Caro Maigret,

probabilmente lei si stupirà di ricevere una lettera da me, visto che sono ormai passati circa sette anni da quando ci siamo lasciati. Quest'anno ricorre il cinquantesimo anniversario del giorno in cui, ci siamo conosciuti. Lei aveva circa quarantacinque anni. Io, ne avevo venticinque. Ma lei ha avuto la fortuna, in seguito, di trascorrere un certo numero d'anni senza invecchiare.
Soltanto alla fine delle nostre avventure e dei nostri incontri, lei ha raggiunto l'età di cinquantatrè anni, poiché il limite d'età, a quell'epoca, era, per i poliziotti, anche per un commissario capo come lei, di cinquantacinque anni.
Quanti anni ha dunque oggi? Non lo so, dato questo privilegio di cui ha approfittato per tanto tempo. Io, invece, sono invecchiato molto più rapidamente di lei, come i comuni mortali, e ormai ho superato largamente i settantasei anni. Non so se abita sempre nella sua casetta di campagna di Meung-sur Loire e se pesca ancora con la lenza; se, col capo coperto da un cappellone di paglia, si occupa sempre del suo giardino; se la signora Maigret le cucina sempre quei mangiarini che lei ama e se le capita come capitava a me alla sua età, di andare a giocare a carte nel bistrot del paese.
Eccoci entrambi in pensione, ad assaporare - almeno lo spero anche per lei - ogni piccola gioia della vita, ad aspirare l'aria fin dal mattino, ad osservare con curiosità la natura e gli esseri che ci circondano.
Mi premeva di augurarvi un buon anniversario, a lei e alla signora Maigret.
Le dica che, grazie ad un certo signor Courtine, potrebbe meritare il titolo di re dei gastronomi, le sue ricette hanno fatto il giro del mondo e che, per esempio, sia in Giappone, sia nell'America del Sud, i buongustai non trascurano di mettere qualche goccia di prugnola d'Alsazia nel loro galletto al vino.
Quanto ai suoi successori al Quai des Orfèvres, molti sono quelli che hanno adottato la sua andatura e le sue manie, e alcuni di essi, andati a loro volta in pensione, hanno scritto le loro memorie, facendo seguire il proprio nome dalla menzione 'alias commissario Maigret'.
Lei l'ha meritata in pieno. Vi abbraccio entrambi commosso, lei e la signora Maigret, che probabilmente non sospetta che molte donne l'invidiano, che molti uomini vorrebbero avere sposato una donna come lei e che, tra l'altro, un'affascinante giapponese la impersona alla televisione, mentre un giapponese crede di essere il commissario Maigret.

