Thriller in tv

Solo chi è nato intorno alla metà del XX secolo ricorda le tante serate (quando la tv in Italia era semplicemente RAI e c'era un solo canale) in cui sul teleschermo compariva la scritta Continua - La prossima puntata andrà in onda...
Disappunto, curiosità, o altro ancora, in attesa che la settimana successiva si potesse finalmente saperne di più sulle vicende del tenente Sheridan, di Maigret, di Belfagor, ecc..

Poi, con Internet, sono arrivate le piattaforme streaming di film e serie tv, e tutto è cambiato: a pagamento si vede ciò che si vuole quando si vuole, e addirittura è possibile papparsi consecutivamente (il cosiddetto binge watching) più episodi, o magari un'intera stagione.
Naturalmente la faccenda è piuttosto aggrovigliata, ma si può dire che gli aspetti produttivi, se sono stati sempre fondamentali, ora assumono un ruolo decisivo sulla qualità stessa del prodotto. Per capirci: una serie ha successo? E allora perché non farla proseguire ancora, e ancora...

In realtà tutto è cominciato due secoli fa (o prima? l'Odissea...), con il feuilleton, cioè con storie "avvincenti" pubblicate a puntate su quotidiani e periodici, principalmente inglesi e francesi (Balzac, Sue, Dumas, Doyle, Stevenson, ecc.) ma anche italiani (Collodi, Salgari).
E finalmente arrivò il cinematografo, ad esempio con i film a puntate di Louis Feuillade (1913) o di Edward Sedgwick (1920) con al centro Fantômas.



Tuttavia la cosa ha assunto una sua organica fisionomia solo verso la fine degli anni '60 del secolo scorso, con la cosiddetta 'Nuova Hollywood', cioè con la crisi del cinema tradizionale basato sulle grandi produzioni generaliste e con una visione commerciale che poneva le basi di un'interazione dinamica con altri settori produttivi. Discorso lungo e complicato (e contraddittorio, perché in quel periodo si affermarono registi - Scorsese, De Palma, Coppola, Peckinpah, Altman, Lumet, Allen, ecc. - che introdussero nuove tecniche e tematiche fino ad allora considerate proibite) che qui si accenna soltanto.

Qualcuno ricorderà in Ritorno al futuro 3 - appunto - l'ironia di un tabellone pubblicitario che annunciava Lo squalo 19. In ogni caso sia lode a Lucas, Spielberg, Zemeckis, e (pochi altri) soci, che hanno sì pensato alle palanche, ma dandoci comunque tanta buona roba.
Qui si parla, male, di Hollywood e dintorni in generale (su uno dei più cattivi della banda, Marvel, ci sarebbe molto da dire, ma non qui) che per risparmiare idee e quattrini da decenni ci propinano sequel, prequel, spin-off, reboot, e via truffando.

E dunque i vari Netflix, Now, Amazon, Disney, hanno fatto i compiti e imparato il trucco, e si guardano bene dal chiudere una serie (sempre che abbia buoni ascolti) dopo le prime due stagioni: e dunque allungano il brodo oltre ogni decenza e ordinano agli sceneggiatori (anche bravi) di inventarsele tutte pur di proseguire. Scelte preferite: l'agnizione, cioè la scoperta che X non è X ma Y - nobile tributo alla tragedia greca; un personaggio creduto morto in realtà è vivo, e viceversa; un buono importante diventa (o si rivela) cattivo, e viceversa; il figlio scopre che il genitore è un cattivo, e viceversa. Tout va bien pur di ribaltare spudoratamente la scena e continuare lo show.

Gli esempi non mancano, ma prendiamo Blindspot (Punto cieco, 2015 - 2020), una delle serie thriller più lunghe e interessanti, senza svelare misteri centrali della trama (si è evitato di usare il solito americanismo, spoilerare).

