DIZIONARIO DEI MISTERI

BANCO AMBROSIANO
MICHELE SINDONA
SERVIZI SEGRETI
PIANO SOLO
GELLI E LA P2
GLADIO STAY BEHIND
PIANO DI GELLI

Le vicende italiane che ruotano attorno agli anni di piombo sono estremamente intricate: per orientarsi in questa fitta trama di complotti, depistaggi, provocazioni, può essere utile avere alcuni punti di riferimento, tenendo comunque ben presente che lo svolgersi di questi avvenimenti fu in realtà molto più complicato.

BANCO AMBROSIANO

Roberto Calvi, amico di Michele Sindona, fu per svariato tempo Direttore e poi, dal 1975, Presidente del Banco Ambrosiano, una delle principali banche private italiane, ed ebbe modo di allacciare stretti rapporti con società straniere: non si trattava solo di spregiudicate manovre finanziarie, ma di complesse operazioni che mescolavano politica e affari, soprattutto mediante società appositamente create off shore (“al largo”, cioè operanti in paesi stranieri e con particolari vantaggi fiscali). I profitti ricavati dall’essere uno snodo decisivo del riciclaggio internazionale di soldi sporchi vennero però am>piamente controbilanciati dalle manovre strettamente politiche: i cospicui finanziamenti a servizi segreti e a gruppi politici (il dittatore del Nicaragua, Somoza, il sindacato polacco Solidarnosc, fino alla P2 e ad altre strutture clandestine) provocarono un gigantesco buco, con oltre 500 miliardi di perdita.

Alla fine del 1980 l’Ambrosiano era dunque sull’orlo del fallimento, e solo le protezioni politiche, oltre che l’aiuto di Monsignor Marcinkus, Presidente dello IOR (Istituto per le Opere Religiose, la banca del Vaticano), rinviarono il disastro: che tuttavia era ormai inevitabile, tant’è che l’anno dopo il Banco fallì e Calvi fu arrestato. Scarcerato dopo alcuni mesi, Calvi fuggì all’estero, ma evidentemente non godeva più della fiducia dei suoi potenti interlocutori, che decisero di liberarsene: Calvi fu trovato impiccato sotto un ponte di Londra. "Suicidio", naturalmente, fu la conclusione dell'inchiesta, ma è ormai accertato che Calvi fu ucciso dai suoi ex compari.


MICHELE SINDONA

Banchiere di straordinaria abilità (Andreotti lo definì “salvatore della Lira”), creò un vero e proprio impero finanziario, arrivando a controllare quasi la metà dei titoli quotati nella Borsa italiana e gestendo una fitta rete di banche e società. Più di ogni altro Sindona capì che in Italia il potere “vero” non poteva che reggersi in una sorta di equilibrio fra alcuni grandi poteri forti: il regime democristiano, vari settori dell'alta finanza, il Vaticano, la massoneria, le mafie.

Egli seppe per lungo tempo gestire autorevolmente i giochi che si diramavano da questi formidabili centri di potere, finché la spregiudicatezza delle sue operazioni finanziarie non provocò il collasso di una delle sue società, la Franklin Bank: per sfuggire all’arresto ordinato dalle autorità americane nel 1979 Sindona lascia gli USA e fugge in Sicilia, evidentemente per cercare di usare gli stretti legami con Cosa Nostra al fine di salvarsi. Il disastro finanziario travolge le varie società di Sindona, e quando un coraggioso e capace funzionario della Banca d’Italia, Giorgio Ambrosoli, viene incaricato di gestire la liquidazione delle banche fallite, e quindi comincia a mettere in luce le oscure manovre ordite tramite queste società, Sindona lo fa uccidere da sicari mafiosi.

Finalmente arrestato, e condannato sia negli USA (25 anni per la bancarotta Franklin) sia in Italia (15 anni per il fallimento della Banca Privata, ergastolo per l’omicidio Ambrosoli), nel 1986 Sindona muore avvelenato nel supercarcere di Voghera: un altro cadavere eccellente, un altro protagonista di primo piano dell’Italia del malaffare che non potrà più parlare.

qui un importante articolo di Gianni Barbacetto

 

Paul Marcinkus

Andrea Tornelli

La parabola di Paul Marcinkus, dal paese di Al Capone allo scandalo IOR

Paul Casimir Marcinkus, detto “Chink”, l’arcivescovo che fu presidente dello IOR e che la magistratura italiana tentò invano di rinchiudere dietro le sbarre per il crac del Banco Ambrosiano, non ha mai avuto il phisique du role del pio sacerdote. L’arcivescovo protagonista di uno degli scandali vaticani più clamorosi è morto nel febbraio 2006 in Arizona, dove si era ritrirato con funzioni di viceparroco.
Nato nel 1922 a Cicero, il sobborgo di Chicago noto per aver dato i natali ad Al Capone, da una famiglia di immigrati lituani, Paul Casimir aveva cinque fratelli e il padre si guadagnava da vivere pulendo i vetri degli uffici. La vocazione si manifesta abbastanza presto: a tredici anni si iscrive a una scuola della diocesi e a diciotto si trasferisce nel seminario maggiore di St. Mary of the Lake a Munderlein, in Illinois, dove studia filosofia e teologia. Nel ’47 riceve l’ordinazione sacerdotale e viene inviato in una parrocchia di un quartiere nella parte sudoccidentale di Chicago, in missione fra le giovani famiglie. Appena un anno dopo, Marcinkus viene trasferito al Tribunale diocesano e due anni dopo lo troviamo già a Roma per studiare diritto canonico. Nel 1952, mentre si trovava a Londra per una ricerca, fu raggiunto da una lettera del Vaticano che lo invitava a trascorrere due mesi presso la sezione inglese della Segreteria di Stato. I professori della Gregoriana avevano infatti segnalato il nome di don Paul al factotum di Pio XII, monsignor Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI. Quel periodo di prova divenne definitivo. E Marcinkus si trasformò poco a poco nel punto di riferimento romano per tutti gli americani.
Durante il Concilio Vaticano II lo troviamo al lavoro per garantire i prezzi migliori per i voli transoceanici dei vescovi e la loro sistemazione negli alberghi romani. Nel ’63 fa costruire Villa Stritch (dedicata a un cardinale di Chicago), un complesso da un milione di dollari progettato per ospitare i prelati statunitensi e ne diviene il primo rettore.
La sua vera carriera coincide con i primi viaggi apostolici del Papa. Nel 1964 Paolo VI, che Marrcinkus aveva aiutato a studiare inglese, gli chiede di organizzare la trasferta in India per il Congresso eucaristico. Le sue capacità organizzative si rivelano formidabili, tanto da allora dirige ogni viaggio del Pontefice, da New York a Fatima, dall’Uganda al Cile. Tutti cominciano a chiamarlo “l’uomo del Papa” e la sua preoccupazione per l’incolumità fisica di Paolo VI gli fa guadagnare il soprannome di “gorilla”.

Un soprannome azzeccato, data l’imponente stazza del prelato americano. Nel 1969 il Papa lo consacra vescovo e lo trasferisce alla guida allo IOR, pur non avendo Marcinkus alcuna competenza di banche e finanza. Passano pochi anni, e nel 1972 il suo nome viene tirato in ballo nello scandalo dei titoli azionari falsificati che il Vaticano avrebbe acquistato dalla mafia. L’indagine sulla Vatican connection è affidata all’FBI. Gli agenti entrano nelle sacre stanze e interrogano i più stretti collaboratori dell’allora Sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Benelli. Che da allora diventerà avversario di Marcinkus. Il prelato di Cicero viene prosciolto dall’accusa, ma quella data segna l’inizio della sua cattiva fama.
Sono gli anni in cui, grazie a potenti appoggi, Michele Sindona ha facile accesso al Vaticano. Così come il suo “allievo” Roberto Calvi, discusso presidente del Banco Ambrosiano, con cui lo IOR di Marcinkus entra presto in affari. Con l’aumentare del suo potere, il “Chink” vede crescere anche il numero dei suoi nemici. Profondamente indignato per il modo d’agire un po’ troppo disinvolto del presidente dello IOR è ad esempio il patriarca di Venezia Albino Luciani, che a metà degli Settanta ebbe dei contrasti con Martcinkus relativi al Banco San Marco e alla cessione della Banca cattolica del Veneto al Banco Ambrosiano. Si dice che giunto a Roma per chiedere spiegazioni di un’operazione condotta senza che i vescovi veneti fossero stati avvisati, Luciani sia stato messo alla porta piuttosto alle spicciole dal “Chink”.

