Ad
              uno sguardo superficiale, se si considerano cioè solo
              i discorsi  ufficiali, il XVII Congresso del PCUS fu estremamente
              favorevole  a Stalin, acclamato senza riserve da tutti gli oratori.
              Eppure,  dei 1.966 delegati presenti nella grande sala del Cremlino
              in quel  26 gennaio 1934, all'apertura del congresso, ben 1.108
              moriranno  per suo ordine negli anni successivi e, tra loro,
              98 dei 139 membri  del Comitato Centrale. Cerchiamo dunque di
              raffigurarci la grande  sala dalle pareti tappezzate di rosso,
              i ritratti che le ricoprono,  la tribuna che la domina. Quel
              giorno la storia ha dato appuntamento  alla storia. 
              Dal resoconto stenografico: "L'ingresso in sala del compagno 
                Stalin è accolto da clamorosi applausi." I delegati, 
              in piedi, gridano: 'Urrà!", 'Viva il compagno 
                Stalin!" 
              Stalin legge un lungo rapporto che esalta i risultati del primo
            piano quinquennale e traccia le grandi linee del secondo. Alla
            tribuna  siedono Kirov (assassinato alla fine dell'anno), Ordonikidze
              (che si suiciderà nel 1935), Kujbyšev (morto nel 1935
              in circostanze misteriose), Rudzutak (il presidente della Commissione
              Centrale di controllo, fucilato nel 1938), Kalinin, presidente
              dell'URSS,  Vorošilov, capo dell'Armata Rossa, Koser
              (fucilato nel 1937), 
              Çubar (fucilato nel 1938), Postyšev (fucilato nel 1938),
              Eiche (fucilato nel 1940), Petrovskij (allontanato poi da ogni
              incarico), e infine i fedelissimi di Stalin, danov, Mikojan,
              Kaganoviç 
              e Molotov. 
              Nella sala i delegati sono attentissimi. Si notano tra gli altri
              Jagoda, il capo dell'OGPU (fucilato nel 1936) ed 
              i suoi successori, Eov (fucilato nel 1938) 
              e Berija (fucilato nel 1953, il primo ad essere 
              colpito dalla destalinizzazione). 
              Non lontano da loro siedono i vecchi bolscevichi incanutiti sotto 
              il peso di tanti anni di carcere, di emigrazione e di deportazione, 
              i compagni di Lenin: Zinovjev, Kamenev, Bucharin,
                Tomskij, Preobraenskij, 
                Radek, Rykov. I delegati più giovani guardano con interesse 
              e inquietudine la vecchia guardia. Un solo assente, Trotskij, sempre 
              in esilio. Settant'anni di storia riuniti nella sala del congresso 
              in quella fredda giornata del gennaio 1934. Fuori un gelo da spaccare 
              le pietre. Nel suo mausoleo il cadavere imbalsamato di Lenin. I 
              delegati stranieri sono giunti a decine: dirigenti del Comintern 
              e Segretari dei Partiti comunisti (spesso clandestini). 
              Come non provare una stretta al cuore pensando al drammatico destino 
              di quei delegati, un destino che è il riflesso di quello 
              di tutto un popolo, di tutta un'epoca? Hanno già dovuto affrontare 
              molte prove, ma non sono nulla a paragone di quelle che dovranno 
              ancora venire: il terrore stalinista, la seconda guerra mondiale, 
              la ricostruzione. 
              In ogni caso, è sintomatico delle contraddizioni reali esistenti
              in quel 1934 il fatto che tutti gli ex oppositori, ad eccezione
              di Trotskij, siano presenti al Congresso. E ancor 
              più significativo è il fatto che vengano ascoltati 
              attentamente. Nel suo rapporto Stalin denuncia con forza il trotskismo, 
              ma non attacca nessuno dei presenti, alcuni dei quali sono appena 
              tornati dalla seconda deportazione. Si ha la sensazione che si tratti 
              di un vero congresso di unione del partito e che si sia adottato 
              una sorta di compromesso per evitare discussioni che, dall'una e 
              dall'altra parte, metterebbero in pericolo questa unità.  
              Inoltre, gli interventi degli ex oppositori che saranno fatti tutti 
              morire tra il 1936 e il 1938 non mancano di interesse. Bucharin, 
              ad esempio, comincia col rendere omaggio a Stalin e fa un'autocritica 
              di una sincerità che farebbe sorridere se non fosse tragica. 
              "Le condizioni della vittoria del nostro partito sono state, 
                in primo luogo, l'elaborazione di una linea notevolmente giusta 
                ad opera del Comitato Centrale e del compagno Stalin, in secondo 
                luogo la realizzazione diligente e coraggiosa di questa linea e, 
                in terzo luogo, l'implacabile liquidazione delle opposizioni e dell'opposizione 
                di destra come pericolo principale, vale a dire dello stesso gruppo 
                del quale ho fatto parte io stesso." 
              Più avanti, Bucharin pone l'accento sui cambiamenti provocati 
              dalla realizzazione del primo piano quinquennale sotto il profilo 
              tecnologico, sottolineando con grande intelligenza il nuovo ruolo 
              assunto dalla scienza nella produzione. Ed ancora mette in guardia 
              con gran forza sul pericolo di guerra, ricondotto a due matrici 
              fondamentali: la Germania fascista e l'impero nipponico. E cita 
              a lungo il Mein Kampf di Hitler, mentre nel suo discorso 
              Stalin fa una critica superficiale del nazismo, limitandosi a dire: 
              "Siamo ben lontani dall'entusiasmarci per il nazismo." 
              E se critica la politica di superiorità razziale della Germania 
              nei confronti degli slavi, non pronuncia nemmeno il nome di Hitler; 
              partendo dall'idea giusta che il fascismo è un sintomo di 
              debolezza della borghesia, Stalin ne sottovaluta la dannosità 
              e l'originalità. Bucharin, invece, sottolinea il pericolo 
              che incombe sull'Unione Sovietica e conclude con queste parole: 
              "Ecco il volto bestiale del nemico di classe. Ecco ciò 
              che si presenta ai nostri occhi; ecco, compagni, ciò che 
                dovremo fare nelle battaglie piu gigantesche che la storia ci abbia 
                mai imposto. Sappiamo petfettamente che il nostro campo è 
              quello che lotta per il socialismo ed è quindi il campo di 
                coloro che si battono per la tecnica, la scienza, la cultura e la 
                felicità degli uomini." 
               
