inizio rosso e giallo


Martin Cruz Smith


Correva l'anno 1981, l'Unione Sovietica c'era ancora e (apparentemente) in ottima salute, almeno dal suo punto di vista.
E un americano ha l'idea di creare un investigatore moscovita... Il bello è che ci riesce, eccome, con un'ambientazione ben documentata e atmosfere altrettanto credibili (che poi oggi ci appaiano lontane è un altro discorso).
Così, all'uscita di Gorky Park, si scriveva su Indice* (1981):

"Russi, bielorussi, ebrei, tartari, armeni, georgiani, lettoni: insomma, a Mosca c'è un sacco di gente e la città è tra le più grandi del mondo. Eppure non c'è criminalità. Dice: già, i delinquenti se ne stanno chiusi nel Cremlino e i loro peccatucci li fanno per procura, magari a Praga o a Varsavia. Sarà, fatto sta che nelle capitali della nostra cara civiltà occidentale i criminali lavorano con profitto sia nei palazzi di governo che per le strade, così il cittadino non sa mai cosa gli può capitare.
Pochi delitti, dunque, a Mosca. Troppo pochi, forse, tant'è che Arkady Renko, capo della Squadra omicidi della polizia moscovita, si trova un po' spiazzato quando nel cuore della città, proprio nel parco più amato dagli abitanti di Mosca, trova ben tre morti ammazzati. Quasi quasi, dice, anzi, pensa Renko, è meglio che se ne occupi il Comitato per la Sicurezza dello Stato - KGB tanto per intenderci - visto che i tre cadaveri, probabilmente non tutti sovietici, hanno mica l'aria di essere cadaveri per i soliti motivi di vodka o di gelosia. Tuttavia, malgrado la faccenda si vada sempre più complicando (altri omicidi, riusciti e non, passato e presente di uno strano uomo d'affari americano, intercettazioni telefoniche, ambigui colloqui), il KGB controlla ogni passo di Renko, lo fa anche inciampare, ma non intende assumersi la diretta responsabilità delle indagini. Che fare?
Renko non è poliziotto per vocazione, ma il suo mestiere lo sa fare e decide di scoprire come va a finire, pur sapendo che sarà una grana. E infatti, la moglie lo pianta, lo riempiono di botte, lo licenziano, e se non lo ammazzano è forse perché il KGB non è il peggior di tutti i mali.
Il solito detective sfigato e antieroe, che si trova in mezzo a cose più grandi di lui? Magari talmente russo che, pur sopportando la tessera del partito, non ha nessuna voglia di "scegliere la libertà"?

