inizio rosso e giallo


Jo Nesbø


Come si pronunci lo sa Iddio, ma Nesbø è uno degli scrittori di polizieschi più interessanti degli ultimi anni, affermatosi ben prima dell'esplosione della scuola scandinava nel campo della letteratura gialla.

Harry Hole (pare si legga Hule), il protagonista delle sue storie, è un commissario di polizia, energico e acuto: no, per fortuna di lui non si è parlato come dell'ennesimo Maigret svedese. Anche perchè è norvegese.
Anche perchè è un pezzo di giovanottone, vicino ai due metri, sempre con i Dr. Martens ai piedi, e con buona mano per la pistola. Ciò che non ne fa assolutamente uno che appena può mena, al contrario. È in partita aperta con l'alcool, bruscamente refrattario alle pesantezze burocratiche e ai rituali da società opulenta.

Per affinità scandinava lo troviamo roccioso e curioso come Martin Beck, pugnace e tenace come Kurt Wallander, critico e testardo come Mikael Blomkvist.
Si muove con insolita grazia in una Oslo fredda sotto tutti i punti di vista, che diventa addirittura gelida quando tra le sue vie pulite e sicure scivolano viscide ombre naziste.
La Norvegia - come l'Italia, la Francia, la Jugoslavia - ha avuto un forte movimento di Resistenza, ma durante l'occupazione tedesca (per cinque anni, dal 1940 al 1945) si è ritrovata spaccata violentemente fra collaborazionisti e antifascisti. E il fascino hitleriano non è stato cancellato nè dall'evidenza della storia nè dal benessere socialdemocratico.
Delitti di oggi, insomma.

Per fortuna che, di quando in quando, c'è un pettirosso...

  • Il pipistrello (Flaggermusmannen, 1997), Einaudi, 2014
  • Scarafaggi (Kakerlakkene / The Cockroaches, 1998), Einaudi, 2015
  • Il pettirosso (Rødstrupe, 2000), Piemme 2006; Einaudi, 2015
  • Nemesi (Sorgenfri, 2002), Piemme 2007; Einaudi, 2015
  • La stella del diavolo (Marekors, 2003), Piemme 2008; Einaudi, 2015
  • La ragazza senza volto (Frelseren, 2005), Piemme 2009; Einaudi, 2015
  • L'uomo di neve (Snømannen, 2007), Piemme 2010
  • Il cacciatore di teste (Hodejegerne / Headhunters, 2008), Einaudi 2013
  • Il leopardo (Panserhjerte, 2009), Piemme, 2011; Einaudi, 2015
  • Lo spettro (Gjenferd / Phantom, 2011), Einaudi, 2012
  • Polizia (Politi - Police, 2013), Einaudi, 2013
  • Il confessore (Sønnen, 2013), Einaudi, 2014
  • Sangue e neve (Blod på snø / Blood on Snow, 2015), Einaudi, 2015
  • Sole di mezzanotte (Mere blod, 2015), Einaudi, 2016
  • Sete (The Thirst, 2017), Einaudi, 2017
  • Macbeth (2017), Einaudi, 2018
  • Il coltello (Kniv / Knife, 2019), Einaudi, 2019
  • Gelosia (, 2020), Einaudi, 2021

    film dai suoi libri:

  • Headhunters (Hodejegerne, N, 2011), di Morten Tyldum. Con Nikolaj Coster-Waldau, Aksel Hennie, Julie Ølgaard, Synnøve Macody Lund
  • Occupied (Okkupert, N, TV 2015 - ) di Erik Skjoldbjaerg. Con Henrik Mestad, Eldar Skar, Ingeborga Dapkunaitè, Vegar Hoel
  • L'uomo di neve (The Snowman, GB, 2017), di Tomas Alfredson. Con Michael Fassbender, Rebecca Ferguson, Charlotte Gainsbourg, Chloë Sevigny, Val Kilmer

Marilla Piccone

Intervista con Jo Nesbø

Questo (2008) è l’anno dei grandi giallisti nordici, al Festival della Letteratura di Mantova. Anne Holt e Jo Nesbø dalla Norvegia, Nesser e Maj Sjöwall e Leif Persson dalla Svezia, altri sono venuti gli anni passati, altri verranno nei prossimi anni. Il crimine si addice al Nord, a quanto pare.
Noi abbiamo incontrato Jo Nesbø, scrittore e musicista, e abbiamo parlato con lui dei suoi romanzi e del protagonista Harry Hole.