La vicenda inizia con un'idea abbastanza buona: una donna, del tutto priva di memoria, interamente coperta di tatuaggi che fanno riferimento a oscuri crimini e su cui indaga una squadra speciale dell'FBI. E questo sarà il filo conduttore di tutta la serie.
Ecco un primo elemento, comune a tutte queste produzioni: un mistero che accompagna l'intero svilupparsi della storia e che verrà svelato solo alla fine; già, ma quando diavolo finirà?... E fin qui va anche bene: in fondo si tratta di un espediente tipico di qualsiasi narrazione basata su una verità nascosta. Ogni giallo (usiamo questo termine in senso lato, senza distinguere i vari generi: thriller, azione, noir, spionaggio, ecc.) si conclude proprio rispondendo alla solita domanda: chi è il colpevole? Naturalmente vi sono varie eccezioni al whodunit (contrazione di Who has done it, Chi l'ha fatto), il meccanismo del giallo classico, e il tenente Colombo ne è forse l'esempio più noto, dato che fin dall'inizio sappiamo chi è l'assassino. Inevitabile che in una serie la rivelazione si protragga a lungo, ma, appunto, quanto a lungo?
Perchè, come si è detto, se la produzione incontra i favori del pubblico tutto verrà svelato chissà quando. E vabbè.
Che poi ogni puntata, o episodio, o stagione, finisca per modo di dire, lasciando molto in sospeso, è funzionale all'insieme della storia.
Comunque, per far durare la vicenda, occorre che vi siano specifiche storie nell'ambito della storia principale (il mistero centrale) e anche qui nulla di male, se non fosse che spesso la creatività degli sceneggiatori è discutibile, sfociando in irritanti ripetizioni, digressioni superflue, melodrammi esistenziali, e via temporeggiando.
In Blindspot si susseguono episodi apparentemente diversi tra loro ma in realtà troppo spesso ripetitivi: il cattivo di turno, che poi il più delle volte è un gruppo terroristico, escogita una qualche mostruosa macchinazione per seminare morte e rovina, magari con un congegno nucleare o una letale arma chimica.
E qui siamo nella truffa vera e propria: l'11 settembre (per antonomasia, e tutti si dimenticano dell'11 settembre 1973, il golpe in Cile) è stato davvero un attacco al di là di ogni immaginazione, e in svariate occasioni vi sono state azioni contro civili o militari, ma tutto sommato il loro numero è, per fortuna, piuttosto limitato. Blindspot, invece, ogni volta ci propone piani diabolici che prospettano migliaia, se non milioni, di vittime innocenti. Basterebbe questa parossistica esagerazione a rendere tutto assolutamente non credibile (sì, è un racconto di fantasia, non un documentario, ma un po' di verosimiglianza, accidenti! La stessa fantascienza, quando è buona, ha un suo codice di credibilità, se non addittura della regole: si vedano le leggi della robotica di Isaac Asimov).
Nel lontano 1980 la coppia Dominique Lapierre - Larry Collins nel romanzo Il quinto cavaliere immagina un agente libico intenzionato a far scoppiare una bomba atomica a New York. L'idea è abbastanza nuova, ma già Ian Fleming aveva pensato a minacce tremende, seppure in una cornice palesemente fantasiosa; e prima ancora Jules Verne, Robur il conquistatore, 1886, e Il padrone del mondo, 1904. Idea, sempre per fortuna, che rimane abbastanza al di là delle possibilità pratiche, pur essendoci stato un certo "mercato" dopo la dissoluzione dell'URSS e la messa fuori controllo di vari dispositivi nucleari.
Invece la costruzione, il trasporto e l'utilizzo di questi ordigni micidiali a Netflix e soci pare cosa abbastanza facile e frequente. Idem per varie sostanze simil-antrace e virus letali.

