e penosa rottura.
Penosa per Gramsci certamente, che senza possibilità di dubbio si sentì da Togliatti non solo abbandonato ma tradito; ma penosa anche per Togliatti che - secondo ogni evidenza incolpevole delle macchinazioni che gli venivano attribuite - ebbe certamente a soffrire molto, sotto la maschera del suo glaciale selfcontrol, delle accuse rivoltegli, di cui almeno in parte dovette venire a conoscenza.
Quello che è emerso sempre più chiaramente negli ultimi anni è che il serio dissenso politico manifestatosi nell'ottobre del 1926, quando Togliatti giudicò inopportuna la lettera che Gramsci aveva scritto al Comitato centrale del partito russo stigmatizzando i metodi adottati nella lotta contro l'opposizione fu solo l'inizio di un inarrestabile deterioramento di un rapporto un tempo fatto di profonda reciproca stima.
Gramsci si convinse che la lettera scrittagli in carcere da Grieco nel 1928 - la quale non conteneva in sé nulla di compromettente se non la conferma di un fatto arcinoto, e cioè del ruolo di direzione da lui svolto alla testa del PCI dopo il 1924 e fino al suo arresto - non solo aggravasse la sua posizione processuale, ma fosse il frutto di un perfido complotto ordito ai suoi danni, ideato da Togliatti in prima persona. Ribadì questo suo sospetto alla cognata Tatiana, in particolare nel 1932-33, e si persuase che anche i tentativi di arrivare alla sua liberazione con trattative condotte attraverso canali sovietici e vaticani fossero sabotati dai suoi compagni italiani, e in particolare da Togliatti.
In realtà questo sospetto non si fondava su nessun elemento concreto: anzi tutta la documentazione di cui si dispone dimostra l'attivo interessamento di Togliatti per far uscire Gramsci di prigione. Tutto lascia supporre che lo stato di estrema debilitazione nervosa in cui quest'ultimo era stato piombato dalla prolungata prigionia in condizioni di salute sempre più gravi suscitasse oscuri fantasmi di complotti inesistenti: anche se è indubbio che questa sensazione potè essere alimentata dal vuoto che si era fatto intorno per il dissenso che aveva manifestato di fronte alla "svolta" del 1930 con l'abbandono da parte del PCI di una linea di cui egli era stato il primo artefice, e dall'atteggiamento apertamente ostile di alcuni compagni di prigionia.
Ma la vicenda andò caricandosi di sempre maggiore veleno dopo la sua morte. La vedova di Gramsci e le sue sorelle (soprattutto Eugenia Schucht, una "bolscevica della vecchia guardia" che godeva di autorevolezza e prestigio nel partito) mostrarono di dare totalmente credito ai sospetti di Antonio, e si appellarono al Comintern. Erano gli anni in cui non c'era praticamente dirigente del Comintern contro il quale non fosse costruito un dossier per poterlo ricattare politicamente e manovrare a proprio piacimento. L' "affare Gramsci" divenne così una spada di Damocle sospesa sopra il capo di Togliatti, il quale peraltro, da navigato conoscitore degli apparati cominternisti, mostrò grande abilità nel rintuzzare e nello schivare i colpi. La materia del contendere si allargò all'utilizzazione della cosiddetta "eredità letteraria" di Gramsci, cioè dei quaderni e delle lettere dal carcere, che le sorelle Schucht avrebbero voluto in affidamento sotto la tutela del partito russo.
Per fortuna ciò non avvenne. Togliatti riuscì ad occupare sempre un ruolo chiave nella commissione che si occupava degli scritti di Gramsci, e questi furono alla fine depositati nell'archivio dell'Internazionale.
È possibile che l'atteggiamento di Togliatti verso il lascito gramsciano fosse improntato alla massima prudenza, per la consapevolezzadel carattere eterodosso dei Quaderni per la cultura comunista dell'epoca. Sta di fatto però che, terminata la tempesta della guerra dalla quale egli usciva con un rafforzato prestigio di dirigente comunista internazionale oltre che come capo indiscusso del comunismo italiano, Togliatti fece conoscere al mondo il pensiero di Gramsci con una larghezza e una continuità che molto difficilmente sarebbero state le stesse ne avesse avuto il monopolio il partito sovietico.
Certo, come ha osservato Giuseppe Vacca in un documentatissimo saggio del 1994, non vi è dubbio che Togliatti "abbia regolato la diffusione del pensiero di Gramsci in base alle compatibilità che egli stesso stabiliva fra la politica del "partito nuovo" e il suo esser parte del movimento comunista internazionale"; ed è altrettanto certo chè egli abbia cercato "di nascondere o distemperare due dati essenziali della biografia di Gramsci dopo il '26: la rottura politica con il Comintern e, dal '30, anche con il partito italiano; la radicalità della critica del bolscevismo a cui Gramsci era giunto nei Quaderni." Non mancano in effetti manipolazioni e tagli, sia nelle Lettere sia nei Quaderni stessi, ma sono per la verità meno numerosi e sostanziali di quanto talvolta si è sostenuto: a volte sono eliminati brani che appaiono troppo benevoli nei confronti di Bordiga, o quelli non sufficientemente polemici verso Trockij; e sono esclusi, in particolare dalle Lettere, tutti i passi che possono lasciare intendere un rapporto non idilliaco con il partito, dentro il carcere e fuori di esso. Ma le preoccupazioni politiche che guidano gli interventi censori non incidono in maniera determinante sulla fisionomia dell'opera, né si può dire che la scelta compiuta di organizzare i Quaderni secondo un criterio tematico invece che cronologico snaturi davvero il pensiero di Gramsci.
D'altra parte, il fatto, in sé certamente casuale, che il primo volume dell'eredità letteraria di Gramsci, una scelta delle lettere dal carcere, uscisse all'inizio dell'estate del 1947, cioè poche settimane dopo la conclusione, con l'estromissione del PCI dal governo, dell'esperienza dell'unità antifascista, finiva per assumere quasi un significato simbolico: l'impatto straordinario del libro dava la misura di quanto fosse difficile, ormai, isolare i comunisti come un corpo estraneo alla cultura italiana. Ancor più significativo, però, è che la pubblicazione dei Quaderni continuò regolarmente e si concluse negli anni più duri della guerra fredda e della glaciazione zdanoviana, sviluppando da un lato gli antidoti contro una concezione restrittiva, ideologica e strumentale del rapporto del partito con gli intellettuali (a cui certo in qualche occasione lo stesso Togliatti non mancò di piegarsi), dall'altro indicando - come ha scritto Albertina Vittoria - "una direzione dell'intervento culturale tutta interna alle peculiarità della storia e delle caratteristiche italiane, che in seguito avrebbe avuto un'intluenza determinante a livello politico."


l'Unità, 20.10.2004