              Molti dirigenti del partito avrebbero voluto mettere Kirov 
              al posto di Stalin: il Testamento 
              di Lenin restava ben presente alla memoria della maggior parte di 
              loro. Certo, il testamento non era stato pubblicato nell'URSS (1), 
              ma il testo era stato egualmente stampato nel bollettino del Congresso, 
              e quindi molti delegati ne erano a conoscenza. Kirov, segretario 
              del partito a Leningrado, membro del Politburo, era stato un fedele 
              luogotenente di Stalin fino al 1933 ed aveva avuto una parte importante 
              nelle battaglie contro gli oppositori nel partito; non accettò 
              di essere contrapposto a Stalin, ma durante le elezioni al Comitato 
              Centrale fu cancellato dalla lista solo tre volte contro le 270 
              cancellature di Stalin. E questi se ne ricorderà a tempo 
              debito. In quell'inizio del 1934, però, la situazione imponeva 
              ancora la conciliazione. 
              Le elezioni del Comitato Centrale furono un chiaro riflesso di questa 
              esigenza. Furono eletti alcuni giovani: Berija, danov, Krusëv, 
              Eov (uomo di fiducia di Stalin), Bulganin, che dovevano avere 
              un ruolo importante nei trent'anni successivi, mentre vennero rielettl 
              tutti i dirigenti già eletti al XV Congresso del 1927; furono 
              rieletti anche alcuni vecchi dirigenti dell'opposizione che avevano 
              fatto onorevole ammenda.  
              Insomma, Stalin restava in libertà vigilata. Del resto, alcune 
              modifiche allo statuto del partito insistevano sulla democrazia 
              intema del partito con la stessa forza con cui esigevano una rigorosa 
              disciplina: era specificato che i congressi del partito dovevano 
              tenersi ogni tre anni e che il Comitato Centrale riunirsi ogni quattro 
              mesi. I rapporti tra i vari organismi dirigenti venivano così 
              puntualizzati: "Il Comitato Centrale affida il lavoro politico 
                all'Ufficio Politico, la direzione generale del lavoro organizzativo 
                all'Orgburo e il lavoro quotidiano di organizzazione e di esecuzione 
                alla Segreteria." Ora, questo equivaleva praticamente 
              relegare in secondo piano la Segreteria (e il Segretario generale 
              con essa).  
              Le espulsioni dal Comitato Centrale potevano essere decise unicamente 
              previa convocazione del plenum del Comitato Centrale e della Commissione 
              centrale di controllo e a condizione che fossero approvate da una 
              maggioranza dei due terzi dei presenti, il che non era mai avvenuto 
              sino ad allora e non si sarebbe mai più ripetuto negli anni 
              successivi. Tutte queste misure, se si tien conto della prassi politica 
              di Stalin e non dei suoi discorsi, dovevano essergli necessariamente 
              sgradite in quanto rafforzavano la legalità socialista e 
              la direzione collegiale e limitavano quindi la repressione contro 
              i comunisti. Il 1934 fu contrassegnato in sordina dal conflitto 
              tra queste due linee che non contrapponevano più la vecchia 
              opposizione al partito, ma, questa volta, il partito a Stalin; e 
              Stalin finirà per trionfare ricorrendo, per schiacciare il 
              partito, alla provocazione, all'astuzia e al terrore.  
              Il compromesso del XVII Congresso costrinse Stalin a cambiare atteggiamento 
              su diversi punti. Per il tramite di Gorkij cercò 
              di conquistarsi il favore degli scrittori ricevendoli 
              personalmente; nominò Bucharin redattore capo delle Izvestija 
              (il secondo giornale del paese dopo la Pravda); ebbe alcuni 
              colloqui con Kamenev e gli affidò un posto di responsabilità 
              nella cultura. Autorizzò lo svolgimento del primo Congresso 
              degli scrittori sovietici, che si tenne alla presenza di numerosi 
              scrittori stranieri (tra cui Gide, Malraux e Aragon): rappresentanti 
              delle diverse correnti letterarie parlarono con relativa libertà, 
              benché danov assegnasse alla letteratura obiettivi 
              utilitaristici e definisse lo scrittore "un ingegnere delle 
                anime"; Bucharin protestò contro una definizione 
              troppo riduttiva del realismo socialista e attaccò l'estremismo 
              letterario, mentre Radek criticò la nuova letteratura facendo 
              il nome di James Joyce, difeso invece da altri delegati; Gorkij, 
              Pasternak, Ehrenburg, appoggiati da Bucharin, parlarono contro il 
              dogmatismo. Per lo più, gli intellettuali che parteciparono 
              a questo congresso, che vide riunite tutte le tendenze, sparirono 
              poi nella repressione di massa degli anni successivi. 
               
              Il 10 luglio 1934 l'OGPU venne soppressa. Non è escluso che 
              con tale decisione si tentasse di ridurre i poteri della polizia 
              politica. Incaricato dei compiti sino ad allora devoluti all'OGPU 
              fu il NKVD, il Commissariato del popolo per gli 
              affari interni, e la Pravda uscì col titolo: La 
                salvaguardia dell'ordine rivoluzionario e la sicurezza dello Stato. 
              Contemporaneamente, venne creata una Conferenza Speciale 
              (Osoboe Sovescanie: Osso) presso il NKVD, con "il 
                diritto di applicare per via amministrativa il divieto di soggiorno, 
                la deportazione, la reclusione nei campi di rieducazione fino a 
                cinque anni e l'espulsione dall'URSS. " In altri termini, 
              si riprendeva con una mano ciò che si era dato con l'altra; 
              la polizia politica rimase inalterata nella sua direzione, nella 
              sua composizione e nei suoi poteri. Il partito e lo Stato erano 
              stati incapaci di trasformarla veramente con i soli mezzi legali: 
              era divenuta uno Stato nello Stato, e Stalin continuò a controllarla 
              direttamente. 
              La deportazione per cinque anni, dunque, era applicabile ad ogni 
              individuo "socialmente pericoloso". La Conferenza 
              Speciale era un organo di eccezione: decideva fuori di qualsiasi 
              controllo e senza che la situazione interna ed estera giustificasse 
              veramente il suo operato.  
È facile rendersi conto fino a qual punto le carenze 
    della democrazia fossero all'origine dello sviluppo dello stalinismo 
    e del suo trionfo. Niente è più generico 
              della definizione di "individuo pericoloso": 
              chi può stabilirlo veramente? Lo stesso principio di "conferenza 
              speciale", che implicava la deportazione senza possibile difesa 
              dell'"individuo socialmente pericoloso", era 
              particolarmente pericoloso. Tanti dirigenti della maggioranza si 
              scavavano la tomba con le proprie mani accettando queste disposizioni 
              di un arbitrio e rigore senza uguali, anche se l'intervento della 
              Procura avrebbe potuto limitare in certa misura la repressione: 
              cosa che deI resto non avvenne, anche perché il Procuratore 
              Generale dell'URSS era Vyšinskij, il futuro 
              protagonista assoluto dei grandi processi di Mosca.  
              Costretto a giocare d'astuzia, Stalin usava abilmente i suoi atouts: 
              il miglioramento della situazione economica e alimentare accresceva 
              la sua popolarità anche se, al tempo stesso, rendeva più 
              incomprensibili le misure eccezionali e il terrore a cui ricorreva 
              e che erano il solo modo per eliminare i nemici personali passati 
              e futuri, vale a dire la maggior parte dei comunisti. 
 
