La nascita del fenomeno staliniano

Il fenomeno staliniano nasce con Stalin ma non muore con lui. Non rimane limitato all'Unione Sovietica - che comunque ne costituisce l'epicentro - ma si estende a tutti gli Stati cosiddetti socialisti nati dopo la seconda guerra mondiale ed a tutti i partiti comunisti.
lnteressa la sfera teorica e quella pratica, la politica come l'economia e l'ideologia. Nato nell'Unione Sovietica negli anni venti, dopo la morte di Lenin, è sempre nell'URSS che comincia ad accusare i primi colpi dopo la morte di Stalin (1953) e dopo il XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (1956). La stessa espressione «fenomeno staliniano» rappresenta una scelta della quale si deve cogliere tutto il significato. La parola «stalinismo» non sembra da respingere ma presenta alcuni inconvenienti. Storicamente, è un'invenzione della borghesia, * un'arma al servizio della sua ideologia e della sua politica, anche se è un termine d'uso corrente (negli stessi ambienti comunisti) e d'impiego facile e popolare.
L'espressione «culto della personalità» coniata dal PCUS e poi ripresa largamente dal movimento comunista internazionaIe sembra ancor meno esatta, in quanto pone l'accento solo su un momento del fenomeno: il culto del capo. E infatti proprio rispetto a questo carattere riduttivo, Togliatti - nella famosa intervista a Nuovi Argomenti - criticherà il rapporto Krushëv al XX Congresso del PCUS.
Quanto all'espressione «periodo stalinista», essa ha l'inconveniente di restringere eccessivamente la durata del fenomeno. Rimane il fatto che lo stesso aggettivo «stalinista» solleva dei problemi. Il fenomeno infatti non può essere circoscritto e tanto meno spiegato con la personalità di Stalin, eppure le è legato per motivi storici evidenti. Più elastica dal punto di vista del tempo e dello spazio, l'espressione «fenomeno staliniano» sembra soddisfacente più di ogni altra.
Descrivere e spiegare: è l'intento di queste righe.
Studiare il fenomeno staliniano nelle sue realtà contraddittorie è il primo obiettivo, più difficile di quanto non possa sembrare a prima vista. Comprenderne le cause e, quindi, la natura profonda, è un secondo obiettivo il cui interesse non sfuggirà a nessuno di coloro che vogliano meditare sul nostro divenire.
Il fenomeno staliniano si spiega con le condizioni storiche della prima rivoluzione socialista della storia, è insomma un «infortunio» del comunismo, oppure ne è iI prodotto naturale, inevitabile? È a questo interrogativo di fondo che tenteremo di dare una risposta nelle righe che seguono.


Stalin

Nato nel 1879, di origine georgiana, Iosif Vissarionoviç Džugasvili (**) proveniva da una famiglia povera (i genitori erano rimasti servi fino al 1861).
Dopo aver frequentato la scuola religiosa (ortodossa), a quindici anni entrò nel seminario ortodosso di Tbilisi, un centro ricco di fermenti antirussi, nazionalisti e liberali. Il giovane Džugasvili pubblicò alcuni versi in una rivista nazionalista, l'Iberja, sotto lo pseudonimo di Soselo. Lesse molti romanzi francesi, inglesi e russi, opere di economia, di sociologia, di politica. A diciannove anni aderì ad un gruppo socialista moderato clandestino il Messame Dassy (3° gruppo). Dal seminario fu espulso perché non assisteva alle lezioni. In un rapporto del rettore del seminario in data 29 settembre 1898 si poteva leggere: "Alle nove del mattino un gruppo di studenti era raccolto nella sala da pranzo intorno a Josif Džugasvili, che leggeva ad alta voce libri proibiti dalle autorità del seminario." Qualche settimana dopo, un altro rapporto affermava: “Džugasvili è generalmente irrispettoso e insolente verso le autorità."
Rimasto senza lavoro, impartì lezioni private, quindi, per alcuni mesi, occupò un posto modesto di impiegato presso l'osservatorio di Tbilisi. Nel 1901 le sue attività politiche lo costrinsero alla clandestinità. Da questo momento la sua esistenza fu tutt'uno con quella del Partito Operaio Socialdemocratico di Russia. Fin dalla fine del 1901, redattore di un giornale clandestino, Brdzola (La lotta) appoggiò le idee sviluppate da Lenin sull'Iskra. Dal 1901al 1917 conobbe a più riprese il carcere, la deportazione in Siberia, l'esilio. Rivoluzionario di professione, si rivelò ad un tempo un militante devotissimo ed un abile giornalista, propagandista e organizzatore bolscevico. Molte cose false sono state scritte sulla sua attività di militante; si è letto addirittura che sarebbe stato un agente dell'Ochrana (la polizia politica zarista). (1) Nulla permette di affermarlo allo stato attuale delle nostre informazioni. In realtà, fu un militante provato ed ebbe un ruolo importante nel Caucaso, in Georgia e nell'Azerbajdzan per molti anni. Partecipò attivamente alla rivoluzione del 1905 e diresse quindi le brigate di lotta bolscevica che organizzavano gli "espropri", e cioè attacchi a mano armata per procurare finanziamenti ai fondi di guerra dei bolscevichi.
Uscito finalmente dall'ambito del Caucaso, partecipò nel 1905 alla Conferenza nazionale del partito organizzata a Tampere, in Finlandia, e poi al congresso di Stoccolma del 1906 e a quello di Londra del 1907. Nel 1912 fu cooptato neI Comitato Centrale del partito bolscevico (2) e incaricato dell'organizzazione del partito in Russia nonché dell'edizione di un giornale legale, la Pravda.
Quello stesso anno, Lenin lo chiamò a Cracovia (città polacca allora occupata dall'Austria) per lavorare sul problema delle nazionalità e quindi lo inviò a Vienna per rappresentare il partito. In tutto, Stalin rimase all'estero sei mesi.
È chiaro dunque che la sua esperienza alla vigilia della rivoluzione era ricca e molteplice, anche nel campo dei rapporti intemazionali. Certo, visse all'estero meno di Lenin, Trotskij, Bucharin, Zinovjev e Kamenev, comunque aveva viaggiato in Europa. La stima che Lenin provava per lui trova conferma in una lettera inviata da Vladimir Iliç a Gorkij, nella quale parlava del "meraviglioso georgiano" che stava preparando un'opera poi pubblicata sotto il titolo La questione nazionale e la socialdemocrazia. Arrestato poche settimane dopo il ritorno in Russia, fu deportato nella Siberia settentrionale su denuncia di un agente dell'Ochrana, che, dopo essere riuscito a penetrare nelle file bolsceviche, era divenuto membro del Comitato Centrale. In Siberia rimase fino alla caduta dello zarismo, nel marzo del 1917.
In realtà, non si sa gran che della vita reale di Džugasvili durante tutto questo periodo. Modesto e ostinato, aveva raggiunto, con la sua devozione e l'efficacia della sua attività, i vertici della gerarchia del partito, ma, poiché evitava deliberatamente di mettersi in mostra, non aveva particolarmente colpito gli uomini che lavoravano con lui. Tutt'al più si può osservare che si era scelto dei soprannomi piuttosto altisonanti. Oltre ai nomi propri d'uso corrente, ad esempio Ivanoviç, provò per molti anni il bisogno di assumere come pseudonimo quello di Koba (l'Indomabile), un eroe leggendario della Georgia medioevale, e nel 1923 quello di Stalin (Acciaio) sotto il quale doveva entrare nella storia alla stregua di un Alessandro, di un Giulio Cesare e di un Napoleone. La scelta di questi pseudonimi evidenzia in certo qual modo i pensieri reconditi di quest'uomo taciturno che talvolta rendeva perplessi gli stessi compagni di deportazione. “Un bravo ragazzo, ma un po' troppo individualista nella vita quotidiana”, scriveva Sverdlov, il futuro presidente del Comitato Centrale esecutivo dei soviet, nel marzo del 1914 da Kurejka, dov'era deportato con Stalin. E nel maggio dello stesso anno aggiungeva: “Nonostante tutto - ed è questo l'elemento più triste dell'esilio - un uomo viene messo a nudo e si rivelano i suoi punti deboli. Oggi il mio compagno ed io viviamo in appartamenti separati e ci vediamo poco.(3) Sposato giovanissimo con Ekaterina Svanidže, nel 1905 rimase vedovo e padre di un bambino che fu allevato dai nonni. La sua vita personale sembrava estremamente limitata. Non aveva amici, non aveva donne.
Rimase solo per tutti i molti anni di deportazione nel nord della Siberia. Tutto il suo tempo era dedicato alla lettura: vorremmo sapere di quali libri, ma non si hanno notizie in proposito. Si sa soltanto che cercò di apprendere l'esperanto, ma senza successo, e che non conosceva altre lingue oltre il georgiano e il russo. Paragonata a quella degli altri dirigenti della rivoluzione, non si può dire che la sua cultura fosse considerevole. Era un uomo dai gusti semplici. Non amava la buona tavola, ma in compenso gli piaceva la vodka. Non era veramente interessato né al denaro né alle donne. Le sue sole passioni erano la rivoluzione e il potere.
L'una gli doveva portare anche l'altro. E tuttavia, la sua vita aveva delle caratteristiche che si riveleranno essenziali in avvenire. Uscito da un ambiente modesto rispetto agli altri dirigenti della rivoluzione, conosceva il popolo e le sue reazioni. Affondava le sue radici in quel recentissimo passato in cui esisteva ancora il servaggio. Come ha scritto lo storico francese A. Leroy-Beaulieu: “Per la maggior parte del popolo il Medioevo dura ancora”; e questo Džugasvili lo sapeva benissimo, non solo in teoria, ma concretamente, dall'ambiente socio-culturale nel quale era cresciuto. Studente di teologia fino ai diciannove anni, aveva conservato dai tempi del seminario la tradizione ortodossa laicizzata, spogliata dei suoi attributi mistici e religiosi: ed anche questo lo avvicinava al popolo. Il suo stile, affine a quello della liturgia ortodossa, sarà sempre semplice e accessibile al più arretrato muzik.
Convocato davanti ad un consiglio di revisione alla fine del 1916, fu esentato dal servizio militare per una lieve infermità al braccio sinistro. Con la caduta dello zarismo, la sua vita doveva cambiare radicalmente. Aveva allora trentotto anni. Le prove della vita siberiana l'avevano reso ancora più scarno. Non molto alto (1,67), magro, il suo viso era deturpato dal vaiolo: fisicamente non era molto attraente.

