inizio rosso e giallo



Roberto Costantini

All'inizio di Tu sei il male, senza aver letto nulla su siti e giornali, si resta decisamente perplessi: questo Costantini sa scrivere, è acuto, sa condurre per centinaia di pagine un delicato equilibrio tra semplicità e complessità: e allora come fa, decentemente, a presentarci un personaggio così fastidioso, nel suo machismo esasperato, nella grossolanità del fascista violento?
Una scelta coraggiosa e spiazzante, perché lentamente il commissario Balistreri ci svela tutte (o quasi) le proprie contraddizioni, la strada tortuosa e impervia che lo porta dalla banalità dell'antisistema di certa estrema destra degli anni '60 e '70, alla sofferenza di chi riuscirà a rovesciare analisi e valori, verso un cinismo assai più umano dell'abilità manovriera di colleghi e superiori tanto avveduti quanto opportunisti.
Senza proclami o prolissità, talvolta addirittura quasi di sfuggita, l'autore ci rivela un'Italia democristiana - corrotta, melliflua, irresponsabile, sovversiva, bigotta - che non solo ha segnato cinquant'anni di storia ma ha saputo rinnovarsi (nel senso di riciclarsi abilmente) in un miscuglio di post (nel senso di dopo) rassicuranti e ambigui. Forse Balistreri prima o poi ricorderà quanto scrisse Pasolini sulla DC.
E magari si chiederà cosa cazzo è questo mostro politico che è il PD.

Indagini vere, comunque, fatte di appostamenti, verbali, dettagli, mediazioni, errori, e immerse in una realtà sfuggente e al tempo stesso di assouta banalità: astuzia, volgarità, soldi, razzismo, potere.
Altri autori di polizieschi ci hanno parlato di questa Italia (a cominciare da Mario Soldati, che certo non era un bolscevico), ma anche chi, come a suo tempo Macchiavelli e più recentemente Carrisi e Manzini, ha saputo farlo con acutezza, in fondo non è mai andato oltre uno sguardo rapido. Costantini invece scava, e si sporca le mani, ingegnere che forse ha imparato il mestiere facendo una buona malta e maledicendo il piccone sempre troppo pesante.

 

  • Tu sei il male, Marsilio, 2011; Feltrinelli, 2018
  • Alle radici del male, Marsilio, 2012; Feltrinelli, 2018
  • Il male non dimentica, Marsilio, 2014; Feltrinelli, 2018
  • La moglie perfetta, Marsilio, 2016; Feltrinelli, 2018
  • Ballando nel buio, Marsilio, 2017; Feltrinelli, 2018
  • Da molto lontano, Marsilio, 2018
  • Il commissario Balistreri, Feltrinelli, 2018: Tu sei il male, Alle radici del male, Il male non dimentica, La moglie perfetta, Ballando nel buio
  • Una donna normale, Longanesi, 2020
  • Anche le pulci prendono la tosse, Solferino, 2020
  • Una donna in guerra, Longanesi, 2021
  • La falena e la fiamma, Longanesi, 2022
  • Cenere alla cenere, Longanesi, 2023

 

Intervista a Roberto Costantini

In Tu sei il male l’avevamo conosciuto nella Roma degli anni Ottanta e Duemila, ora il commissario Michele Balistreri torna con Alle radici del male, secondo episodio della trilogia di gialli incentrata sul suo personaggio, dove lo ritroviamo nella Libia del 1958. Questa settimana (novembre 2012) a Milano si è tenuta la presentazione del libro, in compagnia dell’autore Roberto Costantini e del giornalista Antonio D’Orrico.

