inizio rosso e giallo


Stephen King


Ebbene sì, parliamo anche di un autore che appartiene senza discussione al genere horror (di cui è considerato il maestro contemporaneo, il re, ecc.), ma che ha fatto interessanti incursioni anche nel giallo.
Non nel senso più tradizionale (omicidio, indagine, scoperta del colpevole), bensì con storie che rinunciano nettamente al soprannaturale e dintorni e si fermano, per così dire, alla normalità del delitto, dell'atto violento slegato da elementi fantastici.

Con S. King, naturalmente, occorre fare molta attenzione, perché lui è abilissimo non solo nel costruire storie complesse e inquietanti, ma nel disseminarle di indizi e citazioni - più o meno nascosti - riferiti ad altre sue opere. Senza il parossismo (o la megalomania) di Asimov, che in qualche modo pretese di ricondurre tutta la propria sterminata opera fantascientifica ad un unico e coerente disegno narrativo, ma con l'arguzia e il virtuosismo discreto del robusto, agile narratore americano.
Ma qui non si parlerà diffusamente di S. King: non solo perché su di lui sono state scritte, altrove, centinaia di pagine, ma perché, pur considerando del tutto superata la distinzione fra generi - thriller, mistery, spy story - è difficile non riconoscere all'horror e al fantastico uno speciale statuto di autonomia, dovuta se non altro al confine naturale (almeno in questo inizio millennio) tra fatti di questo mondo e cose aliene.

Comunque, oltre che in quasi tutte le altre, anche nelle poche opere di carattere poliziesco che qui citiamo brevemente (con riferimento alle rispettive trasposizioni cinematografiche) vi sono rimandi più o meno occulti (solo nel senso di celati?) ad altre storie raccontate da King: quali siano (oltre alla sempre presente città di Derry), lo scopra il lettore, se gli aggrada.





 

Stand By Me - Ricordo di un'estate

Il film è liberamente (ma egregiamente) ispirato alla raccolta di racconti Stagioni diverse (Different Seasons): del giallo in realtà ha ben poco, solo un cadavere trovato per caso da quattro ragazzi in cerca d'avventura. E sulla loro storia, o meglio, sui pochi giorni di un'indimenticabile estate del '59, è centrata la vicenda. Un film che riesce a cogliere splendidamente sentimenti, risate e inquietudini dell'adolescenza, e che come pochi altri ha saputo dare un ritratto profondo, semplice e geniale, di quell'età. Tra Mark Twain e Truffaut, Bradbury e Malle. E quella musica di Ben E. King...

Misery non deve morire

Avete presente quando Conan Doyle si stufò di SH e lo fece morire? Beh, allora il pubblico si limitò a protestare vivacemente, mentre qui una lettrice s'infuria davvero quando sa che Misery, la protagonista di una serie di romanzi, morirà. E allora sequestra lo scrittore, lo lega a un letto e lo tortura per obbligarlo a far rivivere il personaggio. Un thriller più claustrofobico di così... Interpreti bravissimi (Oscar per Bates) a reggere una situazione limite, dove si gioca, brutalmente, coi confini tra realtà e immaginazione.

L'ultima eclissi

Una vecchia signora cade dalle scale e muore: Dolores Claiborne, la sua governante, ne è l'erede, e viene accusata di averla uccisa da un poliziotto che da anni sospetta Dolores di aver eliminato il marito. La figlia, che ha un difficile rapporto con lei, cerca di difenderla, e Dolores le rivelerà come sono andate effettivamente le cose col marito, un ubriacone violento. Le due in qualche modo si riconciliano e l'investigatore sorride amaro. Splendidi Bates e Plummer in un film complesso e pieno di amarezze.

Joyland

Un luna park al centro di una misteriosa vicenda (con un'inevitabile divagazione soprannaturale), ma soprattutto della maturazione di un ventenne. Come in It e in Stand by me King riesce ad affrontare come pochi i semplici ma decisivi grovigli esistenziali di giovani alle prese col mondo: e tutto con una scrittura che col passare degli anni si è raffinata, asciugandosi e addirittura permettendosi di presentarsi in forma dimessa, al limite con la banalità, senza il bisogno di ricorrere a tortuosità psicologiche. Un libro "facile", dunque, e forse proprio per questo avvincemte.