Monsignor Marcinkus smentirà la circostanza. Sta di fatto che, secondo molte autorevoli fonti, subito dopo l’elezione, Papa Luciani manifestò l’intenzione di rimuovere il prelato americano dal vertice dello IOR “perché un vescovo non deve dirigere una banca”. Certe operazioni spregiudicate dell’Ambrosiano erano ben note ancor prima dell’arrivo al Soglio di Karol Wojtyla. Ma Giovanni Paolo II prende in simpatia Marcinkus, lo promuove arcivescovo (1981) e lo nomina pro-presidente della pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano. Oltre che di finanze, il prelato statunitense si occupa della vita spicciola dello Stato più piccolo del mondo. Operai e maestranze lo ricordano ancora con grande affetto: era capace di arrampicarsi sulle impalcature per portare qualcosa da bere ai muratori, sensibile alle loro esigenze, pronto ad aiutare chiunque fosse in difficoltà.
Lo stesso non si può dire per quanto riguarda le operazioni finanziarie. Le carte e i documenti spulciati dai liquidatori dell’Ambrosiano e dai magistrati descrivono transazioni per centinaia di milioni di dollari dalle società fantasma di Calvi allo IOR. Per 11 anni la banca vaticana, grazie al suo status “offshore” fece da intermediaria per le operazioni del “banchiere di Dio” che nel 1982 morirà impiccato sotto il ponte dei Frati neri nel cuore di Londra. A inguaiare l’intraprendente arcivescovo furono le famose lettere di patronage, concesse dallo IOR a Roberto Calvi nel momento in cui l’impero di scatole cinesi dell’Ambrosiano cominciava a sfaldarsi. Con quelle lettere, la banca vaticana confermava che “direttamente o indirettamente” esercitava il controllo su Manic.S.A. (Lussemburgo), Astolfine S.A (Panama), Nordeurop Establishment (Liechtenstein), U.T.C. United Trading Corporation (Panama), Erin S.A (Panama), Bellatrix S.A (Panama), Belrosa S.A (Panama), Starfield S.A (Panama). La “prova” delle colpe di Marcinkus, secondo gli inquirenti che chiederanno il suo arresto per concorso in bancarotta fraudolenta, mai concesso dal Vaticano. In realtà, esisteva anche un’altra lettera, a firma di Calvi, che sollevava la banca della Santa Sede da ogni responsabilità. Ingenuo e desideroso di aiutare un compagno d’affari che gli offriva week-end di lavoro alle Bahamas o complice di operazioni sporche? Nessuno saprà mai fino in fondo la verità.

E sebbene il Vaticano abbia continuato a negare qualsiasi malversazione, il cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato di Sua Santità negoziò con il governo italiano un accordo in base al quale lo IOR avrebbe versato la bellezza di 244 milioni di dollari ai creditori dell’Ambrosiano, come risarcimento per ogni pretesa presente o futura. Il pagamento, checché ne dicano i vertici della Santa Sede, equivale a un’ammissione di colpa. La somma fu versata anche grazie all’aiuto dei banchieri dell’Opus Dei, che si vedrà riconoscere lo statuto di Prelatura personale del Papa nel nuovo codice di diritto canonico promulgato di lì a poco. L’Anno Santo straordinario del 1983 indetto da Papa Wojtyla servirà anche a rimpinguare le casseforti vaticane dopo la bufera. Non tutto è chiaro nei passaggi che portano alla liquidazione del Banco dopo il crac così come molte zone d’ombra rimangono sulle circostanze della morte di Calvi. Giulio Andreotti, ad esempio, ha più volte manifestato la sua sorpresa per la rapidità con cui il più grande gruppo bancario cattolico venne distrutto.

Paul Casimir Marcinkus, nonostante le bufere, è rimasto alla guida dello IOR fino al 1989. Giovanni Paolo II lo ha protetto e difeso, anche se non l’ha premiato con la porpora. Oltre ai servigi resi nell’organizzazione dei viaggi, di cui Marcinkus è stato per anni indiscusso protagonista, un ruolo decisivo possono aver giocato i finanziamenti a Solidarnosc. Calvi aveva più volte sostenuto di aver avuto una parte nell’aiuto finanziario al sindacato polacco di Lech Walesa che con la sua attività segnò l’inizio della fine del comunismo. In una bobina registrata segretamente da Flavio Carboni si sente la voce di Calvi che dice: "Io gli ho detto sul muso a Marcinkus: guardi che se per caso risulta da qualche contabile che gira per New York che manda soldi a Solidarnosc, qui fra un po’ non c’è più pietra su pietra… Tanto per parlarci chiaro”. I finanziamenti sarebbero stati gestiti con operazioni estero su estero e incassati da un prete polacco residente a Roma che li faceva pervenire al sindacato. E traccia di un’operazione Polonia è rimasta anche in un verbale del consiglio di amministrazione del Banco Ambrosiano. Il presidente dello IOR però smentirà di essere stato a conoscenza dell’operazione: “Calvi non mi ha mai parlato di Solidarnosc. Se ha dato qualcosa a Solidarnosc, va bene, ma non ne ho mai saputo niente”. Di certo i soldi guadagnati da Marcinkus con gli investimenti e compravendita di proprietà sono serviti a finanziare “opere di religione” e sono stati utilizzati per costruire chiese.
Nonostante le frequenti voci e i numerosi pettegolezzi messi in giro dai suoi tanti nemici all’interno della mura vaticane, nulla è mai stato accertato contro Marcinkus, escluse, ovviamente, le sue acrobazie finanziarie. Le dicerie su una sua presunta relazione con una bella donna sposata, ex miss Francia, si sono rivelate del tutto infondate e frutto della malevolenza di monsignori e prelati invidiosi del potere del “Chink”. Così come si rivelerà del tutto priva di fondamento l’accusa rivoltagli nel 1984 dal giornalista inglese David Yallop, autore del best seller “In God’s name”. Nel libro si sostiene la tesi dell’omicidio di Papa Luciani, che sarebbe stato assassinato a causa di un complotto ordito, tra gli altri, anche da Marcinkus in combutta con l’allora Segretario di Stato Jean Villot e con il discusso arcivescovo di Chicago John Patrick Cody. Un altro prelato statunitense caduto in disgrazia per la cattiva gestione delle finanze ecclesiastiche.

La Stampa, 30 Giugno 2011

 




SERVIZI SEGRETI

Nel 1948 in Belgio e in Norvegia britannici e americani promuovono reti clandestine di contrasto ad un’eventuale invasione sovietica o alla presa del potere da parte dei partiti comunisti: è l’embrione di Stay Behind, che si strutturerà in tutti i paesi aderenti alla NATO e anche in alcune nazioni neutrali.

Erede diretto del SIM, il Servizio Informazioni Militari che operò durante il fascismo, nel 1949 (l’anno di costituzione della NATO) nasce il SIFAR, Servizio Informazioni Forze Armate: per i primi anni la sua attività fu sostanzialmente di supporto alla CIA, e fra l’altro gestì l’allestimento delle strutture facenti capo a Stay Behind.