Roberto Costantini è stato capace di raccontare la storia d’Italia ultima, dal dopoguerra in poi. A questo si aggiunge la sorpresa di un personaggio, il protagonista di questa serie, Michele Balistreri, che è il commissario più originale, inafferrabile, detestabile e amabile nel panorama della letteratura italiana contemporanea. La seconda puntata della trilogia inizia con un passo all’indietro: avevamo conosciuto Balistreri nella Roma degli anni Ottanta e poi Duemila, ora lo ritroviamo - nella prima scena del libro - a Tripoli, nella Libia del 1958, una Libia molto italiana. Sono riuniti in una villa tre famiglie, i protagonisti della vicenda: quella del dodicenne Michelino, che vive con il nonno materno, la madre Italia, il padre Salvatore e il fratello, la famiglia americana degli Hunt - il capofamiglia, in affari con Salvatore, la sua bellissima moglie e loro figlia, la ‘promessa sposa’ di Michelino - e la famiglia araba di Mohamed, il factotum di Salvatore, con la sua prima moglie, i due figli avuti da lei, la sua seconda moglie e gli altri tre figli avuti da quest’ultima, due maschi e una femmina. Tutti si trovano insieme per uno degli eventi topici della storia dell'Italietta, il Festival di Sanremo del 1958, passato alla storia per la grande rivoluzione rappresentata da Domenico Modugno con ‘Volare’, la canzone italiana più conosciuta nel mondo. Ma appena dietro a questa scena, si cela una bomba che sta per esplodere.

Costantini è come quei grandi registi maestri nelle ‘scene di massa’: “l’autore rappresenta grandi episodi della storia nazional-popolare collegandoli a snodi fondamentali, anche tragici, dei suoi libri - nel primo romanzo c’erano la finale dei mondiali di calcio dell’82 e quella del 2006, in questo la finale dell’82 e quella disputata nel 70, oltre a San Remo del ’58. Ci sono poi guerre, rivoluzioni, grandi episodi storici. Perché scegli sempre questi eventi collettivi per ambientare i tuoi libri?

Mi piace confrontare i sentimenti privati, l’amore, l’odio, l’amicizia, con eventi collettivi di segno opposto. Nel caso di Tu sei il male abbiamo la finale dei mondiali dell’82, un momento di gioia collettiva infinita che si confronta con il dolore privato di due genitori che quella sera perdono la figlia diciottenne. In Alle radici del male si parte con una scena che abbina grandissima tranquillità - la canzone di Modugno inizia con ‘Penso che un sogno così non ritorni mai più’, e la scena iniziale è l’immagine di un sogno, quello di tre giovani famiglie cha hanno tutta la vita davanti e vivono un momento di crescita economica e prosperità - all’attesa di un’esplosione - c’è una bomba a orologeria in quella stanza, e credo che il lettore lo avverta. Il sogno ha dentro di sé delle complicazioni molto forti.

Abbiamo visto ritratte l’Italia degli anni Ottanta e Duemila, ora quella del 1958 e degli anni Sessanta. Qual è la differenza tra le tre?

La differenza tra le tre è quella rappresentata dal percorso di Balestrieri. Il Michelino degli anni Sessanta è un ragazzino che sogna, e a cui gradualmente, come è successo all’Italia, i sogni vengono tolti: i sogni italiani degli anni Sessanta e Settanta di una crescita inarrestabile a un certo punto negli anni Ottanta si spezzano. Michele incarna il cinismo tipico degli anni Ottanta, quando sull’entusiasmo della crescita collettiva prevale la furbizia individuale, lo sfruttamento economico per il vantaggio del singolo. E dopo decenni questo porta all’Italia attuale, dove tutto si regge in piedi per miracolo: Michele Balistreri nel 2006 è un uomo vecchio, come l’Italia. Non si fuma più sessanta sigarette al giorno e beve il caffè decaffeinato perché ha l’ulcera allo stomaco: così lo ritroveremo nel terzo libro. Viene addirittura messo a ‘dieta musicale’: Balistreri è appassionato di De Andrè e Cohen, già il Michelino dodicenne ascolta le loro canzoni, ma un certo punto i dottori gli dicono che anche queste gli fanno male. Deve rinunciare a queste come alle donne, che sono la sua altra passione.