 



Ma la passione per il mistero porta inevitabilmente King a misurarsi con l'hard boiled in senso stretto, e più che onorevolmente, e nasce il progetto di una trilogia fortemente ancorata a questo genere:

  • Mr. Mercedes (Mr Mercedes), Sperling & Kupfer, 2014
  • Chi perde paga (Finders Keepers), Sperling & Kupfer, 2015
  • Fine turno (End of Watch) Sperling & Kupfer, 2016

 

Vale la pena citare anche un volumetto uscito nel 1985 (si trova ancora?) per Theoria: Danse macabre in realtà è un saggio sul genere horror, ma che si aggira "fra gli ingranaggi e i macchinari del brivido" e dunque parla necessariamente anche del piacere di leggere un bel giallo.

Intervista

"Oggi la gente ama i thriller perché è abituata all'orrore"


Stephen King torna al racconto lungo e cambia traduttore (da oggi, Wu Ming 1, che propone un King dal ritmo serrato e senza orpelli). Di più: dei quattro racconti di Notte buia, niente stelle (Sperling&Kupfer, pagg. 432, euro 20,90), tre riguardano le donne. Riguardano, per meglio dire, la violenza compiuta sulle donne: omicidio (in 1922, dove un agricoltore convince il figlio a uccidere la rispettiva moglie e madre, Arlette), stupro (Maxicamionista narra la tormentata vendetta della scrittrice Tess), menzogna (Darcy, la protagonista di Un bel matrimonio scopre che il marito è un serial killer).

Un'attenzione non nuova, come racconta lo stesso King.
La questione femminile attraversa tutta la sua opera narrativa, e lei è uno dei pochissimi scrittori in grado di affrontare questo argomento con reale empatia. Questa volta, però, le donne sono le protagoniste quasi assolute e sono per lo più vittime del mondo maschile: significa che anche nel mondo reale le cose, da questo punto di vista, sono peggiorate?


Penso che nel mondo reale la condizione delle donne sia migliorata. Credo di avere una visione chiara - per quanto possa averla un uomo - dei problemi che alle donne tocca affrontare. Sono figlio di una ragazza madre che riceveva salari più bassi e veniva trattata con sufficienza perché senza marito. Non ho mai scordato quelle ingiustizie. La mia idea è che, nel complesso, le donne se la sappiano cavare in molte più situazioni e siano più abili degli uomini a risolvere problemi. Spero che nei miei libri questo si veda. Sto molto attento, cerco di evitare la pecca segnalata dal critico Leslie Fiedler: gli scrittori maschi americani hanno una visione semplicistica dei loro personaggi femminili, li rappresentano solo come "nullità" o come "esseri distruttivi". Io ho sempre cercato di fare meglio di così.

Stephen King - Danse macabreI personaggi femminili dei racconti sono vittime ma anche carnefici: la moglie assassinata di 1922 ha la volgarità avida di una grizzly mom. La stessa definizione (e la stessa prassi: difendere i propri cuccioli ad ogni costo) si potrebbe riferire alla terribile madre di Maxicamionista. E anche quando sono "soltanto" vittime, devono comunque uccidere per ristabilire un equilibrio. Sembra non esserci quella possibilità di redenzione intravista in The Dome: sembra, cioè, che la sua narrazione, in questi ultimi tempi, stia diventando più politica, e contemporaneamente, più pessimista. È così?

In realtà nessuna delle donne di Notte buia, niente stelle è una carnefice: non più di quanto lo fossero Carrie White o Dolores Claiborne. Tess e Darcy non innescano la violenza, ma reagiscono ad essa, facendo del loro meglio. Sono le sopravvissute. Quanto ad Arlette in 1922, è causa della propria sventura. Anche se questo non giustifica l'agire di suo marito.

