Massimo Mazzucco

La Auschwitz del Vaticano. 3

Prima Parte

Seconda Parte

Terza Parte

Quarta Parte

Quinta Parte

Note e riferimenti

L'ALLEANZA FRA CHIESA E USTASHA

Insieme all'alleanza fra Chiesa e nazi-fascismo erano nate anche le prime strategie congiunte fra Roma e Berlino per riconquistare la Croazia e ristabilire il "baluardo cattolico" a est dell'Italia. Come vedremo in seguito, questa strategia prevedeva la partecipazione attiva del clero cattolico, e soprattutto dei frati francescani.

L'idea centrale fu la creazione di una "quinta colonna" sul territorio croato, che fosse pronta ad intervenire di sorpresa, alla prima occasione utile. L' "occasione utile" sarebbe stata l'invasione armata della Jugoslavia da parte di tedeschi, avvenuta nella primavera del 1941. Determinante fu infatti il "tradimento" dei corpi Ustasha già presenti sul territorio, che gettarono lo scompiglio nelle retrovie dell'esercito jugoslavo, tagliando i collegamenti, bloccando i rifornimenti, e massacrando interi battaglioni con agguati improvvisati.

Da parte sua l'Italia aveva dato protezione ad Ante Pavelic - che era ricercato dalla Francia per l'assassinio del re Alessandro a Marsiglia - durante il periodo di preparazione, mentre addestrava militarmente i futuri Ustasha nelle vicinanze del confine jugoslavo.

Quattro giorni dopo l'invasione dei tedeschi, Pavelic si trasferì ufficialmente in Croazia, dove Hitler lo mise a capo dello stato-fantoccio chiamato Repubblica Indipendente di Croazia.

Uno dei primi a dargli il benvenuto fu l'arcivescovo di Zagabria, Mons. Alojsius Stepinac, che si recò personalmente a stringergli la mano. Così Stepinac accolse l'arrivo di Pavelic a Zagabria:

"Dio, che dirige il destino delle nazioni e controlla il cuore dei Re, ci ha dato Ante Pavelic, e ha portato il leader del popolo amico e alleato, Adolf Hitler, a usare le sue truppe vittoriose per disperdere l'oppressore... Gloria a Dio, la nostra gratitudine ad Adolf Hitler, e la nostra fedeltà al nostro Poglavnik, Ante Pavelic". [3-1]


Dopodichè organizzò un pranzo di benvenuto per gli Ustasha che rientravano dai campi di addestramento all'estero.

A SINISTRA, SOPRA: L'arcivescovo Stepinac festeggia con una colazione un gruppo di emigranti Ustasha al ritorno dai campi speciali in Italia e Ungheria. A SINISTRA, SOTTO: L'arcivescovo Stepinac e Pavelic in conversazione amichevole. A DESTRA, SOPRA: L'arcivescovo Stepinac e altri dignitari ecclesiastici attendono Ante Pavelic, il suo governo e i suoi delegati sul sagrato della cattedrale di S. Marco a Zagabria, per la messa rituale in occasione dell'apertura del parlamento, nel 1942. A DESTRA, SOTTO: Pavelic arriva alla cattedrale di Zagabria nel giorno dell'apertura del parlamento croato, e viene ricevuto dall'arcivescovo Stepinac.

Due settimane dopo, il 28 aprile, Stepinac scrisse questa lettera pastorale a tutte le diocesi della Croazia:

"Onorevoli fratelli, non c'è uno di noi che non abbia assistito di recente al più significativo evento nella vita del popolo croato, nel quale noi svolgiamo il compito di annunciare la parola di Cristo. Questi sono eventi che hanno realizzato un lungo sogno e un ideale desiderato dalla nostra gente... Vi invito quindi a rispondere alla mia chiamata di svolgere un importante lavoro per la protezione e il progresso dello Stato Indipendente di Croazia. Date prova di voi, onorevoli fratelli, e fate il vostro dovere verso il giovane Indipendente Stato di Croazia." [3-2]


Stepinac quindi, nel suo ruolo di arcivescovo e capo della Chiesa croata, incitava ufficialmente i cattolici a implementare un programma - quello degli Ustasha - che era stato molto chiaro fin dall'inizio: sterminare un terzo dei non-cattolici (cristiano-ortodossi, ebrei e Rom) presenti nella zona conquistata, convertirne forzatamente un terzo, e cacciare i rimanenti fuori dal paese.

