piccolo dizionario marxista

feticismo della merce


Il quadro in cui si deve inserire la teoria del feticismo della merce, presente nel Primo libro del Capitale, è il teatro filosofico in cui Marx ed Engels hanno pensato l'intera problematica della transizione storica (dal feudalesimo al capitalismo, al socialismo) entro uno spazio unilineare e dialettico, ovvero entro la «concezione materialistica della storia».
È solo nell'epoca capitalistica che gli uomini si trovano di fronte (hanno riflessi nella propria coscienza) i rapporti sociali, attraverso cui vengono prodotti e distribuiti gli oggetti necessari alla vita materiale, i valori d'uso, incorporati negli oggetti stessi come valore. Questo modo di apparire alla coscienza dei valori d'uso come oggetti che hanno valore in se stessi è il feticismo.
Come il feticismo, nella filosofia della religione di Hegel, è una creazione sociale umana alla quale la credenza comune con ferisce il valore oggettivo di divinità, la stessa cosa avviene con la merce che è un rapporto sociale tra uomini, e che invece appare alla coscienza come dotata di un valore in se stessa. Il feticismo è la forma conclusiva di apparizione della merce alla coscienza, ma la sua possibilità deriva dalla forma sociale della merce stessa. Sarà quindi dall'analisi della merce che occorrerà procedere.
La merce, sostiene Marx, ha un carattere mistico, è una «cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici.» (C, I, 103). Questo carattere mistico non sorge dal suo valore d'uso e nemmeno «dal contenuto delle determinazioni di valore» (ivi). «L'arcano della forma di merce consiste dunque semplicemente nel fatto che tale forma, come uno specchio, restituisce agli uomini l'immagine dei caratteri sociali del loro proprio lavoro, facendoli apparire come caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, come proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi restituisce anche l'immagine del rapporto sociale tra produttori e lavoro complessivo, facendolo apparire come un rapporto sociale fra oggetti esistente al di fuori di essi produttori» (ivi, 104).
La critica dell'economia politica contenuta nel Primo libro de Il Capitale parte dalla «forma» nella quale appare la ricchezza delle società capitalistiche, cioè come una «immane raccolta di merci» (ivi, 67). La forma elementare di questo fenomeno è la forma della merce che è immediatamente sia valore di scambio che valore d'uso. Le condizioni per pensare la merce come forma elementare universale dipendono in primo luogo dal processo storico che, attraverso la storia delle diverse formazioni sociali, fa del modo di produzione capitalistico della merce la forma universale e necessaria di tutti i prodotti del lavoro sociale. La merce è la forma elementare della ricchezza sulla base della produzione capitalistica.
«In una società i cui prodotti assumono in generale la forma della merce, cioè in una società di produttori di merci, tale differenza qualitativa dei lavori utili che vengono compiuti l'uno indipendentemente dall'altro come affari privati di produttori autonomi1 si sviluppa in un sistema pluriarticolato, in una divisione sociale del lavoro» (ivi, 74).
L'apparenza come tale della forma merce è prodotta dal processo sociale nel suo insieme. L'apparenza generale risiede nelle forme sociali istituzionalizzate del diritto, dell'ideologia giuridica ed economica, presupposte dagli elementi della sovrastruttura implicati nel processo di scambio. All'analisi del duplice aspetto della merce Marx sostituisce quindi l'analisi del duplice carattere del lavoro, del quale la merce è il prodotto. La determinazione della forma di merce è legata alla forma dei rapporti sociali di produzione e il processo di scambio è conseguente al processo di produzione.
La merce è quindi un elemento storico concreto solo entro la determinazione storica della specifica forma di produzione capitalistica.

