Livio Zanotti *

La spia che restò nel freddo

La spia che restò nel freddo. Cuoco e scrittore, dopo il crollo del muro, ma sempre fedele a se stesso e agli ideali che lo avevano spinto a restare capo dei servizi della DDR pur vedendone la mancanza di senso. E senza mai commettere reati.

Lo vedevo di tanto in tanto in un ristorante italiano della Marburgerstrasse, al centro di Berlino ovest. Nella saletta dei clienti  abituali, non passava certo inosservato. Più d'un metro e ottanta, con la faccia di Paul Newman. Diritto malgrado i capelli bianchi, lo sguardo ironico e sicuro. Assaporava con gusto ogni pietanza, lentamente. Al proprietario, Massimo Mannozzi, chiedeva puntuali spiegazioni sulle ricette.
E annotava tutto su un piccolo taccuino. «Sono cuoco anch'io e adoro la cucina italiana...», mi disse una sera in cui l'osservavo incuriosito. E alla mia espressione incredula, replicò promettendomi in regalo per la prima occasione in cui ci fossimo incontrati di nuovo, un libro di cucina che aveva appena pubblicato.
Aveva un fare insolitamente disinvolto dietro la gentilezza formale dei vecchi prussiani. Lasciò che gli presentassi mia moglie, poi ci presentò la sua. All'andarsene salutarono con aperta simpatia.
- Uno scrittore?, domandai al proprietario.
- Markus Wolf... rispose.
- Vuoi dire «La Talpa»? **
- Lui, in carne ed ossa...
Erano stati appena aperti i primi varchi nel muro, a picconate e con le mani. Il popolo delle Trabant aveva invaso Kurfürsterdamm e tutte le strade adiacenti degli opulenti quartieri occidentali, si affacciava sulle vetrine luccicanti del KaDeVe. Ma in teoria la DDR, la Germania est, esisteva ancora e il suo personaggio più misterioso, il leggendario capo del suo spionaggio, cenava accanto a noi come un borghese qualsiasi. Senza conoscerlo, ma informato della sua esistenza dai vecchi conoscenti dell'MI5, i servizi d'informazione britannici, John Le Carré gli aveva conferito da anni dignità letteraria nella più famosa delle sue spy-stories, «La Talpa», appunto.
Quando tornammo a incontrarci, per prima cosa cavò il suo libro di ricette dalla tasca del soprabito e ce lo diede: già con dedica... Centocinquanta pagine di doppi sensi, in cui ogni ingrediente, ogni pietanza, tutti i piatti suggerivano anche una divertita lettura in chiave politica. Mentre le sfogliavamo, lui ci riservava occhiate compiaciute (soprattutto a mia moglie), io stentavo a convincermi d'avere davanti il diabolico guerriero della notte, rimasto invitto pur nella disfatta della sua patria.
- Dunque, ha deciso di cambiare mestiere: d'ora in avanti, cuoco e scrittore, complimenti!
- Eh sì, finalmente ho potuto scegliere...
- Vuol dire che per trent'anni ha fatto la spia perché obbligato, e da chi?
- Da chi, dalla vita! Ma attenzione: non sono un pentito!
Gli avi ebrei dei Wolf cacciati dalla cattolicissima Spagna di Isabella e Ferdinando; quattrocento anni dopo lui e suo fratello Konrad, ancora ragazzi, la madre scrittrice e il padre noto commediografo, tutti militanti comunisti, fuggono dalla Germania conquistata da Hitler. Wolf racconta che in un primo momento trovarono rifugio in Svizzera. Con loro numerosi altri ebrei tedeschi, comunisti e non, la maggioranza dei quali si trasferì poi in Messico.
«Se fossimo anche noi andati in America, la mia vita, la nostra vita sarebbe stata probabilmente del tutto diversa. E anche le scelte che ho fatto. Ma l'Unione Sovietica era la trincea principale della battaglia antifascista e noi eravamo comunisti, dunque la scelta era fatta...»
Soltanto negli anni Settanta Markus Wolf aveva sentito il bisogno di guardarsi attorno, di guardarsi dentro, per scoprire che tutto era troppo diverso da come se lo era immaginato. I tentativi compiuti per collegare socialismo e libertà erano drammaticamente falliti. Ne aveva visto anche con i propri occhi alcune delle vittime. Il suo stesso lavoro di capo dei servizi d'informazione della DDR non serviva a migliorare le cose. Ma c'era impigliato dentro. Né aveva mai pensato di uscirne da solo.
Misha Wolf«Non ho mai pensato che la mia famiglia e io stesso avevamo sbagliato. I nostri ideali di giustizia, fraternità e libertà restavano; e li sento ancora oggi immutati. Ma io sono una persona leale. Non ho tradito e non tradirò».
Le cene italiane furono bruscamente interrotte dal carcere: la riunificazione tedesca pretendeva qualche sacrificio e Markus Wolf venne accusato proprio di tradimento dalla nuova Germania. Il tribunale di Düsseldorf lo processò e condannò per aver introdotto spie nel cuore della Repubblica federale: per aver ingannato il cancelliere Willy Brandt con l'agente Günther Guillaume e una dozzina di giovani donne impiegate nel governo di Bonn attraverso falsi matrimoni. Ma ai giudici non fu possibile trovare testimoni e prove che accusassero l'ormai settantenne Wolf di altri reati. Anzi, il suo omologo dell'ovest, il capo dello spionaggio federale, dichiarò che per quanto ne sapeva «La Talpa» odiava la violenza e non aveva mai ordinato l'assassinio di nessuno.
Markus Wolf, da parte sua, sostenne di non aver mai tradito, visto e considerato che aveva lavorato agli ordini del suo paese, la Repubblica democratica tedesca, riconosciuta da mezzo mondo. E ottenne infine che la sentenza di colpevolezza venisse parzialmente annullata.
L'ultima volta che l'ho visto diceva che fare lo scrittore l'aveva messo in pace con se stesso. Abitava e lavorava in un piccolo ma assai grazioso appartamento sull'Isola dei Musei, nel centro storico di una Berlino resa irriconoscibile dalla ricostruzione. I nuovi grattacieli gli chiudevano la vista sul Glienicker Brücke, quel «ponte delle spie» che noi abbiamo visto tante volte al cinema e per lui era la frontiera della guerra fredda, su cui giocava la sua battaglia talvolta mortale.
La sua armata della notte aveva migliaia di uomini, ma nessuno lo ha mai denunciato; né lui ha mai fatto alcun nome. È morto nel silenzio della notte berlinese, dopo essere andato a dormire convinto che l'indomani avrebbe scritto ancora.
Era rimasto fuori dalla politica attiva, malgrado le sollecitazioni dei vecchi amici. Più che parlare loro, ormai li ascoltava. Ma a 83 anni, il cuoco aveva finto di dimenticare la spia e scelto la tavola come ultimo campo di battaglia.