Il pio cattolico Dr. Mile Budak, Ministro dell'Educazione e della Cultura, ha detto il 22 luglio 1941: "La base del movimento Ustasha è la religione. Per le minoranze come i serbi, gli ebrei e gli zingari abbiamo tre milioni di pallottole. Uccideremo una parte dei serbi. altri li deporteremo, e obbligheremo il resto ad accettare la religione cattolica. La nuova Croazia sarà liberata da tutti i serbi al suo interno, e arriverà entro 10 anni ad essere cattolica al 100%." [3-3]

Solo con un estremo fanatismo religioso si può comprendere la brutalità selvaggia, unita alla gioia assassina che spesso si legge sui volti dei carnefici, con cui veniva condotto il massacro sistematico dei serbi ortodossi.

A SINISTRA: il boia Ustasha sorride per l'obiettivo, mentre decapita con un colpo d'ascia un contadino serbo.
A DESTRA: Ustasha mostrano la pistola, il coltello e la sega da falegname che useranno per uccidere il serbo catturato.
SOTTO: Stepinac presenzia ad una cerimonia congiunta fra italiani, tedeschi e Ustasha. Il vero denominatore comune, fra le varie potenze del nazifascismo, sembra essere costantemente la Chiesa cattolica.

Il generale italiano Roatta (4) con il generale tedesco Gleise Horstenau (2), von Troll, Cancelliere dell'ambasciata tedesca (1), Slavo Kvaternik, "maresciallo" dello "Stato Indipendente di Croazia" (3) e l'arcivescovo Stepinac (5). [3-4]

Vediamo ora nel dettaglio come avvenne la preparazione del sollevamento armato degli Ustasha sul territorio jugoslavo, in attesa dell'invasione dei tedeschi.

LE COLPE DI STEPINAC E DEL CLERO CATTOLICO IN CROAZIA

Come abbiamo detto, la quinta colonna croata era nata grazie all'alleanza segreta fra gli Ustasha, l'organizzazione degli indipendentisti croati (definiti "terroristi" dal governo jugoslavo) e le organizzazioni "attiviste" cattoliche che ruotavano intorno ai conventi dei frati francescani in Croazia.

Tutti questi conventi, come tutte le azioni compiute del clero in Croazia, ricadevano sotto la responsabilità diretta dell'Arcivescovo di Zagabria, Mons. Alojzije Stepinac.

In proposito Avro Manhattan ha scritto:

"Mentre i compari fascisti del Vaticano si davano da fare per organizzare attività politiche o terroristiche, la diplomazia cattolica - come già avvenuto in Spagna, Austria, Cecoslovacchia, Belgio e Francia - si mise in vista con la promozione di una poderosa quinta colonna cattolica. Questa, che aveva già indebolito la struttura interna dell'unità jugoslava, era costituita da tutti quei croati contagiati dal fanatismo nazional-religioso della gerarchia cattolica di Croazia, e da una armata nazionalista illegale composta da bande di terroristi cattolici, chiamati Ustasha, guidati da Ante Pavelic, supportati da Vladimir Macek, il leader del Partito Contadino Croato, che nel 1939 si era adoperato per far finanziare da Mussolini il movimento separatista croato con 20 milioni di dinari, e dall'arcivescovo A. Stepinac, il capo della gerarchia cattolica in Croazia. " [3-5]


Nel 1947 l'ambasciata jugoslava a Washington ha pubblicato un documento ufficiale nel quale riassume i più importanti capi d'accusa contro Stepinac e contro il suo clero, relativi alle azioni compiute in Croazia prima e durante la II Guerra Mondiale. Sono sostanzialmente gli stessi capi d'accusa che il governo jugoslavo imputò a Stepinac durante il processo contro di lui, che si concluse con la sua condanna a 16 anni di carcere. Dopo averne trascorso 5 in prigione, il resto della pena gli fu commutato in arresti domiciliari. Secondo i difensori della Chiesa, questo processo fu solo un atto di banale "propaganda" da parte di uno stato comunista.