              Alla fine di novembre del 1934 iI Comitato Centrale si riunì 
              nuovamente e confermò la politica di distensione sul piano 
              interno e di unità antifascista sul piano internazionale. 
              Probabilmente, la situazione stava diventando troppo pesante per 
              Stalin, il quale aveva motivo di temere che nei mesi successivi 
              i suoi poteri venissero ancor più limitati. Il relatore del 
              Politburo dinanzi al CC fu Kirov: segretario del partito a Leningrado, 
              Kirov doveva trasferirsi a Mosca fin dagli inizi del 1935 per lavorare 
              alla segreteria del Comitato Centrale.  
              Tutti i membri delle vecchie opposizioni erano tornati a Mosca, 
              solo Trotskij mancava all'appello: ma per quanto tempo ancora? In 
              caso di guerra si sarebbe pur dovuta realizzare l'unione nazionale 
              contro il nemico; e allora, come non fare appello al creatore dell'Armata 
              rossa, al vincitore della guerra civile? Minacciato direttamente, 
              a maggiore o minor scadenza, Stalin doveva quindi muoversi, e in 
              fretta. In questa prospettiva è più facile capire 
              il clamoroso assassinio di Kirov, ucciso da un personaggio equivoco 
              che sicuramente aveva dietro di sé il NKVD. 
              Stalin si era finalmente sbarazzato dell'uomo che appariva sempre 
              più come un suo possibile sostituto, meno brutale di lui, 
              più moderato, e grazie alla viva sensazione suscitata dalla 
              morte di Kirov tra l'opinione pubblica sovietica e nel partito, 
              poteva eliminare i suoi potenziali avversari e condurre la politica 
              che andava proponendo senza successo da tanti anni.  
              Insomma, l'assassinio di Kirov, sia che Stalin ne fosse direttamente 
              responsabile, sia che strumentalizzasse l'evento, fu un vero 
                e proprio putsch contro il partito e contro lo Stato sovietico: 
              fin dalla sera dell'omicidio, senza consultarsi con i colleghi del 
              Politburo, Stalin fece promulgare un decreto che ordinava di accelerare 
              i processi in corso contro i terroristi e di eseguire senza indugi 
              le sentenze capitali già pronunciate; e tutto questo quando 
              quei processi non avevano alcun rapporto diretto con l'assassinio 
              di Kirov. Trentanove persone furono fucilate a Leningrado, ventinove 
              a Mosca, decine di altre in Ucraina. Il NKVD fece confessare all'assassino 
              che l'ordine di uccidere Kirov gli sarebbe stato dato da un centro 
              "zinovjevista" clandestino di Leningrado, in 
              contatto con Trotskij. 
              Fece molto scalpore la notizia che per iniziativa di un altro centro 
              clandestino, questa volta moscovita, era stato deciso anche l'assassinio 
              di Stalin: sappiamo che si trattava di volgari menzogne, il ladro 
              che gridava "al ladro!". Sono ben pochi, nella 
              storia, gli esempi di doppiezza e di provocazione che possono stare 
              alla pari con questi.  
              Zinovjev e Kamenev furono arrestati il 16 dicembre, insieme con 
              molti vecchi dirigenti del partito.  
 
              Il primo grande processo si aprì il 15 gennaio 
              1935 a Leningrado: Zinovjev fu condannato a dieci anni di carcere, 
              Kamenev a cinque. Ebbero luogo centinaia di arresti, tutti di comunisti, 
              e tutti gli accusati furono deportati per decisione dell'Osso. Nel 
              1933 e nel 1934 aveva già avuto luogo un'epurazione nelle 
              file del partito: 800.000 persone erano state espulse nel 1933, 
              340.000 lo furono nel 1934: gli effettivi del partito (tra iscritti 
              e candidati) erano passati dai 3.117.151 del '32 ai 2.358.724 del 
              '35.  
               
              Le misure prese alla fine del 1934 e nei primi mesi del 1935 colpirono 
              solo alcune migliaia di comunisti, ma tutti gli iscritti al partito 
              erano minacciati: una circolare del Comitato Centrale del dicembre 
              1934 esortava ad epurare i membri delle vecchie opposizioni: furono 
              compilate liste di sospetti, cominciarono a piovere le denunce, 
              a Leningrado furono effettuati migliaia di arresti.  
              Il Politburo, messo davanti al fatto compiuto, preoccupato per l'evolversi 
              della situazione e ingannato sulla colpevolezza dell'opposizione 
              interna, approvò tutte queste misure. Il Comitato Centrale 
              non fu nemmeno convocato.  
              In poche settimane Stalin aveva raddrizzato la barra, ma non poteva 
              spingersi oltre: la maggioranza del Politburo continuava ad opporsi 
              alla condanna a morte dei vecchi dirigenti del partito.  
               
              Per 
                Stalin la difficoltà era che intendeva stabilire la propria 
                dittatura sulla base del regime sovietico, del socialismo e della 
                rivoluzione d'ottobre: doveva dunque presentarsi come il continuatore 
                di Lenin e non rompere brutalmente con il passato. Doveva procedere 
                per tappe e fare in modo che le proprie vittime apparissero nemici 
              della rivoluzione e del potere sovietico.  
               