il Manifesto 10.11.06

* ex corrispondente del Tg2 da Berlino

** l'autore fa un po' di confusione: La talpa di Le Carrè racconta la storia di un agente britannico doppiogiochista, e il richiamo è al leggendario Kim Philby. Caso mai in Le Carré il riferimento a Misha Wolf è nell'enigmatico personaggio di Karla.

Marco Ansaldo

Wolf: "Nell'attentato al Papa Ali Agca non era solo"

Intervista all'ex capo della Stasi *

Berlino - "Le carte della Stasi pubblicate di recente non provano la responsabilità della Germania orientale o della Bulgaria nell'attentato al Papa. Ma questo non significa che i bulgari, a nostra insaputa, non possano essere stati dietro il colpo. Io non lo so. Ma non posso nemmeno escluderlo. Infatti un agente di Sofia mi parlò di Ali Agca: il terrorista turco era stato da loro addestrato in un campo in Bulgaria". La faccia tuttora straordinaria di Markus Wolf sbuca all'improvviso da un viottolo sul Nikolai Viertel, il quartiere pedonale berlinese che dà sul fiume Sprea.

"L'uomo senza volto", abilissimo nel non finire mai fotografato, il leggendario "Karla" mitizzato dai romanzi di Le Carrè e per 34 anni segretamente a capo dei servizi segreti esteri della Germania Est, cammina a passo spedito. A 82 anni, "Misha" Wolf, russo di formazione, maestro di spionaggio, saluta in modo gentile ma spiccio, si siede a un tavolo appartato e ordina un cappuccino.

Non avrebbe voluto incontrare un giornalista, dopo la morte di Wojtyla. Ma quando ha capito che avevamo dei documenti da mostrargli, le carte della Stasi (il ministero per la Sicurezza da cui la sua intelligence dipendeva) sull'attentato, ha prima chiesto consiglio alla moglie, e ha poi accettato: "Vediamoci a quest'ora, lungo la Sprea, in quel locale".