Nel 1955 il nuovo capo del SIFAR, il generale Giovanni De Lorenzo, pur mantenendo tutti i rapporti (di subordinazione) con i servizi d’oltre oceano, decise di dare una struttura operativa e una fisionomia politica più moderne al servizio, concentrando buona parte delle sue risorse nel lavoro di schedatura di politici, sindacalisti, giornalisti, e in generale di chiunque potesse rappresentare una “minaccia comunista”. Contemporaneamente una branca del servizio, l’Ufficio Ricerche Economiche e Industriali, gestì l’enorme afflusso di denaro proveniente dagli USA per finanziare strutture clandestine, gruppi di destra, giornali; quando nel 1968 scoppiò l’affare SIFAR, il dirigente del REI, il colonnello Rocca, morì all’improvviso e il caso fu naturalmente archiviato come “suicidio”.

Gli oltre 150.000 dossier illegali costituirono un’arma formidabile e De Lorenzo, nel frattempo divenuto Comandante dei Carabinieri, nel 1964 pensò seriamente di dare uno sbocco concreto al potere che aveva accumulato: progettò un colpo di stato (v. Piano Solo) che tuttavia non venne attuato.

Queste manovre avevano reso impresentabile il SIFAR, che fu sciolto nel 1966, per lasciare posto al SID, Servizio Informazioni Difesa: il governo, proprio per evitare il ripetersi delle gravi deviazioni operate dal SIFAR, stabilì che i compiti del nuovo servizio dovevano essere rivolti unicamente a tutelare la sicurezza del paese, all’estero e all’interno. In realtà la DC non si preoccupò di mettere in atto misure concrete di controllo su questo delicatissimo apparato (e anzi vari esponenti politici fautori della riforma la contrastarono fortemente) e il SID continuò, addirittura anche con maggiore intensità, sulla strada seguita dal SIFAR, tanto che uno dei suoi direttori, il generale Vito Miceli, nel 1974 fu arrestato per cospirazione.

Furono i servizi americani a “suggerire” la linea politica: per sbarrare il passo ai comunisti non si trattava di ordire un colpo di stato, ma era politicamente preferibile creare una situazione di caos e di paura sulla quale potesse innestarsi efficacemente una reazione autoritaria. Prende corpo quella “strategia della tensione” già teorizzata nel 1965 da un convegno (finanziato dal SIFAR) dell’estrema destra.

Per gestire questo disegno di destabilizzazione si creò una sorta di SID parallelo, e fu lo stesso Miceli a rivelarlo nel 1977: “C’è una particolare organizzazione, segretissima, che è nota anche alle massime autorità dello Stato: un organismo inserito nell’ambito del SID che svolge un’attività ben lontana dalla ricerca informativa.” Di più non volle dire, ma quando nel 1990 Andreotti rivelò ufficialmente l’esistenza di Gladio Miceli commentò: “Per aver taciuto davanti ai giudici quello che ora ha svelato Andreotti sono stato incriminato.” Gladio, dunque, come braccio armato dei servizi deviati, come struttura impegnata direttamente nello stragismo?

Nel 1977 altra riforma: invece di un unico servizio, ne vengono creati due, uno per la sicurezza interna (SISDE, Servizio Informazioni per la Sicurezza Democratica) ed uno per il controspionaggio estero (SISMI, Servizio Informazioni per la Sicurezza Militare): ma almeno nei suoi primi anni il SISMI (i cui vertici erano in mano a uomini iscritti alla P2) proseguì nella tradizione dei predecessori, e, in particolare mediante una struttura clandestina (il SuperSISMI), lavorò sia per depistare le indagini della magistratura relative alla strage di Bologna (2 agosto 1980) sia per mantenere un forte controllo politico.



PIANO SOLO



Arrestare e deportare i dirigenti della sinistra e del sindacato, occupare sedi di partito, giornali e RAI, esautorare i prefetti e sostituirli con alti ufficiali: d’intesa col SIFAR, il gen. De Lorenzo, comandante dell’Arma, preparò questo piano (che doveva essere gestito solo dai Carabinieri) da attuarsi nell’estate del 1964 nel caso che il governo di centrosinistra (ma col PCI all’opposizione) intendesse realizzare una politica troppo avanzata: nel 1963 si era appunto formato il primo governo con la partecipazione del PSI, che provocò subito forti contrarietà negli ambienti di Confindustria e che infatti non durò neppure un anno; questa crisi poteva avere due alternative: andare ad elezioni anticipate, ma la prospettiva preoccupava molto la DC, sicura di perdere consensi a favore sia della destra (MSI) che della sinistra (PCI); oppure riformare un altro governo di coalizione DC, PSI, PRI, PSDI.
Il “rumore di sciabole” (come ebbe a dire Nenni) divenne assordante: le trattative fra democristiani e socialisti si fecero assai difficili, condizionate dal drammatico braccio di ferro tra chi voleva rispettare la Costituzione e chi era pronto a una svolta autoritaria. A metà luglio un secco comunicato del Quirinale annuncia che il Presidente Segni aveva ricevuto il gen. De Lorenzo: un segnale inquietante, che i socialisti compresero perfettamente, tanto che diedero il via a una riedizione del governo Moro, in cui però le spinte riformatrici erano fortemente ridimensionate. Quasi un colpo di stato virtuale: i vertici militari, e le forze economiche legate ad essi, riuscirono ad esercitare un condizionamento pesantissimo sulla vita politica, e avrebbero cercato di continuare ad agire in tal senso.

Lo scandalo scoppiò solo tre anni dopo: un servizio di Scalfari e Jannuzzi su l’Espresso svelò il ruolo di De Lorenzo e immediatamente furono istituite varie commissioni d’inchiesta: la verità emerse solo parzialmente (e soprattutto in occasione del processo intentato da De Lorenzo contro i due giornalisti), perché venne ripetutamente opposto il segreto di stato: molti “omissis” saranno svelati solo nel 1990, quando esplose la vicenda Gladio, confermando non solo che vertici militari e ambienti politici clericofascisti erano pesantemente coinvolti in disegni reazionari, ma che per decenni la politica italiana fu condizionata in modo decisivo da questi gruppi eversivi.

Qui una sintesi della vicenda.

 

GELLI e la P2

Come tanti altri aderenti alla Repubblica Sociale di Mussolini, anche Licio Gelli nell’immediato dopoguerra fu reclutato dall’OSS, e in seguito mantenne sempre ottimi rapporti coi servizi statunitensi. All’inizio degli anni ’60 Gelli aderì alla Massoneria e nel 1966 riceve dal Gran Maestro l’incarico di dirigere la loggia Propaganda 2.
Gelli capì quanto poteva essere influente un centro occulto in una vita politica italiana dominata da un solo partito e in cui l’alternanza, tipica delle democrazie occidentali, restava bloccata dal veto anticomunista: badò bene a coltivare amicizie e a intessere rapporti di interscambio con i più influenti ambienti politici ed economici, e in particolare dedicò molta cura a “coltivare” le gerarchie militari, tanto che alla fine degli anni ’60 saranno più di 400 gli alti ufficiali, italiani o di paesi NATO, aderenti alla loggia P2; tra questi il gen. Allavena, già capo del SIFAR, che mise a disposizione di Gelli numerosissimi dossier riservati.

La pericolosità e la forza della P2 risiedevano proprio in questo suo essere un centro di potere in cui confluivano esponenti importanti di vari ambienti: le Forze Armate, i servizi segreti, l’alta finanza, i partiti anticomunisti, il giornalismo e l’editoria. Se fino alla metà degli anni ’70 la P2 si mosse in perfetta sintonia con i registi della strategia della tensione (ad esempio svolgendo un ruolo rilevante nella vicenda del golpe Borghese del 1970), quando Gelli diventa il Maestro Venerabile della P2, cioè il capo della loggia, intuisce che i tempi stavano cambiando e che occorreva mutare linea politica: non puntare direttamente ad un rovesciamento costituzionale, ma agire secondo una strategia di occupazione del potere, cioè facendo in modo che i membri della P2 andassero a ricoprire incarichi di rilievo nei settori decisivi della vita pubblica.