I cattivi, inevitabilmente, sono quasi sempre membri di qualche organizzazione terroristica.
Già, i terroristi. Non c'è forse termine più abusato nelle produzioni americane, quasi che con l'11 settembre 2001 vi sia stata un'incontrollabile proliferazione di gruppi dediti al terrorismo, generalmente (e secondo il solito cliché cattivo=brutto ceffo) arabi o ex sovietici o musi gialli (e se poi erano iraniani fa lo stesso, tutti arabi, no?).
Nel bellissimo I tre giorni del Condor, di Sydney Pollack (tratto da un romanzo di James Grady), del 1975, si trova un insolito aspetto della CIA, conosciuta per lo più per le sue malefatte ma che in realtà ha anche migliaia di analisti, che studiano, progettano, leggono. Aggiungiamo: che scrivono. Sì, perchè è fuori di dubbio che film e serie tv siano infarciti di materiali provenienti dalla fervida immaginazione di funzionari del governo di Washington. O, chissà, ci sono proficue transazioni finanziarie.
Terroristi, quindi, che hanno un solo scopo: distruggere l'America, supremo guardiano della libertà mondiale. Anzi, molto spesso non ci si prende nemmeno la briga di specificare questo obiettivo, dato per scontato, ma si ripete semplicemente la stessa parola: terrorismo, terrorismo, terrorismo.
Un buon sistema per ribadire e consolidare il senso di paura enfatizzato a dismisura dopo l'11 settembre e sancito solennemente con quella mostruosità giuridica che è il Patriot Act.
Ma ci sono anche i terroristi "interni": suprematisti bianchi o ecoterroristi. Un colpo al cerchio ed uno alla botte, perché se i primi servono alla buona coscienza dei progressisti, gli altri evidenziano che è giusto fare la raccolta differenziata, ma, per carità, non esageriamo! E infatti questi gruppi di delinquenti vengono definiti tout court come "antigovernativi", quasi che il solo fatto di essere in dissenso con Washington sia di per sè una minaccia "terroristica". D'altra parte già negli anni '60 del secolo scorso dissidenti come Angela Davis erano definiti terroristi. Insomma, puoi liberamente votare democratico o repubblicano, ma che non ti venga in mente di simpatizzare per la sinistra radicale, anticamera del terrorismo.
Il senatore Joseph McCarthy è vivo e lotta insieme a noi.

 

Praticamente ovunque c'è poi una figura emblematica, il tale (agente o no) reduce dall'Iraq, o dall'Afghanistan, o dalla ex-Jugoslavia, segnato profondamente da questa esperienza (ma anche arricchito in termini tecnici), magari con la sua bella sindrome post traumatica. Sì, poverino, ma chi te l'ha fatto fare di andare a sparare in casa d'altri? E hai la minima idea del fatto che le forze armate americane in quei paesi hanno ucciso decine di migliaia di persone, in gran parte civili? Eccetera. Ma non è mica propaganda, figuriamoci.

In Blindspot c'è questo corpo speciale dell'FBI che indaga e salva il mondo libero almeno una volta alla settimana. Ora, il Washington Post a suo tempo ha documentato ampiamente l'incredibile, e per certi versi del tutto improduttivo, proliferare di agenzie di intelligence, governative e private, a seguito dell'11 settembre, ma nessuno ci spiega come e perché ci siano tutte queste task force filmiche, variamente denominate ma sempre specialissime, efficientissime, segretissime, armatissime.