Le tattiche di Wolf sono pietre miliari nei manuali degli agenti segreti. Il "metodo Romeo", ad esempio, che prevedeva l'uso di giovani uomini (o donne), disposti a usare il sesso come arma per carpire informazioni da attempate ma potenti segretarie governative, e teorizzato come sistema infallibile ("l'essere umano ha tante debolezze"). Il denaro, soprattutto ("gli uomini ne vogliono sempre di più di quel che già hanno").

Per colpi rimasti nella storia. Come quello di piazzare un suo agente, Guenter Guillaume, per anni a fianco del cancelliere tedesco occidentale Willy Brandt in qualità di consigliere. "È vero, nella mia vita professionale non ho avuto scrupoli - ammette mentre gli occhi piccoli ti scrutano da un volto che sembra tagliato con l'accetta - dovevamo essere machiavellici: il fine giustifica i mezzi. L'intelligence non prevede il concetto di moralità".

Generale, questi sono i dossier del carteggio fra la Stasi e la Bulgaria sulla cosiddetta "Operation Papst". Riconosce questi fascicoli? Markus Wolf si toglie gli occhiali, e sfoglia le carte con dimestichezza, come uno che sa cosa leggere e cosa tralasciare.
" - dice dopo qualche minuto - sono vere, le riconosco. Sono le carte mie e del mio dipartimento".

In questi documenti si parla di collaborazione tra la Stasi e la Bulgaria, invocando una serie di "misure attive" per influenzare i media occidentali, i giudici italiani, i paesi della Nato. È così?
"Certo, ma queste richieste di aiuto dei bulgari non sono per nascondere eventuali tracce di complicità, di cui qui non troverà riscontro. Ma solo per contrastare la campagna di propaganda scatenatasi contro Sofia".

La Stasi fu in qualche modo coinvolta nell'attentato?
"No, non fu opera nostra".

Ma può escludere che i bulgari abbiamo organizzato l'attentato, a vostra insaputa?
"No, questo non posso escluderlo. Posso solo dire che noi non sapevamo. Per quel che ricordo, i bulgari ci dissero che Ali Agca, l'attentatore, era stato da loro addestrato in un campo che avevano da qualche parte. Tenemmo una riunione comune, in una villa qui a Berlino. E uno degli agenti di Sofia, in contatto soprattutto con uno dei miei luogotenenti, mi parlò di Agca. Ma noi in quel momento avevamo altri interessi, la Nato, la Germania Ovest, non il Papa".

L'attentatore di recente ha sostenuto di non aver potuto compiere l'attentato senza l'aiuto di qualcuno in Vaticano, qualche sacerdote o cardinale. Le sembra realistico?
"Ho letto quell'intervista. Noi avevamo un agente infiltrato nella Santa Sede. Era un benedettino, si chiamava Eugen Brammertz. Fu un contatto utile, riuscimmo a metterlo alle costole del cardinale Casaroli (allora "ministro degli Esteri" del Papa, ndr), per sapere come intendesse muoversi la Curia. Ma più in là non andammo".

Arruolaste anche Alois Estermann, il capo delle Guardie svizzere morto nel 1998 dentro le Sacre mura, in un omicidio molto misterioso?
"No, lui no. Vede, infiltrare spie nella Santa Sede era per noi un lavoro molto difficile. Bisognava individuare le persone, io amavo reclutare i giovani, ma aspettare anche che crescessero".

Si occupava lei di questo?
"C'era una divisione, la XXesima, che lavorava sulla Chiesa. Ma poiché questo ufficio non dava i risultati sperati, lo chiudemmo".

Agca poteva essere un agente del Kgb?
"Non credo. Ma non credo nemmeno alla versione del killer solitario. Compiere un attentato al Papa è un'azione così complicata, occorre uno studio del soggetto da colpire, con una preparazione talmente meticolosa e perfetta, che solo un'organizzazione ben strutturata può portarlo a termine".

La Stasi, organo di sicurezza comunista, usava per le sue operazioni speciali i Lupi grigi turchi, nazionalisti di estrema destra?
"Il mio ufficio no, ma non posso sapere se altri dipartimenti lo facessero".

E il Kgb potrebbe aver concepito un piano del genere?
"Guardi, io sono russo di formazione. Conoscevo bene l'allora capo del Kgb, Juri Andropov, poi divenuto Segretario generale dell'Unione Sovietica. Gli ho parlato almeno tre volte a tu per tu circa operazioni da fare insieme, soprattutto riguardanti la situazione in Polonia. So bene qual era la sua mentalità. Escludo che potesse aver pensato a un'operazione del genere".