            Così doveva essere sia sul piano interno che su quello internazionale. 
              E del resto questo rispondeva ad una realtà, forse difficile 
              da capire e da ammettere per noi: effettivamente, Stalin portava 
              avanti il socialismo, anche se procedeva in modo dispotico. Si può 
              sempre pensare che sarebbe stato possibile e necessario fare altrimenti, 
              ma, purtroppo, per lo storico si tratta di una questione puramente 
              morale: perché un certo processo si sviluppa in un modo piuttosto 
              che in un altro? La caratteristica della storia è che essa 
              segue un corso certamente singolare ma tale che non lo si può 
              più modificare nel momento che la storia è divenuta 
              per l'appunto storia. Se diciamo questo non è certo perché 
              approviamo lo stalinismo, ma solo per tentare di farne un'analisi 
            obiettiva che tenga conto di tutti i suoi aspetti contraddittori. 
              Per lo più gli storici che hanno scritto su questo argomento 
              hanno indagato su un aspetto soltanto del fenomeno, alcuni insistendo 
              sul fattore dispotismo, altri sul bilancio positivo dell'edificazione 
              socialista: non hanno torto né gli uni né gli altri, 
              ma l'importante è di cogliere il nesso dialettico esistente 
              tra i diversi risvolti del fenomeno staliniano. 
               
              Agli inizi del 1935 la maggioranza del Politburo, appoggiata da 
              moltissimi iscritti al partito e dall'opinione pubblica, continuava 
              ad opporsi al terrore, del quale non capiva la necessità, 
              ma tutto quello che il Politburo poteva ormai fare era di cercare 
              di limitare la portata dello stalinismo. Proprio in questo senso 
              l'assassinio di Kirov segnò una svolta nella storia politica 
              dell'URSS.  
               
              Ormai, facendo leva sul NKVD, Stalin dominava completamente il partito. 
              Solo l'intervento dell'Armata Rossa avrebbe potuto modificare la 
              situazione. 
               
            Ma, per questo, avrebbe dovuto volerlo e poterlo. I capi dell'esercito 
            rosso non vollero, almeno fino al 1936, e dopo quella data non lo 
            poterono più. L'Armata Rossa conservava vive tradizioni di 
              obbedienza all'autorità del partito che ne rendevano difficile 
              l'intervento nei suoi affari interni. II ricordo del ruolo sostenuto 
              dall'esercito francese e da Bonaparte nella rivoluzione francese 
              e il timore di una dittatura militare non invogliavano certo a ricorrere 
              all'esercito per stroncare con la forza un dibattito politico od 
            un conflitto tra dirigenti.  
              Stalin tentò di controllare il Politburo e di impedire qualsiasi 
              opposizione alla sua politica, ma continuava a trovarsi in difficoltà. 
              Zinovjev e Kamenev erano in carcere, ma non erano morti. A riprova 
              delle persistenti difficoltà di Stalin, il Comitato Centrale 
              riunitosi nel febbraio 1935 elesse un Politburo che rispettava l'equilibrio 
              delle forze così come si era definito al XVII Congresso.  
              Ciò non impedì che Stalin cominciasse ad instaurare 
              il terrore all'interno del partito, ma questo terrore non era paragonabile 
              a quello che dilagò dopo il 1936. Al tempo stesso, egli costrinse 
              i suoi potenziali nemici a ritirate sapientemente calcolate, autocritiche, 
              "malattie", ecc.. 
              Stalin aveva messo al bando due associazioni che rappresentavano 
              in certo qual modo la coscienza morale del regime, la Società 
              dei vecchi bolscevichi e l'Associazione degli ex prigionieri politici, 
              che avevano firmato una petizione contro l'applicazione della pena 
              di morte ai vecchi bolscevichi. Nel luglio del 1935 Kamenev fu giudicato 
              a porte chiuse e condannato a dieci anni di carcere sotto l'accusa 
              di aver organizzato un complotto contro Stalin. Ciò nonostante, 
              gli anni 1935 e 1936 rimasero contrassegnati dallo stesso fragile 
              equilibrio che si era osservato in occasione del XVII Congresso: 
              in apparenza, il partito comunista continuava a funzionare, sia 
              pure ormai in modo formale; il Comitato Centrale saltuariamente 
              si riuniva ancora, e così pure gli organismi dirigenti e 
              le organizzazioni di base a tutti i livelli.  
              Una commissione speciale, della quale facevano parte Bucharin e 
              Radek, aveva elaborato una nuova Costituzione (votata 
              alla fine del 1936 dal Congresso dei soviet) che stabiliva l'eguaglianza 
              politica di tutti i cittadini, il che rappresentava in teoria un 
              passo avanti considerevole rispetto alle Costituzioni del 1918 e 
              del 1924; venivano proclamati i diritti fondamentali dei cittadini 
              (lavoro, riposo, svaghi, istruzione, pensione) e venivano riconosciute 
              l'eguaglianza delle nazionalità e dei sessi, la libertà 
              di coscienza, l'inviolabilità della persona, di domicilio 
              e della corrispondenza. Quanto alle altre libertà, il loro 
              esercizio rimaneva legato "agli interessi della classe 
                operaia. e doveva passare attraverso le organizzazioni di massa 
                ed il partito". Quest'ultimo era definito "avanguardia 
                  della classe operaia, nucleo dirigente di tutte le organizzazioni 
                  della classe operaia." Nonostante questi limiti, la Costituzione 
              del 1936 rappresentava formalmente un quadro giuridico favorevole 
              allo sviluppo della democrazia. 
               
              E questo appariva tanto più verosimile in quanto l'economia 
                sovietica registrava successi incontestabili. Nell'industria 
              il secondo piano quinquennale beneficiava degli investimenti e degli 
              sforzi compiuti fin dall'inizio del primo: la produzione delle fonti 
              energetiche aumentava rapidamente (tranne che per il petrolio) e 
              la siderurgia registrava ritmi di crescita ancora più spettacolari. 
              Se l'industria dei beni di consumo non si sviluppava aIlo stesso 
              ritmo, ciò avveniva perché si era data deliberatamente 
              la priorità aIl'industria pesante. Il secondo 
              piano quinquennale fu realizzato anzi termine, come lo era stato 
              il primo. Naturalmente, si deve tener conto delle invenzioni statistiche 
              del tempo, ma i successi erano innegabili e reali.  
              Quanto all'agricoltura, anch'essa registrava un 
              incontestabile miglioramento. La produzione cerealicola era in aumento 
              nonostante il mediocre raccolto del 1936; il rendimento per ettaro 
              aumentò da sette a nove quintali per il grano; il patrimonio 
              zootecnico era in netta ripresa; grazie agli appezzamenti di terra 
              colcosiani, la produzione di frutta e di legumi registrava una ascesa 
              notevole.  
              Anche se non erano rilevanti quanto sosteneva Stalin, questi 
                progressi economici rappresentarono i fondamenti reali sui quali 
                si sviluppò il terrore stalinista, in netto contrasto con 
                quei successi, con la Costituzione e con l'ascesa culturale, notevolissima, 
                di un popolo condannato fino ad allora all'ignoranza, aIl'alcolismo 
                e alla superstizione.  
 