Nelle fiction meno oltranziste generalmente la CIA non ha un aspetto oltremodo gradevole, a confronto con l'FBI più rispettoso delle regole, quasi che il Bureau non sia stato trasformato da John E. Hoover (che ne è stato capo indiscusso e intoccabile dal 1924 al 1972!) in una vera e propria polizia politica, andando ben oltre il suo ruolo istituzionale di polizia federale e di controspionaggio. Comprensibile, dunque, che in un episodio il direttore, nientemeno che preso in ostaggio dai terroristi, resista eroicamente e si faccia uccidere dopo aver esclamato "Noi siamo l'FBI !". Frase o concetto che peraltro ricorre sovente, a testimoniare l'orgoglio di far parte di un'élite coraggiosa e protettiva. Molto più realistica l'ironia con cui viene rappresentato ne I signori della truffa (Sneakers, P. A. Robinson, 1992) il capo dell'NSA, il quale, dovendo rispettare un certo accordo con una banda di malviventi che gli hanno fatto un gran favore, chiede a ciascuno cosa voglia in cambio; quando uno di essi reclama la pace nel mondo gli risponde "Noi siamo il governo degli Stati Uniti, non facciamo queste cose!".
NSA: la più grande e potente agenzia di intelligence del mondo, di cui però il governo americano ha per anni addirittura nascosto l'esistenza (al grande pubblico, ché gli addetti ai lavori la conoscevano bene). E la CIA non viene subito dopo, perché al secondo posto c'è la DIA, e questi fratelli maggiori sono quasi assenti come protagonisti, forse per non sottolineare troppo la consistenza e la potenza dei servizi statunitensi. Parentesi: se si osservano con attenzione gli emblemi delle 16 principali agenzie americane, si noterà che, a eccezione dei due importanti organismi per la sicurezza spaziale ed il controllo delle comunicazioni, tutte le altre figure sono assai elaborate, a volte con vari riferimenti massonici; non quella dell'NSA, però, che ha semplicemente lo scudo d'ordinanza a stelle e strisce e il solito aquilotto incazzato, che tiene tra gli artigli una grande chiave: metafora tanto palese quanto inquietante.

Il patriottismo esasperato, dunque, come anima profonda dei film e delle serie televisive. Esattamente quel genere di manicheismo propagandistico che disgustava il grande John le Carré, e che non ritroviamo, ad esempio, nelle due migliori serie di spionaggio (e infatti non sono americane): Le Bureau - Sotto copertura (Le Bureau des légendes, 2015 - 2020) e Deep State (2018 - 2019).
Ma che si ripresenta con forza, e perizia, in quella che viene considerata la più riuscita serie spionistica, Homeland (2011 - 2020). La serie è molto ben congegnata: aggrovigliata quanto basta, ricca di spunti e di suspense, e di colpi di scena non scontati, con ottimi riferimenti ai meccanismi spionistici e geopolitici; se non fosse che fa finta di non essere manichea quando invece ripropone potentemente (e con grande abilità) la superiorità morale dell'America e dei suoi strenui difensori.


Attenzione, però, non c'è solo qualcosa di simile a Dio, Patria, Famiglia: sarebbe una dimostrazione troppo smaccata di conservatorismo. A seconda della serie si disseminano qua e là segnali "progressisti" (discriminazione di genere, bimbi indifesi, conflitto razziale, ecc.) cosicché liberal e dintorni si sentano in qualche modo rassicurati: una sorta di disinformatjia alla rovescia.

Torniamo alla squadra speciale FBI di Blindspot: i sei principali personaggi buoni sono abbastanza ben disegnati (addirittura eccellenti l'esperta informatica ed il suo amico-nemico hacker, irresistibile), e sono i protagonisti delle azioni decisive, e quando si spara ci sono quasi sempre solo loro, e quindi non si capisce che cazzo facciano, invece, tutti gli altri numerosi membri che lavorano assiduamente nella sede centrale. Irritanti oltre misura certi dialoghi che ricorrono di continuo: la situazione è piuttosto chiara, per mezzora abbiamo assistito all'evolversi degli eventi, eppure dobbiamo ripetutamente sentire questo o quella che afferma con enfasi qualcosa di non propriamente nuovo: "Ci potrebbero essere migliaia di vittime innocenti! Dobbiamo assolutamente trovare X. Andiamo!".
D'altra parte alcune caratterizzazioni sono accurate e intelligenti: si diceva dei due geni informatici, ma non è male anche uno dei direttori FBI, ambiguo e brillante.
Sparatorie: a parte il fatto che i conflitti a fuoco tra forze di polizia e criminali non sono poi frequentissimi, almeno in forme così massicce e letali, è mai possibile che i buoni abbiano sempre una mira strepitosa e facciano fuori tutti gli altri? E poi, tutti questi cattivi terranno pure famiglia, un partner, i compari del bowling: e allora un po' di pietà per gli amici affranti e i parenti tutti.