Solo in uno dei quattro racconti, La giusta estensione, è presente l'elemento soprannaturale: e anche in questo caso è un soprannaturale sfumato e ambiguo, e il patto col diavolo del protagonista può essere interpretato come un'allucinazione. Si sta incamminando verso una narrazione più realistica?

Non mi sto intenzionalmente allontanando dal soprannaturale, come non mi ci sono intenzionalmente avvicinato. Come scrittore, lavoro sulle intuizioni. Quando mi viene l'idea per una storia, mi metto a scriverla. Prima di iniziare, però, mi faccio sempre una domanda: "Cosa rende questa storia tanto importante da essere scritta?" Cerco di individuare il fulcro, quel che permetterà alla storia di funzionare a un livello tematico più profondo. In 1922 è il potere del senso di colpa. In Maxicamionista è l'alto prezzo della vendetta. In La giusta estensione è la gioia meschina che ci procura la rovina altrui. Quanto a Un bel matrimonio, il fulcro è una domanda: si può davvero conoscere un altro essere umano?

Nella postilla ai racconti lei annota: "si scrive male quando ci si rifiuta di raccontare storie su quel che la gente fa realmente". Qui, come nelle sue opere precedenti, lei narra il punto di frattura delle vite ordinarie. Com'è diventato, quel punto, in tutti questi anni? Più forte o più fragile? Gli esseri umani si sono abituati all'orrore?

Sì, la gente è più abituata all'orrore. Come potrebbe essere altrimenti, dopo quel mattatoio che è stato il ventesimo secolo? E il secolo appena iniziato non si preannuncia meno turpe. Allo stesso tempo, siamo diventati più litigiosi, più disposti a ricorrere alla violenza per risolvere i nostri problemi. Horror e thriller sono due delle tante valvole di sfogo per questi sentimenti negativi.

Lei ha sempre posto una grandissima cura al linguaggio, allo stile, al suono delle parole: eppure la critica letteraria non glielo ha riconosciuto spesso. Continua ad esserci diffidenza, nell'ambiente accademico americano, nei confronti della narrativa ritenuta di genere?

La narrativa di genere ha un po' più status letterario di un tempo, perché oggi molti bravi scrittori scrivono polizieschi, romanzi di spionaggio, thriller e horror. Mi viene in mente, per fare un esempio, The Passage di Justin Cronin. A rendere diffidenti i critici è stata la narrativa pulp che si scriveva nella prima metà del Novecento, e che io chiamo "lumpen-narrativa". Da allora, la narrativa di genere ha conosciuto una lenta ma costante rivalutazione. Forse è vicino il giorno in cui i romanzi saranno giudicati per i loro meriti anziché per gli argomenti di cui trattano. Anche in futuro ci sarà più robaccia che buona letteratura, quindi il ruolo del critico letterario resta importante. Solo che io, per quanto riguarda i meriti, non faccio distinzioni tra quel che scrive una come Joyce Carol Oates e quel che scrive, poniamo, Laura Lippman. Una buona storia è una buona storia, a prescindere dal genere. E qual è una buona storia? Quella che dice la verità su di noi. Sulla condizione umana.

intervista a cura di Loredana Lipperini, La Repubblica, 24 novembre 2010

Mario Serenellini

"I veri mostri sono nella realtà"

Macchè paura: vampiri, fantasmi, demoni, zombie, lupi mannari, tutte le forze del male calamitate da mezzo secolo nei suoi libri e negli incubi dei suoi lettori non sono niente rispetto all'inquietudine per quell'intrico muscolare che affianca lo scrittore nei suoi spostamenti a Parigi. Per raggiungere lo studio 134 di Radio France il tragitto è breve, ma l'ombra della guardia del corpo è lunga e, in ascensore, larga e montagnosa. È come trovarsi incastrati in una pagina di Stephen King e non sapere come uscirne. Lui è gaio, scodinzolante, pronto all'aneddoto. La sera prima, davanti a duemila spettatori, si è divertito a mettere tutti sull'attenti davanti al brivido.