Non si comprende peraltro chi mai avrebbe dovuto denunciare quei crimini, se non il popolo stesso che li aveva subiti.

Altri hanno voluto dipingere il processo come una "persecuzione religiosa" della Chiesa cattolica, che di recente ha beatificato Stepinac, definendolo un vero e proprio "martire".

Un capovolgimento davvero singolare, per una Chiesa accusata di genocidio, specialmente se si considera che i capi d'accusa contro Stepinac non sono mai stati nè contestati nè smentiti da nessuno.

Si presume infatti, di fronte ad accuse così gravi, che sarebbero state smentite con sdegnato clamore, se solo fosse stato possibile farlo. Se inoltre la Chiesa fosse innocente, avrebbe richiesto una altisonante correzione pubblica da parte del governo jugoslavo, oltre naturalmente ad un nuovo processo, che sgombrasse il campo da qualunque malinteso. Invece ha preferito passare tutto sotto silenzio, limitandosi a parlare di "propaganda comunista" quando accusata apertamente di quei crimini.

Come si legge nell'introduzione a "L'arcivescovo del genocidio", di Marco Aurelio Rivelli:

"... è difficile contestarne i contenuti solo atteggiandosi a martiri di fronte a un supposto “sentimento anticattolico”: qui Marco Aurelio Rivelli, analogamente a quanto ha fatto per Dio è con noi, ha lasciato parlare i documenti ufficiali e ha limitato al minimo i suoi commenti. E i documenti ufficiali sono difficili da smentire." [3-6]


IL CASO DELL'ARCIVESCOVO STEPINAC

Pubblicato dall'Ambasciata della Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia nel 1947

°°°
INTRODUZIONE

Quando Adolf Hitler, nel mettere in atto il suo progetto di conquista dell'Europa e del mondo, attaccò il Regno di Jugoslavia, il 6 aprile 1941, fu subito chiaro che la Wehrmacht tedesca avesse a disposizione un poderoso gruppo di traditori all'interno dello stato jugoslavo.

Sin dall'inizio l'esercito jugoslavo, impegnato in un confronto mortale con le forze decisamente superiori dell'invasore nazista, dovette guardarsi da bande di soldati che lavoravano per il nemico alle sue spalle.

Queste erano le cosiddette formazioni terroristiche Ustasha, che agivano in stretta collaborazione e a volte sotto la guida diretta del clero cattolico che faceva parte degli Ustasha, mettendo in pericolo le linee di comunicazione dell'esercito jugoslavo in combattimento, attaccando e disarmando le unità isolate dell'esercito.

Duramente colpito nello scontro con la Wehrmacht e pugnalato alla schiena dagli Ustasha, l'esercito jugoslavo resistette eroicamente per due settimane, prima di essere sconfitto. Dopo la sconfitta dell'esercito jugoslavo una parte del paese fu occupato dalla Wehrmacht, una parte fu data agli Ustasha, che misero in piedi uno stato-fantoccio nazista denominato Stato Indipendente della Croazia. Fin dall'inizio fu subito chiaro che il potere in questo stato-fantoccio era interamente nelle mani degli Ustasha e dei loro collaboratori ai bassi e alti livelli del clero cattolico.

Una ondata di terrore attraversò immediatamente il nuovo stato della Croazia. Il programma degli Ustasha prevedeva che dei 2.000.000 di serbi presenti in Croazia un terzo fosse ricacciato nel territorio serbo, un terzo venisse ammazzato, e il resto venisse obbligato, sotto minaccia di torture e di morte, a convertirsi al cattolicesimo. Degli 80.000 ebrei presenti in Jugoslavia 60.000 furono uccisi, in gran parte in Croazia. Come vedremo nei capitoli seguenti, sulla base di prove documentali, queste atrocità quasi incredibili furono commesse con la piena conoscenza e il supporto attivo di una parte della gerarchia cattolica in Croazia. L'arcivescovo Stepinac era il responsabile a capo di questa gerarchia.

