Comunismo di guerra e NEP

Il cosiddetto comunismo di guerra fu l'insieme dei provvedimenti economici e sociali presi in Russia subito dopo la rivoluzione, tra il 1918 e il 1921: si trattò di una serie di durissime azioni volte a controllare la drammatica situazione in cui si trovava il paese, dilaniato dalla guerra civile e minacciato dall'intervento straniero, con un'economia disastrata dalla prima guerra mondiale e dall'inevitabile caos seguito alla rivoluzione.
In base alla teoria marxista era indispensabile un periodo, più o meno lungo, per realizzare quell'accumulazione di capitale neccessaria per avere le risorse economiche di base rispetto al processo di costruzione del socialismo; Lenin non s'illudeva di poter realizzare tutto ciò in pochi anni dalla presa del potere, ma le condizioni della guerra civile imposero di fatto questo tipo di politica eccezionale.
Con la sconfitta dei bianchi (1921), e visti anche gli scarsi successi in termini di produttività, il comunismo di guerra fu abbandonatoo per lasciar spazio alla nuova politica economica (NEP).

Il potere dei soviet era gravemente minacciato dalle armate bianche e dai corpi di spedizione occidentali (Regno Unito, Francia, USA) e per respingere questi attacchi e far fronte alla carestia era necessario un controllo diretto delle derrate alimentari e della produzione industriale da parte dello stato bolscevico.
Oltre alla nazionalizzazione delle industrie, che vennero gestite da comitati operai, il comunismo di guerra fu caratterizzato dal fatto che lo stato assumeva anche il controllo diretto della produzione agricola, smantellando le strutture latifondiste ed operando ampie requisizioni di derrate alimentari ai danni dei contadini. Ogni compravendita privata fu vietata ed il cibo, razionato, poteva essere acquistato solo con le "tessere"; misure che però portarono alla diffusione del mercato nero e al sensibile impoverimento della popolazione urbana.

Dal punto di vista politico l'introduzione di queste misure contrastò violentemente con le parole d'ordine rivoluzionarie: lo sciopero fu vietato e anzi venne introdotta la militarizzazione del lavoro, con turni pesantissimi. La pena di morte, abolita dopo l'ottobre 1917, fu reintrodotta per il reato di "attività controrivoluzionaria". Venne soppressa ogni libertà d'opinione e furono chiusi tutti i giornali non in linea con la nuova strategia del partito bolscevico. Chi veniva considerato "non lavoratore" (categoria molto ampia che comprendeva anche i contadini che facessero uso di braccianti sulle proprie terre) era passibile di essere perseguito penalmente. La Ceka, la polizia politica, fu l'organo statale incaricato di far rispettare questi durissimi provvedimenti.

Malgrado la sua estrema durezza il comunismo di guerra si rivelò indispensabile per superare una situazione oggettivamente disperata e consentì al fragile stato bolscevico di sopravvivere.
Il controllo sulla produzione permise di rendere l'Armata Rossa un esercito professionale e di garantirne l'approvvigionamento per tutta la durata del conflitto.
Le conseguenze economiche non furono altrettanto positive: la produzione agricola crollò per lo scarso rendimento del lavoro e anche quella industriale non riuscì a garantire i risultati sperati.
Sul piano sociale le conseguenze furono ancora più drammatiche: Lenin, richiamandosi all'esperienza della rivoluzione francese, aveva ritenuto, giustamente, che il terrore rosso fosse una misura straordinaria ma inevitabile per impedire la controrivoluzione, ma tra la popolazione accanto all'entusiasmo per le conquiste rivoluzionarie si diffuse anche un forte sentimento di paura; tanto che si ritenne opportuno sciogliere la Ceka alla fine del comunismo di guerra, per sostituirla con la GPU, che sarà poi lo strumento principale di Stalin per imporre la sua dittatura personale.

La scelta di abbandonare il comunismo di guerra venne presa inseguito a numerose ribellioni operaie e soprattutto dopo l'ammutinamento della base navale di Kronstadt, i cui soldati erano stati tra i più decisi sostenitori della rivoluzione d'ottobre: fu lo stesso Trotskij a dirigere la repressione.

A questo drammatico periodo seguì la NEP, il sistema di riforme economiche che Lenin avviò per rimediare ai disastri economici del comunismo di guerra e della guerra civile.

La NEP reintrodusse la piccola proprietà privata nell'economia, in particolare in agricoltura. Sostituì il comunismo di guerra, considerato insostenibile in una nazione ancora sottosviluppata e dilaniata dalla guerra civile appena conclusa. Sebbene l'industria fosse totalmente nazionalizzata s'introduceva il concetto di autosufficienza e autonomia aziendale e si permetteva per la prima volta ai contadini di vendere i propri prodotti sul libero mercato nazionale, fatta salva la parte che spettava allo stato.
Lo stesso Lenin considerava la NEP, per quanto necessaria, un passo indietro nel cammino verso il socialismo: "Non siamo ancora abbastanza civilizzati per il socialismo", diceva riferendosi alla condizione prevalentemente agraria della Russia del tempo, con una piccola popolazione urbana e operaia, che non permetteva un passaggio alla società pienamente socialista.

La NEP ebbe un buon successo nel rinsaldare l'economia sovietica dopo il terribile periodo della prima guerra mondiale, della rivoluzione e della guerra civile con i bianchi. In particolare aumentò enormemente la produzione agricola e rallentò la carestia in corso. Il problema della scarsa produttività del lavoro venne risolto con lo stimolo economico del mercato libero e la concorrenza tra le industrie (per quanto soggette allo stato). La riforma creò una nuova classe dalle caratteristiche originali: gli uomini della NEP, come erano chiamati, erano coloro che si erano arricchiti grazie alle nuove possibilità di mercato, ma che non godevano di alcun diritto politico, in quanto non considerati lavoratori. Saranno tra i principali bersagli della persecuzione staliniana successiva alla morte di Lenin.


La NEP fu abbandonata pochi anni dopo la morte di Lenin (1924), perché si riteneva che i suoi obiettivi fossero stati raggiunti e si dovesse passare ad una fase più avanzata della costruzione del socialismo. Fin dall'inizio la NEP fu vista come una misura provvisoria e raccolse pochi consensi tra i marxisti ortodossi del partito bolscevico perché introduceva degli elementi capitalistici.

Il successore di Lenin, Stalin, avrebbe messo fine all'esperimento nel 1929, non appena ebbe il pieno controllo dell'apparato del partito: venne introdotta una politica economica completamente centralizzata (idea presa dalla sinistra trotzkista del partito, da lui stesso epurata), e si avviò a tappe forzate il processo di riorganizzazione dell'economia: industrializzazione pesante e collettivizzazione agricola basata sulle comuni agricole (kolhozy) e sullo sterminio dei kulaki, i contadini ricchi.

 

v. anche Leon Trotsky,The history of the Russian Revolution