A me il buio fa un po' paura. E a voi? Sapete che, secondo uno studio delle compagnie assicurative americane, il cinque per cento della gente dimentica di chiudere la porta di casa? Occhio quando rientrate nel buio della vostra camera. Mentre siete qui, qualcuno si è forse infilato sotto il vostro letto? O nella doccia, cosa assai più frequente secondo le statistiche. A proposito ora che uscite, una volta in macchina, date  una sbirciatina al retrovisore...

King gioca. Anche con il persecutore di turno, temporanea versione-stampa della micidiale fan di Misery, che lo sta sequestrando non per fargli cambiare finali di bestseller ma per farsi spiegare, lungo i corridoi infiniti alla Overlook, la ricetta: quella d'uno scrittore di sessantasette anni che nell'arco di cinquantatré romanzi e centosessanta racconti (anche sotto pseudonimo: Richard Bachman), dall'esordio con Carrie nel '74 all'ultimo Doctor Sleep, si è via via elevato agli occhi di tutti da fabbricante dozzinale di romanzi da stazione o di genere a figura maggiore nella letteratura USA, con gli invidiabili record di trecento milioni di copie vendute in trentadue lingue e almeno cento adattamenti su piccolo e grande schermo.

Nessun patto con il diavolo. Solo con me stesso. Ho scritto tanto, ma solo su quel che conosco. Le mie storie, anche se fantastiche, nascono dalla realtà minuscola della cittadina in cui abito, anzi, dal mio vicinato, provinciale e pettegolo.

Jeans sdruciti, stivali, t-shirt, Stephen King, americano qualunque ha la semplicità sicura di chi non ha nulla da nascondere. Il suo pianeta oscuro, come raccontava già in Autobiografia di un mestiere, si forma ogni volta nella banale luce quotidiana del suo quartiere, assunto a campionario universale.

Lei non conosce Bangor, nordest America, abeti e rocce del Maine? Se ha letto i miei libri la conosce, e molto bene: è la grigia Derry, la città di It, è la Haven di Colorado Kid e Le creature del buio, la Castle Rock di Cujo, La zona morta, Cose Preziose, la Chester's Mill inchiodata sotto la cupola di vetro in The Dome. Tutti "doppi" di fantasia, sperimentati ricalchi geografici e sociali, ogni volta vetrina del meglio e del peggio d'America. Io sono come gli abitanti di quei luoghi. Regolare, abitudinario, ripetitivo. Dieci pagine al giorno, ogni giorno dell'anno, Natale escluso. Uno-due libri all'anno.

Il nuovo, primo di una trilogia in uscita in Italia a fine settembre per Sperling&Kupfer, è Mr Mercedes, storia di uno che progetta una strage "simile a quella della maratona di Boston" chiosa lo scrittore.

La mia immaginazione un po' tormentata non è conseguenza di traumi o sofferenze infantili. Sono stato un bambino del tutto normale. E sono un adulto in nulla diverso dagli altri: pensi, sposato da quarantasei anni con la stessa donna, Tabitha, e padre di tre giovani impagabili.

Non va esattamente a braccetto con l'America, che esce spesso malconcia dalle sue pagine.

La guardo dal mio punto di vista di democratico e con la necessaria distanza critica. Ma l'America è il mio mondo, il paese di cui adoro il diffuso senso della famiglia, e i paesaggi: stringi stringi, rimango uno che viene dalla campagna. Ci sono però anche aspetti che detesto e che non smetto di combattere: la circolazione delle armi da fuoco, che ho attaccato in Guns, il temperamento militaresco, la cieca devozione al denaro. Tassatemi, cazzo! si intitolava l'editoriale che scrissi sul Daily Beast due anni fa sollecitando il fisco a una maggiore severità con i Paperoni d'America. Quella volta sì che devo aver fatto davvero paura a qualcuno.

Con tutto l'horror in circolazione, nei libri, nei film, nella realtà, è diventato più difficile sfornare situazioni da brivido?