Affettuosamente,


Georges Simenon



Era l'ottobre 1979. Con questa lettera pubblicata su Le nouveau illustré, Georges Simenon festeggiava il cinquantesimo compleanno del suo personaggio, nato appunto nel 1929.
Poche date contano nella storia della narrativa poliziesca tradizionale o no come il 1929. Quell'anno, infatti, mentre con Il falcone maltese l'americano Sam Spade di Dashiell Hammett diventò un vero e proprio eroe di romanzo, iniziò la sua carriera, con Pietr le Letton, un altro grande investigatore di carta: il francese commissario Maigret - concepito durante una crociera sul cutter Ostrogoth - di Georges Simenon.
È davvero una coincidenza straordinaria, ma le coincidenze in letteratura - perché di buona letteratura si tratta a proposito di Hammett o Simenon, letteratura superiore anche a quella di Chesterton, di Collins e persino del Poe, delle tre storie di Dupin - non sono mai troppo occasionali, troppo fortuite: il genere, pur logorandosi, aveva raggiunto una diffusione enorme, prima o poi, come in tutti i generi, doveva-imporsi il poeta, capace di riscattare gli schemi con il tocco della vita, di umiliare l'artificiosità davanti alla naturalezza.
Di naturalezza, appunto, non di naturalismo, si deve parlare per i libri polizieschi di Simenon: una naturalezza più naturale del naturale stesso, l'attrazione di un'opera che pare non voler conoscere costrizioni di misura ed entità, che ha continuato a espandersi, trionfo e insieme minaccia di fine per l'avventura d'una narrativa che i suoi stessi creatori avevano concepito meccanica e gli sfruttatori avevano fatto diventare assurda, una specie di vizio più o meno - più meno che più - intellettuale.
Nel romanzo poliziesco all'inglese, l'eroe è un atteggiamento, gli altri personaggi sono pedine della scacchiera della dama, le loro azioni mosse studiate ed eseguite, nei casi migliori, matematicamente, solo la fine può scusare se non giustificare i mezzi.
Nel romanzo poliziesco all'americana l'eroe è in movimento, gli altri personaggi sono citazioni della cronaca nera dei quotidiani, le loro azioni sono riprese, documentate, nei casi migliori, cinematograficamente, insomma solo i mezzi possono scusare, se non giustificare la fine. Nel romanzo poliziesco di Simenon - vogliamo chiamarlo alla francese?, dopo tutto, questo scrittore di nascita belga, realizza e porta più oltre le aspirazioni di Gaboriau in Lecoq - non corriamo mai il rischio d'imbatterci in una macchina immobile né in una macchina mobile: Maigret, questo grosso florido borghese, con la sua pipa, con il suo tabacco popolare, con il suo sano gusto per il vino e il cibo, con il suo cappello duro, il suo soprabito dal bavero di pelliccia, con il suo ombrello imbarazzante, con le sue scarpe dall'elastico, questo grosso, florido borghese che non crede ormai più nell'ordine, ma dall'infanzia si trascina "una specie di senso del dovere" "il timore di non aver mai fatto abbastanza per guadagnare il pane", tanto da sentirsi "quasi colpevole", quando va in vacanza, cosa che non gli accade tutti gli anni, questo grasso, florido borghese che confessa: "io non penso mai", "io non ho mai un'idea", "io non concludo mai", anima con il suo girovagare capriccioso e testardo, con la sua proclamata mancanza di metodo, persone e cose intorno a sé, le fa vivere, liberandole o smascherandole? -dalla grigia patina della menzognia e della corruzione, in un'improvvisa luce di verità.

In Maigret et la vieille Dame, un personaggio dice al commissario: "Mi è capitato, come a tutti, di leggere qualche romanzo poliziesco. Inutile che vi chieda se voi li prendete sul serio. Nei romanzi polizieschi, tutti hanno qualcosa da nascondere, tutti hanno la coscienza più o meno sporca, e ci si accorge che le persone in apparenza più semplici, hanno in realtà l'esistenza più complicata. Ora che conoscete un poco la famiglia, spero capirete che nessuno di noi..."
Conoscendo la famiglia di quel personaggio Maigret avrà, però la conferma che, come sempre, il marcio esiste: l'uomo non è mai assolutamente pulito, l'umanità con cui Maigret distingue tra colpevole e colpevole - certi, i prepotenti, i superbi, è pronto a rovesciarli, a umiliarli, certi, i succubi, i miseri, è altrettanto pronto a compassionarli - è un'ammissione di complicità.
Leggiamo ancora: "Era quella una caratteristica di Maigret? O anche altri avevano le sue stesse nostalgie ma evitavano di confessarle? Avrebbe tanto desiderato che il mondo fosse come lo si vede da piccoli. Nel suo intimo lui diceva: Come nelle illustrazioni! E non soltanto lo scenario esteriore, ma anche le persone, il padre, la madre, i bambini buoni, i buoni nonni dai capelli bianchi... Perché la realtà deve essere sempre così diversa? E in tal caso perché mettere nella testa dei bambini l'illusione di un mondo che non esiste, e che per tutta la vita tenteranno di mettere a confronto con la realtà?"