Il primo dei suoi romanzi tradotto in italiano è stato “Il pettirosso”, “La stella del diavolo” è il terzo. E tuttavia “Il pettirosso” non è il primo della serie con Harry Hole come protagonista e, in tutti e tre i libri, abbiamo letto spesso del caso che lo ha portato a Sydney, senza però sapere altro. Che cosa ci può dire del passato di Harry?
Il passato di Harry? il dramma della sua giovinezza è stato che la sua ragazza, che aveva problemi di droga e alcol si è suicidata. Harry non pensa molto al suo passato e non ne parla. Ma purtroppo questa è la sua prima esperienza: quelli che ami ti lasciano. Era stato così con sua madre, che si era ammalata ed era morta. Allora Harry ha imparato che, se ami qualcuno, finisci sempre per perderlo. Per quello che riguarda il caso di Sydney che viene spesso ricordato nei libri, è una vicenda che è raccontata nel primo romanzo della serie. Harry viene mandato a Sydney perché è stata assassinata una ragazza norvegese in Australia. Harry ha un ruolo di osservatore, non è lui che svolge le indagini, ma naturalmente resta coinvolto. Diventa famoso perché uccide l'assassino. Se qualcuno ha successo all'estero, questa è una buona storia in Norvegia; Harry appare nei talk-show, ma non è mai del tutto sobrio. Però la gente si ricorda di lui, per questo miscuglio di scandalo e successo. E sì, l'alcolismo di Harry è genetico, non c'è mai un vero motivo per cui inizia a bere, ma gli piace essere ubriaco.

Come è che ha iniziato a scrivere romanzi polizieschi? Non è un musicista, prima di tutto?
È stata una coincidenza; anzi, doveva succedere che io scrivessi un romanzo. Quando ho fatto il mio primo album musicale, tutti i miei amici si sono stupiti, sono rimasti sorpresi che non avessi invece scritto un romanzo. Quando, a 37 anni, ho detto a tutti che avevo scritto un romanzo, non si è sorpreso nessuno, se lo aspettavano tutti da me. E poi anche come musicista, prima di tutto sono uno scrittore di canzoni. Dopo sono anche musicista. E scrivere canzoni è un raccontare storie. Ho scelto il genere del thriller perchè volevo scrivere qualcosa di cui sapevo. E avevo due scrittori del genere che preferivo, James Thompson e Frank Miller, uno scrittore di graphic novels. Prima di tutto ho pensato che avrei scritto qualcosa che non avrebbe avuto problemi ad essere pubblicato, in seguito avrei scritto qualcosa di genere diverso. Il primo tentativo che ho fatto è stata un'esperienza istruttiva per me, fu accettato immediatamente. Adesso ci sono sette romanzi con Harry Hole come protagonista.

Sembra che oggigiorno ogni area geografica abbia il suo tipo di thriller. In questo momento quelli dell'area scandinava paiono essere i migliori, quelli che hanno un maggiore successo, basta vedere il numero di scrittori nordici presenti al festival di Mantova. A che cosa è dovuto questo, secondo Lei?
Perché, da quando i crime novels sono diventati dei romanzi direi quasi politici, dei romanzi che discutono la situazione della società e i mali della società, essi hanno attirato scrittori molto bravi. Cioè, degli scrittori seri hanno scelto il romanzo poliziesco come il loro mezzo per raccontare della vita e della società che ci circonda. Penso che alcuni scrittori scandinavi siano veramente molto bravi, che la qualità degli scrittori di romanzi polizieschi scandinavi sia molto alta.

Pensa che sia ancora possibile scrivere il vecchio tipo di romanzo poliziesco, quello alla Agatha Christie?
La qualità dei romanzi di Agatha Christie sopravvive, è come per i vecchi film. Prendiamo ad esempio “Ladri di biciclette” che ho visto di recente: è molto strano, è così lento, è vecchio. È una combinazione di un piccolo dramma e di piccole storie, ma l'atmosfera è stupefacente, anche oggi. Il tocco geniale della storia è nel titolo, non solo perché è interessante, ma perché dice la storia. Il titolo è al plurale, perciò sappiamo subito che ci deve essere più di un ladro, sappiamo già che il padre ruberà una bicicletta. Oggi ci sono delle storie più complesse, ma si torna sempre alla semplicità delle opere di genio.