La vicenda comincia a venire alla luce quando nel marzo del 1981, indagando sul caso Sindona, i magistrati di Milano sequestrano nella villa di Gelli numerosi documenti, tra cui una lista di 953 nomi, per lo più di esponenti politici, alti ufficiali, personaggi del mondo economico (1816, ad esempio, era il numero della tessera di Silvio Berlusconi) e uomini dei servizi segreti, tutti adepti di una loggia segreta: ben presto diventa chiaro come questa loggia svolgesse un ruolo di potente condizionamento della vita italiana. Tanto più che viene scoperta l’esistenza di un "piano di Rinascita Democratica" (che riproduciamo più avanti: se leggendolo avrete l'inquietante impressione di trovarvi davanti al programma di governo di Berlusconi, è perché, come spesso accade, la realtà supera la fantasia) elaborato da Gelli, che, mediante soprattutto il controllo dei mass media, puntava al ridimensionamento dei sindacati e dei partiti di sinistra, alla pesante riduzione dell’autonomia della magistratura e al rafforzamento in senso autoritario del potere esecutivo.

La P2 si delinea così come una struttura forse addirittura in grado di gestire la strategia della tensione, e comunque finalizzata a minare la struttura democratica del Paese: la scoperta degli archivi e l’arresto di Gelli non bloccheranno la P2, che sarà diretta proprio da quel Francesco Pazienza che controllava il SuperSISMI. Solo nel 1984 la Commissione d’inchiesta sulla P2, presieduta da Tina Anselmi, concluderà i suoi lavori, portando allo scioglimento della loggia (ed alla destituzione di quei generali dei servizi, della Guardia di Finanza, ecc., risultati piduisti), ma forte è il dubbio che in realtà quella che è stata scoperta sia soltanto una parte della loggia e che il potere cospirativo ed occulto della massoneria deviata sia continuato negli anni.


Elenco (incompleto) delle vicende in cui è implicata la P2

probabilmente molte di queste vicende vi sono ignote, ed è appunto questo il punto di forza, formidabile, delle trame eversive e dei complotti: restare nell'ombra, o scomparire nel minestrone quotidiano dell'informazione controllata dal potere

    - caso dei dossier illegali del SIFAR
    - caso M. Fo. Biali
    - caso Eni-Petronim
    - caso Kollbrunner
    - caso Rizzoli-Corriere della Sera
    - caso SIPRA-Rizzoli
    - caso Cavalieri del Lavoro di Catania
    - colpo di stato militare in Argentina
    - cospirazione politica e truffa di Antonio Viezzer
    - cospirazione politica di Raffaele Giudice
    - cospirazione politica di Pietro Musumeci
    - cospirazione politica di Antonio La Bruna
    - crack Sindona
    - crack Banco Ambrosiano
    - crack Finabank- scandali finanziari legati allo IOR
    - falso rapimento Sindona
    - finanziamenti FIAT alla massoneria
    - fuga di Herbert Kappler
    - inchiesta sul traffico di armi e droga del giudice Carlo Palermo
    - omicidio Calvi
    - omicidio Pecorelli
    - omicidio Olof Palme
    - omicidio Semerari
    - operazione Minareto
    - rapimento Bulgari
    - rapimento Ortolani
    - rapimento Amedeo
    - rapimento Danesi
    - rapimento Amati
    - rapporti con la banda della Magliana
    - rapporti con la banda dei marsigliesi
    - riciclaggio narcodollari (caso Locascio)
    - scandalo dei Petroli
    - strage del treno Italicus
    - strage di Bologna
    - strage di Ustica
    - strage di Piazza Fontana
    - strage del rapido 904
    - tentativo di colpo di stato di Junio Valerio Borghese
    - tentativo di colpo di stato della Rosa dei Venti
    - tentativo di depistaggio durante il rapimento Moro


GLADIO



Relazione del Sen. Libero Gualtieri alla Commissione Parlamentare d’inchiesta (1992)

Gladio non è stata soltanto una struttura segreta, quanto un “segreto”. Un segreto che lo Stato italiano ha condiviso con altri stati, e che a un certo punto è diventato totalmente suo. Come questo segreto abbia preso forma all'inizio degli anni '50 e si sia protratto fino ai nostri giorni, è stato oggetto di una prima relazione della Commissione al Parlamento.

Si è sostenuto, addirittura con compiacimento, che il fatto che il segreto sia stato mantenuto così a lungo in un paese come l'Italia ha del miracoloso. Quel che non è stato detto è che le nostre leggi e le nostre istituzioni, se fossero state servite lealmente e correttamente, non avrebbero potuto consentirne né il sorgere né il suo protrarsi negli anni. L'ordinamento e le leggi della Repubblica non ammettono infatti in alcun modo che si formino e operino organismi statuali al di fuori del controllo delle istituzioni a ciò preposte.

Nessuno nega il diritto-dovere dello Stato di difendere il territorio nazionale da aggressioni esterne, di riconquistarlo quando fosse perduto, di predisporre, anche in tempo di pace, i mezzi e gli uomini per fare questo. Non c'è bisogno di collegarsi ad altri per giustificare l'adozione delle misure indispensabili per tutelare l'integrità del territorio nazionale. Censurabile, anzi, sarebbe l'assenza di iniziative in questo senso. Anche la previsione e la predisposizione di reti clandestine di resistenza in quelle parti di territorio maggiormente minacciato di invasione rientrano negli atti dovuti di un governo. Ma la protezione della “clandestinità” necessaria a tali reti, non significa che queste debbano essere clandestine all'interno delle stesse istituzioni promoventi.

All'origine di esse vi debbono essere sempre atti formali assunti nel rispetto delle leggi e della Costituzione. Il mantenerli riservati è tutt'altro problema. Lo stesso diritto-dovere ha lo Stato di contrastare e di reprimere tutte le forme di sovvertimento interno tese a rovesciare con la forza il governo illegale e ad impadronirsi con la violenza del potere. Ma anche questo deve essere fatto nel quadro delle leggi e utilizzando le forze che sono previste per tutelare l'ordine interno e la sicurezza dello Stato. Tra gli organismi "legittimi" impiegabili vanno compresi i "servizi segreti", che non sono strutture "fuori controllo" ma solo strutture che operano in un alto grado di riservatezza e di anonimato, sempre però "sotto controllo".

La fuoriuscita quindi dal nostro "sistema di garanzie" non si può giustificare con l'impossibilità di fare altrimenti. La possibilità di rispettare la legge c'è sempre stata nel nostro paese dopo che la caduta del fascismo ha permesso di ripristinare le libertà fondamentali.

La vicenda di Gladio è durata 40 anni. Nel corso di questo lunghissimo periodo è cambiata più volte la storia del mondo.

Ci sono state profonde modifiche nelle alleanze intestatali; la forma di governo di molti paesi è mutata più volte. Il Patto di Varsavia è crollato, la Germania si è riunificata, si è accentuato il passaggio di poteri nazionali a poteri comunitari, la tecnologia ha provveduto ad una unificazione senza precedenti dei costumi e dei comportamenti. In Italia si è passati dal centrismo al centro-sinistra, da questo al compromesso storico e poi alla dispersione del consenso. Il più grande partito comunista dell'occidente ha seguito le sorti dell'ideologia di riferimento.

In questi 40 anni si sono succeduti 40 governi diversi e ci sono stati 20 diversi Presidenti del Consiglio.