Maigret sa - lui che dichiara di non aver mai idee - che la tragedia dell'esistenza è soprattutto qui: nella mposssibilità di adattare il mondo delle illustrazioni a quello delle dimensioni. Cupidigia di denaro, rancori amorosi, bestialità criminale, sono l'approdo, la rivelazione di qualche scompenso iniziale, dell'urto tra la retorica di un sogno e la violenza, una sorte comune a tutti, non solo ai delinquenti. Maigret trova sempre più d'un colpevole nelle sue indagini e quello che finisce per affidare alla giustizia non gli appare immancabilmente il peggiore: a volte, contro il peggiore gli resta solo l'arma abbastanza spuntata del disprezzo.
Ciò che più lo interessa in fondo è capire i criminali con cui ha a che fare. La consegna del colpevole alla giustizia è operazione secondaria, tanto secondaria che a volte non avviene neppure. Il commissario Maigret ci si rassegna unicamente se non può fare altrimenti, e, del resto, lui conosce bene le imperfezioni della giustizia, i suoi rapporti con la magistratura non sono idilliaci, si trova, alla fine, molto meglio con i criminali che con coloro che li giudicheranno. Maigret è un personaggio contraddittorio, non salvo dalle contraddizioni, ma dalle contraddizioni alimentato, sospinto avanti; è un uomo fatto di sfumature e sono proprio le sfumature, anche se può parer strano, tono su tono, a renderlo così solido e così plausibile. È proprio il suo essere poco eroico a renderlo eroe completo.

È anche uno dei rari investigatori della storia della narrativa poliziesca di cui si conosca a fondo la vita privata. È forse l'unico (fa eccezione Nero Wolfe, ma per ragioni tutte sue), che vediamo muoversi dentro le mura di casa sua, dove vive, opera, domina l'altro personaggio di Simenon, la signora Maigret.
Inscindibile dal marito. Henriette Maigret, che donna è?
"Il procuratore arrivò in visita. Scambiò la signora Maigret per la cameriera e le porse cappello e bastone." La signora Maigret, quindi, non è un'aristocratica, è una donna semplice, dall'aria dimessa. È però dotata, e questo lo si deduce dalla lettura dei vari romanzi, di bontà d'animo eccezionale e di una altrettanto eccezionale pazienza. Inoltre è una cuoca perfetta, (e come se no, visto che per Maigret il cibo è una delle poche consolazioni della vita?), una encomiabile donna di casa, metodica ordinata, pulita. È insomma la moglie ideale, forse per qualsiasi tipo di uomo, ma soprattutto per Maigret, un uomo senza orari, disordinato, poco loquace, spesso con la luna per traverso, irritabile e nervoso quando non ha un lavoro che lo interessa, ancor più irritabile e nervoso quando ha per le mani un caso che non riesce a sbrogliare. Un uomo sempre immerso nel fumo, e nella cenere, della sua pipa, anzi delle sue pipe,
Povera signora Maigret! Appena sposata, ci racconta Simenon, rideva, rideva per ogni minima cosa. Col passare degli anni si limita a sorridere e prende la vita con quella infinita saggezza che poi è diventata una delle sue principali caratteristiche. Senza figli, ha riversato sul suo marito-orso tutto l'affetto di cui è capace. Lo aspetta paziente, lo accudisce, lo vizia (la birra fresca sempre pronta, mai un rimprovero), e ogni tanto, seduta in poltrona a sferruzzare gli parla mentre lui distratto armeggia con la pipa tra un sorso e l'altro di calvados. E infine lo aiuta. Sì, lo aiuta, a chiarirsi le idee, con qualche frase buttata lì a caso, con qualche intuizione geniale e con tanti pettegolezzi. Un po' alla Miss Marple, insomma.


Ora Maigret è in pensione. Ci è andato dopo aver risolto l'ultimo caso, nel 1972, Maigret et Monsieur Charles. Si è ritirato, assieme alla moglie naturalmente, in una casa di campagna a Meung-sur-Loire.
Riesce difficile immaginarlo lontano dal suo mondo, da Parigi, dal Quai des Orfèvres (anche se ormai la Polizia Giudiziaria non è più al leggendario n. 36 e si è trasferita altrove), dal boulevard Richard-Lenoir, dalla brasserie Dauphine, e dai fidi Lucas, Janvier, Lapointe, Torrence.
Si annoierà, certo. Ma ci sarà lei, Henriette, a consolarlo con pranzetti sempre più succulenti. E poi forse, ritroverà le sue vere radici. Perché Maigret in provincia ci era nato e precisamente nel piccolo borgo di Saint-Fiacre di Matignon.
E già una premonizione di questo suo ritorno alle origini c'è, in un romanzo del 1944, L'inspecteur Cadavre, in cui Maigret viene spedito in provincia a svolgere un'indagine. "... Non era più un villaggio qualunque quello che lo circondava. E nemmeno lui era una persona qualunque gettata dal caso in quello scenario. Lui era qualcosa come Dio. Quel paese, lo conosceva come se ci avesse sempre vissuto, o meglio come se ne fosse il creatore. Conosceva la vita di tutte le piccole basse case appiattate nel buio, gli sembrava di vedere uomini e donne rigirarsi nel tepore del letto, seguiva il filo dei loro sogni, una piccola luce gli rivelava un bebé a cui la mamma mezzo addormentata tendeva un biberon tiepido, sentiva i dolori lancinanti della malata che abitava all'angolo e prevedeva i bruschi risvegli della droghiera sonnambula. Era al caffè, intorno alle tavole scure e lucide, con gli uomini che maneggiavano le carte sporche e contavano i gettoni gialli e rossi..."