No. Certamente uno dei motivi d'interesse del libro è la fisionomia del protagonista, ma il bello è proprio la storia. Purtroppo c'è di mezzo anche la Storia, e quindi ritroviamo non pochi dei luoghi comuni sapientemente coltivati dalle nostre parti sull'Unione Sovietica: gli ubriaconi, le strade piene di tristezza, il mercato nero, i burocrati cattivi, il sogno americano, ecc.
A parte il fatto che in URSS casomai sono ben altre le cose che non vanno, checché ne dica l'Armando, questi stereotipi non sono oltremodo fastidiosi; anzi, malgrado tutto sono il frutto di un tentativo di rappresentare la realtà fuori dai soliti schemi, tanto da risultare motivo di sorpresa che l'autore, americano, sia stato fino a ieri uno dei tanti (e Mondadori, con "Segretissimo", sa bene che sono davvero tanti) insopportabili confezionatori di storielle di cappa(gibì) e spada, in cui i boys della CIA, belli, forti e buoni, salvavano il mondo dai perfidi del KGB, brutti, bruti, rozzi.
Povero lan Fleming, sarà stato anche un po' fascista, ma almeno sapeva scrivere decentemente, ti raccontava delle storie tanto poco credibili quanto divertenti: oggi, invece, i proprietari dei diritti su James Bond riesumano 007 per fargli vivere un'avventura ai limiti dell'idiozia pura, scritta da un tale che non sarebbe nemmeno in grado di buttar giù una sceneggiatura di un film di Pierino. Ma questo è un altro discorso: di spy stories avremo occasione di riparlare.
Tornando a Gorky Park, e senza scomodare Dostoevskij e le Carré, o Victor Hugo, o Simenon, Renko ricorda una di quelle persone, che puoi incontrare dovunque durante un viaggio, che per simpatia, per crudeltà, per noia, chissà?, ti prendono bruscamente sottobraccio e ti fanno vedere la "vera" faccia di una città, che altrimenti guarderesti con l'occhio burocratico del turista. Ma, per l'appunto, non è mai la vera faccia della realtà, solo un'interpretazione, del tutto casuale rispetto al tipo di "guida" incontrata.
Così sembrerebbe Renko: figlio di un generale che faceva mozzare le orecchie ai soldati tedeschi prigionieri, non sa fare a cazzotti; inacidito da una moglie che lui ha sempre annoiato, fa l'amore, con un'indiziata, come Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi; poco incline a seguire le regole della carriera, prova ripugnanza per la "libertà" americana.
Cosi sembrerebbe Renko: un tipo svogliato e attento, a seconda dei casi, che non sa programmare, fortunatamente, il giusto dosaggio di cinismo e ingenuità, un personaggio che ti parla di una vicenda insolita in cui si sono accumulate tante vicende normali. E probabilmente è solo lì la ragion d'essere di un thriller: immagazzinare una serie di sostanze normali e combinarle in modo tale che ne risulti una reazione chimica straordinaria: che poi questa straordinarietà abbia un qualche interesse o meno per lo spettatore, dipende in buona misura dall'elemento catalizzatore, e da questo punto di vista l'Investigatore-Capo Arkady Renko (nome tipo serial holliwoodiano), e lo stesso maggiore del KGB, Pribluda (nome tipo Cattivo Della Situazione), valgono la pena di essere osservati con una certa attenzione."

A distanza di molti anni l'opinione sulla bravura di Smith si rafforza decisamente: quello che sembrava un (felice) azzardo, quasi una stravaganza, si è rivelato un impegno molto serio, un terreno fertile sul quale l'autore si è mosso con grande competenza e, soprattutto, con un ésprit raffinato e un affascinante talento.
Le vicende in cui si dibatte Renko sono quasi del tutto prive dei luoghi comuni così frequenti nella letteratura, nella cultura, americana, quando c'è di mezzo un paese così lontano - non solo geograficamente - come la Russia, oltre a tutto gravato dalla tragica storia del (fasullo) comunismo sovietico. Situazioni, luoghi, burocrazie, neocapitalismo, persone, sono dipinti da un vero, e a modo suo appassionato, conoscitore di quelle terre così remote e così vicine.
A questo, che già collocherebbe Smith tra i migliori costruttori di storie, si aggiunge una lieve e profonda attenzione verso temi frequentatissimi dalla letteratura ma troppo spesso risolti superficialmente, o con spocchia accademica: amore, amicizia, famiglia, giustizia, lealtà.

 