L'indagine della Commissione jugoslava sui Crimini di Guerra ha stabilito che l'arcivescovo Stepinac ha avuto un ruolo primario nella cospirazione che ha portato alla conquista e alla distruzione del Regno di Jugoslavia. È stato inoltre stabilito che l'arcivescovo Stepinac ha avuto un ruolo nel governare lo stato-fantoccio nazista della Croazia, che molti membri del suo clero hanno partecipato attivamente ad atrocità e omicidi di massa, e infine che hanno collaborato col nemico fino all'ultimo giorno del comando nazista, ed hanno continuato anche dopo la liberazione a cospirare contro la neonata Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia.


(continua...)

L'arcivescovo Stepinac durante una seduta del parlamento Ustasha, del quale era membro regolare con ad altri 10 prelati.


( ... continua)

Per comprendere a fondo il ruolo dell'arcivescovo Stepinac nei cruciali anni che hanno preceduto la guerra, come durante la guerra stessa e dopo la liberazione della Jugoslavia, è necessario ricordare la lotta secolare che i popoli slavici meridionali, serbi, croati, sloveni e macedoni hanno condotto nei secoli per ottenere la loro indipendenza

I popoli slavi dei Balcani hanno una gloriosa tradizione come fierii e tenaci combattenti in difesa della loro tradizione religiosa e dell’indipendenza nazionale. Nei 500 anni di dominio turco sui Balcani, i serbi hanno formato il cuore del movimento di resistenza. Quando, nel corso del secolo scorso, l'antico impero ottomano iniziò a declinare, i popoli balcanici raggiunsero la loro indipendenza nazionale. Ma i grandi poteri divisero i Balcani in piccoli stati che divennero così pedoni nel grande gioco degli intrighi delle potenze europee.

Fu soprattutto la Germania imperiale, insieme al vecchio Impero d'Asburgo, a perseguire un programma di dominazione dei Balcani. Questo antico progetto di conquista pan-germanico, conosciuto anche come il Progetto Ferroviario Berlino-Baghdad, minacciava punti vitali e linee di comunicazione dell'impero inglese e portava inoltre una grave minaccia alla Russia. Fu questa politica di aggressione austro-germanica contro i Balcani, e specialmente contro la Serbia, che finì per provocare la Prima Guerra Mondiale.

(continua...)

SOPRA: Ante Pavelic e l'arcivescovo Alojzije Stepinac nella cattedrale di Zagabria, poco prima della messa rituale in occasione dell'apertura del parlamento Ustasha. SOTTO: L'Arcivescovo Stepinac (primo da destra) partecipa personalmente alla sepoltura del criminale Ustasha Marko Dosen. Al centro dell'immagine il nunzio apostolico Ramiro Marcone, che rappresentava ufficialmente il Papa in Croazia.

( ... continua)

Buona parte delle prove documentali che stabilivano la partecipazione della gerarchia cattolica e di parte del clero più basso al tradimento e alla cospirazione venne dagli stessi cospiratori. La Commissione d'Indagine ha trovato migliaia di rapporti stampati, insieme ad articoli sia della stampa ufficiale ecclesiastica che nei giornali controllati dai cattolici, che offrono un'immagine impressionante del modo in cui questo crimine fu preparato.

I sostenitori dello Stato Indipendente di Croazia hanno commesso il grave errore di credere che sarebbero durati almeno quanto il Reich millenario di Hitler. Questa fiducia spiega perché non abbiano esitato a mettere tranquillamente nero su bianco i loro piani e i loro progetti.

Dopo la creazione dello stato-fantoccio si sentirono liberi di descrivere in giubilanti articoli come gli zelanti membri del clero avessero lavorato per Der Tag, come i monasteri fossero stati usati da nascondiglio clandestino per i movimenti illegali degli Ustasha, come avessero mantenuto costantemente il contatto con il cospiratori all'estero, come avessero organizzato i monaci e la gioventù cattolica come “crociati” per la futura sollevazione, e come abbiano messo in pericolo in molti modi diversi da stessa esistenza della Jugoslavia prima della guerra.