Sulla sessualità di Balistreri si potrebbe scrivere un saggio. Il Michele degli anni Ottanta ha un’idea sessuale predatoria e spietata, un aspetto canagliescamente divertente.
C’è una altro aspetto da analizzare: Balistreri vive una grande tragedia, che si può raccontare attraverso i rapporti famigliari - questo libro si può anche interpretare come un grande romanzo famigliare. Il padre di Michele è nato poverissimo a Palermo: sa cosa vuol dire la povertà e per tutta la sua vita prende sempre senza esitare delle scelte che gli assicurino di non ritornare in quelle condizioni. La madre di Michele, Italia - uno splendido personaggio che, a mio parere, incarna un’allegoria del nostro Paese - viene invece da una famiglia abbiente: suo padre, un uomo pieno di fede e di speranza in una crescita collettiva, ha fatto fortuna piantando i primi oliveti. La sua ricchezza, al contrario di quanto recita il titolo del libro, affonda le sua radici nel bene, è una ricchezza costruita attraverso il lungo e duro lavoro. La famiglia materna è una famiglia profondamente fascista: un fratello di Italia è addirittura morto in guerra per la causa, ma in un momento in cui tutto era già perso, in cui non aveva neppure più senso battersi. Italia vive nel culto di questo fratello, in un senso di memoria e sconfitta - una scelta molto coraggiosa questa da parte di Costantini, che riesce a fare di questo eroe fascista un eroe vero. È un’idea forse difficile da digerire, ma bisogna riconoscere che Costantini ha grande coraggio e ferocia: quando vuole scrivere una cosa, non si fa scoraggiare da niente. In ogni caso, questa sorte della famiglia materna si trasmette a Balistreri, che sembra destinato a lottare continuamente per delle cause perse
.

Sì, Michelino è come lo zio materno. Tra lui e il padre c’è un conflitto molto forte, perché Salvatore vorrebbe che suo figlio fosse come lui, ma Michelino non vuole essere come lui, vuole essere come la madre. Man mano che cresce Michele si sente sempre più lontano dal padre, un uomo di grandissimo successo che ha costruito la sua ricchezza in modi completamente diversi dal nonno materno, facendo accordi con la politica, avvalendosi delle sua amicizie con i potenti.

La Libia è un’ambientazione perfetta per questo romanzo: è una Libia che ricorda l’America di C’era una volta in America, il film di Sergio Leone. C’è infatti questa stessa costruzione di un ‘impero del male’: Michele diventa un gangster.

A questo proposito lascio al lettore l’interpretazione: Michele diventa un gangster? Forse sì o forse no. Invece che sfruttare le amicizie del padre e stringere legami con i ragazzi più importanti di Tripoli, frequenta un ragazzo italiano figlio di un benzinaio e i due ragazzi arabi figli dell’aiutante di suo padre. Questa piccola gang di quattro ragazzi è unita da un senso di diversità dagli altri che diventa pian piano violenza, e a un certo punto succedono delle cose che scardinano la situazione emotiva di Balistreri e lo portano a essere un ‘gangster’, o comunque un personaggio ‘alla Sergio Leone’.

Qual è il gioco tra autobiografia e invenzione nel romanzo?

Credo che la Libia di quegli anni, quelli del complotto che portò Gheddafi al potere, sarebbe difficile da descrivere per qualcuno che non l’abbia vissuta in prima persona. Poco si sa di quella storia, tenuta volutamente nascosta perché vi sono implicati molti italiani. Io mi ricordo quel periodo, le cene in famiglia a Tripoli, i commenti di mio padre sui personaggi che venivano a casa nostra con l’ambasciatore. Erano gli anni in cui si era scoperto il petrolio, in cui la ricchezza aveva iniziato a venire non più dagli ulivi, ma dal sottosuolo, e in Libia arrivavano persone di ogni sorta. Per il resto il personaggio di Michele Balistreri è ispirato a un mio compagno delle medie, che in terza girava per scuola con la pistola. Diciamo che non è un romanzo autobiografico, ma qualche dettaglio biografico c’è.

2012 grazie a: libreriamo.it

Sabrina Glorioso

Intervista a Roberto Costantini

Il tuo ultimo romanzo, che in realtà è il prequel di Tu sei il male, racconta la giovinezza di Balistreri a Tripoli in circa 700 pagine. Spezziamo una lancia a favore dei libri lunghi che ormai sembrano merce sempre più rara?

L’importante è che le 700 pagine siano motivate, è una grande responsabilità. Quanti libri, gialli compresi, si dilungano per centinaia di pagine ma senza alla fine dire nulla. Io poi di libri ne scrivo pochi perché sono lunghi e ci vuole tempo, e scrivo poco perché leggo tanto, amo profondamente leggere.

Nei romanzi seriali il lettore spesso si affeziona ai personaggi e aspetta con ansia l’uscita della prossima avventura del suo beniamino. Come fa invece lo scrittore a capire quando è il momento di scrivere la parola fine?