Sì. Quando, ancora giovane, vidi per la prima volta il film di Brian De Palma tratto da Carrie, mi ricordo che alla sequenza finale d'una mano che di colpo esce dalla tomba c'è stato in sala un soprassalto collettivo. Ma poi tanti film hanno copiato quella scena... chi mai oggi ne sarebbe impressionato? Anche nel cinema siamo al riciclaggio continuo, alla catena di montaggio della paura. Abbiamo perso l'innocenza della sorpresa. Il mio più grande terrore lo provai a dodici anni: la sequenza della vasca in I diabolici di Clouzot, dove un uomo, sott'acqua, pare morto e, d'improvviso, apre gli occhi. Occhi completamente bianchi.

Ha provato grandi paure anche da adulto?

Ho subìto cinque anni fa un incidente quasi mortale, a pochi passi da casa: ho temuto, per mesi, di non poter più riprendere a scrivere e a vivere. Oggi s'addensano altre ombre: un restringimento della retina che potrebbe portarmi alla cecità. I veri mostri sono nella realtà. Si chiamano cancro, Alzheimer. Sono questi i miei veri terrori: perdere la vista o la memoria, azzerare lo sguardo o il cervello. Libri e film dell'orrore hanno ridotto a metafora le nostre minacce quotidiane, trasponendo in game fantasy le sfide reali che ci aspettano: Alien, per esempio, dove la creatura spaventosa che esce dalle viscere delle vittime è l'incombente mistero che viveva da sempre dentro il nostro corpo, la malattia che non avevamo mai guardato in faccia e ora ci sbava addosso il nostro destino.

Nei romanzi di King rivivono spesso i suoi drammi privati. In Shining e in Doctor Sleep l'alcolismo e la droga, da cui si è liberato.

Sì, sono autobiografici quanto alla mia passata dipendenza. Ma non sono mai stato violento, non ho mai picchiato i miei figli. In qualsiasi scritto, anche autobiografico, è sempre l'immaginazione a prevalere.

Per la regia di Shining se l'era presa con Stanley Kubrick. Il sequel, Doctor Sleep, è una sua personale rivincita, una riappropriazione?

Trovo straordinari tutti i film di Kubrick, ma Shining iberna il romanzo, che era uno studio di carattere, d'un uomo malato che cerca d'esser forte e fallisce. Nel film, invece, Jack Nicholson è pazzo sin dall'inizio, pare appena uscito da Qualcuno volò sul nido del cuculo. Si sa, un film è come un figlio che si manda a scuola. Il genitore si augura il meglio, ma perde il controllo diretto.

L'hanno definita la prima popstar della letteratura USA, per lo stile ma anche perché è un abile chitarrista. Come interagisce la musica nella sua pratica di scrittore?

La saga di La torre nera è vicina a una playlist, intrisa di cultura pop, gli Stones, ZZ Top... La musica mi accende le immagini, dà pepe alla storia. La torre nera è nata dalla musica: in una sala di cinema, dalla colonna sonora di Ennio Morricone per Il buono, il brutto e il cattivo.

Che cosa l'attira del soprannaturale?

Mi diverte, mi piacciono i fantasmi, tutto quel che ci dà la pelle d'oca. Ma la paura non mi basta: il mio proposito è di trasmettere emozioni, stabilire un legame intimo, profondo con il lettore. E, una volta messo in moto un evento particolare, desidero vedere e descrivere "come va a finire". Che mai succederà se qualcuno scivola nel cervello altrui, come in Shining o in Doctor Sleep? Non è più questione di soprannaturale, ma di osservazione della natura umana. È questo, alla fine, il lavoro di ogni scrittore: non molto lontano dall'immaginazione infantile, ultima oasi di libertà prima dell'integrazione nella routine sociale. Scrittori, cineasti, artisti godono del privilegio di rimanere bambini per tutta la vita: autorizzati a una perpetua ora di ricreazione! Delegati al gioco per conto di quanti non ne hanno più il tempo, la voglia o la possibilità. Per questo supplemento d'infanzia siamo persino superpagati quando chiunque l'accetterebbe gratis.

 

grazie a: Repubblica, 21.09. 2014