Le prove ritrovate dalla commissione di indagine danno una chiara immagine della struttura organizzativa della cospirazione. Il piano completo fu diretto da membri responsabili della gerarchia cattolica. L'esecuzione pratica del progetto veniva affidata ad Azione Cattolica e alle sue varie organizzazioni affiliate, come la “Grande Fratellanza dei Crociati”, la “Società Accademica di Domagoj”, l'“Associazione degli Studenti Cattolici di Mahinic”, la “Grande Sorellanza delle Crociate”, e molte altre. Il presidente e i direttori di queste organizzazioni venivano nominati direttamente dall'arcivescovo Stepinac, e erano in molti casi erano preti ben conosciuti o appartenenti segreti ai gruppi ustasha.

Tutte queste forze furono mobilitate in una azione concertata, con lo scopo dichiarato di diffondere l'ideologia fascista. Questa propaganda convinceva i fedeli che sarebbe stata una buona azione, nel più alto interesse della Croazia e della chiesa cattolica, di uccidere o convertire i serbi e di sterminare gli ebrei. Quanto spudoratamente questa propaganda venisse pubblicata dalla stampa cattolica verrà mostrato in seguito.

Che Azione Cattolica fosse la forza organizzatrice della sollevazione Ustasha è stato confermato in un discorso di Ante Pavelic poche settimane dopo aver preso il potere in Croazia: sull'organo di stampa Hrvatski Naro del 24 giugno 1941 compariva un discorso di Ante Pavelic diretto ai delegati di Azione Cattolica: "Nella nostra battaglia politica è certo che Azione Cattolica abbia avuto un ruolo importante". Anche il direttore del settimanale cattolico Katolicki Tjednik lodò nel numero del 27 aprile 41 i risultati ottenuti da Azione Cattolica, della quale era stato un influente leader nell'organizzare la Gioventù dei Crociati.

L'associazione "Grande Fratellanza dei Crociati" era composta da 540 società con circa 30 mila membri, mentre la "Grande Sorellanza dei Crociati" aveva circa 452 società con 18,935 membri. Sotto la copertura di un presunto lavoro religioso, queste organizzazioni svolsero l'importante ruolo di inculcare lo spirito del fascismo e dell'odio razziale e religioso nella gioventù. I membri venivano indottrinati con l'ideologia Ustasha di naziolanismo sciovinistico.

I crociati avevano i loro campi di addestramento militare. Il settimanale crociato Nedelja dell'11 luglio 43 pubblicò un articolo che parlava dei corsi di addestramento militare dei crociati nei loro campi, dove addestravano ufficiali per le future formazioni Ustasha.

Il periodico Krizar (Il Crociato) nel febbraio 1942 descrisse come le organizzazioni dei crociati avessero servito da rifugio per la gioventù croata nella difficile lotta fra il 1929 e il 1934, e che molti giovani croati avesserlo sentito perlare per la prima volte dei fondatori Ustasha negli oscuri corridoi dei crociati.

Quintali di documentazione rendono evidente come la Fratellanza e la Sorellanza dei Crociati venissero usate come copertura per le attività illegali del movimento ustasha fuorilegge nel regno di Jugoslavia. Quando il regno di Jugoslavia crollò molti membri dei crociati e diverse organizzazioni affiliate ricevettero importanti incarichi nello stato ustasha.

Il periodico cattolico Katolicki Tjednik del 27 aprile 1941 riporta un articolo intitolato " I crociati rivolgono un saluto allo stato croato e al suo Poglanvik. Fra le altre cose, l'articolo diceva: "La grande fratellanza dei crociati ha mandato attraverso il cappellano militare dell'esercito ustasha, dottor Ivo Guberina, e attraverso in signori CVitanovic e Vitezic, il seguente saluto al Poglavnik: la nostra gioia e felicità sono indescrivibili nel salutare nel nome della Grande Fratellanza dei Crociati e dell'intera organizzazione dei Crociati il nostro Duce, l'imperatore del popolo croato, fondatore capo dello stato indipendente di Croazia, cresciuto nello spirito del cattolicesimo radicale, che non conosce compromessi di principio. Essi non hanno mai pensato per un solo momento di cedere o abbandonare il programma del nazionalismo croato. Grande capo! I Cociati ti danno il benvenuto e ti esprimono il loro grande amore e devozione. Che il signore ti benedica con abbondanza, e che i Crociati possono continuare a costruire anime immortali per Dio, e personalità d'acciaio per il popolo croato. Dio è vivo, per la terra del padre noi siamo pronti!"