Ne “Il pettirosso” la storia risale fino alla seconda guerra mondiale. È solo una mia impressione oppure la Svezia e la Norvegia hanno iniziato a tirare fuori i loro ‘scheletri negli armadi’, i loro segreti colpevoli, per quello che riguarda la guerra?
È così, in Norvegia c'è stato a lungo il mito della Resistenza antitedesca, che invece non è stata così forte. Tant'è vero che i tedeschi speravano di essere inviati in Norvegia perché era un posto tranquillo, la Norvegia veniva considerata un'assegnazione pacifica. Molte compagnie norvegesi hanno collaborato durante la guerra. Io ho cercato di dare voce alle persone che hanno scelto la parte sbagliata. Sono cresciuto pensando che la maggioranza fosse contro i tedeschi e invece non era così, tutti tendevano a vivacchiare, a cavarsela. Pochi hanno scelto di schierarsi, di combattere per quello in cui credevano, a fianco degli Alleati o dei tedeschi. Questi ultimi hanno sbagliato, ma ne hanno pagato le conseguenze.

Harry Hole non è un personaggio positivo, certamente non è qualcuno da ammirare. Eppure, in qualche maniera, Lei riesce a renderlo un personaggio piacevole. Che cosa lo rende piacevole, secondo Lei?
Penso che quello che rende Harry un personaggio simpatico sia la sua vulnerabilità e il fatto che abbia dei valori etici, dei valori fondamentali per quello che vale la vita umana. Spesso si trova in una posizione quasi al limite, è sull'orlo del passaggio sul lato buio, ma, in qualche maniera, riesce sempre a stare sul lato giusto.

grazie a http://www.stradanove.net

Federica Fantozzi

Jo Nesbø ai raggi X: ecco cosa nasconde il commissario Hole

È più facile essere un lettore di Harry Hole che la sua donna. Il commissario creato dalla (sorprendente) penna di Jo Nesbø è insieme un must del genere e un tipo speciale: solitario, autodistruttivo, avulso da ogni gerarchia, alcolista al punto da vomitare quotidianamente, brutale fino alla cattiveria, incapace di amare senza mettere in pericolo chi vorrebbe proteggere. Rakel è bruna, bella, appassionata, un’innocente pantera in bikini giallo circondata suo malgrado da un’aura di violenza.

La incontriamo nel “Pettirosso”, il primo romanzo dell’autore norvegese che in patria è anche una rockstar di culto. Figlia di un soldato che, mezzo secolo prima, aveva combattuto insieme ai nazisti nella melma di Leningrado. Sfiorata da una polverosa vicenda di reduci e terroristi, con progetti di attentati ai Reali di Oslo e cupi fantasmi di un’altra epoca che si mischiano al disagio sociale moderno, molestata da un laido burocrate che ha il potere di decidere sulla custodia di suo figlio Oleg conteso dal padre russo, Rakel conosce Harry e l’attrazione è pari alla paura. Ne ha ben donde. Attraverso i libri (sei tradotti in italiano ed editi da Piemme tranne l’ultimo, uscito per Einaudi) non smetterà di essere in pericolo. Lei e quanto ha di più caro, Oleg che da bimbo si fa ragazzino, idolatrando Harry che gli porta in casa pistole finte e assassini veri. Il Principe: misterioso capo di una banda di contrabbandieri che sbarca sulle coste scandinave tonnellate di armi. Per regolare i conti con l’implacabile commissario, rapirà Oleg e lo condurrà verso un claustrofobico finale di partita in ascensore nella “Stella del Diavolo”. A Rakel, l’indomabile amore per il soggetto sbagliato riserva di peggio: un nemico insospettabile, feroce, sconvolgentemente vicino.

Jo Nesbø, in effetti, pare più interessato al benessere dei suoi lettori che a quello del suo protagonista. Trascina Harry negli abissi del senso di colpa, della solitudine, delle sbornie che sciacquano lo stomaco e lasciano una vertigine confusa. Nulla per lui è facile: la lontananza (scelta) dalla sorellina down Sos, la conflittualità con il padre che, in fin di vita, gli chiede l’eutanasia, l’ostilità dei colleghi che lo fiutano come un corpo estraneo nonostante l’eccezionale istinto investigativo. Fino all’esilio nichilista di Hong Kong, nell’ultimo “Il Leopardo”, dove illuderà la giovane Kaja mentre mormora come una preghiera il nome dell’altra nel buio di una fumeria d’oppio.