  • I due cuori di Roman Grey (Canto for a Gypsy), Mondadori, 1972, 1999
  • The Analog Bullet (1972)
  • Inca Death Squad (1972) - pseud. Nick Carter
  • The Devil's Dozen (1973) - pseud. Nick Carter
  • The Human Factor (1975) - pseud. Simon Quinn
  • The Wilderness Family (1976) - pseud. Martin Quinn
  • Roman lo zingaro (Gypsy in Amber, 1975), Rizzoli, 1975
  • L'ala della notte (Nightwing, 1978), Mondadori, 1977, 1998
  • Gorky Park (Gorky Park, 1981), Mondadori, 1981, 2012 - da cui il film di Michael Apted, con William Hurt e Lee Marvin
  • Los Alamos (Stallion Gate, 1986), Mondadori, 1986, 2008
  • Overture to Death (1986)
  • Stella polare (Polar Star, 1989), Mondadori, 1990, 2015
  • Red Square (Red Square, 1992), Mondadori, 1996, 2013
  • Havana (Havana Bay, 1992), Mondadori, 1999
  • La rosa nera (Rose), Mondadori, 1996
  • Tokyo Station (December 6), Mondadori, 2002
  • Lupo mangia cane (Wolves Eat Dogs, 2004), Mondadori, 2005, 2015
  • Il fantasma di Stalin (Stalin's Ghost, 2008), Mondadori, 2009, 2012
  • Le tre stazioni (Three Stations, 2010), Mondadori, 2011
  • Tatiana (Tatiana, 2013), Mondadori, 2015
  • La ragazza di Venezia (The Girl from Venice, 2016), Mondadori, 2016




 Indice* Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana... Una piccola libreria, Rinascita di Udine, pubblicò alcuni numeri di Indice, qualcosa a metà tra il bollettino d'informazioni librarie e la piccola rivista.
Entrambi (libreria e Indice non avranno vita lunghissima, dal 1978 al 1984, ma, insomma, ci hanno provato.
Indice (fra parentesi: poi uscirà a livello nazionale una ben più ambiziosa pubblicazione periodica con lo stesso nome, ma i suoi paludati ideatori si son ben guardati dal citare il precedente) ebbe come penna di punta, e punta di penna, l'ottimo Plac, Giorgio Placereani, autore di vari libri tra cui My name is Orson Welles, oggi apprezzato organizzatore e critico cinematografico-televisivo a Udine e dintorni, con relativo blog.