1917 Finalmente, nel 1917 la rivoluzione si mise in cammino, lo zarismo fu abbattuto. Stalin fu liberato e tornò dalla Siberia a Pietrogrado con uno dei tanti convogli di deportati politici entusiasticamente acclamati per tutto il percorso. Il 27 marzo giunse a Pietrogrado contemporaneamente a Kamenev, ma molto prima di tutti i capi storici della rivoluzione... Il suo ruolo era rilevante, ma non occupò il primo posto nella storia di quel periodo, contrariamente a quanto affermarono più tardi molti agiografi che lo presentarono come il discepolo migliore di Lenin e il più vicino a lui. Appena tornato, assunse la direzione della Pravda insieme con Kamenev ed occupò una posizione centrista nel dibattIto sull'avvenire della rivoluzione, accettando persino l'apertura di negoziati sull'unità socialista con i menscevichi e proponendo una neutralità critica nei confronti del governo provvisorio.
Fu questo spirito “conciliatore” che Lenin denunciò fin dal suo arrivo a Pietrogrado, il 16 aprile. Di fronte alle critiche di Lenin, Stalin fece marcia indietro e da quel momento in poi appoggiò sempre Vladimir Iliç. Nel mese di maggio fu eletto al Comitato Centrale di nove membri che dirigeva il partito. Nel luglio e nell'agosto del 1917 si trovò a capo della direzione del partito (molti dirigenti erano stati arrestati e Lenin era partito per entrare nella clandestinità). Quando Lenin propose al Comitato Centrale di preparare l'insurrezione, Stalin fu uno dei suoi più decisi sostenitori, insieme con Sverdlov e Trotskij, contro l'opposizione di Zinovjev e di Kamenev.
Il 2 novembre (20 ottobre) fu eletto all'Ufficio Politico, creato su proposta di Džerzinskij, il futuro dirigente della Ceka, (4) (con Lenin, Zinovjev, Kamenev, Trotskij, Sokolnikov e Bubnov. (5) Fece parte del Comitato Militare Rivoluzionario del soviet di Pietrogrado, ma vi svolse un ruolo subalterno rispetto a Trotskij. Lui stesso riconobbe in seguito la funzione determinante svolta da Trotskij in un articolo pubblicato sulla Pravda per il 1° anniversario dell'Ottobre: “Tutto il lavoro pratico concernente l'organizzazione della rivolta fu realizzato sotto la direzione del compagno Trotskij, presidente del soviet di Pietroburgo. Si può affermare con certezza che il partito deve principalmente al compagno Trotskij la rapidità con la quale la .guarnigione è passata al soviet e l'efficacia con cui è stato organizzato il lavoro del Comitato militare rivoluzionario.”
Dopo la rivoluzione d'ottobre divenne Commissario del popolo [Ministro] per le nazionalità, una carica importante ma non di primissimo piano. Grazie però all'appoggio dato a Lenin nelle difficili discussioni seguite all'insurrezione, poté essere eletto all'Esecutivo (di quattro membri) incaricato di dirigere il partito (con Lenin, Sverdlov e Trotskij), e al consiglio ristretto dei Commissari del popolo (con Lenin e Trotskij). In tutto il periodo compreso tra il novembre del 1917 e a fine della guerra civile, l'attività di Stalin fu considerevole ma discreta. Nelle fotografie dell'epoca - riunioni dei comitati centrali o del Consiglio dei Commissari del popolo - lo si riconosce appena, tanto si mette in secondo piano, esile silhouette dagli enormi baffi, seduto modestamente all'ombra dei dirigenti più famosi.
Il nostro intento non è di scrivere una biografia, di Stalin o di discutere sui suoi meriti o su quelli di Trotskij durante la guerra civile, e quindi ci limiteremo a ricordare che la funzione di Stalin fu rilevante (e forse più di quanto non appaia a prima vista), (6) ma in certo senso offuscata dalla viva luce emanata da Trotskij, il quale, Commissario del popolo alla guerra dopo il 1918, si assunse l'onere ma anche la gloria della vittoria. Agli occhi dell'opinione pubblica, Trotskij appariva come il secondo uomo del regime. Sulle fotografie ufficiali, subito accanto a Kalinin, presidente dell'Esecutivo centrale dei soviet, stavano su un piede di parità Lenin e Trotskij. Per tutto questo periodo Stalin apprese l'arte di governare gli uomini. Si mosse con grande abilità ed astuzia quand'era necessario - ad esempio abbandonando le riunioni delle commissioni del commissariato per le nazionalità quando gli si chiedeva un'opinione difficile - ma non esitava a ricorrere al terrore di massa quand'era necessario e possibile, per esempio a Tsaritsyn (poi Stalingrado, ora Volgograd).
La sua risposta a Lenin, allarmato dal pericolo di un'insurrezione dei socialisti-rivoluzionari di sinistra a Tsaritsyn, è un modello nel suo genere: “Quanto agli isterici, siate certo che la nostra mano non tremerà: i nemici saranno trattati da nemici.” Al tempo stesso, però, sapeva far marcia indietro quando le circostanze non gli erano favorevoli, ad esempio di fronte a Trotskij nelle discussioni sulla condotta delle operazioni militari. Più che uno stratega, era un maestro di tattica che dimostrava le proprie capacità sul treno. Nel marzo del 1919 fu eletto membro del nuovo Ufficio Politico (con Lenin, Trotskij, Kamenev, Krestinskij, mentre Zinovjev e Bucharin furono eletti membri supplenti). Poco conosciuto fuori della dirigenza del partito, riuscì tuttavia a concentrare nelle sue mani un potere sempre più grande.
Membro dell'Ufficio Politico, Commissario del popolo per le nazionalità e all'Ispezione operaia e contadina dopo il 1921 (il Rabkrin), aveva una sorta di autorità tentacolare.
Le sue idee, così come si conoscono attraverso la loro pubblica esposizione, non sembrano diverse da quella della maggioranza dei dirigenti bolscevichi se non, forse, perché era meno sensibile di loro all'influenza dell'Occidente. Caucasico e responsabile dei problemi delle nazionalità, i suoi occhi erano rivolti ad Oriente. Due articoli che pubblicò dopo la rivoluzione d'ottobre erano intitolati significativamente: Non dimenticate l'Oriente ed Ex Oriente lux. Nel dibattito sulla firma del trattato di Brest-Litovsk, si fece mettere severamente a posto da Lenin, che pure aveva sempre appoggiato, per aver dubitato delle possibilità rivoluzionarie del proletariato dei paesi capitalistici sviluppati d'Occidente. Tutto questo, però, non bastava ad evidenziarlo nettamente tra gli altri dirigenti bolscevichi.
Quali ragioni aveva quindi l'allarme espresso da Lenin nei suoi appunti del 23 e 25 dicembre 1922, del 4 gennaio 1923 e in una serie di testi redatti alla fine del 1922 e agli inizi del 1923? A nostro avviso, le ragioni erano due, strettamente connesse. Da un lato, Lenin temeva che l'antagonismo tra Trotskij e Stalin provocasse una scissione nel partito, una guerra civile e la fine della rivoluzione (“I rapporti tra loro, secondo me, rappresentano una buona metà del pericolo di quella scissione.”). (7) E questa scissione gli sembrava tanto più pericolosa perché perfettamente possibile data l'esistenza, all'interno del partito, di elementi favorevoli alla costituzione di più partiti. D'altro lato si preoccupava per la crescente autorità di Stalin e per l'uso che egli ne faceva. Lenin vs. Stalin