Ma lo scrittore accarezza noi, eccome: gioca ballando sul filo di due se non tre opzioni. Chi è la quattordicenne violentata nel mezzo di un campo estivo dell’Esercito della Salvezza da un orco in sembianze d’agnello ne “La ragazza senza volto”? Chi il rapinatore di banche che in “Nemesi” prende in ostaggio una cassiera e, senza un motivo, le sussurra all’orecchio e le spara in testa? Cosa spinge il Leopardo a far fuori, uno dopo l’altro, sconosciuti con cui ha condiviso una fredda casuale notte in un rifugio d’alta quota?

Nesbo ci punzecchia, ci fa girare in tondo, depista. Ma senza barare: rileggendo, a ritroso, quei tomi, ecco il passaggio che ex post si illumina di luce diversa e più intensa. Niente trucchi né inganni, non ci sono bluff né scorciatoie: Nesbo semina fili e li raccoglie, li intreccia e li dipana guidato da logica schiacciante. Non è un prestigiatore (e nel settore ce ne sono): svolge le sue trame lunghe e complicate fino alla fine. O meglio, alle fini: di solito, ce ne sono un paio, e alla cattura del cattivo principale segue il redde rationem con quello solo apparentemente secondario, predatore appollaiato ai margini della pista ad approfittare della polvere sollevata dall’altro.

C’è sempre un killer crudele. A volte seriale. I cattivi di Jo Nesbø uccidono per sadica voluttà, vendetta (in greco Nemesi) che viene da lontano percorrendo i sentieri storti dell’amore malato o del rancore familiare, del desiderio di proteggere una reputazione falsa come una moneta di stagno o di saldare un adolescenziale debito d’onore. Le morti non sono accidentali bensì pianificate con cura. C’è sempre un arma speciale, un modus operandi straordinario: quasi una firma. Il rarissimo fucile Marklin a mirino telescopico, dichiarazione d’intenti di un cecchino nel Pettirosso. La micidiale mela di Leopoldo che arma la mano del Leopardo: una sfera di metallo che schizza 24 aghi acuminati infilata in bocca alle vittime, attaccata a una cordicella assolutamente da non tirare. Un boccone puntuto grosso quanto un palato, tortura di reminescenze africane e raffinata malvagità. O l’affilato cappio incandescente, acceso da un pulsante come si fa per le tv, con cui l’Uomo di Neve fa a pezzi giovani madri sotto l’impassibile sguardo di sassolini neri di un pupazzo di neve.

Accanto a Harry Hole si muovono personaggi di cui seguiamo i destini. Quello di Ellen, la sua partner di pattuglia, è breve ma funzionale: assassinata da un sicario del Principe, ispirerà inesauribile sete di vendetta. Beate Lohn, timida e pallida, è il genio dell’identikit: una zona cerebrale ipersviluppata, il gyrus fusiforme, le consente di memorizzare le sembianze anche di estranei appena intravisti nell’oscurità. Un dono che non la proteggerà dalla sofferenza. Tom Waaler, aspetto di un attore del cinema, sorriso da squalo e brutalità con le ragazze, è il futuro capo della polizia e odia Harry. Al contrario del capo in carica, Bjarne Moller, che nutre per il suo indisciplinato sottoposto un affetto quasi paterno. Questa umanità gli si muove intorno, ma Harry Hole vive, beve e spara da solo. E Rakel resta la sua donna.

Paola Zanuttini

Incontro con un norvegese tranquillo

Cannes. Jo Nesbø è norvegese e scrive romanzi criminali pubblicati in quarantasei lingue. Con la serie di Harry Hole, il suo poliziotto specializzato in serial killer, ha venduto nove milioni di copie, due con Il leopardo, l'ottavo, che oggi esce in Italia: sei mesi in testa alle patrie classifiche, piazzato nelle top ten europee, primo nell'Inghilterra che diffida dei romanzi tradotti. Con qualche approssimazione geografica, Nesbø è definito il nuovo Stieg Larsson, che era svedese, mica norvegese, ma sempre tra nevi e cattivoni si muoveva. E, soprattutto, è stato il solo autore non anglofono a diventare il numero 1 in Gran Bretagna prima di lui.

Nelle foto promozionali, gli mettono addosso un'espressione mascalzoncella da rapper pallido col cappuccio, coerente con la sua doppia vita rocchettara (cantante e autore nella band Di Derre), o un'aria glabra e serpentesca ancora più inquietante. Dal vivo, sembra un ciclista arrivato dai fiordi in Costa Azzurra: atletico, un po' legnoso, con il regolamentare taglio di capelli a un centimetro bisognoso di una ripassata. E con la figlia undicenne che gli ricorda gli appuntamenti. È al Festival perché i produttori della trilogia larssoniana Millennium hanno trasformato in film un suo romanzo estraneo alla serie Harry Hole, Headhunters: un cacciatore di teste d'alto bordo intervista i suoi candidati e usa le indiscrezioni carpite per svaligiare le loro ricche dimore piene di opere d'arte.