              Fino all'agosto del 1936 la repressione continuò, ma in modo 
              ancora limitato, sia nel partito che nel paese. L'epurazione del 
              1935 aveva colpito decine di migliaia di comunisti e agli inizi 
              del 1936 un nuovo tesseramento doveva permettere di allontanare 
              dal partito altre decine di migliaia di iscritti. Il 
              metodo usato per realizzare queste purghe, fondato 
              sulla denuncia e sul controllo capillare del NKVD, non lasciava 
              la minima possibilità di difesa ai comunisti epurati. I vecchi 
              bolscevichi erano i piu colpiti, mentre le epurazioni precedenti 
              avevano eliminato solo gli elementi "carrieristi".  
              Gli espulsi dovevano affrontare grosse difficoltà nella ricerca 
              di un lavoro e nella loro esistenza quotidiana: venivano così 
              accuratamente preparati gli strumenti del terrore. L'esistenza 
                della Conferenza Speciale permetteva di deportare chiunque per una 
                durata di cinque anni in base ad una semplice decisione amministrativa. 
                L'arsenale repressivo si arricchì nel 1935 di leggi che comminavano 
                la pena di morte a chiunque tentasse di fuggire all'estero. 
              Le famiglie dei militari fuggiti all'estero venivano automaticamente 
              esiliate. Il 7 aprile 1935 un decreto imponeva l'esecuzione di tutte 
              le sentenze penali, ivi compresa quella di morte per tutti i sovietici 
              dai dodici anni in poi.  
 
              Il NKVD vedeva crescere la propria importanza. 
              Oltre alla sicurezza all'interno e all'estero, i suoi compiti si 
              estesero anche al campo economico. Il principio dei campi di rieducazione 
              (le primi strutture di questo tipo furono create nel 1923 nelle 
              isole Solovecki) era destinato dapprima a rieducare i criminali 
              comuni e i controrivoluzionari facendoli lavorare nell'interesse 
              della collettività. Fino al 1929 i gulag 
              (acronimo di Glavnoe Upravlenie Lagerei, Amministrazione 
              Centrale dei Campi) erano rimasti poco numerosi e scarsamente popolati. 
              Dopo il 1930, invece, il numero dei campi e dei deportati 
                aumentò a causa della repressione contro i kulaki e contro i contadini ostili alla collettivizzazione. Mancando fonti 
              attendibili, è difficile citare cifre esatte: si sa soltanto 
              che nel 1933 il numero dei kulaki (o presunti tali) deportati 
              era intorno agli 850.000, ma è la sola cifra precisa (2) che si conosce (lettera Molotov-Stalin del maggio 1933). Sappiamo 
              anche che molti grandi lavori furono eseguiti sotto la direzione 
              dell'OGPU-NKVD dopo il 1930, ad esempio il canale Mar Bianco-Baltico 
              (il canale Stalin), che occupò ben 300mila persone provenienti 
            dai campi di lavoro forzato del nord.  
              
               
             
             
            Il 19 agosto 1936 si aprì il primo grande processo 
                    di Mosca. La data è importante perché per la prima 
                    volta Stalin mise in esecuzione un piano tante volte fallito dopo 
                  il 1932: instaurare il terrore contro i comunisti.  
 
              Con un' abilità che ha dell'incredibile e un'audacia senza 
              pari, si ammantò della bandiera della rivoluzione e del socialismo 
              e costrinse i capi storici della rivoluzione del 1917 a riconoscere 
              le loro "colpe". In un mondo in cui il fragore delle armi 
              risuonava sempre piu cupo, (3) dove il nazismo 
              era in netta ascesa, dove l'antisovietismo non disarmava, doveva 
              riuscire a rendere credibili le invenzioni più insensate 
              della sua polizia politica. Ai processi gli imputati ripetevano 
              le loro confessioni grazie a raffinati metodi di tortura 
              (4) (violenze fisiche e psicologiche - vennero 
              sperimentate con successo le prime tecniche di "lavaggio del 
              cervello" - uso di droghe, minacce alle famiglie, pressioni 
              politiche e ideologiche) e le "confessioni" degli 
                accusati permettevano di dare una giustificazione al terrore e alla 
                repressione di massa.  
              La direzione del partito e il Comintern furono messi davanti al 
            fatto compiuto: come dubitare dell'esistenza di un complotto quando 
            Zinovjev e Kamenev dichiaravano di essere agenti della Gestapo e 
            di aver organizzato l'assassinio dei membri del Politburo? E il 
            colmo è che Stalin fece effettivamente assassinare molti 
              di loro: la sua tattica consisteva precisamente nel far 
                confessare agli imputati i suoi stessi crimini.  
              Ebbero luogo altri due grandi processi, entrambi allestiti sullo 
            stesso scenario, nel 1937 e nel 1938: in quest'ultimo fu la volta 
            di Bucharin, di Rykov e di altri. Tomskij si era suicidato nel 1936. 
            Ordonikidze scomparve nel 1937, suicida o ucciso per volere 
              di Stalin. Jagoda, il responsabile del NKVD, era stato destituito, 
              incarcerato nel 1937 e fucilato nel 1938. Il suo sostituto, Eov, 
              fu a sua volta arrestato e fucilato nel 1939. 
 
              Quasi tutti i dirigenti del partito tra il 1917 e il 1922 
                scomparvero allo stesso modo dopo aver confessato di essere agenti 
                della Gestapo o dei servizi segreti nipponici, ma senza che un sola 
                volta, a parte le confessioni, venisse prodotta una prova materiale 
                della loro colpevolezza. Gli organi dirigenti del partito, 
              nonostante le norme decise al XVII Congresso, non furono consultati, 
              e per un ottimo motivo: nella loro maggioranza erano per lo più 
              contrari a questa politica. Proprio per questo Stalin fece assassinare 
              quella maggioranza.  
               