Biografia

1887
Jules-Josephe Anthelme Maigret nasce a Saint - Fiacre, un piccolo paese della Francia centrale.

Il padre è amministratore della proprietà e del castello di Saint - Fiacre.

1895 La madre, in attesa di un secondo figlio, muore di parto. Il padre morirà nel 1906.

1899 Va a studiare al Liceo di Moulins, e poi a quello di Nantes.

1905 Si iscrive alla Facoltà di Medicina, ma interrompe gli studi due anni dopo e si trasferisce a Parigi, dove alloggia in un piccolo appartamento sulla rive gauche. Diventa amico di un suo vicino, l'Ispettore di Polizia Jacquemain, in cui ritrova una sorta di figura paterna; decide quindi di arruolarsi nella Polizia.

1909 Diventa agente ciclista ed è addetto al trasporto di pratiche e documenti nei vari uffici della Polizia di Parigi, imparando così a conoscere molto bene la città: un'esperienza utile, ma ancora limitata, e Jacquemain lo aiuta a trovare un incarico migliore, così Maigret diventa assistente del Commissario del distretto Saint- Georges.

1911 A casa di un vecchio amico conosce Louise (Henriette) Léonard, alsaziana, e si sposano l'anno dopo: avranno una figlia, morta durante il parto, e in seguito a ciò Henriette non potrà più avere bambini.

1912 I coniugi Maigret vanno ad abitare al 132 di Boulevard Richard-Lenoir, dove rimarranno fino a quando il commissario non andrà in pensione.

1913 Maigret compie la sua prima vera indagine, il caso Gendreau - Balthazar narrato in La prima inchiesta di Maigret: il giovane poliziotto conduce a buon fine l'incarico, addirittura smascherando un insospettabile, ma i delicati risvolti politici della vicenda faranno sì che il caso venga insabbiato.
Maigret è molto amareggiato (e infatti nutrirà sempre una decisa avversione verso gli intrighi politici ed i meccanismi di potere), ma il suo brillante lavoro viene comunque premiato ed egli viene promosso Ispettore.
Passa quindi dal Commissariato di zona al celebre Quai des Orfèvres (dal nome del lungosenna dove, al n. 36, vi era la sede centrale; oggi il leggendario Trente-six esiste solo come numero, perché la polizia ha traslocato, com'era già accaduto per Scotland Yard), diretto da un vecchio amico paterno, Xavier Guichard, che diventerà una sorta di mentore di Jules.
Per alcuni anni fa servizio in strada, poi alle Halles, alla Gare du Nord, approdando poi alla Buoncostume.

1917 È chiamato a far parte della Brigata Speciale, comandata dal Commissario Guillame.

Non si hanno notizie esatte sugli anni cruciali dello sviluppo della sua carriera, comunque Maigret diviene Commissario della Brigata Criminale, arrivando poi ad esserne il capo.

Naturalmente (come ricordava lo stesso Simenon nella lettera inviata a Maigret) la vita di un personaggio non ha delle cadenze reali, quindi a questo punto la vita di Maigret segue un binario tutto suo.

Nel 1933, infatti, Maigret è in pensione e si troverà ad aiutare il nipote, anche lui poliziotto (Maigret avrebbe dovuto essere l'ultimo libro), ma poi lo ritroviamo ancora in servizio, fino al

1972, quando esce la sua ultima avventura: Maigret e il signor Charles, dove a Maigret viene offerto l'incarico di Direttore della Polizia Giudiziaria.