Gli stessi servizi segreti, a cui Gladio è stata ancorata, sono stati, nel periodo, profondamente riformati tre volte: dal SIFAR si è passati, nel 1966, al SID e poi, nel 1977, sono subentrati il SISDE e il SISMI. Anche il quadro di riferimento strategico in Europa ha subito nel quarantennio mutamenti radicali. La Nato ha dovuto affrontare le problematiche del "nucleare". L'Italia si è trovata di fronte alla scelta del posizionamento nel suo territorio di missili strategici e ha visto diminuire gradatamente l'importanza della "frontiera del nord-est" e crescere di molto quella della frontiera a sud.

All'interno, dopo che con la scelta elettorale del 1948 il paese fu messo nelle condizioni di regolare i suoi conflitti interni con le armi della democrazia e dentro l'istituto parlamentare, i soli veri fenomeni eversivi e destabilizzanti sono stati il terrorismo, che ha segnato i cosiddetti "anni di piombo" e, più vicino a noi, la fuoriuscita del sistema mafioso dal "santuario" siciliano e la sua "invasione" di parti consistenti del territorio nazionale.

In tutti questi 40 anni Gladio è sempre stata mantenuta attiva e costantemente mobilitata. Quando però il velo del segreto che ha coperto l'organizzazione è stato sollevato nell'ottobre 1990 dal Presidente del Consiglio, on. Andreotti, è sembrato che ci si riferisse quasi ad un qualcosa di dimenticato, un residuato della guerra costituito da un limitato numero di uomini, poco più di 600, rimasti tenacemente in attesa di una invasione dall'est sempre più improbabile, encomiabili per il loro patriottismo ma da giudicare ormai con gli occhi dello storico. Così il dibattito sulla sua "legittimità"' ha avuto come oggetto quasi esclusivamente l'atto costitutivo iniziale, un atto che andava "compreso" dati i tempi in cui si era stati costretti ad adottarlo e che quindi si poteva anche "perdonare".

Le cose stavano però molto diversamente. All'interno del segreto, Gladio ha assunto volti diversi, ha modificato anche profondamente la sua "ragione sociale", ha svolto attività non contemplate inizialmente, ha ampliato i suoi campi di intervento.

Almeno quattro sono state le mutazioni subite da Gladio nel corso degli anni. il problema di distinguere e comprendere questi passaggi non attiene soltanto l'analisi storica. La "periodizzazione” del percorso seguito da Gladio è rilevante al fine di stabilirne la legittimità: questa deve infatti poter essere dimostrata in qualsiasi momento della sua storia, non una tantum.

Di recente il Presidente della Repubblica ha ricordato che la Corte Costituzionale (certamente per altre problematiche) ha elaborato, anche se non ancora in modo sistematico e definitivo la nozione di "illegittimità" costituzionale progressiva. In conseguenza di questa interpretazione, "atti gravi da ipoteche di illegittimità costituzionale vengono ‘tollerati’ al loro primo apparire, ma nella loro ripetizione, confermando e ribadendo la violazione delle norme costituzionali, vengono a non poter più essere tollerati e ad essere colpiti da innegabile illegittimità costituzionale."

Lasciando per un momento impregiudicata la questione della "legittimità iniziale" di Gladio, è certo che, con il trascorrere degli anni e il mutare delle situazioni, Gladio si è caricata di una "illegittimità progressiva". Tre sono i momenti nei quali tale legittimità emerge.

Il primo è quello della "capacità” del SIFAR di farsi soggetto di accordi internazionali al posto del governo e del Parlamento. È indubbio che il SIFAR non aveva alcun titolo per questo, da chiunque e in qualsiasi modo autorizzato. Il documento del 28 novembre 1956, ancorché lo si voglia ritenere l'atto iniziale e non il restatement di un atto precedente, è totalmente privo di valenza istituzionale. Un servizio segreto non può impegnare il governo né può impegnarsi per il governo.

Per di più SIFAR e CIA non erano in posizione di eguaglianza istituzionale.

La CIA, attraverso il suo direttore, che ha anche la veste di coordinatore di tutte le altre agenzie informative statunitensi, fa parte a pieno titolo del National Security Council, di fatto e di diritto alto organo di governo degli Stati Uniti in materia di sicurezza. Una decisione del NSC vincola tutti i centri amministrativi e militari americani e nella documentazione oggi disponibile per la legge che ha liberalizzato gli atti del NSC fino al 1970 c'è la prova che le iniziative CIA sono state tutte approvate e conosciute dal governo americano. Lo stesso non avveniva certo per il SIFAR, perché collocato fuori dal circuito decisionale diretto dal governo.

Il secondo problema riguarda invece la presunta appartenenza di Gladio alla Nato.

Il presidente Andreotti, in una relazione trasmessa ai presidenti delle Camere il 26 febbraio 1991 ha definito Gladio "una struttura costituita in determinate circostanze storiche e confluita progressivamente in un contesto operativo strettamente collegato alla pianificazione militare della Alleanza Atlantica." All'inizio quindi vi sarebbe stata la "necessità” poi, progressivamente, la sua “legalizzazione.”

Se si accetta questo, e cioè che la partecipazione a pieno titolo agli organismi Nato costituisce la legittimazione istituzionale di Gladio, allora la data di inizio non dovrebbe essere più quella del 28 novembre 1956 (accordo SIFAR-CIA), ma quella del 19 maggio 1959 quando l’Italia (SIFAR) fu ammessa nel Coordination and Planning Committee (C.P.C.), istituito dal comandante in capo delle forze alleate in Europa (Saceur) generale Dwight Eisenhower.

In questo caso, che "legittimazione" aveva Gladio negli anni precedenti il 1959?

Nel 1959 Gladio esisteva già da alcuni anni senza che vi fosse alcun rapporto con la Nato e con le strutture dell’Alleanza Atlantica. I rapporti esistevano solo con alcuni servizi segreti, quello inglese e soprattutto quello statunitense.

Il terzo momento in cui appare con evidenza e si viene aggravando l’illegittimità di Gladio è quando nel 1977, per la prima volta con una legge dello Stato, furono riformati i nostri servizi segreti. Si crearono da una parte il SISDE e dall'altra il SISMI ponendoli sotto la diretta responsabilità del Presidente del Consiglio - che la esercita sia mediante un comitato ristretto di ministri (CLIS), sia mediante un suo personale segretario (Cesis) - e venne altresì istituito un organo non eludibile di controllo: il comitato parlamentare per i servizi di informazione. Al Cesis oltre al compito di fornire al Presidente del Consiglio tutti gli elementi necessari per il coordinamento dell'attività dei servizi e le analisi delle situazioni, veniva data l’”esclusiva” di tenere i rapporti con i servizi esteri.

Al Comitato parlamentare era affidato il “controllo” della corretta applicazione della legge, potendo, a tal fine, disporre di tutte le informazioni sulle "linee essenziali" della struttura e dell'attività dei Servizi. Con la legge del 1977 i Servizi non solo erano riformati ma era totalmente "riposizionato" il loro modo di essere nel quadro istituzionale.

Mentre il SIFAR era nato il 30 marzo 1949, mediante una circolare interna dell'allora ministro della Difesa Pacciardi, e il SID era sorto mediante una circolare segreta interna - che peraltro non accennava minimamente a Gladio o ad altra struttura riservata - del ministro della Difesa Tremelloni, il 26 giugno 1966, ora invece era la legge dello Stato, votata dal Parlamento, a fissare le nuove regole. Proprio per questo, la scelta di ignorare la legge e di procedere come se il Parlamento non si fosse pronunciato è di una gravità estrema.

Il Cesis fu semplicemente "cortocircuitato" e ciò per volontà degli stessi presidenti del Consiglio che, quando volevano sapere qualcosa o far fare qualcosa, si rivolgevano direttamente ai capi dei servizi. Anche il rapporto con i servizi esteri fu sottratto al Cesis. In tal modo Gladio, nelle sue proiezioni interne e internazionali, sfuggì al controllo del segretariato esecutivo dei servizi di informazione e sicurezza. Inoltre si doveva tener conto della suddivisione dei campi di attività dei servizi, il SISDE impegnato nella tutela della sicurezza all'interno, il SISMI in quello della sicurezza esterna.