            Ecco i nomi dei membri del Comitato Centrale eletto al XII Congresso (1923), 
      l'ultimo a cui partecipò Lenin (seppur non di persona, ma inviando la celebre Lettera):  
               
            
                - Andreev  - morto nel 1972
 
                - Bucharin  - fucilato nel 1938
 
                - Çubar  - fucilato nel 1937
 
                - Dzerzinskij  - morto nel 1927
 
                - Jaroslavskij - scomparso nel 1938
 
               - Kamenev  - fucilato nel 1936
 
                - Korotkov  - fucilato nel 1937
 
                - Kujbysev  - morto nel 1935 
 
                - Lenin  - morto nel 1924
 
                - Molotov  - morto nel 1986
 
               -  Ordonikidze - suicidatosi nel 1937
 
                - Petrovskij - condannato a vent'anni di carcere
 
                - Radek  - fucilato nel 1938
 
                - Rakovskij  - fucilato nel 1937
 
                - Rudzutak  - fucilato nel 1938
 
                - Rykov  - fucilato nel 1938
 
                - Sapronov  - fucilato nel 1937
 
                - Smirnov A. P. - scomparso nel 1938
 
                - Sokolnikov  - fucilato nel 1938/
 
                - Stalin  - morto nel 1953
 
                - Tomskij - suicidatosi nel 1936
 
                - Trotskij - assassinato nel 1940
 
                - Vorošilov  - fucilato nel 193
 
                - Zelenskij  - morto nel 1971
 
                - Zinovjev  - fucilato nel 1936
 
             
             
             
            Analogo confronto rispetto ai membri del Comitato Centrale eletti al 6 ° Congresso, svoltosi clandestinamente tra il 26 Luglio e il 3 Agosto 1917:  
           
  
               
              Su ventisei membri titolari, quindi, ben diciassette furono condannati 
              a morte, assassinati (o costretti a suicidarsi), deportati da Stalin, 
              ed inoltre sei membri del Politburo del 1922 su dieci, otto su tredici 
              del Politburo del 1924, nove su diciassette del Politburo eletto 
              dopo il XV Congresso del 1927. 
              Su trentuno persone elette al Politburo fra il 1918 e il 1935 venti 
              scomparvero tragicamente. Lo stesso avvenne a livello del Comitato 
              Centrale, dei Segretari regionali, provinciali e distrettuali.                I
                processi pubblici di Mosca coinvolsero solo una minoranza
                di comunisti.  Per lo più, i comunisti arrestati furono
                fucilati o deportati  senza processo.  
            Eov presentò a
              Stalin (1937-1938)  383 liste di dirigenti che dovevano essere
              giudicati dal tribunale  militare ma la cui sentenza,   secondo
              Krusëv (rapporto segreto al XX Congresso), sempre
              la stessa, la condanna a morte, era gà decisa in
          precedenza. Stalin sanzionava queste sentenze, e con lui Molotov. 
               
              In definitiva, questo terrore non può essere paragonato 
                né con quello della rivoluzione francese né con quello 
                della guerra civile e per due ragioni: non era assolutamente giustificato 
                da motivi rivoluzionari e fu incomparabilmente più sanguinoso. 
              Durante il terrore degli anni 1793-1794 in Francia si contarono 
              circa trentamila morti. Quanto al terrore rosso della guerra civile, 
              esso fece non più di 150.000 vittime (secondo le valutazioni 
              più anticomuniste). Invece, il terrore staliniano dal 1936 
              al 1938, fece alcuni milioni di vittime, fucilate 
              o scomparse nei gulag.  
              Ai responsabili del partito si aggiunsero economisti, intellettuali, 
              comunisti stranieri, molti comunisti delle repubbliche federate 
              e autonome appartenenti a nazionalità non russe, dirigenti 
              del Komsomol (l'organizzazione giovanile del partito) e dei sindacati. 
              Ciò che avvenne ndeI Politburo e nel Comitato Centrale si 
              ripeté a tutti i livelli della vita sovietica. Questa 
                repressione di massa significò di fatto la liquidazione del 
                partito. 
               
              Sotto la pressione del NKVD i bolscevichi si accusavano a vicenda. 
            Nel febbraio del 1937 il Comitato Centrale fu costretto ad approvare 
            questa politica, il che non impedì ai due terzi dei suoi 
              membri di essere arrestati e di morire sotto i colpi del NKVD.  
              La 
                maggioranza degli uomini che dirigevano il partito al momento della 
                rivoluzione di ottobre furono fucilati. 
La maggioranza 
              dei dirigenti del Gosplan, molti Commissari del popolo e ambasciatori 
              scomparvero nella tormenta: ad esempio due vicepresidenti del Consiglio 
              dei commissari del popolo, il presidente del Consiglio dei commissari 
              della RSFSR e i suoi due vicepresidenti, molti commissari del popolo 
              dell'Unione della RSFSR, molti presidenti del Consiglio delle altre 
              repubbliche federate o autonome caddero vittime della repressione 
              staliniana. I dirigenti dei Comitati Centrali dei partiti delle 
              repubbliche federate furono letteralmente decimati. La maggioranza 
              del Comitato Centrale del Komsomol subì la stessa sorte. 
             
              Stalin non risparmiò nemmeno l'Armata  rossa,
                che fu letteralmente decimata dalla repressione: decine
              di  migliaia di ufficiali di gran valore persero la vita e decine
              di  migliaia di altri furono deportati: complessivamente, tre marescialli
              su cinque, tredici comandanti d'armata su quindici, cinquantasette
              comandanti di corpo d'armata su ottantacinque, centodieci generali
              di divisione su centonovantacinque caddero vittime della repressione
              staliniana. E ciò, fra l'altro, spiega molto bene come
              mai  le forze armate sarebbero state in forte deficit di direzione
              e di operatività al  momento dell'invasione nazista. 
 
              Non meno pesante fu la repressione contro gli intellettuali. 
              Stalin aveva soppresso quasi tutte le nuove istituzioni nate dopo
              la guerra civile, come ad esempio l'università Sverdlov,
              la stessa davanti alla quale aveva tenuto le sue conferenze, raccolte
              poi  in un volume divenuto celebre: I principi del leninismo.
              Storici e filosofi, biologi e matematici, scrittori ed artisti
              morirono  a migliaia o furono deportati per molti anni. Fu questa,
              ad esempio,  la sorte riservata al direttore dell'Istituto di storia
              del partito  Knorin, al filosofo Sten, al biologo Vavilov, agli
              scrittori Mandelštam 
              e Babel, al regista Mejerchold. Majakovskij si era suicidato nel
              1930. 
             