Perché ne è così sicuro?
"Perché non faceva parte del modo di ragionare di Andropov, che era profondo e raffinato insieme. E l'ipotesi di eliminazione del Papa polacco sarebbe stato un gesto più controproducente che positivo".

Perché no? In fondo Wojtyla vi dava fastidio.
"Ah questo sì, certamente. Per noi era 'persona non grata'. E così per l'Urss e gli altri paesi vicini. Il Papa era certamente il leader cattolico più anticomunista che si potesse trovare. Di sicuro costituiva un problema, ma non al punto da eliminarlo fisicamente. Non per i servizi della Germania comunista, almeno".

la Repubblica, 11 aprile 2005

Il mito della spia

Markus Wolf, in arte 'Mischa' come lo hanno conosciuto per oltre quarant'anni tutti gli appassionati di spionaggio e politica internazionale, è stato fino all'ultimo un autentico personaggio capace di dominare non solo le cronache politiche ma anche quelle letterarie e cinematografiche. Prima ancora della sua fortunata autobiografia e del bellissimo saggio di Pierre Faillant de Villemarest a lui dedicato nel 1991, si deve a John Le Carré la sua notorietà.

Misha Wolf   Infatti, secondo una sorta di leggenda letteraria mai smentita il personaggio di Karla, potentissima spia comunista che si oppone all'inglese George Smiley in una partita a scacchi mortale che attraverso ben tre libri dello scrittore inglese, era modellato fedelmente sul vero Mischa Wolf. Gli sceneggiatori che portarono in tv La talpa e Tutti gli uomini di Smiley' (entrambi firmati da Le Carré) non ebbero il desiderio di ricercare la somiglianza fisica e affidarono il ruolo di Karla a Patrick Stewart meglio noto come il capitano Picard di 'Star Trek' e il professor Xavier di 'X-Men'. Con la sua testa calva, le sopracciglia arcuate e la gestualità trattenuta o minacciosa Patrick Stewart intercettò però perfettamente lo spirito del personaggio e fece ben presto dimenticare agli appassionati la differenza fisica con il volto quadrato, labbra strette e lo sguardo profondo del vero Markus Wolf.

   Il segreto della popolarità che Le Carré conferì alla grande spia della Germania Est attraverso il ritratto di Karla sta nella sua lealtà quasi militaresca ad una guerra segreta in cui non ci sono buoni e cattivi ma solo vincitori e vinti e su questo terreno egli si incontra perfettamente, nonostante le differenze di umanità e ideologia con George Smiley immortalato per sempre con le fattezze di Alec Guinness. Curioso notare che Wolf ha spesso riconosciuto di amare profondamente i romanzi di Le Carré e di riconoscere il vero spirito degli agenti segreti nelle pagine di uno scrittore che per altro aveva lavorato a sua volta nell'intelligence britannica.

    Le Carré non è il solo ad essersi ispirato a Mischa Wolf. Ancora di recente Frederick Forsyth nelle pagine de Il veterano e altre storie riproduce un genere di agente segreto simile al capo della Stasi ed è chiaro che per una società letteraria come quella inglese ancora profondamente segnata dal tradimento di Kim Philby l'ombra lunga delle spie oltrecortina di ferro giocava e gioca un ruolo determinante. Nonostante avesse fatto del riserbo e del silenzio una sua consegna di vita, Wolf è stato soprattutto negli ultimi anni un personaggio pubblico: ha rilasciato interviste, ha scritto un libro di memorie, è apparso in documentari e filmati che raccontavano la guerra segreta come nelle bella miniserie televisiva di Tessa Coombs Cold wa' del 1998.

   Ma sono apparsi sullo schermo anche i due documentari di Marcel Ophuls girati alla fine degli anni '90. Tra i molti misteri della sua vita c'é anche il suo mai chiarito rapporto con lo spionaggio da quando, alla fine degli anni '80, in seguito alla riunificazione delle due Germanie aveva ufficialmente lasciato ogni ruolo attivo per scrivere le sue memorie. Sono in molti a ritenere che in realtà almeno per i primi anni successivi l'uomo che era riuscito a infiltrare perfino la Cancelleria tedesca, mettendo una sua agente alle costole di Willy Brandt, non avesse mai smesso di agire nell'ombra.