A quale servizio va "appoggiata" Gladio? Il problema non sfiorò in alcun modo i responsabili politici. Addirittura la “riforma" fu gestita da altri poteri, quelli piduisti: il SISMI fu affidato al generale Santovito. Il SISDE al generale Grassini. Il Cesis al prefetto Pelosi. La penetrazione piduista nei servizi fu massiccia.

Furono gli anni del rapimento di Aldo Moro e della strage di Via Fani, del dispiegamento della "geometrica potenza del terrorismo" e dell'impotenza dello Stato. Furono gli anni di Ustica e della strage alla stazione di Bologna.

Quando venne alla luce la trama piduista e la profondità della sua penetrazione, anche i servizi furono bonificati. Nell'agosto del 1981 il SISMI fu affidato al generale Lugaresi e il SISDE al prefetto De Francesco.

Gladio continuò però a vivere la sua esistenza clandestina all’interno delle istituzioni, potendo anche cambiare metodi e finalità protetta dalla sua stessa "invisibilità istituzionale".

Nell'aprile 1984 il SISMI passò all'ammiraglio Fulvio Martini. E Gladio accrebbe ancora di più la sua sfera di attività. Non poteva accadere diversamente, dato che nella gestione Martini aumentò di molto il peso del generale Paolo Inzerilli che, da responsabile diretto di Gladio nel periodo 1974-1986 e principale sostenitore della riconversione della rete in funzione informativa interna, divenne poi, sino all'ottobre 1991, il capo di Stato maggiore del SISMI, il secondo per importanza nel servizio.

Ancora più grave la violazione commessa nei confronti del Comitato parlamentare. La battaglia per portare sotto controllo i servizi, dopo le avventurose gestioni degli anni '60 e '70 era stata lunga, difficile e spesso aspra. Ma appena fatta la legge, si trovò subito l'inganno. Gladio doveva rimanere nella sua “invisibilità”. E al Comitato non ne fu data alcuna notizia, sia pure approssimativa e generale.

C'è di più. Quando nel Comitato parlamentare furono rivolte precise domande sulla esistenza nel SISMI di strutture riservate, si disse che non ne esistevano nel modo più assoluto. Il presidente Craxi, in una audizione presso il Comitato, nel 1985, rispose, sulla base delle informazioni ricevute dal servizio, che non esistevano accordi che ponessero i nostri servizi in posizione subordinata rispetto ad altri servizi o ad organi sovranazionali.

Risposte negative avevano sempre avuto, nel corso degli anni, anche i magistrati che si erano imbattuti nelle tracce di strutture riservate. Lo stesso presidente del Consiglio, Aldo Moro, interrogato nel marzo 1975 dai magistrati che conducevano l'inchiesta sul golpe Borghese in ordine all'esistenza di un organismo informativo e operativo parallelo, direttamente dipendente dal capo del SID con compiti diversi da quelli istituzionali, fu indotto a dichiarare che non vi erano nei servizi simili strutture riservate.

La decisione assunta dall'ammiraglio Martini nel 1984 di far sottoscrivere il documento di “presa conoscenza” ai presidenti del Consiglio e ai ministri della Difesa, non solo non sanò l’illegittimità in atto, ma la aggravò ancora di più, perché il consenso così ottenuto aveva il solo scopo di alleggerire la responsabilità di chi chiedeva la firma e di lasciare nei guai chi la concedeva.

Di tutta la storia "interna" di Gladio il fatto sconcertante e inammissibile è che non esista assolutamente documentazione di parte governativa.

La Commissione parlamentare e la magistratura hanno potuto ottenere, in gran parte mediante azioni di sequestro, migliaia e migliaia di documenti riguardanti Gladio, tutti però provenienti dagli archivi dei Servizi, per quella parte che si è riusciti a penetrare. Dallo Stato maggiore della Difesa non un solo foglio. Dalle amministrazioni governative ancora meno. Agli atti non risulta alcun atto dell'Esecutivo di indirizzo, di coordinamento e di controllo riguardante Gladio.

In sostanza Gladio ha vissuto clandestinamente per quarant'anni, non per i servizi di informazione avversari, che ne hanno sempre conosciuto l'esistenza, ma per le istituzioni italiane.

Qualunque giudizio - che il Parlamento sarà chiamato ad esprimere - voglia darsi sulla "necessità" della nascita di Gladio, le particolari caratteristiche dell'organizzazione avrebbero dovuto imporre le forme di controllo analoghe, se non più rigorose, di quelle riservate ad altre organizzazioni operanti entro schemi conosciuti e con responsabilità definite.

Invece, è accaduto esattamente il contrario. Non solo l'"informazione" della avvenuta costituzione di Gladio e delle sue finalità non è calata dal primo governo che aveva preso la decisione ai governi successivi (da un presidente del Consiglio all'altro, da un ministro della Difesa al suo successore), ma il compito di fornire l"'informazione", di ciò che era Gladio, degli impegni assunti anche con altri paesi, delle attività svolte, ad un certo punto è passato dai controllori ai controllati.

In altri termini erano i Servizi a decidere che cosa dire e a chi. I direttori dei Servizi, a loro discrezione, sceglievano quali presidenti del Consiglio e quali ministri della Difesa informare e quali no, di che cosa informarli e che cosa tacere.

Così si è reso difficile, se non impossibile, risalire alle responsabilità delle decisioni assunte in epoche tanto diverse nelle diverse fasi della storia di Gladio.

Il 26 maggio 1980 una nota del SISMI diede notizia dell’”indottrinamento” del ministro della Difesa, onorevole Lagorio. A Lagorio il Servizio raccontò che nel 1951 era stata impiantata in Italia una rete clandestina incaricata di predisporre fin dal tempo di pace operazioni militari clandestine. Non fu detto niente degli impegni assunti fin dal 1956.

Una certa enfasi fu messa nel riferire dell'inserimento dell’Italia nei vari Comitati interalleati (Ccp e Acc) e delle direttive per la guerra non ortodossa emanate dal comandante supremo alleato (Saceur) nel 1968, 1972 e 1976. Venne ricordato che la base segreta d'addestramento di Capo Marrargiu era stata visitata dagli onorevoli Taviani (nel 1958), Andreotti (nel 1961), nuovamente Taviani (nel 1965), Cossiga (nel 1967) e Gui (nel 1969). Lo stesso schema di indottrinamento era stato adoperato per l’onorevole Forlani quando questi, dal 23 novembre 1974 al 30 luglio 1976 era stato ministro della Difesa. In seguito, per informare i ministri Lattanzio (dal 30 luglio 1976 al 19 settembre 1977) e Ruffini (dal 19 settembre 1977 al 13 gennaio 1980) fu utilizzato uno schema più completo. In esso c'erano maggiori particolari sulle persone a conoscenza della rete e degli impegni assunti con gli americani. Furono indicati come già informati, Taviani, Mancinelli, De Lorenzo, Andreotti, Rossi, Viggiani, Gui, Cossiga, Vedovato, Henke, Tanassi, Miceli, Forlani, Viglione, Casardi. Fu detto che la base di Capo Marrargiu doveva servire anche per "dare ospitalità" agli Stati Uniti per "missioni".

Nei briefing effettuati venne indicata una consistenza della rete del tutto difforme da quella reale. L'organico previsto sarebbe stato di 2.135 uomini, i già reclutati ed addestrati, dal 1957 al 1976, 350. Gli esclusi solo 22, lo 0,7%.