              La repressione di massa colpì anche i comunisti stranieri presenti a Mosca: iI Partito comunista polacco fu disciolto nel 
              1938; lo stesso avvenne per il Partito comunista dell'Ucraina occidentale 
              e per quello della Bielorussia occidentale; la repressione si abbatté 
              sui dirigenti dei PC lettone, estone, lituano (le repubbliche baltiche
              non erano ancora repubbliche sovietiche); scomparvero anche alcuni
              dirigenti del PC jugoslavo (tra cui un segretario del Comitato
              Centrale), del PC bulgaro, dei PC cinese, coreano, iraniano, indiano; Bela 
                Kun, il dirigente della rivoluzione ungherese del 1919, 
              fu condannato a morte; anche alcuni comunisti tedeschi rifugiatisi 
              nell'URSS rimasero vittime della repressione: tra gli altri Eberlein, 
              segretario del Comitato Centrale; più in generale, ogni militante 
              di un partito straniero residente a Mosca (ad esempio per sfuggire 
              alla dittatura nel proprio paese) fu messo sotto stretto controllo. 
               
              Un esempio che può dare un'idea più precisa della 
              repressione di massa è quello della regione di Smolensk. 
              L'intera direzione del partito fu eliminata nel giugno del 1937, 
              a cominciare dal segretario, un vecchio bolscevico membro del Comitato 
              Centrale: mille quadri del partito e dei soviet furono sostituiti 
              nel giro di poche settimane. La repressione si estese alle famiglie 
              delle vittime e ai non comunisti. E i motivi non erano sempre politici. 
              Il sistema delle denunce e il numero di queste denunce erano tali 
              per cui era facile rimanere a propria volta vittime della repressione.  
 
              Milioni di persone furono così deportate.  
               
            Le ricerche effettuate da numerosi studiosi occidentali si fondano
            spesso su indicazioni frammentarie, pubblicate qua e là dopo
              il XX Congresso del PCUS, ma l'ordine di grandezza è sicuramente
              di alcuni milioni. Medvedev parla di cinque milioni di persone arrestate tra il 1936 e il 1939, delle quali quattro
              o cinquecentomila furono mandate a morte: gli interventi dei dirigenti
              sovietici al XXII Congresso del PCUS, nel 1961, confermarono la
              diretta responsabilità di Stalin, Molotov, Kaganoviç 
              e Vorošilov in queste esecuzioni, ma è difficile pensare
              che gli altri membri del Politburo, danov, Krusëv (ma
              nel 1961 gli era difficile dirlo perché era Segretario
              generale  del PCUS...), Mikojan e tanti altri non ne fossero
              al corrente.  Spiridonov (membro del Comitato Centrale, segretario
              del partito  a Leningrado) dichiarò ad esempio: "Per
                quattro  anni un'ondata incessante di misure repressive si abbatté 
              su uomini che non avevano mai fatto nulla di infamante. Molti furono
              uccisi senza processo, in base ad istruttorie condotte affrettatamente.
              Vittime della repressione erano non soltanto questi stessi lavoratori,
              ma anche le loro famiglie, e persino i bambini." E Lazurkina
              (Leningrado) aggiunge: "Quale atmosfera si è creata
                nel 1937? Regnava la paura, una paura che noi leninisti non
                avremmo  mai dovuto conoscere. Non avevamo fiducia in nessuno.
                Arrivavamo  persino a calunniarci a vicenda. " Altri
            ricordano le  purghe in Georgia, in Armenia, in Bielorussia.  
               
              La storia ha conosciuto ben pochi drammi simili a questo. 
              Pensiamo a quelle centinaia di migliaia di comunisti (Paolo Spriano, 
              nella sua Storia del PCI, parla di almeno 1.800.000 
                comunisti uccisi da Stalin) che soffrirono nella loro carne 
              e nella loro anima, perseguitati dagli stessi uomini che avrebbero 
              dovuto proteggerli, dai loro stessi compagni, vittime di un regime 
              che avevano creato con le loro mani, di un uomo del quale avevano 
              fatto la fortuna. Persino alcuni membri del Politburo addebitavano 
              al NKVD tutti questi crimini, assolvendone Stalin.  
               
              Bucharin, torturato e costretto a mentire su se 
              stesso e sugli altri, scrisse alla moglie una lunga lettera pochi 
              giorni prima di morire: 
            "La mia vita finisce qui, chino 
                il capo sotto l'accetta del boia, ma questa accetta non è 
              quella del proletariato, che dev'essere implacabile sì, ma 
                anche senza macchia. Provo un senso d'impotenza totale davanti a 
                questa macchina infernale che, ricorrendo a metodi medievali, ha 
                acquistato un potere gigantesco, fabbrica calunnie a catena, si 
                muove con audacia e forza di convinzione. Se più di una volta 
                ho sbagliato nell'azione che ho condotto per edilificare il socialismo, 
                i posteri non mi giudichino piu severamente di quanto non fece Vladimir 
                Iliç. Abbiamo marciato verso un solo, identico obiettivo 
                per la primissima volta, e il cammino non era ancora tracciato. 
                Altri tempi, altri, costumi. Allora la Pravda dedicava 
                  un'intera pagina ai dibattiti; tutti discutevano sui mezzi e sui 
                  metodi più efficaci; litigavamo e poi facevamo la pace. Marciavamo 
                  tutti insieme. Mi appello a voi, future generazioni di dirigenti 
                  del partito. Uno dei vostri compiti storici sarà di fare 
                  l'autopsia della mostruosa nube di crimini che prolifica in quest'epoca 
                  spaventosa, divampando come una fiamma e soffocando il partito. 
            Mi appello a tutti i membri del partito." (5)  
              Le parole dell'uomo che Lenin aveva soprannominato "il 
                figlio prediletto del partito" risuonano in tutta la loro 
              gravità e ci inducono a compiere lo sforzo di riflessione 
              necessario per capire veramente il fenomeno staliniano.                Un 
                comunista che non riconosca questa tragedia, e non veda in essa 
                l'atto di morte del comunismo stesso, o è un imbecille o 
              è un farabutto. 
               