Il 3 aprile 1922, su proposta di Kamenev, il Comitato Centrale del partito riunitosi dopo l'XI Congresso eleggeva Stalin alla carica di Segretario generale del partito. La carica esisteva fin dal 1918 e Sverdlov era stato il primo ad occuparla, fino alla sua morte, nel marzo del 1919, sostituito poi da Krestinskij e quindi, nel 1921, da Molotov. Dapprima la carica era più amministrativa che politica ma poi, con l'accumularsi dei compiti del partito e l'elevarsi continuo del suo ruolo, l'importanza delle funzioni di Segretario generale divenne grandissima, sopratutto perché era lui a controllare i quadri e l'intera attività dell'apparato di partito, sempre più onerosa. Stalin era inoltre membro dell'Orgburo (ufficio di organizzazione incaricato della ripartizione degli effettivi). Con la malattia di Lenin (era stato colpito da ictus nel maggio del '22, e, dopo una ripresa temporanea, aveva avuto altri due attacchi, in dicembre e nel marzo '23: dopo di allora rimase paralizzato, e morì il 21 gennaio 1924), la funzione di Segretario generale si fece ancora più importante. Il Segretario generale era il solo tra tutti i dirigenti del partito ad essere insieme membro del Politburo, dell'Orgburo e della Segreteria e titolare di due Commissariati del popolo. È comprensibile quindi la frase di Lenin: "Il compagno Stalin [...] ha concentrato nelle sue mani un immenso potere.” Era la constatazione di un dato di fatto che Lenin giudicava allarmante: “Non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente chiarezza.”
Su quali fatti fondava tale constatazione, divenuta pochi giorni dopo una certezza - ”Stalin è troppo grossolano" (4 gennaio 1932) - e che lo indusse a proporre “di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico”, (8) cosa ormai difficilissima?
Lenin si era fatto un suo preciso giudizio sull'attività quotidiana di Stalin come responsabile di due Commissariati del popolo, quelli delle nazionalità e dell'Ispezione operaia e contadina.
A proposito delle nazionalità, Lenin rimproverava a Stalin innanzitutto la sua concezione d'insieme, che lo aveva spinto a proporre una Costituzione secondo la quale le repubbliche sovietiche non russe dovevano essere integrate nella Repubblica sovietica federativa socialista russa (RSFSR). Finalmente, l'intervento di Lenin aveva permesso alla fine del 1922 la fondazione dell'URSS. In seguito, lo stesso Lenin aveva violentemente criticato l'atteggiamento dei dirigenti bolscevichi in Georgia, e cioè di Dzerzinskij (il capo della Ceka), di Ordzonikidze e di Stalin. Quello di cui Lenin soprattutto li accusava, e non senza ragione, era il comportamento brutale e sciovinista. I dirigenti bolscevichi della Georgia erano stati maltrattati, anche fisicamente, dai delegati del Comitato Centrale perché si erano opposti alla creazione di una Repubblica socialista sovietica della Transcaucasia ed avevano chiesto il mantenimento di una RSS georgiana. Lenin aveva violentemente criticato "l'invasione di quell'uomo veramente russo, di quello sciovinista grande-russo, in sostanza vile e violento, che è il tipico burocrate russo", e aggiungeva: "lo penso che qui hanno avuto una funzione nefasta la frettolosità di Stalin e la sua tendenza a usare i metodi amministrativi, nonché il suo odio contro il famigerato 'socialnazionalismo'. “ (9) Ed aveva qualificato la politica di Stalin come “profondamente nazionalista grande-russa”. È vero che Stalin era di origine georgiana, ma, osservava Lenin, “gli allogeni [vale a dire i non russi] russificati calcano continuamente la mano.” Stalin voleva apparire più russo dei russi per bisogno politico di centralizzazione, così come il corso Napoleone (10) aveva “calcato la mano” sviluppando la centralizzazione alla fine della rivoluzione francese. La brutalità dei termini usati da Lenin merita che ci si soffermi.
"Il georgiano che considera con disprezzo questo aspetto della questione, che facilmente si lascia andare all'accusa di 'socialnazionalismo' (quando egli stesso è non solo un vero e proprio 'socialnazionale' ma anche un rozzo Derzimorda [grande-russo], quel georgiano in sostanza viola gli interessi della solidarietà proletaria di classe.(11) Lenin aveva visto il pericolo rappresentato dall'attività di Stalin e la natura reale di questo pericolo: di qui il suo grido di aIlarme.
Né era più tenero a proposito dei problemi dell'lspezione operaia e contadina. In un articolo scritto il 23 gennaio 1923 (e pubblicato sulla Pravda il 26 gennaio), descrisse l'apparato statale sovietico come una “sopravvivenza del passato [...], il vero tipo del nostro vecchio apparato statale” ed assunse ad esempio di questa “caducità” dell'apparato statale l'Ispezione operaia e contadina diretta da Stalin dal 1921: “Diciamolo pure: il Commissariato del popolo per l'Ispezione operaia e contadina non gode ora di nessun prestigio. Tutti sanno che non esistono organismi peggio organizzati dell'Ispezione operaia e contadina e che, nelle condizioni attuali, è inutile pretendere qualcosa da questo Commissariato del popolo.(12)
Contemporaneamente, egli suggerì una riforma delle attività del Comitato Centrale, del Politburo e della Segreteria. Le sue critiche divennero ancora più violente nell'articolo Meglio meno ma meglio, redatto a distanza di pochi giorni.
Insomma, la critica mossa da Lenin a Stalin era radicale.
Stalin aveva “un immenso potere”, era “grossolano”, la sua “frettolosità” aveva una “funzione nefasta”, la sua politica era “nazionalista grande-russa”. Dissensi personali tra la compagna di Lenin, la Krupskaja, e Stalin aggravarono la situazione.
Lenin si riavvicinò allora a Trotskij.
Dopo essersi opposto vigorosamente, nel 1921, aI X Congresso (13), alle sue tesi sulla militarizzazione del lavoro e sull'integrazione dei sindacati nello Stato, si riavvicinò a lui pur criticando il suo rifiuto di accettare la vicepresidenza del Consiglio (cosa che Trotskij motivò col proprio essere ebreo, il che la dice lunga su quanto fosse diffuso l'antisemitismo in Russia) e gli prodigò numerosi elogi pubblici, cosa rarissima in lui. L'8 marzo 1922, sulla Pravda, dichiarò a proposito della conferenza di Genova che “dal nostro punto di vista dei compiti pratici e non dal punto di vista delle altalene diplomatiche, meglio di tutti ha definito la situazione il compagno Trotskij”. (14) Il 12 marzo 1922 cominciò così un articolo pubblicato dalla rivista Pod znamenem marksizma (Sotto la bandiera del marxismo): "Per quanto riguarda gli obiettivi generali della rivista Pod znamenem marksizma, il compagno Trotskij ha già detto l'essenziale nel n. 1-2, e lo ha fatto in modo magnifico." (15) AI III e IV Congresso dell'Internazionale comunista Lenin e Trotskij si batterono fianco a fianco contro gli elementi "di sinistra", per lo sviluppo del fronte unico.
Il 13 dicembre 1922 Lenin chiese a Trotskij di difendere "la nostra comune posizione sul monopolio del commercio estero". Dopo aver criticato la proposta di Trotskij di conferire al Gosplan (la commissione del piano) funzioni legislative, il 27 dicembre 1922 ammise che "si possa e si debba andare incontro al compagno Trotskij." (16)
Nelle sue critiche ai dirigenti disse a proposito di Trotskij che "era forse il più capace tra i membri dell'attuale CC", pur criticando la sua "eccessiva sicurezza di sé e una tendenza eccessiva a considerare il Iato puramente amministrativo dei problemi." E il 5 marzo 1923 chiese a Trotskij di assumere la difesa della questione georgiana dinanzi al Comitato Centrale del partito. "La cosa è ora sotto 'inquisizione' di Stalin e di Dzerzinskij, e non posso fidarmi della loro imparzialità. Tutt'altro. Se voi accettaste di assumervene la difesa, potrei essere tranquillo." (17)

Citiamo questi testi importanti perché ci sembra che solo alla loro luce si possa comprendere la nascita del fenomeno staliniano, e non per esaltare Trotskij e sminuire Stalin. L'importante è la natura dei problemi sollevati da Lenin, non gli individui in causa. Tra l'altro, Trotskij aveva proposto nel 1921 una politica militarista e burocratica che - è il minimo che si possa dire - non avrebbe certo contribuito a correggere i difetti dell'apparato sovietico, dei quali Lenin intravedeva i pericoli senza prevederne necessariamente tutte le conseguenze.

La deformazione burocratica”, la politica nazionalista grande-russa non potevano essere combattute se non dando corpo ad una democrazia i cui fondamenti non esistevano nella Russia del 1923, tanto più che questa democrazia rischiava di mettere in pericolo lo stesso potere sovietico, come avevano suggerito i fatti di Kronstadt.
Sotto questa angolazione non va dimenticato che l'Unione Sovietica, nel 1923, era un paese nel quale non esisteva libertà d'espressione, di riunione, di associazione, nel quale non v'erano elezioni libere e il potere era in mano ad un solo partito - e, all'interno di questo partito, in mano ad un numero esiguo di persone (poche migliaia tutt'al più) - e dove la polizia politica restava onnipotente, dove, per le condizioni stesse nelle quali la rivoluzione aveva trionfato, non esistevano né tradizioni né strutture democratiche. Ci si accorge subito, allora, che alcuni aspetti della forma sovietica di socialismo provengono da questo terreno storico e non dal socialismo in sé.

