Il tentativo di golpe di Junio Valerio Borghese

dicembre 1970

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Roma, notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970.
Gruppi militari armati, agli ordini del principe  Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS, occupano l’armeria del Ministero degli Interni e si impadroniscono di armi di ogni tipo.
Il tutto nel quadro di un'operazione che avrebbe dimostrato la reale possibilità di effettuare un colpo di stato. Questo avvenimento passerà alla storia come il tentativo di colpo di stato della “Notte dell’Immacolata“: nome in codice dell’operazione “Tora Tora“.
Un golpe che non verrà mai compiuto perché lo stesso Borghese darà l’ordine di annullamento dell’operazione.

Le varie commissioni parlamentari di inchiesta e le inchieste giudiziarie hanno accertato che Borghese, “il principe nero”, dopo aver fondato il Fronte Nazionale (1968) aveva organizzato sotto questa sigla un gran numero di neofascisti pronti a sovvertire l’ordine democratico dello stato italiano, il tutto in stretto contatto con altre organizzazioni neofasciste come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, e con l'appoggio della P2.
Sin dal 1969  il Fronte Nazionale aveva costituito gruppi clandestini armati e aveva stretto rapporti con settori strategici delle forze armate.

Borghese stesso aveva predisposto il piano “Tora Tora” , che prevedeva l’intervento di gruppi armati su diversi obbiettivi di alta importanza strategica. Sarebbero dovuti essere occupati il Ministero degli interni, il Ministero della difesa, la sede della RAI e gli impianti telefonici e di radiocomunicazione nazionale. Tutti i segretari e rappresentanti politici dei partiti presenti in parlamento arrestati e messi in isolamento.

Il Principe Borghese avrebbe quindi poi letto un “proclama” televisivo alla Rai . Ecco il testo di quel discorso mai pronunciato dal principe nero: “Italiani, l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di Stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale, ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivi bollettini, vi verranno indicati i provvedimenti più immediati e idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione”.

Davide Conti

il manifesto 12.2020


«Discutere della necessità di un colpo di Stato è stato endemico in Italia sin dalla guerra. La serie prolungata di crisi nell’ultimo anno, insieme al crescente livello di disordini sindacali, ha riportato la questione in primo piano. Sarei propenso a respingerlo di nuovo se non fosse per fattori aggiuntivi che mi sembrano rendere una tale minaccia più credibile ora di prima».

Il 7 agosto 1970 l’ambasciatore a Roma, Graham Martin, spedisce a Washington un telegramma che informa dei piani eversivi del Fronte Nazionale (FN) di Junio Valerio Borghese, l’uomo che gli agenti segreti Usa avevano salvato dalla giustizia partigiana come molti altri fascisti nel dopoguerra.
Martin non considerò l’operazione «Tora-Tora» un’iniziativa di vecchi arnesi del regime e, scrive l’ambasciatore, lo stesso pensava la direzione del PCI «poiché il 25 maggio, quando emerse un’altra voce del genere, non un solo dirigente comunista dormì nel suo letto quella notte».

Il 1970 si era aperto sull’eco della strage di Piazza Fontana ed il Paese, mentre diventava legge lo Statuto dei lavoratori e nascevano le Regioni, era attraversato da forte tensione.
Il 14 luglio esplose la rivolta di Reggio Calabria (5 morti, migliaia di feriti, 12 attentati dinamitardi, 23 scontri a fuoco). Il 22 luglio si consumò la strage di Gioia Tauro (6 morti, 72 feriti).

In Calabria FN svolse attività «rilevante» – scrive un rapporto di Ps – inserendosi «nelle manifestazioni e nei disordini in combutta con gli altri gruppi dell’estrema destra Movimento Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale».
Borghese tenne due comizi a Reggio ad ottobre ‘69 e ad agosto ‘70 e in quell’arco di tempo si verificarono l’attentato alla questura (compiuto da uomini del FN); l’inizio della rivolta; la strage di Gioia Tauro.

Prima del golpe , FN – scrive il controspionaggio – aveva goduto di «cospicui finanziamenti». A Firenze «la quota concessa è stata così sostanziosa che il dirigente non è riuscito ad impiegarla» mentre a Milano «tramite il capo della massoneria locale» Borghese ricevette «assicurazione di poter fare affidamento sulla somma di due miliardi di lire».
FN era deciso ad «insorgere» per sventare il «possibile inserimento al potere del PCI».

La notte del 7 dicembre il «golpe Borghese» prese avvio ma fu improvvisamente bloccato da un contrordine quando i congiurati erano già entrati nel ministero dell’Interno.
«Una riunione di numerosi elementi – scrive il SID – appartenenti a Fronte Nazionale, Associazione Paracadutisti e Avanguardia Nazionale era stata dichiarata disciolta dagli organizzatori senza fornire dettagliate specificazioni».

Il 17 marzo 1971 il tentativo eversivo divenne pubblico con lo scoop di Paese Sera.
«L’operazione – scrisse la questura di Roma – avrebbe dovuto essere una prova generale per un colpo di Stato, un’azione di commandos, poi rinviata per inspiegabili motivi». Essa si proponeva «di creare panico e disorientamento al fine di rendere necessario l’instaurazione di un governo forte».
Degli avvenimenti – scrive il Sid – «non sarebbero stati all’oscuro l’Ammiraglio Birindelli (comandante navale Nato Sud-Europa), il Capo di Stato Maggiore della Marina e dell’Esercito, il Comandante della III Armata e delle fanterie del Sud-Europa e alcune personalità del Quirinale».


Nonostante depistaggi  e vanificazione dei processi (imputati tutti assolti) alcuni elementi storici sono oggi consolidati.
Il ruolo della P2 di Licio Gelli (che avrebbe dovuto rapire il Presidente della Repubblica); l’interlocuzione tra ambienti USA e FN con gli incontri tra l’agente Cia Hugh Fendwich e Remo Orlandini, braccio destro di Borghese; la conoscenza diretta del piano eversivo da parte del SID; la mancata consegna alla magistratura (responsabili il generale Maletti e il ministro della Difesa Andreotti) di una dettagliata documentazione che indicava i nomi di partecipanti al golpe come l’ammiraglio Giuseppe Torrisi (poi asceso alla carica di Capo di stato maggiore della Difesa) e Licio Gelli.

La prospettiva strategica  strategica dell’operazione, da parte degli apparati Usa coinvolti, non fu quella di un colpo di Stato come in Grecia ma il rafforzamento dei partiti di governo su base emergenziale.
Si spiegano così il contemporaneo finanziamento concesso da Martin al capo del SID Vito Miceli, implicato (assolto) nel golpe e le informazioni fornite dalla stessa ambasciata Usa a Saragat, Colombo e Tanassi; nonché la funzione dalla P2.

Non fu un golpe da operetta. Gaetano Lunetta, responsabile FN in Liguria spiegò: «Il golpe Borghese c’è stato davvero, siamo stati padroni assoluti del Viminale, è anche sbagliato definirlo golpe tentato e poi rientrato. Il risultato politico che voleva è stato raggiunto: congelamento della politica di Aldo Moro, allontanamento del PCI dall’area di governo, garanzie di una totale fedeltà filoatlantica e filoamericana. La verità è che il golpe c’è stato ed è riuscito».