            Nel 
            novembre del 1938 la repressione aveva assunto dimensioni tali che 
            le sue conseguenze si ripercuotevano in tutti i campi della vita 
            economica e sociale. L'economia socialista si era sviluppata fino 
            al 1937 nonostante il totalitarismo staliniano. E questo 
              era dovuto alla sua stessa natura, vale a dire alla socializzazione 
              dei mezzi di produzione e di scambio, alla capacità di espansione 
              che le era propria indipendentemente dal sistema politico, da ogni 
              metodo di gestione. Indubbiamente, questi fattori incidevano più 
              o meno favorevolmente sullo sviluppo economico. In questo senso, 
              il fenomeno staliniano ebbe un ruolo negativo, frenando questo sviluppo 
        impetuoso.  
 
              Nel 1938 il terrore aveva raggiunto una tale intensità 
              che finì per divenire un ostacolo per lo stesso sviluppo 
                economico. Il terzo piano quinquennale, adottato al XVIII 
              Congresso del 1939, prese avvio nell'ambito di un'economia di guerra 
              e subì forti ridimensionamenti: si dovettero stanziare crediti 
              maggiori per le forze armate, per l'industria bellica e per lo sviluppo 
              delle regioni orientali del paese, meno esposte in caso d'invasione. 
              Questo non spiega perché la produzione dell'acciaio ristagnasse 
              tra il 1937 e il 1939: solo la scomparsa di centinaia di migliaia 
              di quadri qualificati e il dissesto della produzione che ne derivò 
              causarono questo ristagno. E fu indubbiamente questa constatazione 
              a dettare un rallentamento del terrore. Nel novembre 1938 il Comitato 
              Centrale e il Consiglio dei commissari del popolo si pronunciarono 
              per una diminuzione della repressione.  
              L'8 dicembre venne annunciato che il responsabile del NKVD, Eov, 
              abbandonava la carica: egli aveva avuto una pesantissima responsabilità 
              in tutti questi avvenimenti e per designare il terrore, si parla 
              per l'appunto di questo periodo come di "eovscina", 
              ma Jagoda, responsabile del NKVD prima di lui, e Berija, 
              che gli succedette, furono altrettanto crudeli e dispotici: il NKVD 
              non fu che il braccio secolare di Stalin, la sua Inquisizione.  
              Questa Inquisizione poteva essere più o meno arbitraria e 
              dispotica e con Eov essa aveva raggiunto il vertice della 
              crudeltà e dell'orrore. L'eliminazione di Eov rappresentò 
              pertanto una certa distensione. Migliaia fra i torturatori più 
              efferati del NKVD furono torturati e fucilati a loro volta. Alcune 
              migliaia di persone furono scarcerate, ad esempio il fisico Landau 
              ed il costruttore di aerei Tupolev.  
              Gli arresti diminuirono di numero, ma non cessarono: molti ufficiali 
              che avevano combattuto in Spagna furono arrestati e fucilati al 
              ritorno in patria, ad esempio Antonov Ovšeenko (che aveva occupato 
              il Palazzo d'Inverno nel 1917), il generale Stern e molti altri. 
   
              Fu in queste condizioni che, nell'aprile del 1939, si aprì 
              il XVIII Congresso del PCUS, ma nessuno parlò degli uomini
              che erano scomparsi e che tuttavia erano stati eletti al Comitato
              Centrale durante il precedente Congresso. Stalin presentò 
              il rapporto politico, danov quello sul partito.  
              Le nubi si accumulavano nel cielo sovietico. Ad est combattimenti 
              giganteschi avevano luogo tra sovietici e giapponesi sul lago Khassan; 
              ad ovest i nazisti, dopo essersi annessi l'Austria e la Cecoslovacchia, 
              satvano per attaccare l'Unione Sovietica con il beneplacito dei 
              francesi e degli inglesi, che nel settembre del 1938 avevano concluso 
              con Hitler l'accordo di Monaco. La guerra civile si era conclusa 
              tragicamente in Spagna con la vittoria di Franco. L'Unione Sovietica, 
              economicamente e militarmente piu debole della Germania di Hitler, 
              era dissanguata dal terrore che aveva duramente colpito l'Armata 
              rossa e l'economia. Stalin aveva stritolato il partito per rendersene 
              padrone e per eliminare tutti gli avversari passati, presenti e 
              futuri, della sua dittatura e della sua politica.  
 
              Con la fine della guerra civile la dittatura del proletariato 
                era divenuta tutt'uno con quella del partito. Nel 1939 era divenuta 
                tutt'uno con quella di un uomo.  
               
            Quest'uomo disse freddamente nel suo rapporto: "Non si 
                può dire che l'epurazione sia stata effettuata senza gravi 
                errori. Purtroppo, gli errori sono stati più numerosi di 
                quanto non si sarebbe potuto supporre. Non v'è dubbio che 
              non dovremo più ricorrere al metodo dell'epurazione di massa." 
              Ma dei 1.827 delegati al XVIII Congresso solo 35, il 2%, erano sopravvissuti 
              al XVII, ed erano milioni i sovietici  deportati.
              
               
               
            NOTE 
              
              per le fonti utilizzate v. 
              quanto indicato in Nascita dello stalinismo  
                           
                (1) 
                Il testo era stato rivelato dallo studioso americano Max Eastman, 
                amico di Trotskij, nel 1925 in Since Lenin died 
                (2) 
                In realtà l'apertura, dopo il 1991, degli archivi segreti 
                sovietici, ha consentito rilevazioni meno approssimative. Si veda 
                qui la pagina relativa al numero delle vittime. 
                (3) La guerra civile ebbe inizio in Spagna il 
                16 luglio 1936 
                (4) Non riteniamo necessario insistere su questi
                metodi, oggi ben conosciuti: il nostro intento non è di
                descrivere  in modo dettagliato il terrore stalinista, ma di tracciarne
                una panoramica   e di spiegarlo nelle sue linee essenziali. La
                  confessione di
                Arthur  London fornisce un'idea abbastanza fedele di ciò che
                avveniva  durante quei processi. La tortura fu autorizzata nel
                1937 (telegramma  di Stalin del 1.1.1938, citato da Krusëv
                al XX Congresso del  PCUS), ma era già in uso da molto
                tempo 
                 (5) 
                Questa testimonianza fu resa nota solo molti anni dopo, nel 1961: 
                è riportata nel bellissimo libro scritto dalla moglie: Anna 
                Larina, Ho amato Bucharin, Ed. Riuniti, 1989; nel 1988 
          Carlo Lizzani ha raccontato la vicenda in un film, Caro Gorbaciov. 
           
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