Gli archivi di Smolensk illustrano questa realtà. Trovati nel 1941 durante l'invasione tedesca, i loro cinquecento fascicoli contenenti duecentomila pagine di documenti furono inviati in Germania. Gli americani se ne impadronirono nel 1945 e li trasportarono a Washington, dove si trovano tuttora presso la sezione militare degli archivi federali militari. Di essi si è servito lo storico americano Fainsod (18) in un'opera pubblicata nel 1958, ma non sono mai stati pubblicati tutti insieme.
Nel 1922 la regione di Smolensk aveva 2.500.000 abitanti. Il partito contava 128 iscritti prima della caduta dello zarismo e 366 nel 1917. Nel 1919 gli effettivi raggiunsero i 2.566 iscritti (12 mila nel marzo del 1919 secondo le autorità regionali, ma le cifre si rivelarono false). Nel 1921, al momento dell'epurazione, essi raggiungevano il numero di 10.657. Soltanto 7.245 alla fine del 1921 e 5.416 alla fine del 1923, 5.655 al 1° aprile 1924. Su un totale di 5.416 iscritti al partito (o candidati), 370 vivevano nelle città, 1.712 nelle zone agricole: v'erano cioè 16 comunisti su ogni diecimila abitanti abili al lavoro, vale a dire, approssimativamente, un membro del partito per ogni dieci villaggi; e, siccome la popolazione della provincia era rurale per il 90%, l'estrema debolezza del partito nelle campagne era ancora più evidente.”
Nel 1924, quindi, in una regione occidentale - ma estremamente agricola - il partito era ancora una goccia d'acqua nel gran mare russo...

Di qui le difficoltà dell'edificazione socialista e la nascita dello stalinismo. (*) Non si può assimilare questo fenomeno al periodo leninista, come tentano di fare tanti autori. Il terrore rosso diretto contro i bianchi e contro i loro sostenitori sociali e politici era nato dal terrore bianco.
Il terrore rosso e la repressione di massa stalinista non si possono paragonare tra loro né qualitativamente né quantitativamente. Eppure, Stalin si fece strada sotto Lenin e contro di lui. Sarebbe pericoloso per lo storico non scorgere questo nesso perché in tal caso si condannerebbe a spiegare il fenomeno staliniano con la sola personalità di Stalin.

Potrebbe dire in modo caricaturale: “C'era una volta un uomo buonissimo che si chiamava Lenin. Venne poi un uomo cattivo che si chiamava Stalin...” Un nesso tra l'inizio degli anni venti e la metà degli anni trenta esiste incontestabilmente, e consistette nel permanere di strutture politiche, diI'humus fenomeni di coscienza, di comportamento degli uomini, frutto delle tradizioni e delle circostanze che costituirono sul quale crebbero poi le piante più velenose del fenomeno staliniano.
Ora, questo humus esisteva in parte già nel 1923 e proprio per questo Lenin aveva tentato di ridurne le dimensioni. Ciò non significa che questo fenomeno fosse "necessario, storicamente necessario”, vale a dire inevitabile, ma semplicemente che era possibile. I bolscevichi dovevano davvero rinunciare al potere, come si suggerisce oggi con tanta insistenza? Come dirà Trotskij, “il bandolo della storia si era sgomitolato all'inverso”. La rivoluzione socialista aveva trionfato in un paese povero e culturalmente arretrato, e non in un paese capitalistico sviluppato. L'URSS era il solo Stato socialista e doveva o andare avanti o farsi harakiri. Preferì andare avanti. Fu una scelta storica incontestabile.

NEP

Dal 1923 al 1928 continuò l'esperimento della NEP, la Nuova politica economica: fu un periodo di relativa stabilità sia sul piano internazionale che sul piano interno. Contemporaneamente, si consolidarono le tendenze già osservate negli anni precedenti, mentre aumentava l'autorità di Stalin.
La NEP permise di realizzare la ricostruzione economica del paese. Fin dal 1926 la produzione agricola raggiunse il 90% della produzione dell'anteguerra e, se i progressi della produzione industriale furono più lenti, essa si avvicinò comunque, quello stesso anno, ai livelli del 1913. Per rendersi conto della rapidità di questi progressi bisogna ricordare quali erano le condizioni economiche dell'URSS nel 1922. La Francia, che pure era stata molto meno provata dalle distruzioni belliche rispetto all'Unione Sovietica, riuscì a raggiungere i livelli produttivi del 1913 non prima del 1926, e cioè otto anni dopo l'armistizio. La ripresa economica sovietica fu dunque due volte più rapida - tenendo conto delle distruzioni - di quella francese. La NEP aveva risposto alle speranze dei suoi promotori. Sulla base dell'economia di mercato, dell'incentivazione dei contadini e degli operai, del libero commercio e della piccola impresa capitalistica, si era assistito ad un notevole sviluppo delle forze produttive, ma lo Stato continuava a controllare il credito, la grande industria ed i trasporti, nonché il commercio estero.
Anche sul piano sociale la NEP aveva portato i risultati sperati. Con la rinascita della grande industria, si era ricostituito anche il proletariato, che tuttavia rimaneva numericamente inferiore rispetto al 1913: e, soprattutto, si trattava di un nuovo proletariato di estrazione contadina al quale andava aggiungendosi un numero sempre crescente di salariati. La NEP aveva avvantaggiato anche il capitalismo.
Nelle campagne i kulaki, i contadini ricchi, si erano arricchiti, assumevano manodopera, prestavano denaro ai contadini poveri, estendevano le loro superfici coltivabili aggirando con vari mezzi le disposizioni del codice agrario e, infine, svolgevano un ruolo più importante nella commercializzazione dei prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento, poiché i rendimenti erano più alti tra i contadini ricchi che non tra quelli medi. Il numero di contadini medi (serednjaki) era aumentato, ma anche quello dei contadini senza terra (batraki) era cresciuto e la loro sorte era peggiorata, come quella dei contadini poveri (bednjaki). I kolcos (cooperative di produzione) e i sovcos (fattorie di Stato) avevano ancora scarso peso (18.000 coprivano appena il 3% delle aree coltivate). Nelle città la disoccupazione era altissima (700.000 disoccupati nel 1924, 1.400.000 nel 1928). Commercianti e piccoli industriali si erano arricchiti. I nepmen approfittavano largamente della NEP.
Chi vincerà? si era chiesto Lenin nel 1921. Ebbene, nel 1928 non era ancora ben chiaro che sarebbe stato il socialismo a trionfare. Indubbiamente disponeva di preziosi atouts, ma il suo avvenire rimaneva tanto più incerto quanto più precario appariva lo sviluppo economico. Fin dal 1927 si osservò una stasi allarmante nei settori chiave dell'economia. Le stesse condizioni della ripresa economica, dato il ricorso al capitalismo di Stato e al piccolo capitalismo privato, avevano reso ancora più necessario, per i bolscevichi, mantenere in vita la loro dittatura, e più precisamente quella del piccolo nucleo dirigente di cui Lenin aveva parlato nella sua lettera a Molotov. È importante osservare che nessun dirigente del partito - quali che fossero le loro divergenze negli anni tra il 1923 e il 1927 - mise in dubbio le strutture politiche create nel 1922. Le poche decisioni prese allora per sviluppare la democrazia o per creare condizioni migliori per la sua affermazione - limitazione dei poteri politici della Ghepeu, pubblicazione di un foglio di dibattiti per il partito, ad esempio - non trovarono applicazione concreta a causa dell'evolversi di istituti e di prassi che si cristallizzarono, si ossificarono o si completarono laddove sembravano insufficienti ad assicurare l'egemonia bolscevica, confusa fin d'allora, completamente, con quella del proletariato. I documenti degli archivi di Smolensk, attendibili secondo le conclusioni di Fainsod, dimostrano che il dibattito a livello dei dirigenti, pur determinante, non trovò alcuna eco nelle province nemmeno all'interno del partito. Forse non era così in alcune regioni, ma la tendenza generale andava verosimilmente nel senso di una certa indifferenza. Anche se si sa poco dei sentimenti dell'opinione pubblica di quel tempo e di quel paese, si ha la sensazione di un diffuso e profondo desiderio di pace sia interna che esterna. Il popolo aveva duramente sofferto dal 1914 al 1922, ed adesso non voleva più sentir parlare né di avventure esterne né di disordini interni.
La gente voleva lavoro, un miglioramento delle condizioni di vita, il progresso culturale: di qui un certo avvicinamento tra il potere sovietico e i contadini medi, osservato da tutti i testimoni dell'epoca. In queste condizioni, era naturale che i militanti bolscevichi si ponessero degli interrogativi riguardo all'avvenire della rivoluzione nell'URSS e nel mondo. I dibattiti del 1923-1927 all'interno della direzione bolscevica ebbero come nodo centrale per l'appunto questi problemi, ma furono ostacolati tutt'insieme dalla congiuntura, dalle polemiche personali e dalla mancanza di una vera democrazia, la sola che avrebbe potuto dar vita ad un vero dibattito.