I miei thriller scritti col Parkinson

Quasi certamente non è un caso se l'oggetto fondamentale al centro del nuovo thriller di Martin Cruz Smith, Tatiana, è un notebook che nessuno è in grado di decifrare. Fino a poco fa Smith ha temuto che il suo nuovo romanzo, in uscita da Simon & Schuster, fosse illeggibile. O che non fosse neppure scritto.
Autore del blockbuster del 1981 Gorky Park e di molti altri famosi libri, Smith scrive storie con personaggi che scopronoe mantengono segreti. Ma per diciotto anni ne ha conservato uno lui. Nel 1995 a Martin Cruz Smithè stato diagnosticato il Parkinson. Lui ha tenuto la sua malattia segreta, non solo all'opinione pubblica, ma anche ai suoi editorie curatori. L'ha tenuta nascosta anche quando non è più stato in grado di scrivere le parole necessarie per portare a termine il suo ultimo bestseller del 2010, Le tre stazioni.
«Non volevo che mi giudicassero in relazione alla malattia» ha spiegato il settantunenne Smith, nella sua casa vittoriana inondata di luce nella parte nord di San Francisco. «O sono un bravo scrittore o non lo sono. Non era proprio necessario che qualcuno se ne uscisse dicendo di me: "Il nostro famoso scrittore affetto da Parkinson"».
Nel parlare adesso della sua odissea, Smith di fatto spalanca una finestra su un disturbo incurabile che affligge quattro milioni di persone in tutto il mondo. L'esperienza di Smith riflette un comune desiderio di nascondere sintomi spesso stigmatizzanti, come i tremori, la lentezza dei movimenti e la rigidità degli arti. Gli hanno permesso di continuare a lavorare l'ingegno, lo spirito d'inventiva e la generosità altrui.
Tatiana, la cui protagonista è una giornalista che scrive malgrado i pericoli che attentano alla sua vita, è stato scritto in un modo molto particolare, di cui l'autore non ha mai parlato neppure al suo editore e al suo curatore. Appollaiato su uno sgabello di legno, in una stanza dal pavimento blue con una finestra decorata da creature preistoriche, Smith ha dettato il testo parola per parola a sua moglie Emily, che lo ha scritto al computer, gli ha dato costanti feedback e ha apportato tutti i cambiamenti che lui riteneva necessari.
Nessuno dei due era sicuro che sarebbero riusciti nell'impresa. Gli scrittori spesso "pensano" con la punta delle loro dita. Non sanno di preciso quello che stanno per scrivere finché le mani non sfiorano la tastiera. Eliminata questa fase, Smith sarebbe riuscito a farcela e a scrivere uno dei suoi romanzi, nei quali storia, suspense, umore cupo e personaggi sorprendenti si intrecciano in maniera inestricabile?
«Ho avuto molteplici dubbi» confessa lo scrittore. «È un po' come giocare a football con due quarterback. Ti riserva confusione, complicazioni e perdita di un contatto immediato. Quello che desideri è che la palla si muova, che l'idea di fondo resti alla tua portata».
Prima della diagnosi, Smith perdeva l'equilibrio o combinava pasticci nel tentativo di aprire una lattina, ma liquidava queste cose come «quegli strani fenomeni che spuntano fuori come i gremlin, se ne vanno e possono non ritornare prima di un anno». Poi, durante la festa del Ringraziamento del 1995, racconta, un suo amico medico gli chiese perché tenesse il braccio in una posizione strana, come se pendesse, e dopo avergli chiesto di sollevarlo si è accorto di strani movimenti e spasmi. La sua conclusione è stata una sola: «Mi dispiace, ma temo che tu abbia il Parkinson». Smith racconta che per puro caso durante quel pranzo era seduto accanto a un uomo affetto da Parkinson, in condizioni così pessime da aver bisogno di essere imboccato. Quello, dice Smith, è stato il giorno in cui «tutto il mio mondo è andato in pezzi».
Dopo tutto, Smith non è uno di quegli scrittori ancorati alla poltrona. Per i suoi libri, soprattutto quelli che hanno come protagonista il beffardo detective russo Arkady Renko, svolge ricerche approfondite sulle armi nucleari, sulla mafia russa, sugli scandali politici, viaggiando e spostandosi da Chernobyl a Cuba e in qualsiasi altro posto. Proprio come la pallottola conficcata nel cervello di Renko, che in qualsiasi momento potrebbe spostarsi, il Parkinson di Smith pareva destinato a metterlo fuori gioco del tutto. Per evitare di essere etichettato come un malato di Parkinson, Smith ha iniziatoa nascondersi dentro di sé, «trovando altri modi di fare le cose. All'improvviso farmi la barba è diventata un'avventura, come cambiare una lampadina in casa. Di sicuro i vittoriani non hanno mai sofferto di Parkinson».