È importante non affezionarsi troppo a un personaggio e capire quando una storia finisce, e per me quando finisce emotivamente finisce davvero, se no diventa un’operazione commerciale per vendere libri. L’affezione per un personaggio sta anche a un certo punto nello smettere di scriverne, poi magari riprenderlo dopo anni se ho ancora qualcosa da fargli dire.

Alle radici del male racconta l’adolescenza del cinico Balistreri: perché questo salto indietro nel tempo?

Molti lettori si sono chiesti perché Balistreri è così, e la spiegazione sta nell’adolescenza: per questo conoscerla permette di capirlo meglio, non di giustificarlo ma di comprenderlo. Ho scelto di pubblicare dopo il prequel perché cerco di dare al lettore anche la possibilità di immaginare; se lo scrittore scrive tutto lui non lascia spazi all’immaginazione, è bello invece leggere una cosa e chiedersi cosa accadrà dopo. Ricordo ancora la sensazione leggendo Il tropico del Capricorno quando c’è quell’addio e tu non sai dopo cosa succede: è bello che ad immaginare il seguito sia il lettore.

Tripoli è al centro dell’ultimo romanzo ma è anche la tua città natale. Quanto sono importanti la ricerca e il riferimento alle fonti nella tua scrittura?

Tripoli non è descritta solo come la città in cui ho vissuto diciotto anni, sarebbe troppo poco, quello serve per la parte emotiva. Sono andato a documentarmi negli archivi dell’ENI e dell’ambasciata italiana a Tripoli, e per la parte più moderna ho parlato a lungo con il console italiano in Libia De Sanctis. Le cose che ho scritto hanno riferimenti precisi. Il terzo libro finisce dove questo inizia con l’ipotetica caduta di Gheddafi, che poi nella realtà si è verificata proprio mentre scrivevo. Se parli della realtà comunque ti devi documentare, le fonti ci devono essere, poi su quella realtà puoi costruire con la fantasia, quando questa te lo consente.

grazie a: mangialibri.com

Alberto Burgos

Roberto Costantini

Chi ha realizzato questo sito e lo gestisce ha cercato di limitare al massimo i propri interventi, sia nelle pagine dedicate al giallo sia in quelle in cui si parla di tutt'altro. Una sorta di riservatezza di fronte all'epidemico dilagare dell'egocentrismo social. Ossimoro irritante e grottesco, che tuttavia ben rappresenta la normalità di questo bisogno infantile: esibire di fronte a tutto il mondo ciò che si pensa.
Faccenda lunga e complicata, che, appunto, qui viene appena accennata, e solo per motivare una riflessione - naturalmente molto sintetica - su Roberto Costantini: uno scrittore straordinario.

Venerdì di Repubblica nel marzo 2017 pubblica un servizio sul proliferare letterario di investigatori italiani: un resoconto sciatto e superficiale (in cui oltre a tutto non si menzionano commissari storici come De Vincenzi, Ingravallo, Ambrosio, Santamaria), che mette nello stesso pentolone personaggi ridicoli, immersi in un italiano presuntuoso e improbabile (la Squadra speciale Minestrina in brodo è una star di questo panorama squallido) e figure create con cura e intelligenza.
E Michele Balistreri è il migliore.
Grazie capitano Bellodi, dottor Lamberti, sergente (?) Sarti Antonio, commissario Montalbano, ispettore Grazia Negro, avvocato Guerrieri, vice questore Schiavone, sacerdote Marcus, barrista Massimo, non tanto per le indagini, peraltro accurate e spesso avvincenti, quanto per l'Italia in cui si muovono, che il più delle volte si rivela nuda, e dunque attraente o disgustosa. E questi personaggi ce la racontano in modi differenti, e sovente fra loro contrastanti, ma quasi sempre con acutezza e onestà.
Il commissario Balistreri va molto oltre: ci trascina, seppur controvoglia, nell'Italia che vorremmo dimenticare, talvolta con incursioni lucide e sgradevoli, e spesso con una, due, parole. Più che sufficienti.
L'ingegner Costantini progetta in profondità le proprie storie: mescolanza di generi, dettagli decisivi, caratteri disegnati con raffinata semplicità, trame geometriche, parole attente.
Tante pagine, tante parole, e niente di inutile.