Convocato nel mese di aprile del 1923 - Lenin non era presente perché aveva dovuto abbandonare per sempre l'attività politica - il XII Congresso fu un chiaro riflesso delle esitazioni del partito. Secondo una confidenza fatta a Kamenev dalla Krupskaja, Lenin aveva deciso di stroncare Stalin politicamente. Le circostanze non gli permisero di realizzare il suo progetto, e nel 1923 nessun altro all'infuori di lui era in grado di farlo: Stalin deteneva già un “enorme potere”. Trotskij non aveva sufficiente autorità nella direzione del partito. Il suo passato - il suo ruolo prebellico, ovvero i forti contrasti che in quel periodo ebbe con Lenin - allontanava da lui molti bolscevichi della vecchia guardia. Commissario del popolo alla guerra, avrebbe potuto tentare di ricorrere all'esercito rosso per ridurre Stalin alla ragione. Ma non è detto che l'esercito l'avrebbe seguito, mentre è probabile che Trotskij, consapevole dei pericoli di una scissione del partito, non ci pensasse nemmeno lontanamente. Lo si accusava di voler essere il Bonaparte della rivoluzione sovietica: invece non aspirava sicuramente a questo ruolo. Per di più, sottovalutava troppo Stalin per analizzare seriamente la situazione. Trotskij fu talvolta un buon stratega. Grande scrittore e buon oratore, fu però un tattico mediocre, trovandosi a suo agio più nelle situazioni di crisi che nei momenti di bonaccia relativa. Sapeva essere grande quando le acque s'intorbidavano, ma era sempre mediocre quando tutto era calmo. Quanto a Zinovjev e Kamenev, essi si allearono con Stalin costituendo quello che venne poi chiamato il triumvirato, o troika (tiro a tre cavalli). All'inizio del Consolato, dopo il 18 brumaio, v'erano tre consoli: ebbene, chi oggi, all'infuori degli specialisti naturalmente, ricorda ancora Cambacerès de Lebrun? e chi non conosce invece Napoleone Bonaparte?
Strateghi mediocri e tattici maldestri, Zinovjev e Kamenev vedevano in Trotskij un nuovo Bonaparte al quale bisognava sbarrare la strada del potere supremo. Capirono tutti e due troppo tardi che la storia non si ripete mai e che Stalin era un candidato dittatore di nuovo tipo.
Tutti i dirigenti conoscevano troppo a fondo la debolezza del partito per provocare una crisi che poteva essere fatale. Dopo la morte di Lenin, il suo Testamento fu portato a conoscenza del Comitato Centrale e poi del Presidium del XIII Congresso (maggio 1924), ma si decise di non farne parola ai delegati. Stalin fece onorevole ammenda sui problemi georgiani, disse che si doveva combattere energicamente il burocratismo, promise che sarebbe stato meno brutale e più civile, dopo di che conservò il suo posto ed usò dei suoi poteri per controllare l'apparato del partito con revoche abilissime e nomine ad hoc, rese possibili dall'applicazione delle decisioni dell'XI Congresso. In precedenza si era profilata un'opposizione all'interno della direzione del partito: nell'ottobre del 1923 quarantasei dirigenti (19) si erano appellati al Comitato Centrale per esigere una più rapida industrializzazione ed una maggior democrazia all'interno del partito. Trotskij non aveva firmato la lettera, ma certo non la sconfessava.
Il Comitato Centrale decise di esprimere il suo biasimo nei confronti dei firmatari della lettera, colpevoli di aver ridato vita ad una frazione, il che era rigorosamente proibito dopo il X Congresso, ma ammise la necessità di una maggior democrazia all'interno dei partito (articolo di Zinovjev sulla Pravda del 7 novembre 1923). I quarantasei firmatari furono in parte appoggiati da Mosca, dalle cellule dell'esercito e delle università. Il Comitato Centrale reagì energicamente: Antonov-Ovseenko, commissario politico dell'esercito rosso, fu destituito, e il Comitato Centrale del Komsomol disciolto. L'opposizione dovette cedere. Data la situazione dell'URSS e quella del partito nel paese, il suo margine di manovra era troppo ristretto.
Sempre minacciata da un'aggressione dall'esterno, l'Unione Sovietica era ancora debole e precarie sotto molti aspetti le posizioni del partito nel paese. Per consolidare il loro potere i bolscevichi contavano sui risultati della NEP e della politica in favore dei contadini medi. Fu quello che disse Bucharin, con la sua foga abituale, nel 1925: “Arricchitevi, sviluppate le vostre fattorie e non temiate che la costrizione si abbatta su di voi." Il consiglio, ispirato da quello dato da Guizot alla borghesia francese durante la monarchia di luglio, fu naturalmente criticato dall'opposizione di sinistra ed approvato da Ustrjalov, ex membro del governo Kolcak, il quale pensava di servirsi della NEP per restaurare il capitalismo in Russia. Bucharin ritirò “questa formulazione abnorme di una giusta proposta”, ma la discussione che essa aveva provocato confermava la gravità della situazione.
I bolscevichi contavano anche sui progressi culturali, ben reali questi ultimi. L'analfabetismo era in netto regresso. Alla fine del 1926 metà della popolazione sapeva ormai leggere e scrivere (ma la percentuale era più debole tra le donne e tra le popolazioni non russe dell'Unione). L'insegnamento secondario e professionale faceva grossi passi avanti, al pari del numero degli studenti. I rabfaki (facoltà operaie) e le scuole del lavoro permettevano la formazione accelerata di quei tecnici di cui l'URSS aveva tanto bisogno.

Riti

Contemporaneamente, i bolscevichi riprendevano alcuni metodi tradizionali di governo, ad esempio il culto del capo.
Si cominciò con quello di Lenin. Sin dalla fine della guerra civile il suo ritratto fu appeso dovunque. Lenin tentò di sradicare questo fenomeno, ma non ci riuscì del tutto.
Dopo la sua morte, esso finì con l'assumere proporzioni abnormi. Il suo corpo fu imbalsamato e collocato in un mausoleo di legno sulla Piazza Rossa, di fronte al Cremlino, dove la folla poteva recarsi a contemplarlo. Come scrisse Gorkij su L'Internazionale comunista: “Lenin sta diventando un personaggio leggendario, e questo è un bene. Dico che è un bene perché la maggioranza della gente ha assolutamente bisogno di credere per poter cominciare ad agire. Sarebbe troppo lungo aspettare che cominciasse a pensare e a comprendere: nel frattempo il cattivo genio del capitale l’annienterebbe sempre più in fretta con la miseria, l'alcoIismo e lo scoraggiamento.” (20 luglio 1920, n. 12)
Lenin aveva cercato invano di contestare questa teoria.
Giustificando l'esposizione del corpo di Lenin nel mausoleo, lo stesso Zinovjev parlò di “pellegrinaggio”. Nomi di dirigenti ancora in vita furono dati a città e ad officine. Fin dal 1923 figuravano così una Trotskij (la città di Gascina, a 46 chilometri da Pietrogrado: 16.000 abitanti), nel 1924 Elizavetgrad divenne Zinovjevsk e il 10 aprile Tsaritsyn prese il nome di Stalingrado: la tradizione zarista e i riti ortodossi messi a frutto insieme. Il contenuto di classe di questi metodi di governo era radicalmente diverso, ma il metodo restava lo stesso, anche se laicizzato e in certo senso socializzato. I suoi pericoli erano evidenti, come doveva dimostrare chiaramente l'avvenire.
Stalin si rendeva perfettamente conto - e la sua formazione personale lo aiutò in questo senso - dei vantaggi che si potevano ricavare da questa tendenza. Il suo discorso ai funerali di Lenin fu un modello del genere perché riprendeva le litanie ortodosse e nello stile e nella forma: “Lasciandoci, il compagno Lenin ci ha ordinato di tener alto e di conservare puro il grande appellativo di membro del partito. Ti giuriamo, compagno Lenin, di eseguire con onore il tuo comandamento.” La stessa litania la si ritrova su cinque altri temi, l'unità del partito, la dittatura del proletariato, l'unione degli operai e dei contadini, l'unione delle repubbliche sovietiche, la fedeltà ai principi dell'Internazionale comunista. “Lasciandoci, il compagno Lenin... ci ha ordinato... Ti giuriamo, compagno Lenin, di eseguire con onore il tuo comandamento.” E così il “culto del capo”, i riti quasi religiosi, la stessa trasformazione del partito in una Chiesa laica - ”Noi comunisti siamo gente fatta in modo particolare, siamo tagliati in una materia speciale”, aveva detto Stalin nel suo discorso ai funerali di Lenin - furono consapevolmente decisi ed applicati dall'insieme del partito. Un aspetto caratteristico del fenomeno staliniano che rivela fino a qual punto esso fosse il portato della storia russa e non del socialismo.
Non ci diffonderemo sul merito delle discussioni e dei conflitti che in questo periodo contrapposero alcuni dirigenti alla direzione del partito e aI partito nel suo insieme. Ci limiteremo invece ad addentrarci nell'essenza del fenomeno, per quel che riguarda direttamente la nascita dello stalinismo.