(continua...)

 


Come scrive Karlheinz Deschner, in Croazia riecheggiava la stessa retorica di stampo crociato, fanatica e fratricida, già sentita in Spagna nel 1936:

"Vescovi e preti sedevano nel Sabor, il parlamento ustasa. Religiosi fungevano da ufficiali della guardia del corpo di Pavelic. I cappellani ustasa giuravano ubbidienza dinanzi a due candele, un crocifisso, un pugnale ed una pistola. I Gesuiti, ma più ancora i Francescani, comandavano bande armate ed organizzavano massacri: "Abbasso i Serbi!". Essi dichiaravano giunta "l'ora del revolver e del fucile"; affermavano "non essere più peccato uccidere un bambino di sette anni, se questo infrange la legge degli ustasa". "Ammazzare tutti i Serbi nel tempo più breve possibile": questo fu indicato più volte come "il nostro programma" dal francescano Simic, un vicario militare degli Ustasa. Francescani erano anche i boia dei campi di concentramento. Essi speravano, nella "Croazia Indipendente", in quello "Stato cristiano e cattolico", la "Croazia di Dio e di Maria", "Regno di Cristo", come vagheggiava la stampa cattolica del paese, che encomiava anche Adolf Hitler definendolo "crociato di Dio". [3-7]

Ante Pavelic con l'episcopato della Chiesa cattolica ad un ricevimento in occasione del suo compleanno.

Suore marciano con i legionari nazisti croati (Ustasha)


(... continua)

L'organizzazione dei Crociati era diretta in modo centralizzato da Zagabria. L'arcivescovo Stepinac confermava personalmente la scelta dei suoi capi.

A presidente dell'organizzazione Stepinac aveva messo il noto fascista dottor Dr. Feliks Niedzielski, e come primo curato e vicepresidente aveva nominato monsignor Milan Beluhan.

La commissione di inchiesta ha accertato che nel periodo precedente la guerra molte chiese e monasteri cattolici della Jugoslavia servirono come sede per incontri segreti degli Ustasha. Per citarne solo alcuni, gli incontri fra il leader del movimento illegale ustasha in Jugoslavia e i delegati di Pavelic dall'Italia e dalla germania si tenevano nel monastero francescano di Cuntic.

I preti occupavano posizioni di grande responsabilità nell'organizzazione illegale ustasha.

(continua ...)

In proposito lo storico Dusan Batakovic ha scritto:


"L'alto clero della Chiesa cattolica croata aveva stabilito una aperta collaborazione con le autorità Ustasha. Alla sua guida c'era l'arcicvescovo di Zagabria Mons. Alojzije Stepinac, che salutò la creazione del nuovo stato e diede la benedizione ad Ante Pavelic. La maggior parte dei vescovi cattolici (Mons. Saric di Sarajevo, Mons. Bonefacic di Split, Mons. Pusic di Hvar, Mons. Srebrenic di Krk, Mons. Buric di Senj, Mons Aksamovic di Djakovo, Mons Garic di Banja Luka, Mons. Mileta di Sibenik) hanno lavoratro attivamente per propagare il regime Ustasha, e un certo numero di preti e di suore portava l'uniforme Ustasha, soprattutto i francescani della Bosnia che non fecero nulla per nascondere la loro partecipazione ai crimini." [3-8]

( ... continua)

Molti approfittavano le loro privilegi come preti per operare come servizio di corriere fra le varie organizzazioni ustasha, altri addirittura organizzavano segretamente gruppi ustasha. Il prete della diocesi di Ogulin, Ivan Mikan, era il principale organizzatore delle attività ustasha di Ogulin.

In una petizione al Ministro dell'Agricoltura del 7 maggio'42, il dottor Berkovic vantava i seguenti servizi resi alle organizzazioni Ustasha: "Durante 14 anni passato come prete a Drnis, la mia parrocchia era letteralmente la casa degli Ustasha, era il punto di incontro degli Ustasha, non solo della nostra regione, ma di tutti quelli che venivano nella zona per organizzare le attività degli Ustasha..."