Il miglior agente segreto della Germania Orientale

L’uomo senza volto che gestiva una rete di quattromila agenti, che fece cadere Willy Brandt e sorvegliare il cancelliere Adenauer, è morto nel sonno nella sua casa a Berlino il 9 novembre 2006, esattamente in occasione del diciassettesimo anniversario dalla caduta del muro di Berlino e dalla riunificazione della Germania.
Markus Wolf, in arte “Mischa”, aveva 83 anni, lascia un’eredità di misteri ed un’autobiografia Memorie di una spia (Rizzoli).
Nato il 19 gennaio del 1923 a Hechingen, figlio di un medico ebreo, comunista e militante antinazista che agli inizi degli anni ’30 si trasferisce a Mosca, si fa notare subito dai quadri dirigenti che lo mandano a studiare ingegnerie aeronautica e gli risparmiano il fronte, affidandogli la propaganda bellica su Radio Mosca.
Al termine della guerra viene mandato a Berlino e sotto copertura, nelle vesti di giornalista, segue il processo di Norimberga.
I sovietici gli affidano compiti sempre più delicati in Polonia e in Cecoslovacchia.
Dopo un tirocinio di due anni, torna a Mosca per poi stabilirsi definitivamente a Berlino Est, in qualità di agente segreto al servizio del Ministero per la Sicurezza dello Stato, Ministerium für Staatssicherheit, o Stasi.
Nel 1953, all'età di 30 anni, nell'ambito della Stasi crea la divisione di intelligence internazionale HVA (Hauptverwaltung Aufklärung, Amministrazione centrale delle informazioni) e dal 1958 ne è alla direzione.
All’improvviso nel 1987 lascia la direzione: destituito per la troppa confidenza con il generale Kessler, ministro della Difesa? Dimissioni per sfiducia del regime?
Forse non si saprà mai; ed anche questo si aggiunge ai suoi molteplici segreti.
A lui è affidata per trent’anni una rete di quattromila agenti; inventa nuovi metodi spionaggio, ad esempio gli “agenti Romeo”, il cui compito è quello di sedurre le donne in posizione strategica per poter strappare segreti di Stato, o i finti bambini nazisti che tornano a cercare la madre.
Il suo capolavoro è l’agente Guillaume che, in qualità di consigliere speciale, arriva a diventare l’ombra di Willy Brandt: la sua scoperta da parte degli agenti federali provocherà uno scandalo clamoroso, costringendo Brandt a dimettersi da Cancelliere.
Wolf nella sua biografia dirà: ”È stato un grosso errore, la peggior sconfitta”.

Wolf è la leggenda della guerra fredda, l’uomo degli scambi di spie sul ponte di Glenicke.
Alla fine degli anni ’80 cerca di assumere un ruolo di primo piano nelle anuova fisionomia politica della DDR, ma la prima volta che si presenta al pubblico sulla Alexanderplatz, i duecentomila scesi in piazza per protesta contro il regime restano allibiti. L’uomo della Stasi che marcia contro Honecker? Viene fischiato e la sua avventura politica è già finita prima di iniziare; si ritira così a vita privata.
Alla caduta del Muro, i servizi segreti tedesco-federali gli danno la caccia e lui ripara prima in Austria e poi in Unione Sovietica. Anche lì non è più “persona gradita” e nel 1991 ritorna in Germania.
Per sua stessa ammissione, nel 1990 rifiutò una nuova identità e una nuova vita negli Stati Uniti, in cambio dei nomi degli appartenenti alla sua rete spionistica.
Arrestato nel 1993 e processato per spionaggio e tradimento, si rifiuta di fare i nomi dei suoi agenti e viene condannato a sei anni.
Tuttavia la Corte Suprema rovescia la sentenza in quanto ha agito “su incarico di uno Stato sovrano”.
Un altro processo, nel 1997, lo vede imputato del rapimento di tre persone, viene condannato a due anni, ma la pena è sospesa.
Intanto esce la sua autobiografia, si concede volentieri a giornali e tv, d’altronde come spesso ripete “Ho solo una paga da ufficialetto”.
Racconta il suo rimpianto: ”Non ho dubbi sul comunismo, ma sui metodi con cui hanno cercato di realizzarlo. Non posso dire d'essere fiero di quello che ho fatto, ma posso dire di non aver vissuto invano."

*abbreviazione di Ministerium für Staatssicherheit, Ministero per la Sicurezza dello Stato