Il socialismo in un solo paese

Stalin espresse chiaramente, fin dal 1925, l'idea che si doveva “costruire il socialismo in un solo paese”. Nessuno sosteneva allora che la sua vittoria poteva essere definitiva, ma era necessario e possibile dare chiaramente questo obiettivo al popolo e al partito. L'opposizione - quella del 1923 o quella del 1925-1926 - ebbe il grande torto di non comprendere la necessità di questa parola d'ordine chiara ed accessibile alle masse contadine perché essa implicava la rinuncia alla guerra rivoluzionaria offensiva e dunque all'attacco. Si è scritto molto su questo argomento, e molti autori hanno affermato che quella parola d'ordine era di per se stessa nazionalista e contraria al pensiero di Marx e di Lenin. Ma è puro e semplice talmudismo leggere i ”testi sacri” applicandoli meccanicamente a situazioni nuove rispetto al periodo in cui furono scritti. La rivoluzione socialista era fallita ovunque fuori di Russia e nulla lasciava prevedere che potesse trionfare immediatamente in qualche altro paese.
L'unica via possibile consisteva quindi nell'edificare il socialismo in un solo paese. Certo, l'URSS continuava a svolgere un ruolo rivoluzionario col proprio sviluppo e con l'aiuto che recava al movimento operaio internazionale, ma il suo primo dovere era di edificare il socialismo in casa sua. L'equilibrio da instaurare tra questi due aspetti complementari era delicatissimo, ed il fatto che l'Unione Sovietica non l'abbia sempre realizzato non è certo una prova che la decisione presa nel 1925 fosse errata. Trotskij - come dimostra il suo rapporto sull'industrializzazione al XII Congresso e la sua attività a capo dei diversi comitati del Consiglio superiore dell'economia nazionale - accettava le conseguenze pratiche di questo fatto, ineluttabile date le circostanze, ma ne rifiutava qualunque formulazione teorica.
Lo stesso Trotskij previde la competizione futura tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti, nella quale “il bolscevismo americanizzato vincerà e schiaccerà I'americanismo imperialista.” (20)
Il suo rifiuto di ammettere la possibilità di esistenza del socialismo in un solo paese poté ciononostante essere presentato, non senza ragione, come la conseguenza della teoria della rivoluzione permanente da lui sviluppata prima della rivoluzione e alla quale non aveva mai rinunciato.
Sul piano internazionale, l'unica alternativa era la coesistenza pacifica: lo ammise lo stesso Trotskij in un colloquio con il senatore americano King pubblicato sulle Izvestija il 30 settembre 1923. “Noi non interveniamo nelle guerre civili straniere. È chiaro che non potremmo intervenire se non dichiarando guerra alla Polonia. Ma noi non vogliamo la guerra. Non nascondiamo le nostre simpatie per la classe operaia tedesca nella sua eroica lotta per l'emancipazione. Per essere più preciso e franco, dirò che, se potessimo dare la vittoria alla rivoluzione tedesca senza correre il rischio di entrare in guerra, faremmo tutto il possibile. Ma non vogliamo la guerra. La guerra sarebbe un grosso danno per la rivoluzione tedesca. Può sopravvivere solo quella rivoluzione che riesce con le proprie forze, soprattutto quando è in gioco un grande paese.”
Trotskij, e dopo di lui Kamenev, Zinovjev e tutti gli oppositori, pensavano fosse opportuno fare della questione del “socialismo in un solo paese” un tema di ampio dibattito. Stalin e Bucharin ebbero buon gioco rispondendo che bisognava essere coerenti con se stessi e trarre i giusti insegnamenti dagli avvenimenti passati e dalle realtà presenti.
La parola d'ordine del “socialismo in un solo paese” tranquillizzava i contadini e l'opinione pubblica, dava a tutti prospettive chiare. Il suo rifiuto, invece, poteva destare un profondo allarme.

Economia politica

Tre furono le questioni al centro dei dibattiti su[ piano economico e sociale: quella dell'industrializzazione, quella della pianificazione, quella della lotta contro i contadini ricchi.
L’opposizione sostenne che si doveva industrializzare la Russia nel più breve tempo possibile, il che esigeva una pianificazione rigorosa ed un'accumulazione (21) socialista primitiva, vale a dire dei prelievi che, data la situazione del paese, potevano provenire unicamente dal mondo contadino e dall'artigianato.
Preobrazenskij formulò chiaramente il suo punto di vista in una serie di articoli pubblicati a partire dal 1921 ed usciti nel 1926 sotto il titolo Novaja ekonomika (La nuova economia). In un articolo del 1924 La legge fondamentale dell'accumulazione socialista, egli la paragonava all'accumulazione capitalistica primitiva. Quest'ultima si era realizzata grazie ai capitali ricavati dallo sfruttamento del lavoro dei piccoli produttori precapitalistici e delle colonie e grazie anche alle tasse e ai prestiti di Stato. Ora, lo sfruttamento delle colonie era impossibile per il socialismo. Rimanevano “lo sfruttamento della piccola produzione, l'esproprio del surplus prodotto dalla campagna e dal lavoro artigiano. [...] L'idea che un'economia socialista possa svilupparsi da sola, senza toccare le risorse della piccola borghesia, economia contadina compresa, è un'idea reazionaria, un'utopia piccolo-borghese.“ Questa analisi era tanto più interessante in quanto, alla fine - e senza dirlo - Stalin la riprese per suo conto in un rapporto al Comitato Centrale (9 luglio 1928) per giustificare la nuova politica che andava proponendo al partito. Nel 1923-1924 era chiaro che una simile analisi rischiava di compromettere l'alleanza (smycka) tra operai e contadini sulla quale era fondata la NEP. Proprio per questo le idee di Preobrazenskij, riprese da Trotskij e dall'opposizione, furono combattute e respinte. Krasin (Commissario del popolo per il commercio estero) aveva rivolto a Trotskij, dopo il suo rapporto al XII Congresso, una domanda alla quale la storia doveva dare un rilievo particolare: “Trotskij aveva ricavato tutte le conseguenze da questa analisi dell’accumulazione socialista primitiva?”. La risposta di Trotskij fu imbarazzata, e ben a ragione, poiché realizzare l'accumulazione in fretta e con brutalità significava di fatto rivolgere il terrore contro i contadini (come avverrà precisamente nel 1929-1930). In verità, l'accumulazione socialista primitiva, nel 1923, era una vera e propria necessità per l'Unione Sovietica, tenendo conto delle condizioni economiche del paese in quel momento. E tuttavia, doveva essere necessariamente lenta, altrimenti si sarebbe realizzata a danno dei contadini (e non solo dei kulaki): era precisamente quanto Lenin ava temuto e criticato con forza nei suoi ultimi scritti, quanto Bucharin riprese poi nei suoi testi del 1928-1929. L'edificazione del socialismo doveva durare “decine di anni.
Possiamo osservare subito che questa situazione non ha niente a che vedere con quella dei grandi paesi sviluppati negli anni settanta del nostro secolo. L'accumulazione socialista primitiva non è necessaria in questi paesi in quanto è stata realizzata più di un secolo fa l'accumulazione capitalistica primitiva. Ora, il fenomeno staliniano derivò in larga misura dalle condizioni nelle quali l'accumulazione socialista primitiva fu realizzata da Stalin, vale a dire dalla fretta eccessiva di industrializzare e di collettivizzare le terre e dal terrore messo in opera contro i contadini prima, e poi contro lo stesso partito. Le basi oggettive dello stalinismo, ad esempio, non esistono assolutamente nell'Europa contemporanea, ove il livello delle forze produttive è già elevato. Ora, proprio questa constatazione ci fa capire chiaramente come quel fenomeno non fosse il prodotto del socialismo; ma piuttosto delle condizioni spazio-temporali che presiedettero al suo sviluppo in una situazione storica ben precisa, quella dell'Unione Sovietica - e dell'Unione Sovietica degli anni 1920-1930 - e che differivano radicalmente da quelle di altri paesi.
Si tratta insomma di un fenomeno spazio-temporale e non di una necessità storica valida dovunque e sempre per il socialismo passato, presente e futuro.

La lotta contro i kulaki era strettamente connessa con l'industrializzazione e la pianificazione. Nessuno metteva in dubbio la necessità di combattere i contadini ricchi. Nemmeno Bucharin. Ma come combatterli senza mettere in pericolo l'alleanza degli operai e dei contadini nell'ambito della NEP? Fu questa difficoltà a provocare dibattiti e conflitti. L'opposizione chiese misure più severe contro i kulaki (soprattutto sul piano fiscale). Il partito esitò per parecchi anni ed infine respinse queste richieste. Tuttavia, nel 1927, il XV Congresso, dopo un particolareggiato rapporto di Molotov, finì per risolversi a prendere alcune misure contro di loro, e al tempo stesso decise di accelerare l'industrializzazione e di elaborare il primo piano quinquennale. Molotov aveva detto che non bisognava confondere contadini medi e kulaki. La cooperazione agricola doveva svilupparsi lentamente e sulla base del volontariato. Invece avvenne precisamente il contrario.