Invece io sono qui per Harry Hole, il suo alter ego noir un po' più ganzo e abbottato. Che, nel Leopardo, trama tumultuosa, ma compatta, dislocata tra Hong Kong, Congo, quartieri dai nomi impronunciabili di Oslo e cupi rifugi sulle Alpi norvegesi, insegue il male per sconfiggerlo, ma soprattutto per capire cosa sia. E si fa malissimo: travolto da una valanga o costretto a tenere in bocca un micidiale gingillo acuminato che ha molta parte, nella vicenda.

Come tutti gli eroi che si rispettano, Hole ha gusti ben definiti: quando è in fase alcolica, beve solo Jim Beam. Predilige rock o jazz fumosi e melanconici. Ha eletto come film preferito La conversazione di Coppola, mirabile vicenda di privacy e intercettazioni. Ecco, l'intervista con Jo Nesbø ha un'acustica da far entrare in sciopero un intercettatore e non un briciolo di privacy, perché a Cannes durante il Festival non esiste un posto tranquillo. Negli uffici della produzione è affollato anche il bagno, nei bar intorno non ci sono tavoli liberi, se ne trovi uno è sotto un altoparlante che emette musicaccia a settanta decibel e se chiedi di abbassarla il cameriere ti guarda storto o, peggio, con sussiego. Come fanno i giornalisti a produrre tutte quelle interviste è un mistero. Vaghiamo tra caffè all'aperto tutti uguali, sovrastatati dal cicaleccio di aspiranti famosi, risate troppo forti, clacson e sirene. Alla fine ci arrendiamo su un tavolo, se possibile, più rumoroso degli altri. E gridiamo.

Nei suoi romanzi e anche nel Leopardo si ammazzano un sacco di donne, le poliziotte si sentono discriminate, la gelosia è il movente più comune dei delitti. Dov'è finita la Scandinavia emancipata che al Sud consideravamo un modello?
Ho appena letto che, ormai, in Norvegia un settore per tradizione maschile come l'edilizia paga più le donne degli uomini. In molti campi, a partire dalla scuola, ci hanno superato, ma nel privato le cose non cambiano così in fretta, non bastano le leggi. Molti maschi in crisi di ruolo covano la rabbia.

In un'intervista riportata sul suo sito, lei ha dichiarato che la percentuale di stupri a Oslo è tre volte superiore a quella di New York.
Non ricordo il dato, ma Oslo non è il villaggio idilliaco che immaginate. Di base, è un posto tranquillo, ma non come New York, che negli ultimi 25 anni è diventata molto più sicura. In centro c'è parecchia prostituzione e droga: è una delle peggiori piazze europee per l'eroina. Siamo diventati piuttosto ricchi, siamo liberi, quindi è facilissimo procurarsela. Il narcotraffico russo ed ex jugoslavo ha fatto il resto.

La scena criminale dei suoi romanzi è un ritratto attendibile della Norvegia?
Fino a una certo punto. Uso le zone più oscure di Oslo in versione Gotham City. I miei concittadini le diranno che non è così, ma forse di notte non vanno dove vado io. Comunque, ci sono più serial killer nei miei libri che nella realtà.

E meno male. Ma perché Harry Hole è fissato con gli omicidi seriali?
Perché è un esperto, ha seguito un corso dell'Fbi a Chicago.

Riformulo la domanda: perché lei è fissato con i serial killer?
Rappresentano il nocciolo del male. Con i delitti passionali o mossi dall'avidità ti puoi relazionare, ma quello che mi interessa dell'omicida seriale è perché lo fa. Non mi aspetto una risposta, ma di intuire cosa gli succede nella testa. A scuola c'era un ragazzino nella fila di banchi vicino alla finestra che catturava le mosche sul davanzale e, con una pinzetta, strappava le ali e le zampe una ad una. Tutti i giorni. Ero affascinato non da quello che succedeva alle mosche mutilate, ma dal ragazzo che ogni giorno, a casa, preparava le pinzette e pianificava la cattura e la tortura. Oggi sembra normale, sposato, con tre figli, ma chissà.