Alt: informatica e tradimenti. Che assurda baraonda.
Avendo avuto l'occasione, del tutto fortuita..., di conversare a lungo con un vero hacker white hat, ancorchè di media levatura, si è convenuto che la narrazione di questa figura in quasi tutte le fiction è ridicola: a parte gli insopportabili ragazzetti che smanettando salvano il mondo (ma Wargames - Giochi di guerra, di John Badham, 1983, è piacevolissimo), gli hacker sul grande o piccolo schermo che in pochi istanti fanno cose strabilianti sono pura fantasia. Sì, c'è qualche enfant prodige che ha violato importanti sistemi di sicurezza, e gruppi molto anonimi che fanno marachelle molto serie (occhio, però: Snowden e Assange hanno solo divulgato verità nascoste), ma la cyberguerra che si combatte ogni giorno è fatta da organismi con migliaia di operatori, con sistemi di calcolo potentissimi e a costi esorbitanti (si veda il prolisso ma interessante The Undeclared War, TV 2022). Quindi un conto è la sfrontata esagerazione dell'allegro Leverage - Consulenze illegali (TV 2008 - 2012), altro è l'irrealistica rappresentazione di tasti che in dieci secondi fanno magie.
E ancora: perchè mai il capo di un laboratorio, per di più con capacità uniche, dovrebbe prendere parte, sparando, alle incursioni? Lo stesso imbroglio del pur ottimo CSI: la polizia scientifica non va in giro con le armi, né tantomeno partecipa ad arresti o scontri a fuoco.

 

 



Altrettanto inverosimile e fastidiosa è l'nflazione di traditori assolutamente insospettabili. Negli apparati governativi, nelle grandi aziende, e in altre istituzioni, da sempre ci sono membri infedeli, anche ad alti livelli: il maestro, Kim Philby, arrivò quasi ai vertici dell'MI6, l'FBI subì pesantissime sconfitte, Oleg Gordievskij, colonnello del KGB, lavorò in segreto per i servizi britannici, e non mancano numerosi altri casi di infiltrazione, di doppio gioco, ma proporre fiction in cui un direttore dell'FBI o della CIA è un traditore (a favore di una potenza straniera o addirittura in combutta coi terroristi) è proprio una presa per il culo.

Detto tutto questo, e tralasciando tante altre incongruenze ed eccessi spettacolari, Blindspot è proprio divertente...
E lo sono anche altre recenti serie, pur molto diverse tra loro, tra le quali: Fringe (2008 - 2013) Profiling (2009 - 2020) Justified (2010 - 2015; 2023) Sherlock (2010 - 2017) Person of Interest (2011 - 2016) Homeland (2011 - 2020) The Killing (2011 - 2014) Elementary (2012 - 2019) Perception (2012 - 2015) The Blacklist (2013 - 2023) Candice Renoir (2013 - ) True Detective (2014 - ) Chicago P. D. (2014 - ) Bosch (2014 - ) Le regole del delitto perfetto (2014 - 2020) Mr. Robot (2015 - 2019) Le Bureau - Sotto copertura (2015 - 2020) Professor T. (2015 - 2018) Sneaky Pete (2016 - 2019) Golia (2016 - 2021) Babylon Berlin (2017 - ) Deep State (2018 - 2019) Balthazar (2018 - 2023) ...

E qui una specifica raccolta dal 1955 al 2020.

Alberto Burgos, 25.09.2022