La dittatura sul proletariato

Il terzo grande problema al centro dei dibattiti degli anni 1923-1927 fu quello della democrazia. Nel partito l’opposizione la reclamava a gran voce, ma non senza contraddizioni dal momento che poco tempo prima aveva rifiutato ad altri, e soprattutto alI''opposizione operaia', questa stessa democrazia. E così, decise di far marcia indietro.
Quanto al divieto dell'esistenza di frazioni, era un po' come tentare il diavolo, come creare le condizioni per una scissione del partito. Il dibattito nel partito doveva svolgersi liberamente ma senza che le opinioni si cristallizzassero in frazioni rappresentanti in definitiva strutture generatrici di impotenza e di divisione. Il margine era ridotto, tanto più che la prassi politica di Stalin - ed è il meno che si possa dire - non tendeva certo ad estendere la democrazia. Segretario generale del partito, Stalin si servì della sua carica per imporre sempre più la propria autorità eliminando i membri dell'opposizione - e quelli che potevano divenirlo - dai centri decisionali e ricorrendo al sotterfugio di trasferirli all'estero o in regioni periferiche dell'Unione Sovietica. Per lo più, i dirigenti bolscevichi appoggiarono Stalin, che consideravano il più modesto e il più capace di dirigere il partito in quegli anni tormentati. Per lo più, sarebbero scomparsi tragicamente negli anni trenta, e proprio per suo ordine, ma allora niente lo lasciava presagire. Non dobbiamo dimenticarlo, noi che sappiamo quale sarà il loro destino.
Fin dall'estate del 1923 Zinovjev aveva preso l'iniziativa di promuovere una riunione segreta in una cantina di Kislovodsk, una delle più belle stazioni termali del Caucaso, per limitare l'autorità di Stalin rendendo la Segreteria un organismo politico. Bucharin, Vorosilov e parecchi altri dirigenti avevano partecipato alla riunione, durante la quale fu progettata la costituzione di una Segreteria composta da Stalin, Trotskij e Zinovjev (o Kamenev, o Bucharin). Stalin, messo al corrente da Ordzonikidze, sventò la manovra. Nel 1925 il partito contava 25.000 funzionari, dei quali 767 nel Comitato Centrale. La sezione del CC per l’impiego dei quadri (Uçraspred) controllava la nomina dei dirigenti (ad esempio 12.277 tra il XIII e il XIV Congresso del partito).
Nel 1924 le sezioni di organizzazione e di destinazione dei quadri si fusero per formare l'Orgraspred. A poco a poco l'opposizione, la cui composizione era d'altronde fluttuante, perse qualunque possibilità di espressione ed ogni responsabilità. I suoi feudi - l'esercito rosso con Trotskij, le università, le organizzazioni del partito di Lenigrado con Zinovjev e di Mosca con Kamenev - furono epurati. Nel gennaIo del 1925 Trotskij perse la carica di Commissario del popolo per la guerra (ma non la qualifica di membro del Politburo). Fino al dicembre del 1925 Zinovjev e Kamenev, pur prendendo le distanze da Stalin, continuarono a combattere Trotskij, che avevano tentato di allontanare dal Politburo nel gennaio di quell'anno. Fu al XIV Congresso che Kamenev cominciò a criticare Stalin, imitato subito dopo da Zinovjev.
Kamenev perse il suo posto di titolare del Politburo, ma rimase membro supplente e fu sostituito a Mosca da Uglanov (fucilato più tardi per ordine di Stalin), mentre Zinovjev fu allontanato dalla direzione del partito a Pietrogrado e sostituito da Kirov. Isolata nel partito e nel paese, l'opposizione non poteva contare che su poche migliaia di comunisti.
Violando le decisioni del X Congresso, tentò di organizzare una frazione. Drappeggiandosi nelle pieghe della bandiera dell'unità del partito e del socialismo in un solo paese, Stalin poté infliggere facilmente la stoccata finale.

Nell'ottobre del 1926 Trotskij fu espulso dal Politburo e Zinovjev dalla presidenza dell'Internazionale comunista. Nel dicembre del 1927, dopo alcuni tentativi di manifestazioni separate per il decimo anniversario dell'Ottobre, Trotskij, Kamenev, Smilga, Radek, Pjatakov, Laseviç, Rakovskij furono espulsi dal partito. loffe (22) si suicidò in segno di protesta contro l'espulsione di Trotskij.
Si chiuse così una pagina della storia del Partito comunista sovietico.
Grazie a questi avvenimenti, e spesso su una base politica ed ideale piuttosto soddisfacente, il potere e l'autorità di Stalin erano notevolmente aumentati. La democrazia nel partito e nel paese non ne usciva rafforzata, tanto più che la Ghepeu aveva finito per svolgere un ruolo sempre più importante in questi avvenimenti. Creata nel febbraio del 1922 per limitare i poteri della Ceka, della quale prese il posto, essa continuò a disporre di poteri considerevoli. Il codice penale della RSFSR promulgato nel 1922 ammetteva il principio del "crimine di Stato" (artt. 57, 58, 59), dando di questa nozione una definizione abbastanza vasta per comprendervi ogni critica scritta o verbale contro il regime sovietico e contro il suo modo di funzionamento. Fin dall'agosto del 1922 fu deciso di ammettere la deportazione senza processo, per un massimo di tre anni, per chiunque avesse partecipato ad un'attività controrivoluzionaria, su decisione di una Commissione speciale del Commissariato del popolo per gli affari interni (nella quale la Ghepeu svolgeva un ruolo fondamentale).
Il controllo della Ghepeu si estese gradualmente ai campi di lavoro forzato, alla stampa, alla letteratura, al cinema, al teatro, a tutti i luoghi pubblici e allo stesso partito. Nel giugno del 1923 fu la Ghepeu a far arrestare Sultan-Galev, un bolscevico tartaro che voleva creare una grande Repubblica socialista sovietica tartara comprendente tutte le popolazioni turco-mongole dell'Asia centrale e dell'Ucraina meridionale. Fu la Ghepeu a far arrestare i responsabili degli scioperi del 1923 e dei gruppi clandestini Pravda rabocich (La verità degli operai) e Rabocaja pravda (La verità operaia). Nell'ottobre del 1923 il Politburo decise di costringere i membri del partito a denunciare alla Ghepeu tutte le attività ostili al partito di cui fossero a conoscenza. Era una strada pericolosissima - dove cominciavano le attività ostili al partito? e chi poteva giudicarne? - che doveva aprire le porte ad innumerevoli eccessi, a tanti errori e a tanti crimini.
Nel settembre del 1927, fu la Ghepeu a perquisire la tipografia nella quale l'opposizione stava pubblicando la sua piattaforma (23) per il XV Congresso. Fu la Ghepeu ad inventare l'esistenza di una guardia bianca ex soldato di Vrangel, per provare artificiosamente la collusione tra i bianchi e l'opposizione. Stalin dovette riconoscere più tardi che si era trattato di un “errore della Ghepeu”. Al tempo stesso, egli metteva sullo stesso piatto della bilancia tutti i suoi nemici, sia interni che esterni. Nel 1927, ad esempio, disse che si era costituito “un fronte unico da Chamberlain a Trotskji."
Nel 1923 Krylenko parlò per la prima volta di pericoli sociali e del crimine di “pericolosità sociale”. Nell'ottobre del 1924 i codici criminali delle repubbliche sovietiche cominciarono a mettere l'accento sulla necessità “di misure di difesa sociale” contro i criminali colpevoli di agire direttamente contro i fondamenti dell'ordine sovietico. Il divieto di risiedere in un determinato luogo e la deportazione dall'una all'altra località furono applicati secondo l'articolo 22 a tutte le persone riconosciute “socialmente pericolose”, il che consisteva nel decidere pene preventive, ed in modo estremamente arbitrario (chiunque poteva essere dichiarato socialmente pericoloso). Procuratore della RSFSR e futura vittima di Stalin, Krylenko promosse la segregazione dei “nemici di classe”.
Nell'ottobre del 1924 l'Esecutivo del soviet della RSFSR promulgò un codice del lavoro forzato. Nel 1927 si contavano 185.000 persone deportate secondo le indicazioni ufficiali, sicuramente inferiori alla realtà. Secondo una nota di Krasin a Trotskij trasmessa il 2 giugno 1924 durante una riunione del Comitato Centrale e conservata negli archivi Trotskij, citata da Carr, (24) i prigionieri venivano impiegati per la costruzione di ferrovie. In questo modo, a poco a poco, la GPU (divenuta OGPU - in seguito alla fondazione dell'Unione Sovietica - Direzione generale degli affari politici) fu impiegata più contro i comunisti che non nella lotta contro i nemici diretti del potere sovietico. Nel 1927 questa tendenza si manifestava con estrema chiarezza e, pur avendo ancora conseguenze piuttosto limitate, rappresentava un pericolo potenzialmente grave, tanto più che il reclutamento della Ghepeu lasciava molto a desiderare dal punto di vista rivoluzionario. I vecchi bolscevichi (quelli della rivoluzione e della guerra civile) erano stati sostituiti da elementi spesso equivoci.