Lei, da bambino, ha mai tagliato la coda alle lucertole?
No, però ho pisciato su un formicaio per vedere cosa succedeva.

Le formiche saranno uscite inviperite per la doccia non richiesta.
Spero sia andata così.

Perché Harry Hole ha un cognome che in inglese vuol dire buco?
È un cognome comune in Norvegia e si pronuncia Hule. Il poliziotto del villaggio di mia nonna si chiamava così e se la sera non tornavo presto lei minacciava di chiamare Hole, personaggio fantasmatico che non ho mai visto. Poi c'è la storia del Terzo uomo, film che amo molto. Holly Martins, l'antieroe buono, va in cerca del suo vecchio amico Harry Lime e quando scopre che è una carogna lo uccide. Holly e Harry, la fusione fra male e bene.

Sì, ma che c'entra Holly con Hole ?
Nel primo libro della serie, L'uomo pipistrello, ambientato in Australia, tutti lo chiamano Holly, storpiando la pronuncia.

Questo Hole è sempre in giro.
Anch'io. La parte africana del Leopardo doveva essere ambienta in Zimbabwe, ma poi sono andato in Congo per una missione del Consiglio norvegese per i rifugiati, ho visitato i campi profughi di Goma e ho cambiato idea. C'è una scena nel romanzo con dei bianchi che giocano a tennis. Anche noi giocavamo a tennis: sembrava una scena di Apocalypse Now. Il Congo è per forza il cuore di tenebra, la devastazione delle immense risorse mal gestite che provoca guerre e miseria. La Norvegia non ha mai inventato niente, mai creato big company, ma può andar fiera di come ha redistribuito la ricchezza prodotta dal petrolio scoperto negli anni Settanta.

Nell'edizione italiana del Leopardo il traduttore spiega in una nota che non usa il lei perché i norvegesi lo hanno dismesso dai fatidici Settanta. Vi date tutti del tu?
Sì, non abbiamo più classi sociali.

Ma c'è la monarchia.
Che abbiamo scelto con un referendum nel 1945. Il nostro è un re molto amato e rispettato: durante la crisi petrolifera, la domenica non si poteva prendere la macchina e lo vedevi andare a sciare in treno, come il popolo.

E gli dicevate: ciao re, come va?
No, al re diamo del lei, ma al primo ministro del tu.

Come si fa a ottenere un successo mondiale e, soprattutto, fra gli schizzinosi sudditi della regina Elisabetta?
Essere un buono scrittore che scrive buona roba è la condizione necessaria, ma non basta. C'è dell'altro: la fortuna e il timing. Altri autori scandinavi, come Henning Mankell e Stieg Larsson mi hanno aperto la strada. Detto questo, la mia serie è brillante. E le trame reggono.

Per 760 pagine, nel Leopardo. Come fa a non perdersi?
Ho l'abitudine di scrivere prima di tutto una sinossi di un centinaio di pagine con anche qualche dialogo, perché, quando parlano, i personaggi prendono vita e non voglio che se ne prendano troppa. Non amo gli autori che si dicono posseduti dai personaggi, che la mattina, seduti al computer, si chiedono: vediamo cosa succede oggi. Il libro deve divertire chi lo legge, non chi lo scrive.

Ma certi personaggi minori nati in una storia rispuntano nelle successive.
Perché ne muoiono tanti altri: è il turn over. Nessuno è eterno.

Nemmeno Harry Hole?
Certo. Ma da morto potrà passare al cinema. Finora non ce l'ho mandato: è un medium troppo forte, mi avrebbe influenzato. Comunque in Norvegia sta per uscire il nono romanzo: The Phantom.

Quello che esce da noi si intitola Il leopardo e non ce n'è uno nella storia.
Il titolo norvegese è Panserhjerte, cuore corazzato: è la condizione di chi è sommerso dalla valanga. Anche se nella neve c'è aria, non può respirare perché il torace è schiacciato. Da noi il titolo funziona, ma nel resto del mondo hanno scelto tutti Il leopardo, che appare in una metafora sul killer.

Ci sono molte teorie sulla fortuna e la necessità della letteratura poliziesca: qual è la sua?
Quando leggi uno di questi romanzi entri in una specie di dialogo con lo scrittore: c'è il gioco, le regole, lui ti dà le informazioni e tu devi immaginare la soluzione. Ma credo anche che, almeno in Scandinavia, questa letteratura abbia sostituito quella religiosa, con le storie edificanti dove il delitto non paga e, se pecchi, sarai punito. Hole non è un alcolista abituale: ogni tanto ci ricade e paga la sbronza con i postumi, non è un ubriacone come i detective californiani. Noi non prendiamo pillole per smaltire le bisbocce: espiamo con il malessere. Dipende dal fatto che siamo stati poverissimi, usi a contare su pochi mezzi. La cosa strana è che una letteratura d'evasione si sia poi assunta un ruolo da mastino della società.