I più alti livelli della gerarchia cattolica intrattenevano tutti attività simili. L'arcivescovo di Sarajevo, Ivan Saric, incontrò i leader Ustasha in Sud America, e ne parlò apertamente su Katolicki Tjednik del 18 maggio 1941. In uno dei suoi viaggi in Vaticano, nel 1938, Saric incontrò Pavelic, nella Basilica di S.Pietro, e in seguito gli dedicò un poema che comparve su tutte le più importanti pubblicazioni cattoliche.

(continua ...)

 

"ODE AL POGLAVNIK"

Dall' "Ode al Poglavnik" dell'Arcivescovo di Sarajevo:

"Il poeta ti ha incontrato nella Città Santa,
nella basilica di S. Pietro, la tua presenza
era limpida come quella della patria natìa.
Che Dio onnipotente sia con te,
in modo che tu possa portare a termine
il tuo compito sublime!
Idolo dei croati, tu difendi gli antichi diritti sacri.
Tu ci difenderai dall'ingordigia dei giudei
con tutti i loro soldi, i miserabili che volevano
vendere le nostre anime e tradire i nostri nomi.
Proteggi le nostre vite dall'inferno,
dal marxismo e dal bolscevismo."

Ante Pavelic era noto per una tale crudeltà da aver impressionato gli stessi caporioni nazisti che lo visitavano. Sulla sua scrivania Pavelic usava tenere un cestino con gli occhi che erano stati cavati alle vittime prima di venire sgozzate, asfissiate o uccise a martellate. Quella che sembrerebbe a prima vista una semplice leggenda metropolitana è stata confermata da diverse fonti, fra cui lo scrittore italiano Curzio Malaparte:


"Mentre si parlava, io osservavo un paniere di vimini posto sulla scrivania, alla sinistra del Poglavnik. Il coperchio era sollevato, si vedeva che il paniere era colmo di frutti di mare, così mi parvero, e avrei detto di ostriche, ma tolte dal guscio, come quelle che si vedono talvolta esposte, in grandi vassoi, nelle vetrine di Fortnum and Mason, in Piccadilly a Londra. Casertano (ministro italiano a Zagabria, ndr) mi guardò, stringendo l'occhio: "Ti piacerebbe, eh, una bella zuppa di ostriche!". "Sono ostriche della Dalmazia?", domandai al Poglavnik. Ante Pavelic sollevò il coperchio del paniere e mostrando quei frutti di mare, quella massa viscida e gelatinosa di ostriche, disse sorridendo, con quel suo sorriso buono e stanco: " È un regalo dei miei fedeli ustascia: sono venti chili di occhi umani"

C. Malaparte, Kaputt, pag. 429

Questo era l'uomo che Stepinac ricevette e benedisse nella cattedrale di Zagabria, e poi sostenne finchè rimase al potere, incitando il clero e il popolo croato a seguire le sue orme. Sotto a destra: Stepinac, che era anche il più alto cappelllano militare dell'esercito di Pavelic, porge visita al dittatore per gli auguri di buon anno indossando la medaglia degli Ustasha.

In proposito, nell'introduzione al libro "l'Arcivescovo del genocidio" di Marco Aurelio Rivelli leggiamo:

"Interrogato durante il suo processo sul perché avesse accettato l’onoreficenza degli Ustasha, Stepinac non si vergognò di rispondere che «…se avessi rifiutato la massima onorificenza militare ustaša, sarebbero successe delle cose ancora più terribili… Noi abbiamo stabilito in modo chiaro i principî delle conversioni, gli ortodossi erano liberi e nello stato spirituale di convertirsi o meno», senza rendersi conto della plateale contraddizione: infatti, il pubblico ministero gli contestò che non era pensabile che un uomo del suo rango non potesse rifiutare un’onorificenza per timore di cose terribili, laddove, a dire dello stesso Stepinac, perfino i serbi potevano liberamente scegliere senza conseguenze se diventare ortodossi o meno. Il vile Stepinac non rispose." [3-9]



NOTA: Quella presentata finora è solo una parte dei capi d'accusa contro Stepinac citati dal documento dell'Ambasciata jugoslava, che invitiamo a leggere per intero.
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