L'analisi del processo di scambio suppone a sua volta la produzione e la codificazione storica del denaro come equivalente generale. La concezione del feticismo nel Capitale è legata alla considerazione delle categorie economiche come forme della vita storica e sociale. Rispetto alle epoche storiche in cui i rapporti sociali sono perfettamente visibili, l'epoca capitalistica è caratterizzata dal fatto che i rapporti sociali perdono la loro «trasparenza». «Il valore non porta scritto in fronte quel che è. Anzi, il valore trasforma ogni prodotto di lavoro in un geroglifico sociale» (ivi, 106). Ciò significa che in altre forme sociali di produzione gli oggetti necessari alla vita materiale sono valori d'uso la cui produzione e distribuzione avviene secondo rapporti sociali di dominio che sono trasparenti. «Appena ci rifugiamo in altre forme di produzione scompare subito tutto il misticismo del mondo del le merci, tutto l'incantesimo e la stregoneria che circondano di nebbia i prodotti del lavoro sulla base della produzione di merci» (ivi, 108). È quindi solo la produzione che avviene per merci che nasconde i rapporti sociali medesimi, e questo avviene a causa del fatto che esse sono «prodotti di lavori privati, eseguiti indipendentemente l'uno dall'altro. Il complesso di tali lavori privati costituisce il lavoro sociale complessivo» (ivi, 105). Nello scambio «le relazioni sociali dei lavori privati appaiono come quel che sono, cioè, non come rapporti immediatamente sociali tra persone nei loro stessi lavori, ma anzi, come rapporti di cose fra persone e rapporti sociali fra cose» (ivi).
Vediamo ora il tema del feticismo della merce come oscurità della coscienza in paragone con i casi storici in cui la realtà sociale dei valori d'uso è trasparente alla coscienza.
In primo luogo Marx evoca «le robinsonate» predilette dall'economia politica e considera l'immaginaria situazione di Robinson nella sua isola. «Sobrio com'è di natura, ha tuttavia bisogni di vario genere da soddisfare, e quindi deve compiere lavori utili di vario genere, deve fare strumenti, fabbricare mobili, addomesticare dei lama, pescare, cacciare, ecc... Nonostante la differenza fra le sue funzioni produttive egli sa bene che esse sono soltanto differenti forme di operosità dello stesso Robinson, e dunque modi differenti di lavoro umano... Tutte le relazioni fra Robinson e le cose che costituiscono la ricchezza che egli stesso s'è creata sono qui tanto semplici e trasparenti... Eppure, vi sono contenute tutte le determinazioni essenziali del valore» (ivi, 108109).
Il successivo modello di rapporti sociali «trasparenti», dalla «luminosa isola di Robinson» passa ad analizzare il «tenebroso medioevo europeo. Qui, invece dell'uomo indipendente, troviamo che tutti sono dipendenti, servi della gleba e padroni, vassalIi e signori feudali, laici e preti. La dipendenza personale caratterizza tanto i rapporti sociali della produzione materiale, quanto le sfere di vita su di essa edificate. Ma proprio perché rapporti personali di dipendenza costituiscono il fondamento sociale dato, lavori e prodotti non han bisogno di assumere una figura fantastica differente dalla loro realtà: si risolvono nell'ingranaggio della società come servizi in natura e prestazioni in natura. La forma naturale del lavoro, la sua particolarità, è qui la sua forma sociale immediata, e non la sua generalità, come avviene sulla base della produzione di merci. ..I rapporti sociali fra le persone nei loro lavori appaiono in ogni modo come loro rapporti personali, e non sono travestiti da rapporti sociali fra le cose, fra i prodotti del lavoro» (ivi, 109).
Il terzo esempio riguarda «l'industria rusticamente patriarcale d'una famiglia di contadini... Le differenze di sesso e di età, come le condizioni naturali di lavoro varianti col variare della stagione, regolano la distribuzione di quelle funzioni entro la famiglia e il tempo di lavoro dei singoli membri. Però qui il dispendio delle forze-lavoro individuali misurato con la durata temporale si presenta per la sua natura stessa come determinazione sociale dei lavori stessi, poiche le forzelavoro individuali operano per la loro stessa natura soltanto come organi della forza-lavoro comune della famiglia» (ivi, 109110).
L'ultimo esempio fatto da Marx riguarda il modello immaginario di «un'associazione di uomini liberi che lavorino con mezzi di produzione comuni e spendano coscientemente le loro molte forze lavoro individuali come una sola forza-lavoro sociale. Qui si ripetono tutte le determinazioni del lavoro di Robinson, però socialmente invece che individualmente... Il prodotto complessivo dell'associazione è prodotto sociale... Solo per mantenere il parallelo con la produzione delle merci presupponiamo che la partecipazione di ogni produttore ai mezzi di sussistenza sia determinata dal suo tempo di lavoro... La sua distribuzione, compiuta socialmente secondo un piano, regola l'esatta proporzione delle differenti funzioni lavorative con i differenti bisogni... Le relazioni sociali degli uomini coi loro lavori e con i prodotti del loro lavoro rimangono qui semplici e trasparenti tanto nella produzione quanto nella distribuzione.» (ivi, 110)

Ultima questione: la possibile relazione tra la concezione del feticismo e una teoria marxiana dell'ideologico. In questo senso pensare la concezione del feticismo come modello di una teoria dell'ideologico significa necessariamente pensare la coscienza come luogo in cui si rappresentano spontaneamente le relazioni sociali.
L'ideologia si trova così definita come una forma di coscienza, rovesciata nella sua essenza rispetto alle modalità che determinano le condizioni materiali di esistenza degli individui. Il feticismo inteso come modello di una teoria dell'ideologico ha quindi sempre bisogno sia della determinazione in ultima istanza da parte dell'economico, sia dello spazio totalizzante di una coscienza, cioè del deterrninismo e dell'idealismo. Di fronte a questa forma di visione ideologica della realtà vi sarebbe la critica, cioè il movimento della coscienza verso la verità: la teoria marxiana della merce intesa quindi come critica del feticismo.