Lei, alla fine, ha capito cos'è il male?
No, ma ho solo 51 anni. Entro i settanta spero di riuscirci.

da il Venerdì di Repubblica

Massimo Vincenzi

Jo Nesbø: la mia Oslo è come Gotham City

OSLO - Quando alle sei e mezzo di una sera accecata dal sole, Jo Nesbø sbuca tra i tavoli di un elegante ristorante giapponese di Oslo, migliaia di pagine e riflessioni sull'identificazione autore-personaggio, sull'origine del misterioso luogo dove sgorga l'ispirazione letteraria diventano d'un tratto inutili. Harry Hole, l'ex poliziotto con tendenze autodistruttive, il protagonista della serie che ha venduto milioni di libri in tutto il mondo, diventando una star assoluta del panorama noir, nasce in quell'angolo dello specchio dove lo scrittore norvegese ha saputo vedere quello che molti altri riescono solo a guardare: il lato oscuro di se stesso.

Il cinquantenne biondo che i clienti del locale osservano scivolare un po' sghembo tra i tavoli vestito in jeans, giubbino da trekking e t-shirt nera è senza dubbio alcuno Harry Hole. Come lo stesso Nesbø sarà costretto ad ammettere dopo un'ora di conversazione sospesa tra il nuovo libro in uscita ora in Italia, Lo spettro (Einaudi Stile libero), i vini francesi con cui accompagnare l'anatra alla pechinese (La migliore di Oslo), le vacanze in Italia (Ho preso una casa nelle Marche, passerò una settimana a bere e a suonare la chitarra con i miei migliori amici), la musica (La giornata perfetta è quando alla sera mi esibisco con la mia band), il cinema (Che mi ispira di continuo) e il calcio (Da ragazzo ero certo di diventare il centravanti del Tottenham): il tutto frullato dentro un flusso ininterrotto di parole, maneggiate con abilità e ritmo avvincente.

Una jam session di emozioni, risate e riflessioni che sono le stesse respirate nei suoi romanzi, ne Lo spettro in particolare: forse il suo capolavoro. Dove le pagine hanno la potenza di uscire ben presto dallo steccato del genere vagando per le praterie della letteratura senza temere paragoni. Neppure con i classici: tanto che il New York Times ha scomodato Ibsen e lui ride felice quando glielo si ricorda.

Prima dell'ultimo libro, temo si debba partire da una domanda su Stieg Larsson: con il quale, nonostante non sia così, per molti lettori italiani (ma anche europei) nasce il noir scandinavo. Lei si sente dentro questa tradizione? Che rapporto ha con l'autore della Trilogia?
Ho iniziato a scrivere senza conoscerlo. In realtà, se ho avuto influenze, sono da ricercare negli scrittori americani, i grandi classici come Hemingway. E la scelta di dedicarmi ai noir è stata piuttosto casuale, temevo di non riuscire a concludere il libro e così ho pensato che un giallo mi desse un inizio e una fine: io voglio solo raccontare storie avvincenti, non bado all'etichetta che verrà messa a ciò che faccio.

Lo spettro ha l'aria di essere uno dei suoi libri migliori: nell'intreccio narrativo, nella costruzione dei personaggi si intravede un duro lavoro. È d'accordo?
Ogni volta che inizio mi dico: voglio scrivere il libro perfetto, poi alla fine spero solo che il risultato abbia distrutto il meno possibile della mia idea di partenza. In genere comunque io sono d'accordo con i miei lettori, non faccio come le rockstar a cui chiedono qual è la tua canzone preferita e loro rispondono citando uno sconosciuto b-side di un vecchio 45 giri. Direi che Il pettirosso è il mio preferito, L'uomo di neve quello più commerciale e Lo spettro è il migliore, quello più letterario.