A partire dal 1984 il nuovo direttore del SISMI, ammiraglio Martini, prese la decisione di informare "sistematicamente" i presidenti del Consiglio, i ministri della Difesa e i capi di Stato maggiore. Lo fece sottoponendo loro il seguente documento:

"Nell'ambito del Servizio esiste una organizzazione alla quale è devoluto il compito di predisporre, con modalità assolutamente riservate e fin dal tempo di pace, quanto necessario per la condotta di operazioni di guerra non ortodossa sul territorio nazionale eventualmente occupato da forze nemiche, a diretto supporto delle operazioni militari condotte dalle forze Nato.

L'Organizzazione:

agisce in stretta collaborazione con analoghe strutture create dai Servizi nei paesi Nato;

svolge la sua attività sulla base di una pianificazione per l'emergenza ispirata alle diretti del Saceur per la guerra non ortodossa;

è responsabile della organizzazione e della condotta, in territorio occupato, di tutte le operazioni clandestine e del coordinamento delle attività di guerra non ortodossa svolte dalle Forze Speciali nazionali ed alleate.

Nell'ambito di tale organizzazione vengono condotte, ai fini addestrativi, esercitazioni nazionali e Nato con l'apporto delle unità speciali delle tre Forze Armate, con le quali esiste collegamento operativo tramite i maggiori comandi Nato (Shape, Msouth e Ftase).

È prassi ricorrente che dell'organizzazione citata e delle sue attività vengano informati, nella forma opportuna e con il vincolo della segretezza, il presidente del Consiglio dei ministri, il ministro della Difesa e i capi di Stato maggiore”.

"Esiste una organizzazione". Non veniva detto niente che servisse a capire quando e perché era stata creata, da chi e con chi. Non veniva neppure detto che il suo nome era Gladio o Stay-behind. Su questi soli elementi un presidente del Consiglio degli anni '80 non veniva nemmeno messo nelle condizioni di conoscere la "storia" dell'organizzazione, figuriamoci le reali dimensioni degli impegni assunti e il tipo di obbligazione che ne era risultato. Veniva indicato come limite rassicurante il fatto che l'organizzazione avrebbe dovuto attivarsi solamente in territorio nazionale eventualmente occupato e non in altre parti e per altre finalità .Sulla base di tale documento, l'onorevole Craxi venne avvertito da Martini cinque mesi dopo la sua nomina a presidente del Consiglio e firmò per conoscenza l' 8 agosto 1984.

Il senatore Spadolini, che come presidente del Consiglio negli anni 1981-82 risulta non essere stato mai informato dell'esistenza della struttura, come ministro della Difesa firmò il citato documento il 14 novembre 1984 otto mesi dopo la nomina di Martini e quindici mesi dopo il suo ingresso nel dicastero della Difesa. Firmarono anche i capi di Stato maggiore della Difesa, dell'Esercito e della Marina, mentre l'Aeronautica venne tenuta fuori. Il senatore Fanfani, presidente del Consiglio dal 17 aprile al 28 luglio 1987 non fu indottrinato, e nemmeno il suo ministro della Difesa, onorevole Gaspari. Il caso del senatore Fanfani è particolarmente significativo, perché non fu indottrinato nemmeno negli anni '50 e '60, quando ricoprì per molte volte la carica di presidente del Consiglio. L'onorevole Goria, presidente del Consiglio dal 28 luglio 1987 all'11 marzo 1988 firmò il 4 novembre 1987; il suo ministro della Difesa, Zanone, firmò il 21 dicembre 1987. L'onorevole De Mita, divenuto presidente del Consiglio il 13 aprile 1988, firmò il 6 maggio 1988. L'onorevole Andreotti, divenuto presidente del Consiglio il 22 luglio 1989, firmò il 3 agosto 1989. Firmarono anche come ministri della Difesa Martinazzoli (il 4 agosto 1989) e Rognoni (il 19 ottobre 1990).

Vediamo ora che cosa significa tutto questo.

Significa innanzitutto che la “illegittimità”, di Gladio, invece di attenuarsi con il passar degli anni e con la diminuzione delle tensioni internazionali, aumenta, soprattutto nella seconda metà degli anni '80. La "riconversione" di Gladio da struttura antinvasione a struttura informativa al servizio dell'intero SISMI a fini interni, è pienamente documentata.

La violazione della "legge di base" dei servizi, la legge 24 ottobre 1977, n. 801, è stata sistematica, spregiudicata e del tutto intenzionale. Esiste certamente il problema della "legittimità iniziale”; il Parlamento dovrà affrontarlo con un occhio alle leggi e l’altro alla situazione storica degli anni ‘50, e questa sarà una componente non ultima del giudizio. Ma con un metro più severo il Parlamento e la Magistratura dovranno valutare ciò che è stato fatto dal 1977 ad oggi. È in questi anni che si è instaurata una nuova e più grave "illegittimità" che negli ultimi tempi il presidente del Consiglio non ha più ritenuto di dover coprire, fornendo gli elementi perché si sciogliesse il segreto e fosse resa possibile la eliminazione di Gladio.
Oggi sappiamo che nel 1990 non vi era più il piccolo esercito di gladiatori in paziente attesa di una invasione che non ci sarebbe mai stata, una situazione da "deserto dei tartari", ma una rete informativo-operativa estesa in tutto il territorio che operava a fini di controllo della situazione interna e che in questa situazione interveniva anche direttamente.

Chi era a conoscenza di questo, fuori dai vertici del SISMI? Chi sapeva quali erano le funzioni dell'organizzazione che operava all'interno del SISMI? Chi sapeva della istituzione dei cinque centri di Asti, Brescia, Udine, Roma e Trapani? Chi sapeva della creazione della Sezione addestramento speciale e della nascita dei Gos o "nucleo K"? Chi sapeva di Cervetri?

Per proteggere la sicurezza dei vertici dello Stato e di altre personalità eminenti nei loro viaggi all'interno e all'estero non vi era e non vi è alcun bisogno di "nascondere" l'esistenza degli addetti alla protezione. Il presidente degli Stati Uniti è protetto da un corpo specializzato perfettamente conosciuto, pubblicizzato e istituzionalizzato. Nell'ambito della Polizia di Stato o dei Carabinieri si sarebbe potuto formare un reparto addetto a questi compiti senza percorrere la strada seguita. A garantire la sicurezza democratica dello Stato vi era il SISDE, e, soprattutto vi era la condizione politica del Paese, stabilizzata nella democrazia e forte del consenso della stragrande maggioranza dei cittadini.

In nessun momento, dopo il fascismo, vi è stata una situazione di "guerra civile" nel nostro Paese. La stessa Resistenza fu guerra di liberazione e non guerra civile. La stabilizzazione del Paese nella democrazia è stata il grande merito della classe politica che operò nei primi anni della riconquistata libertà. Vi sono stati certamente momenti di tensione, come ad esempio l'attentato a Togliatti. Ma non vi sono mai state situazioni da difendere con "tutti i mezzi", così come non sono mai state imboccate scorciatoie al posto della strada maestra. E questa strada è stata tutelata con la legge e il diritto.

Come ha scritto Norberto Bobbio, nell'Italia repubblicana tutti i problemi sono stati sempre risolvibili senza che si dovessero costituire milizie clandestine.

Il tentativo abbastanza scoperto, che oggi viene fatto di racchiudere Gladio solo nella sua fase iniziale per poter giustificare quella struttura occulta come un fatto di patriottismo ed eroismo, non può essere consentito. E così pure gli arruolamenti postumi e i riconoscimenti elargiti con abbondanza.

Non vi è alcuna giustificazione per Gladio. Né all’inizio né alla fine. Vi è invece un accrescimento della sua pericolosità e della sua illegittimità con il passare degli anni.

Non tutto ciò che è accaduto negli anni torbidi della storia recente va addebitato a Gladio. Ma Gladio è stata una componente di quella strategia che, immettendo nel sistema elementi di tensione, ha giustificato la necessità di opportuni interventi stabilizzatori.