Circa una decina di anni fa, ed esattamente cinque libri fa, «le cose hanno iniziato a cadere a pezzi», dice Smith. Non è più riuscito a scrivere i complessi appunti o ad abbozzare le immagini come aveva sempre fatto fino a quel momento: un'orchidea Corallorhiza per Los Alamos, i pescatori di aringhe per Stella polare. «Il mio modo di fare ricerche ne ha seriamente risentito». Così ha iniziato a girare accompagnato dalla moglie. «Io formulavo le domande e lei scriveva le risposte». Lui scattava foto, ma si è accorto che «quando non riesci a disegnare qualcosa, in un certo senso è come essere diventati ciechi». È diventato meno agile e una volta è inciampato nella Piazza Rossa. Per contenere i tremori, si appoggiava la mano al volto, come una statua di Rodin.
«Si possono tenere le mani in tasca solo fino a un certo punto. La gente potrebbe pensare che tu "stia rovistando laggiù"» dice. Mentre scriveva Tre stazioni ha commesso ripetuti errori di battitura e per correggerli e dipanare le idee in frasi comprensibili siè logorato nel fisico e nell'immaginazione.
«È stato un po' come catturare un pesce a mani nude» ha detto. E questa stessa frase l'ha inserita in Tatiana. È stato a quel punto che Em Smith, sua moglie, 70 anni, si è offerta di diventare le mani e le dita del marito. «In realtà, non sapevo che Bill fosse in grado di procedere come poi abbiamo fatto: come è possibile esprimere ad alta voce a qualcun altro ciò che senti dentro?». E Smith dal canto suo così immaginava le possibili reazioni della gente: «Quando vado dal dentista mi aspetto di trovare il mio dentista, e non che ci sia anche sua moglie». Ma nella stanza foderata di libri, che spaziano su tutto lo scibile e ogni argomento fuorché il Parkinson, gli Smith hanno saputo trovare il ritmo giusto per lavorare. Mentre lui pensava, la moglie si distraeva leggendo vecchie copie del New Yorker. Em gli disse: «Lo faccio, purché non ci siano né bambini né cani ammazzati», ossia eventi capitati proprio nel suo ultimo libro. Bill, come lui si fa chiamare, alla fine tirava fuori frasi intere molto scorrevoli, poi ritornava sulle parole e le scambiava.
Em Smith dice di aver amato molto poter entrare nel mondo di fiction del marito. Ha iniziato ad accorgersi se un dialogo suonava falso o se qualche scena appariva scarna. Gli ha suggerito di scrivere la prima stesura di una scena d'amore da solo, non in sua presenza. Adesso Smith definisce sua moglie "la mia interprete".
In Tatiana, vagamente ispirato all'assassinio della giornalista russa Anna Politkovskaja nel 2006, il notebook indecifrabile e di importanza decisiva appartiene appunto a un'interprete. Smith non ha rivelato nulla della sua malattia al suo editore finché quest'ultimo, Jofie Ferrari-Adler, non gli ha detto che il manoscritto gli piaceva molto. «Non avrei potuto essere maggiormente colpito. Non si direbbe mai e poi mai che il libro è stato scritto nel modo che mi hai raccontato». Smith ha aggiunto di non avergli rivelato di essere malato di Parkinson perché non «voleva risparmiarsi le sue critiche». Smith gli ha anche raccontato di essersi sottoposto a un intervento al cervello, dopo anni di medicine di tipo e dosi diverse. «Era estremamente difficile nel suo caso trovare la dose e il farmaco giusti. Un po' meno e aveva i tremori, un po' di più e gli venivano nausea, pressione bassa e allucinazioni» spiega il suo neurologo Jill Ostrem. Il neurochirurgo Philip Starr ha impiantato alcuni elettrodi nell'area cerebrale di Smith detta globus pallidus, che si ritiene soggetta a minori problemi rispetto alle aree nelle quali si effettuano di solito tali innesti. I medici inoltre hanno effettuato l'intervento soltanto sull'emisfero cerebrale sinistro, per curare il lato del corpo maggiormente colpito, il destro, perché «se procedi intervenendo su entrambi, rischi che il declino cognitivo sia maggiore» dice Ostrem. Oggi "la tortura dei tremori quotidiani" sul lato destro del corpo è in buona parte scomparsa. E Smith si sente sufficientemente bene da intraprendere un tour di presentazione del suo libro, e da recarsi in Italia per quello nuovo che Em sta scrivendo, perché lui non ha recuperato questa facoltà. Smith ha meno allucinazioni rispetto a prima, «anche se ieri sulle scale ho visto una signora che non c'era, e spesso appare anche un cane nero dove non dovrebbe essercene uno».
«Non sono più quello che ero, da quando ho il Parkinson» dice. «E spesso non trovo la parola che cerco, ma un suo sinonimo, il primo o il secondo. A me va bene lo stesso. Anzi, forse è meglio perché mi piacciono nuovi modi di esprimere le cose. È questo a rendere vivo il mio lavoro».

da: Repubblica, 13.11.2013 (New York Times, traduzione di Anna Bissant)