Una simile situazione non poteva certo facilitare la lotta contro i fenomeni burocratici. L'apparato statale non era stato sensibilmente modificato, anzi, il numero dei funzionati era aumentato. L'osmosi tra partito e Stato si era accentuata. Nel 1928 il 38,3% dei membri del partito era costituito da impiegati delle amministrazioni statali e di partito. Invece, v'erano non più di 200.000 comunisti nelle campagne e solo per la metà costoro erano realmente contadini. L'aumento degli effettivi del partito - da 472.000 iscritti a 1.304.471 tra il 1924 e il 1928 - permise di accrescere notevolmente la percentuale di iscritti di origine operaia, ma qualitativamente la composizione del partito ne fu trasformata. Il peso della vecchia guardia bolscevica diminuì. I neo iscritti erano in gran maggioranza giovani operai di origine contadina. Il partito cercò di dar loro una formazione marxista di base. Fu questo, precisamente, lo scopo delle conferenze tenute da Stalin alI'Accademia Sverdlov e pubblicate poi in milioni di copie: I principi del leninismo.
Stalin si rivelò un divulgatore di vaglia che sapeva presentare in modo pedagogico, accessibile cioè a molti, le idee essenziali dei bolscevichi. Al tempo stesso, I principi del leninismo rappresentavano una terribile tentazione, quella del dogmatismo, se considerate come un'opera di ricerca teorica. Negli anni venti il partito - nei limiti imposti dalla sua dittatura - riuscì a condurre frontalmente la propaganda di massa necessaria per far penetrare alcuni principi elementari tra le masse ancora incolte e a condurre una ricerca teorica di alto livello.
In filosofia con la rivista Podtnamenem marksizma, in storia con Pokrovskij, in giurisprudenza con Pasukanis, in economia politica e in sociologia, le scienze umane sovietiche raggiunsero livelli notevolissimi.
Il rifiuto del partito di intervenire nei dibattiti letterari, una certa libertà di creazione in letteratura, in campo cinematografico e teatrale, unita allo slancio rivoluzionario e alle facilitazioni concesse agli artisti, permisero la fioritura di molte opere di grande valore egregiamente simboleggiate dal cinema degli anni venti. (25)

Sarebbe sbagliato però idealizzare questo periodo sotto tale angolazione. Gli scrittori non comunisti non potevano esprimersi e molti di loro continuavano a vivere nell'emigrazione. La lotta antireligiosa continuava in forme assolutamente inaccettabili perché mettevano in causa la libertà di coscienza e la libertà di culto. Il marxismo, divenuto filosofia di Stato, veniva insegnato in modo sempre più dogmatico. I fondamenti dello stalinismo esistevano dunque già nel periodo della NEP, ma non le sue conseguenze più drammatiche, non le sue fome più crudeli.

Nonostante alcuni sforzi compiuti per riattivare i soviet su scala locale, la vita democratica rimase carente e nel 1927 non aveva fatto alcun progresso. Anzi, a cinque anni dalla fine della guerra civile la situazione si era aggravata.
È vero che, secondo le parole di Trotskij riprese più tardi da Stalin, I’URSS era una “fortezza assediata”. Il cordone sanitario (26) continuava a circondarla, continuavano ad esistere le cospirazioni antisovietiche e i pericoli di guerra, ma questo non era una giustificazione; e, soprattutto, la persistente mancanza di democrazia all'interno del partito e nel paese creava una situazione pericolosa, mentre l’esistenza di strutture autoritarie esponeva I'URSS ad un potere ancora più dittatoriale, molto più cruento e più personale.
II fenomeno staliniano stava ormai per permeare di sè tutta la società sovietica.



Qui è stato ripreso, con vari adattamenti: Jean Elleinstein, Storia del fenomeno staliniano, Ed. Riuniti, 1975. Altri testi utilizzati: Charles Bettelheim, Le lotte di classe nell'URSS (1917-1923), Comunità, 1975; Édouard Dolléans, Storia del movimento operaio 1921-1952, Sansoni, 1977; Jean Elleinstein, Storia dell'URSS, Ed. Riuniti, 1976; Roy Medvedev, Stalin sconosciuto, Ed. Riuniti, 1979; Roy Medvedev, Lo stalinismo, Mondadori, 1972; Michal Reiman, La nascita dello stalinismo, Ed. Riuniti, 1980; Arthur Rosenberg, Storia del bolscevismo, Sansoni, 1969. Si veda anche la bibliografia sulla rivoluzione russa.


NOTE

(*) In realtà il termine "stalinismo" fu coniato da Trotskij, e poi ripreso sia dalla pubblicistica anticomunista che, dopo il 1929, da quella sovietica
(**) A causa delle limitazioni imposte dal software utilizzato, non abbiamo potuto riprodurre correttamente tutti i segni diacritici
(1) A. Orlov [transfuga sovietico negli USA], The secret History of Stalin's crimes, London, 1954
(2) Il C.C. comprendeva sette membri effettivi e cinque candidati
(3) Cit. in: Roy Medvedev, Lo stalinismo, Mondadori, 1972
(4) CEKA, acronimo di Comitato straordinario di tutte le Russie per combattere la controrivoluzione e il sabotaggio: organismo creato nel dicembre del 1917, quando ancora era particolarmente intensa l'attività filozarista, che infatti sfocerà nell'allestimento di un'armata "bianca" e nella guerra civile; nel 1922 fu sostituita dall'OGPU, a sua volta confluita (1934) nell'NKVD, il Commissariato del Popolo agli Affari Interni; nel 1946 divenne MDV, Ministerstvo Vnutrennikh Del, Ministero degli Affari interni, diretto dal famigerato L. Berija; dopo la morte di Stalin (1953) venne istituito il KGB, Komitet Gosudarstvennoi Bezopasnosti, Comitato per la sicurezza dello stato.
(5) Tutti uccisi, tranne Lenin, durante la repressione di massa degli anni trenta, per ordine di Stalin
(6) È l'opinione di Isaac Deutscher (Stalin, Longanesi, 1951), sulla base della corrispondenza segreta dell'epoca da lui consultata negli archivi Trotskij ad Harvard
(7) Lenin, Opere complete, Ed. Riuniti, 1954-1970, v. 36, p. 428
(8) ibidem, pp. 429-30
(9) ibidem, p. 440 [appunto del 30 dicembre 1922]
(10) La Corsica era stata annessa dalla Francia poco prima della nascita di Napoleone e vi era scoppiata una vera e propria insurrezione antifrancese. Napoleone, di origine corsa, ebbe tuttavia un ruolo determinante nel processo di centralizzazione della Francia moderna
(11) ibidem, p. 442 [appunto del 31 dicembre 1922]
(12) ivi, v. 33, p. 448
(13) Trotskij aveva affermato: "La militarizzazione del lavoro è la base indispensabile dell'organizzazione del nostro potenziale di lavoro”; aveva revocato i dirigenti del sindacato ferrovieri e cercato d'imporre una politica centralizzatrice, criticata sia da Lenin che dal partito. Trotskij finì per accettare le decisioni del partito
(14) ibidem, pp. 195-196
(15) ibidem, p. 205
(16) ivi, v. 36, p. 434
(17) ivi, v. 45, p. 623
(18) M. Fainsod, Smolensk under Soviet Rule, Harvard Press, 1958
(19) Tra i firmatari figuravano Preobraženskij, economista ed ex Segretario del CC, Pjatakov, Smirnov, Antonov-Ovseenko, Muranov, Bubnov, ecc., tutti scomparsi durante la grande purga degli anni trenta
(20) L. Trotskij, Europe et Amerique, Paris, 1926
(21) Il termine viene usato nella sua accezione marxiana, cioè una particolare forma di accumulazione di denaro indispensabile per avere la base economica necessaria alla creazione dell'apparato produttivo. Naturalmente il tipo di accumulazione cambia sensibilmente se a realizzarla è la borghesia o la proprietà colletiva dei mezzi di produzione. Cfr.: K. Marx, L'accumulazione originaria, Ed. Riuniti, 1991 e K. Marx, Il Capitale (Cap. XXIII, La legge generale dell'accumulazione capitalistica e Cap. XXIV, L'accumulazione originaria), Ed. Riuniti
(22) Ambasciatore sovietico a Berlino nel 1918 dopo essere stato uno dei negoziatori della pace di Brest-Litovsk, quindi ambasciatore a Vienna e a Tokio
(23) Il Comitato Centrale ne aveva vietato la pubblicazione in virtù delle decisioni del X Congresso sulle frazioni
(24) E. H. Carr, Storia della Russia sovietica, v. II. Il socialismo in un solo paese (1924-1926), Einaudi, 1981
(25) Il film più celebre resta La corazzata Potëmkin di Eiženstejn, ma fondamentali sono anche le opere di Dziga Vertov
(26) La preoccupazione che il "contagio rivoluzionario" si estendesse dalla Russia bolscevica ai paesi europei - scossi da profonde crisi - spinse le potenze capitalistiche a isolare la Russia controllandone militarmente i confini (Finlandia, paesi baltici, Polonia, Romania)