Alla Magistratura spetta di individuare quali di questi interventi abbiano avuto rilevanza penale. In questa ricerca il contributo della Commissione è stato rilevante. Ma il nostro compito essenziale era quello di "leggere" organicamente l'intera storia di Gladio, penetrando dentro la sua oscurità istituzionale.

Nei documenti interni del SISMI Gladio è indicata come la "nota organizzazione". In realtà allo Stato italiano Gladio è sempre rimasta "ignota". Riteniamo di averla fatta uscire dall'anonimato. È tempo che di questo si prenda atto e si puniscano i responsabili del lungo inganno.




per il testo che segue si consiglia di confrontare gli obiettivi principali della P2
con le decisioni e i programmi dei governi Berlusconi sugli stessi temi


PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA

Licio Gelli


PREMESSA

1) L'aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema.

2) Il piano tende a rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori.

3) Il piano si articola in una sommaria indicazione di obiettivi, nella elaborazione di procedimenti anche alternativi e di attuazione ed infine nella elencazione di programmi a breve, medio e lungo termine.

4) Va anche rilevato, per chiarezza, che i programmi a medio e lungo termine prevedono alcuni ritocchi alla Costituzione - successivi al restauro del libero gioco delle istituzioni fondamentali - che, senza intaccarne l'anarchico disegno originario, le consentano di funzionare per garantire alla nazione ed ai suoi cittadini libertà e progresso civile. in un contesto interno ed internazionale ormai molto diverso da quello del 1946.

OBIETTIVI

1) Nell'ordine vanno indicati:

a) i partiti politici democratici, dal PSI al PRI, dal PSDI alla DC ed al PLI (con riserva di verificare la Destra Nazionale);

b) la stampa, escludendo ogni operazione editoriale, che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della Sera, Giorno, Giornale, Stampa, Resto del Carlino, Messaggero, Tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del Mezzogiorno, Giornale di Sicilia per i quotidiani; e per i periodici: Europeo, Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI-TV non ...

c) i sindacati, sia confederali CISL e UIL, sia autonomi, nella ricerca di un punto di leva per ricondurli alla loro naturale funzione anche al prezzo di una scissione e successiva costituzione di una libera associazione dei lavoratori;

d) il Governo, che va ristrutturato nella organizzazione ministeriale e nella qualità degli uomini da preporre ai singoli dicasteri;

e) la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggi;

f) il Parlamento, la cui efficienza È subordinata al successo dell'operazione sui partiti politici.

2) Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo economico-finanziario.

La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo.

Governo, Magistratura e Parlamento rappresentano invece obiettivi successivi, accessibili soltanto dopo il buon esito della prima operazione, anche se le due fasi sono necessariamente destinate a subire intersezioni e interferenze reciproche, come si vedrà in dettaglio in sede di elaborazione dei procedimenti.

3) Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell'operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l'eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditori e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unità.

Gli uomini che ne fanno parte debbono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onesta ' e rigore morale, tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale.

PROCEDIMENTI

1) Nei confronti del mondo politico occorre:

a) selezionare gli uomini - anzitutto - ai quali può essere affidato il compito di promuovere la rivitalizzazione di ciascuna rispettiva parte politica (per il PSI, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI Visentini e Bandiera; per il PSDI Orlandi e Amadei; per la DC Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale, eventualmente, Covelli);

b) in secondo luogo valutare se le attuali formazioni politiche sono in grado di avere ancora la necessaria credibilità esterna per ridiventare validi strumenti di azione politica;

c) in caso di risposta affermativa, affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti -con i dovuti controlli -a permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti;

d) in caso di risposta negativa, usare gli strumenti finanziari stessi per l'immediata nascita di due movimenti: l'uno, sulla sinistra a cavallo fra PSI - PSDI - PRI - Liberali di sinistra e DC di sinistra, e l'altra sulla destra a cavallo fra DC conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale.

Tali movimenti dovrebbero essere fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della società civile in proporzione reciproca da la 3 ove i primi rappresentino l'anello di congiunzione con le attuali parti ed i secondi quello di collegamento con il mondo reale.

Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e tendenzialmente disponibili per un'azione politica pragmatica; con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche. Altrimenti il rigetto da parte della pubblica opinione è da ritenere inevitabile.

2) Nei confronti della stampa o meglio, dei giornalisti l'impiego degli strumenti finanziari non può, in questa fase, essere previsto nominatim. Occorrerà redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell'altro.

L'azione dovrà essere condotta a macchia d'olio, o, meglio, a catena, da non più di 3 o 4 elementi che conoscono l'ambiente.

Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di "simpatizzare" per gli esponenti politici come sopra prescelti in entrambe le ipotesi alternative 1c e 1d.

In un secondo tempo occorrerà:

a) acquisire alcuni settimanali di battaglia;

b) coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso una agenzia centralizzata;

c) coordinare molte TV via cavo con l'agenzia per la stampa locale;

d) dissolvere la RAI -TV in nome della libertà di antenna ex art. 21 Costit.

3) Per quanto concerne i sindacati la scelta prioritaria è fra la sollecitazione alla rottura, seguendo cioè le linee già esistenti dei gruppi minoritari della CISL e maggioritari della UIL, per poi agevolare la fusione con gli autonomi in una libera confederazione, oppure, senza toccare gli autonomi, acquisire con strumenti finanziari di pari entità i più disponibili fra gli attuali confederali allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all'interno dell'attuale trimurti.

Gli scopi reali da ottenere sono:

a) restaurazione della libertà individuale nelle fabbriche e aziende in genere per consentire l'elezione dei consigli di fabbrica con effettive garanzie di segretezza del voto;

b) ripristinare per tale via il ruolo effettivo del sindacato di collaboratore del fenomeno produttivo in luogo di quello illegittimamente assunto di interlocutore in vista di decisioni politiche aziendali e governative.

Sotto tale profilo, la via della scissione e della successiva integrazione con gli autonomi sembra preferibile anche ai fini dell'incidenza positiva sulla pubblica opinione di un fenomeno clamoroso come la costituzione di un vero sindacato che agiti la bandiera della libertà di lavoro e della tutela economica dei lavoratori. Anche in termini di costo è da prevedere un impiego di strumenti finanziari di entità inferiori all'altra ipotesi.

4) Governo, Magistratura e Parlamento

È evidente che si tratta di obiettivi nei confronti dei quali i procedimenti divengono alternativi in varia misura a seconda delle circostanze. È comunque intuitivo che, ove non si verifichi la favorevole circostanza di cui in prosieguo, i tempi brevi sono - salvo che per la Magistratura - da escludere essendo i procedimenti subordinati allo sviluppo di quelli relativi ai partiti, alla stampa ed ai sindacati, con la riserva di una più rapida azione nei confronti del Parlamento ai cui componenti È facile estendere lo stesso modus operandi già previsto per i partiti politici.

Per la Magistratura è da rilevare che esiste già una forza interna (la corrente di magistratura indipendente della Ass. Naz. Mag.) che raggruppa oltre il 40% dei magistrati italiani su posizioni moderate.

È sufficiente stabilire un raccordo sul piano morale e programmatico ed elaborare un 'intesa diretta a concreti aiuti materiali per poter contare su un prezioso strumento già operativo nell'interno del corpo anche ai fini di taluni aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla sua tradizionale funzione di elemento di equilibrio della società e non già di eversione.

Qualora invece le circostanze permettessero di contare sull'ascesa al Governo di un uomo politico (o di una équipe) già in sintonia con lo spirito del club o con le sue idee di "ripresa democratica ", è chiaro che i temi dei procedimenti riceverebbero una forte accelerazione anche per la possibilità di attuare subito il programma di emergenza e quello a breve termine in modo contestuale all'attuazione dei procedimenti sopra descritti.

In termini di tempi ciò significherebbe la possibilità di ridurre a 6 mesi ed anche meno il tempo di intervento, qualora sussista il presupposto della disponibilità dei mezzi finanziari.