Mi ha colpito la cura dell'aspetto psicologico dei personaggi, che si impasta alla perfezione con la suspense della trama: come governa queste due anime della narrazione?
Bisogna avere una cornice ben definita, alcuni temono di perdere creatività dandosi delle regole: io invece penso che così il lavoro venga meglio. Sono regole che poi è bello trasgredire all'improvviso, regalare emozioni e sorprese. È come corteggiare una bella donna, il rapporto tra lo scrittore e il suo lettore è come un lungo appassionante flirt. Devi sempre stupire, cercare di non perdere, scrivendo, la complessità della vita. Alla fine poi tutto si basa sui contrasti: in questo caso tra vittime e carnefice. Poi ne Lo spettro mi piace che ci siano più punti di vista, che la storia abbia salti temporali, penso di essere riuscito a coniugare al meglio cuore e cervello.

Nell'introspezione dei personaggi svetta, ovviamente, Harry Hole che invecchia libro dopo libro, che qui sembra a caccia di una stabilità a lui sconosciuta. Come si tiene vivo un personaggio così a lungo senza cadere nello stereotipo?
È semplice: mi sono arreso. A lungo ho cercato di rimanere separato, distaccato da Harry, poi ho capito che così non funzionava. Ho capito che dovevo ammettere a me stesso anche il mio lato psicopatico, ho capito che lui era una proiezione di me. Serve un po' di coraggio per farlo, poi è una liberazione. È come essere un attore: più riesci a calarti nella parte, più risulta vero quello che scrivi.

Nel libro è decisivo il legame tra Harry e Oleg, il figlio di Rakel, la donna che lui ama da una vita. Perché ha deciso di costruire la storia attorno a questo rapporto?
Già nel Leopardo il rapporto padre-figlio era importante, ma in quel libro Harry era il figlio. Qui lui è cresciuto, gestisce una nuova situazione ed è interessante perché non è il padre biologico: ha preso questa decisione solo per amore, è una scelta pura. Lui vive un contrasto che io capisco benissimo: tra la sua voglia di libertà e le responsabilità che si deve prendere. Ma è una contraddizione apparente, sono le persone più libere a sentire il peso, l'importanza degli impegni che prendono molto sul serio, sanno che sono gravosi e quindi nel loro intimo ne vorrebbero scappare. Poi però rimangono e lottano.

Come si prepara per descrivere così a fondo i meccanismi della criminalità organizzata?
Faccio tantissimo lavoro di ricerca. Passo mesi e mesi a leggere tutto quello che trovo sull'argomento che mi interessa: poi in realtà di tutta questa mole di informazioni uso un dettaglio, una piccola cosa che capisco subito essere quella pepita che cercavo. Inoltre parlo con i poliziotti di Oslo, con loro ho un ottimo rapporto: mi danno dritte e consigli.

Oslo, la città che appare è ben diversa dalla cartolina che si ha in mente. Qual è il suo vero volto?
La Oslo di Harry Hole è una proiezione distorta della vera Oslo, come Gotham City di Batman lo è per New York. Però non è molto lontana dalla verità: la droga è diffusissima e i miei giri per la città durante la fase di ricerca me lo hanno confermato.

Senza parlare direttamente dei tempi che viviamo, il libro ha una sorta di sapore cupo, pessimista. Quanto è influenzato dalla realtà?
Io sono uno che crea uno spettacolo, sono uno che vuole e deve divertire. Tutti gli scrittori alla fine sono intrattenitori, ma è chiaro che sono immerso nella vita di tutti i giorni. Quando guardo indietro, le cose che appaiono nei miei libri sono quelle che succedevano intorno a me, che sono state importanti per me. Non si può essere apolitico, lo scrivere è un atto politico: il mondo circostante fa, deve far parte della storia.

Il mondo che ci circonda, appunto. In Norvegia adesso si celebra il processo a Breivik, l'autore della strage di Utoya. Che ne pensa?
Non penso sia specchio di qualcosa di importante, ha agito da solo, non ha dietro un movimento politico. Quello che mi preoccupa è come l'hanno trattato i mass media, dandogli quella fama che lui cercava e trasformandolo in una sorta di attrazione da circo.

Chiudiamo con Lo spettro: cosa vorrebbe rimanesse nei lettori, arrivati alla fine?
È un po' come nella musica. Non saprei spiegare, ma alla fine vorrei rimanesse un'emozione, una commozione.

E di Harry? Che ne sarà di lui?
Ho in testa tante storie: so già cosa succederà.

Lo dice con uno strano sorriso, prima di alzarsi, rovesciare un bicchiere di vino rosso sul tavolo e uscire come un'ombra dal ristorante seguito dallo sguardo affascinato delle donne, che alzano gli occhi dal piatto fingendosi distratte.

da Repubblica, 3.07.2012